Corte di Appello di Genova, Sezione II Penale
Ordinanza 25-27 ottobre 1999 (*)

R.E. 87/99

LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA
sezione II penale

composta dai Signori
- dott. Adriano Sansa - Presidente
- dott. Giorgio Odero - Consigliere Estensore
- dott. Franca Carpinteri - Consigliere

ha emesso la seguente

ORDINANZA

1.- Il Procuratore Generale ha chiesto la revoca della sentenza 31.5.96 del Pretore di Genova inserita nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti formulato il 6.11.98 nei confronti di ****** affermando tout court che il reato di oltraggio non è più previsto dalla legge come reato, in quanto il suddetto delitto stato a rogato dall'art. 18 della legge 25.6.99 n. 205.
Propone poi una subordinata, la cui motivazione si pone in conflitto con la richiesta principale: sostiene il P.G. che l'abrogazione dell'art. 341 non fa venir meno l'illiceità della condotta, la quale è tuttora prevista come reato dall'art. 594 c.p. (ingiuria) o 612 c.p. (minaccia) per cui non può trovare applicazione l'art. 2 co. 2 c.p. in materia di successione di leggi penali nel tempo.
Premesso quindi che il reato di ingiuria è perseguibile a querela, e che l'art. 19 della legge 25.6.99 n. 205 disciplina il regime della perseguibilità dei fatti divenuti procedibili a querela ai sensi della legge stessa, per i quali penda ancora il relativo procedimento, rileva che nessuna disposizione contempla l'ipotesi in cui il fatto integrante il reato abrogato sia ancora previsto da una norma penale che configuri però un reato perseguibile a querela; e pur riconoscendo che in tali casi occorre fare riferimento all'ultima parte dell'art. 2 co. 3 c.p. (che statuendo, in caso successione di norme incriminatrici nel tempo, l'applicabilità al fatto concreto di quella più favorevole al reo, fa però salvi gli effetti del giudicato) propone che il giudice dell'esecuzione interpelli la persona offesa del reato per raccogliere l'eventuale querela, escludendo, ove questa venga proposta, la revoca della sentenza.
All'udienza del 5.10.1999 il Procuratore Generale, svolgendo argomentazioni contrastanti con quelle che sorreggono la richiesta "subordinata" del suo ufficio, ha chiesto la revoca della sentenza. La difesa si è associata, e la Corte si è riservata di decidere.
2.- A scioglimento della riserva, la Corte rileva quanto segue.
1.- Tutto l'iter argomentativo della richiesta scritta della Procura Generale nega fondamento a quella che appare come la richiesta principale: sembra quasi che la richiesta di revoca sia un modo per investire la Corte del problema, ma che la revoca non sia in effetti voluta. Ciò perché nell'atto della Procura Generale viene chiaramente pressa l'opinione che nella fattispecie non si verta in una ipotesi di semplice "abolitio criminis", ma sia per contro pertinente alla materia trattata il diverso fenomeno della successione, nel tempo, di disposizioni incriminatrici diverse, che, a norma dell'art. 2 co. 3 cod. pen., importano l'applicazione di quelle più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
La questione è già stata trattata e affrontata da questa Corte con ordinanza 13.8.1999, che con motivazione diffusa e condivisibile negava la revocabilità di una sentenza di condanna per oltraggio a pubblico ufficiale, rilevando che il fatto che integra tale delitto continua ad essere preveduto come reato (ai sensi dell'art. 594 cod. pen., che definisce il delitto di ingiuria) anche per la legge posteriore; che il primo delitto presenta rispetto al secondo i caratteri della specialità; che la S.C. ha ritenuto ravvisabile la successione fra fattispecie incriminatrici sulla base del criterio della continenza; che vertendosi nel campo della successione di leggi penali, osta all'applicazione della legge più favorevole (l'art. 594 c.p.) la preclusione della condanna passata in giudicato.
A questa motivazione, riferita in termini assai sintetici, si vuole qui aggiungere qualche ulteriore osservazione, alla luce dell'odierno intervento difensivo e del materiale giurisprudenziale prodotto e acquisito. Premettendosi peraltro, doverosamente, che la sentenza di condanna di cui oggi si chiede la revoca aveva giudicato il ******* colpevole di oltraggio, per avere rivolto ad un agente di Polizia, pubblico ufficiale, l'espressione "sei un uomo di merda".
