Tribunale
di Torre Annunziata, Sezione II Penale in composizione collegiale,
Ordinanza 26 aprile 2000
IL TRIBUNALE
DI TORRE ANNUNZIATA
II SEZIONE PENALE
riunito in camera di consiglio
nelle persone dei sottoindicati magistrati:
- Dott.. Francesco Ottaviano Presidente
- Dott. Nicola Russo Giudice
- Dott. Sandro Ciampaglia Giudice
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sull'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, del D.L. 7/1/2000 n° 2 convertito con modifiche dalla L. 25/2/2000 n° 35 e degli artt. 513 e 500, commi 2bis e 4, c.p.p. in relazione all' art. 111 Cost. nonché in relazione agli artt. 3, 24 e 102 Cost..
Acquisito il parere contrario del Pubblico Ministero, il Collegio
OSSERVA
La Difesa degli imputati ha
proposto la suaccennata questione di legittimità costituzionale con riguardo
al regime dell'acquisizione delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini
preliminari da imputato di reato connesso che, in sede dibattimentale, si sia
avvalso della facoltà di non rispondere. Il meccanismo in parola (introdotto
per effetto della pronuncia della Corte costituzionale 2/11/1998 n°361)
consentendo, all'esito delle contestazioni ex art. 500 commi 2bis e 4 c.p.p.,
l'ingresso di tali dichiarazioni accusatorie nel materiale valutativo su cui
il giudice potrà fondare la decisione si porrebbe in grave contrasto
con il dettato degli artt. 3, 24 e 102 della Costituzione e, ancor più
palesemente, con la previsione dell'art. 111 Cost. come riformulato dalla legge
costituzionale 23/11/1999 n° 2.
La questione prospettata dalla Difesa si estende, poi, alla disciplina transitoria
di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legge 7/1/2000 n° 2 convertito dalla
legge n° 35/2000 laddove consente che le dichiarazioni rese nella fase delle
indagini preliminari da chi, per libera scelta, si sia sempre volontariamente
sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore siano valutate ai fini
della decisione se la loro attendibilità risulti confermata da altri
elementi di prova assunti o formati con modalità diverse, purchè
tali dichiarazioni siano state già acquisite al fascicolo del dibattimento
alla data di entrata in vigore della legge ordinaria che disciplinerà
l'attuazione dell'art. 111 Cost.
Il Collegio, ai fini della valutazione richiesta dall'art. 23 della L. 11/3/1953
n° 87, è tenuto ad esaminare il duplice profilo della rilevanza e
della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
Per quanto attiene al primo aspetto, ritiene il Tribunale che le questioni prospettate
siano rilevanti ai fini della definizione del presente giudizio. Difatti, premesso
che la valutazione sulla rilevanza - sì come richiesta dall'art. 23 ora
citato - involge l'incidenza della questione non sulla prosecuzione del giudizio
bensì sulla sua definizione, rendendo l'eccezione valutabile anche se
proposta in una fase non immediatamente precedente la decisione del processo,
appare di tutta evidenza che le dichiarazioni già rese da alcune delle
persone indicate dall'art. 210 c.p.p. ed acquisite al fascicolo del dibattimento,
indipendentemente dalla loro valenza probatoria in sede di decisione, possano
comunque esercitare un ruolo di orientamento dell'ulteriore sviluppo dell'istruttoria
dibattimentale.
Passando, ora, all'esame dell'ulteriore profilo valutativo richiesto dall'art.
23 L. n°87/53, e cioè della non manifesta infondatezza della questione
proposta, il Collegio ritiene che tale requisito non ricorra nella specie.
Invero, si ritiene che le norme censurate non si pongano in contrasto con i
principi enunciati dalle disposizioni costituzionali richiamate dalla Difesa.
Invero, partendo dall'esame della disciplina transitoria contenuta nell'art.
1, comma 2 del D.L. n°2/2000, come modificato dalla legge di conversione,
non risultano rinvenibili in essa profili di violazione dell'art. 111 Cost..
La legge costituzionale 23/11/1999 n° 2, che ha innovato il contenuto del
citato art. 111, consta di due articoli. Nel primo, per quel che ci occupa,
si statuisce che "il processo penale è regolato dal principio
del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato
non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera
scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio dell'imputato
o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova
non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità
di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita".
Nel secondo articolo, invece, si stabilisce che "la legge regola l'applicazione
dei principi contenuti nella presente legge costituzionale ai procedimenti penali
in corso alla data della sua entrata in vigore".
La norma transitoria approvata in forza del rinvio contenuto nel citato art.
2 della legge costituzionale, al primo comma, stabilisce in via generale l'applicazione
immediata dei principi del nuovo art. 111 Cost. ai procedimenti in corso, facendo
tuttavia salve due ipotesi eccezionali.
Quella d'interesse per il Collegio è contenuta nel comma 2, in cui, come
detto, si stabilisce che "le dichiarazioni rese nel corso dell'indagine
preliminare da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto
all'esame dell'imputato o del suo difensore, sono valutate, se già acquisite
al fascicolo per il dibattimento, solo se la loro attendibilità è
confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalità".
Ad opinione del Tribunale, la conformità della disposizione ordinaria
al precetto costituzionale si fonda su vari profili.
Innanzitutto, la norma ordinaria trova il suo fondamento immediato in una disposizione,
anch'essa alla stessa stregua dell'art. 111, di natura costituzionale qual è
l'art. 2 della L. n°2/99.
Quest'ultima norma, nel rimettere alla legge ordinaria il compito di regolare
l'applicazione dei principi del cd. "giusto processo" ai giudizi in
corso, ha non solo fornito di copertura costituzionale l'emanazione della legge
ordinaria ma ha anche voluto precisare che l'attuazione dei principi del nuovo
art. 111 debba seguire, nei giudizi pendenti, un percorso differenziato che
tenga conto di altri principi costituzionali ugualmente coinvolti.
Orbene, va in proposito evidenziato che, sebbene il tenore letterale dell'art.
2 legge cost., potrebbe anche far propendere per l'attribuzione ad esso di un
significato neutro (col quale, in altri termini, si sia voluto dire che i principi
dell'art. 1 vadano applicati tout court anche ai processi in corso),
la norma così intesa apparirebbe in realtà priva di utilità
(anche in ragione della valenza che le è data dal suo rango), dal momento
che l'immediata applicazione del principio costituzionale sarebbe stato garantito
anche in sua assenza.
La previsione dell'art. 2 assume un suo rilevante significato laddove la riserva
di legge venga, al contrario, interpretata come espressione della volontà
di affidare al legislatore ordinario e non all'interpretazione giurisprudenziale
l'adattamento al principio di cui all'art. 111 Cost. delle norme di rito applicate
ai processi in corso.
Se, infatti, l'art. 2 della legge costituzionale non vi fosse stato, la natura
di principio fondamentale dello Stato dell'art. 111 Cost. avrebbe comunque imposto
al giudice la sua immediata ed incondizionata applicazione a tutti i giudizi.
Se, al contrario, come è avvenuto, questo effetto voleva scongiurarsi,
la ratio della previsione dell'art. 2 L. n°2/99 si appalesa nel suo
reale significato.
Né, come è evidente, l'art. 2 ora citato intende far riferimento
all'attuazione in via definitiva del precetto costituzionale, essendo chiaro
il suo esclusivo riferimento ai procedimenti in corso.
Conformemente al mandato ricevuto il legislatore, prima nella forma della decretazione
d'urgenza e, poi, attraverso la conversione con modifiche dell'originario provvedimento
governativo ha stabilito le modalità d'ingresso della disciplina del
giusto processo nei giudizi pendenti, prevedendo in via generale che (art. 1)
essa sia immediatamente applicabile anche in questi con le sole eccezioni di
cui ai commi 2 e 3.
È, pertanto, immediatamente rilevabile come, innanzitutto, il legislatore
ordinario si sia mostrato più cauto nell'esercizio della delega di quanto
la portata dell'art 2 della legge costituzionale gli avrebbe probabilmente consentito.