3. - Allo schema logico sopra sintetizzato si propongono due diverse obiezioni, che peraltro interferiscono fra loro.
La prima concerne il concetto stesso di successione fra leggi penali, che l'ordinanza su richiamata ritiene essersi verificato. Erroneamente l'ordinanza avrebbe fatto perno sul fenomeno successorio di leggi, in quanto avrebbe fatto confusione fra la figura della abolitio criminis - che travolge anche gli effetti del giudicato - e il concetto di norma più favorevole sopravvenuta. Il richiamo alla successione di leggi non sarebbe pertinente nelle ipotesi in cui, a seguito dell'abrogazione di una norma, il fatto ricade nella previsione di una norma più generale, già vigente in precedenza.
Non si verificherebbe, in tali casi, una successione di norme, ma un concorso apparente di norme (situazione giuridica statica che rappresenta l'esatto contrario della successione di precetti penali. Venuta meno, per abolitio, la fattispecie incriminatrice astratta speciale, che ingloba le altre, dovrebbero cessare gli effetti della condanna per quel reato. Si dovrebbe cioè applicare il 2° comma dell'art. 2, mentre il terzo comma sarebbe applicabile quando la condotta nota come reato alla vecchia normativa sia prevista da una nuova legge. Il reato di ingiuria, peraltro, già esisteva, con contenuti di tutela e di interesse autonomi, al momento della contestazione del reato complesso, oggi abrogato.
4.- Ritiene la Corte che questa prima obiezione non colga nel segno.
Le argomentazioni che la sorreggono prendono le mosse da un punto di vista corretto - sul quale si dovrà tornare - e cioè dalla configurabilità del delitto di oltraggio come reato complesso, che assorbe, in forza del principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., la condotta integratrice del delitto di ingiuria; ma non sono punto condivisibili laddove limitano in termini del tutto angusti il fenomeno della successione di leggi penali, mostrando di pretendere - contro la lettera e la ratio dell'art. 2 comma 3 c.p. - che successione di leggi si verifichi soltanto quando una nuova norma incriminatrice, sostituendone una preesistente, preveda espressamente, in tutto o in parte, la condotta già contemplata dalla norma penale venuta meno.
Si tratta di assunto del tutto privo di fondamento. Si deve al contrario ritenere che successione di leggi si verifichi anche nel caso in cui, per il venir meno di una disposizione a carattere speciale, applicabile a preferenza della norma generale, quest'ultima si espanda alle fattispecie che, già disciplinate dalla prima, ricadono, a seguito del "novum" comunque verificatosi nell'ordinamento, nella disciplina della seconda.
E infatti evidente che, soppresso il delitto di oltraggio, il fatto non perde la sua illiceità penale, in quanto è previsto come reato da una diversa disposizione dell'ordinamento. All'art. 341, caducato, succede nella disciplina della condotta, l'art. 594 (o, eventualmente, 612, aggravati ex art. 61 n. 10 cod. pen.), verificandosi appieno la condizione prevista dal 3° comma dell'art. 2 cod. pen.: "Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile".
Erroneo rilievo viene attribuito al termine "abrogazione" contenuto . nell'art. 18 l. 205/99. Si vorrebbe che al semplice fatto formale dell'abrogazione conseguisse la cessazione degli effetti della condanna e la sua esecuzione (con la revoca prevista all'art. 673 c.p.p.). E si dimentica che all'abrogazione di una norma non consegue necessariamente una abolitio criminis, come ha autorevolmente insegnato la Suprema Corte, secondo la quale "il fenomeno della successione delle leggi penali è costituito dall'abrogazione di una disposizione e dalla conseguente applicabilità al fatto di un'altra disposizione senza che ciò debba necessariamente verificarsi attraverso la formale sostituzione della seconda disposizione alla prima, perché ben può accedere che la prima venga abrogata e contemporaneamente sia inserita una diversa disposizione in un diverso testo normativo o accadere anche che sia abrogata una norma speciale restando il fatto preveduto come reato da una norma generale preesistente" (Cass. Sez. V, 17.8.90 n. 11495, rv. 185123).
4.- La seconda obiezione si riallaccia ad un indirizzo giurisprudenziale (ord. 29.7.99 del Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Arezzo) che, pur ammettendo che la condotta dell'abrogato reato di oltraggio sia prevista altresì dalle norme che puniscono 1'ingiuria e la minaccia, ritiene che la disciplina della successione di leggi penali nel tempo, dettata dall'art. 2 co. 3 cod. pen., sarebbe applicabile solo nel caso in cui fra il delitto previsto dall'art. 341 e quelli di cui agli artt. 594 e/o 612 cod. pen. ricorresse rapporto di specialità.
Nel primo caso, si avrebbe infatti una vera e propria successione delle leggi nel tempo per riespansione di fattispecie preesistenti, nel secondo caso si` verificherebbe un'ipotesi di abolitio criminis.
Tali premesse, sostanzialmente corrette, conducono però all'opinabile conclusione secondo la quale si sarebbe verificata proprio quest'ultima ipotesi. Il delitto di ingiuria e quello di oltraggio - si afferma infatti, richiamando un indirizzo della Corte costituzionale - tutelano beni giuridici diversi, perché nella prima fattispecie sono presi in considerazione l'onore e il decoro del privato cittadino, mentre nell'altra è protetto il prestigio della pubblica amministrazione nel suo funzionamento attraverso l'opera dei pubblici ufficiali, per cui deve negarsi che l'oltraggio non sia altro che una ingiuria aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale della parte offesa.
Nello stesso modo - si prosegue - può ragionarsi per quanto concerne il rapporto fra oltraggio mediante minaccia e la norma di cui all'art. 612 cod. pen.
Escluso quindi il rapporto di specialità fra oltraggio ed ingiuria (o oltraggio aggravato dalla minaccia e delitto di minaccia) si conclude essersi verificata abolitio criminis, e doversi revocare la sentenza di condanna per oltraggio, passata in giudicato.
Le premesse del giudice aretino, si diceva, paiono corrette.
A prima vista parrebbe potersi rilevare che nella specie non sia pertinente il riferimento al principio di specialità, ai sensi del quale quando più disposizioni penali regolano la stessa materia, la legge speciale deroga a quella generale, salvo sia diversamente stabilito (art. 15 c.p.); ciò in quanto non vi è coincidenza fra stessa materia e stesso fatto, riferendosi la prima alla omogeneità degli elementi costitutivi delle fattispecie astratte e dei beni tutelati, ed il secondo all'accadimento concretamente verificatosi.
Per cui, disciplinando 1'art. 2 c.p. gli effetti del susseguirsi di norme penali sul fatto inteso nella sua concretezza, questo andrebbe direttamente posto in relazione con la norma previgente e con quella succeduta, per concludere che se il fatto è da entrambe previste come reato, si è verte in tema di successione di leggi penali nel tempo.
Ma a questo rilievo potrebbe fondatamente opporsi che lo stesso fatto storico non può essere valutato con riferimento ad un diverso reato. Ove non operasse il principio di continenza, ove cioè la norma incriminatrice applicata al fatto non contenesse in sé, assorbendola, altra norma incriminatrice, l'abrogazione della prima comporterebbe gli effetti previsti dal 2 comma dell'art. 2 c.p. Il fatto che viene in rilievo è pur sempre lo stesso fatto storico, ma va considerato in relazione alla violazione contestata. Se una condotta viola più norme (con relativo concorso formale di reati) il giudicato si forma solo in relazione all'imputazione ritenuta in sentenza, ed il venir meno della relativa norma comporta abolitio criminis, non potendo il fatto essere considerato sotto un diverso titolo di reato (salva la possibilità di procedere per tale diverso titolo come insegna la giurisprudenza di legittimità, valutando la portata dell'art. 649 c.p.p.; giurisprudenza che, distinguendo fra fatto in senso naturalistico e fatto in senso giuridico - per tutte, Cass. 15.3.94 n. 3116, Lo Nobile - conforta l'esattezza dei rilievi sopra proposti).