In secondo luogo, la ragione dell'applicazione "ridotta" dell'art.111
Cost. nei casi di cui al secondo comma dell'art. 1 del D.L. n°2/2000 appare
anch'essa legittima costituzionalmente.
Con tale previsione, il legislatore ha dato atto della pari dignità riconosciuta
dal nostro ordinamento, accanto al principio del contraddittorio, a quelli di
non dispersione delle prove e dell'accertamento della verità come finalità
del processo.
Tali principi, che trovano la propria ragion d'essere nella loro funzione attuativa
della previsione dell'art. 2, prima parte, Cost. (la Repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità), dell'art. 3 Cost. (tutti
i cittadini sono uguali davanti alla legge), dell'art. 24, I comma, Cost.
(tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi) 27, comma II, Cost. (l'imputato non è considerato colpevole
sino alla condanna definitiva) e 112 Cost. (il pubblico ministero ha
l'obbligo di esercitare l'azione penale), sono da sempre stati oggetto di
considerazione da parte della Corte costituzionale come fondamento legittimante
la presenza nel codice di rito di istituti in apparente contrasto col principio
dell'oralità.
A tal proposito, appare opportuno ricordare (data la sua persistente validità)
quanto affermato dalla Consulta nella sentenza n°255 del 18/05/92 -03/06/92.
Ivi si statuisce che "il sistema accusatorio positivamente instaurato ha
prescelto la dialettica del contraddittorio dibattimentale quale criterio maggiormente
rispondente all'esigenza di ricerca della verità; ma accanto al principio
dell'oralità è presente, nel nuovo sistema processuale, il principio
di non dispersione degli elementi di prova non compiutamente (o non genuinamente)
acquisibili col metodo orale".
Il necessario contemperamento di questi due principi giustifica, almeno fin
quando rimanga immutato l'articolato del codice di rito, la permanenza di quegli
istituti che, come osserva la Consulta, recuperano al fascicolo del dibattimento,
e quindi all'utilizzazione probatoria, atti non suscettibili di essere surrogati
da una prova dibattimentale. Si pensi, in tal senso, agli atti non ripetibili
richiamati dall'art. 431 c.p.p., agli atti assunti nell'incidente probatorio
(art. 392 c.p.p.), agli atti assunti dal pubblico ministero nel corso delle
indagini preliminari o dal giudice nell'udienza preliminare, quando per fatti
o circostanze imprevedibili ne sia divenuta impossibile la ripetizione (art.
512 c.p.p.), alla lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato contumace,
assente o che si rifiuti di sottoporsi ad esame o dall'imputato in procedimento
connesso o collegato (art. 513 c.p.p., come ritenuto per quest'ultimo profilo
anche dalla sentenza della Corte cost. n° 361/98), all'acquisizione di dichiarazioni
rese dai testi (art. 500, comma IV) o dall'imputato (art. 503, comma V). In
tutti questi casi si è derogato al principio dell'oralità e dell'immediatezza
dibattimentale per contemperare il rispetto del metodo orale con l'esigenza
di evitare la perdita, ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del
dibattimento e che sia irripetibile in tale sede (sic Corte Cost. n°255/92
e n° 254/92).
Ora, sebbene la riformulazione dell'art. 111 Cost. imponga senza dubbio una
rilettura in termini di adeguatezza costituzionale delle surrichiamate disposizioni,
l'esigenza di contemperamento dei due esplicitati principi (oralità e
non dispersione dei mezzi di prova) non appare estranea nemmeno alle intenzioni
del legislatore del citato art. 111 Cost..
Difatti, il comma V della disposizione costituzionale ammette espressamente
la possibilità di deroga al criterio di formazione della prova in contraddittorio
laddove questo o non sia necessario, ricorrendo il consenso dell'imputato, o
sia reso impossibile da una causa di natura oggettiva o dall'effetto di una
condotta illecita; con ciò, appunto, confermando la persistenza di tale
esigenza di bilanciamento.
Per le medesime ragioni ora esposte va ritenuta l'infondatezza della questione
di legittimità costituzionale degli artt. 513 comma II e 500 commi 2bis
e 4 c.p.p. in riferimento oltre che all'art. 111 Cost. anche agli artt. 3, 24
e 102 Cost.
Si è in precedenza esposto come anche le prime due norme costituzionali
costituiscano, in realtà, il fondamento del principio di non dispersione
delle prove che, almeno con riferimento alla fase transitoria, legittima il
ricorso allo strumento della contestazione - acquisizione delle dichiarazioni
rese in precedenza dalle persone di cui all'art. 210 c.p.p.. Del resto, la stessa
Corte costituzionale con la sentenza n°361/98 ha evidenziato come lo strumento
delle contestazioni non abbia ex se una funzione accusatoria, potendo essere
diretto anche a far emergere nel dibattimento profili d'innocenza dell'imputato
desumibili da precedenti dichiarazioni del soggetto di cui all'art. 210 c.p.p.
e che, per il "silenzio" di quest'ultimo, rimarrebbero sconosciuti
e non valutabili dal giudice.
In particolare, con riguardo alla censurata violazione dell'art. 3 Cost. concretantesi,
ad opinione della Difesa, nella disparità di trattamento che si determinerebbe
tra imputati nei cui confronti siano già state acquisite ex art. 513
c.p.p. dichiarazioni di contenuto accusatorio ed altri imputati nei confronti
dei quali non siano state ancora acquisite dichiarazioni rese in fasi procedimentali
precedenti, osserva il Collegio che non vi è disparità di trattamento
in situazioni identiche allorquando, come nella specie, si disciplina in maniera
diversa l'applicazione di un principio costituzionale in relazione a momenti
processuali diversi; d'altra parte è la stessa norma costituzionale che
ha voluto una disciplina diversa in relazione a momenti processuali differenti.
Peraltro, perchè tali dichiarazioni siano utilizzabili (indipendentemente
dal loro contenuto) ai fini della decisione, occorre che le stesse siano già
state acquisite, per il tramite delle contestazioni, al fascicolo del dibattimento
alla data dell'entrata in vigore della legge di conversione n°35 del 25/2/2000(così
dovendo temporalmente agganciarsi l'inciso richiamato).
In ogni caso, la loro portata probatoria è limitata alla concorrenza
di altri elementi di prova, assunti o formati con modalità diverse (con
esclusione, dunque, di riscontri entrati nel dibattimento per la medesima via)
che ne confermino l'attendibilità (art. 1, comma 2, D. L. n°2/2000)
Pertanto, con tali ulteriori limitazioni all'utilizzabilità delle suddette
dichiarazioni si è garantita, anche nella fase transitoria, un'applicazione
costituzionalmente orientata degli artt. 513, comma 2, 500, commi 2bis e 4,
e 192, comma 3, c.p.p.
Infine, del tutto inconferente appare il richiamo all'art. 102 Cost..
Infatti, la predetta norma costituzionale ha come unica funzione quella di individuare
i soggetti cui è demandato l'esercizio della funzione giurisdizionale,
stabilendo la limitazione a favore delle norme sull'ordinamento giudiziario
in ordine alla previsione degli organi che esercitano la funzione, alla loro
composizione ed alla loro collocazione nell' O. G..
La norma nulla dice in ordine alle modalità di esercizio della funzione
giurisdizionale, la quale ultima trova disciplina in altre disposizioni costituzionali
per ciò che concerne l'indicazione dei principi e nelle norme processuali
per ciò che riguiarda l'applicazione degli stessi.
Dunque, ad opinione del Collegio, anche con riferimento a tali norme deve ritenersi
infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale.
P.Q.M.
Dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte e dispone procedersi oltre nel dibattimento.
Così deciso in Napoli Poggioreale, aula Ticino 4, in camera di consiglio il 26/04/2000
I GIUDICI
IL PRESIDENTE