Ma il fatto è che tra il delitto di oltraggio e quello di ingiuria (ed eventualmente di minaccia, ove l'oltraggio sia realizzato con minaccia o da questa aggravato) ricorre senza dubbio rapporto di specialità.
Affermare che la dottrina ritiene che i delitti di oltraggio e di ingiuria concorrano formalmente è quanto meno ardito, considerato che autorevoli Autori propongono proprio tali due reati come esempio tipico di rapporto di specialità, ravvisandosi l'elemento specializzante nella qualifica di pubblico ufficiale del soggetto passivo, ricorrente nel primo dei due delitti.
Non pare infatti seriamente contestabile l'identità della condotta, identificabile in un atto lesivo dell'onore e del prestigio (o del decoro) di una persona (pubblico ufficiale, ovvero privato cittadino, quando costui è il soggetto passivo). Sottilizzare sulla sfumatura concettuale che può intercorrere fra "prestigio" e "decoro" pare inutile sforzo, essendo evidente che ogni lesione al decoro integra lesione del prestigio, e . viceversa.
Quanto alla diversità del bene protetto - prestigio della P.A. nell'oltraggio, onore e decoro del privato cittadino nell'ingiuria - è appena il caso di rilevare che il citato rilievo della Corte costituzionale, peraltro ovvio, appare incompleto: è il caso infatti di richiamare la condivisibile giurisprudenza della S.C., secondo la quale "il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale si configura come reato plurioffensivo, che lede il prestigio tanto della pubblica amministrazione quanto della persona fisica che la rappresenta (parte offesa primaria, l'una; secondaria l'altra; mediata, la prima; immediata la seconda). Ne consegue che.....il decreto di citazione a giudizio per detto reato va notificato anche al pubblico ufficiale oltraggiato, in quanto soggetto passivo immediato del reato" (Cass. Sez. VI, 19.4.93 n. 116, rv. 193689).
E' quindi tutt'altro che risolutiva l'asserita diversità di obbiettività giuridica, nel senso di identità del bene protetto, perché la figura criminosa più grave oltraggio, ormai espunto dall'ordinamento - e quelle men gravi - ingiuria e/o minaccia - tutelano entrambe (e sia pur la prima in via secondaria) il decoro della persona fisica. La collocazione del delitto di oltraggio sotto il titolo II del libro II (delitti contro la pubblica amministrazione) protegge in via immediata e prevalente il prestigio e il corretto funzionamento della P.A., ma non esclude affatto - salvo si voglia conferire esclusiva rilevanza al dato formale della suddetta collocazione - che sia tutelata, parallelamente, la persona fisica del P.U. nel suo onore e nel suo decoro.
Del resto lo stesso giudice dell'esecuzione di Arezzo ammette che la pratica giurisprudenziale non ha mai conosciuto ipotesi di contestazione dei delitti di oltraggio ed ingiuria in concorso formale fra loro (cosa, questa sì, che indurrebbe scandalo in gran parte della dottrina); mentre la costituzione di parte civile del P.U. nei procedimenti per oltraggio è sempre stata pacificamente ammessa, il che non potrebbe davvero essere se non si riconoscesse offeso, e tutelato dalla norma di cui all'art. 341 c.p., anche il bene del decoro della persona fisica che svolge la pubblica funzione.
5. - Il fatto che il delitto di ingiuria fosse, e sia, procedibile a querela non ha rilevanza; tale circostanza ha interesse esclusivamente processuale (con la conseguente applicabilità del principio tempus regit actum) ed è quindi indifferente che la persona offesa non abbia proposto querela, in quanto, al momento in cui il fatto è stato commesso, detta condizione di procedibilità non era necessaria.
Le ragioni fin qui esposte rendono evidente l'inutilità - per non dire l'erroneità - della richiesta di citazione della persona offesa, e conducono alla conclusione che la sentenza di cui trattasi non deve essere revocata.

P.Q M.

Respinge la richiesta di revoca della sentenza emessa il 31.5.96 dal Pretore di Genova nei confronti di ******, avanzata dal Procuratore Generale.
Genova, 25. 10.99
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 1999

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