Giudice
per le Indagini Preliminari presso la Pretura Circondariale di Bari
Sentenza 10 febbraio 1999
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito del susseguirsi
di notizie di stampa riguardanti l'edificazione di un complesso edilizio di vaste
proporzioni sito sul Lungomare di Bari in località Punta Perotti, venivano promosse
indagini, dalla locale Procura della Repubblica presso la Pretura, al fine di verificare
la legittimità di quanto in corso di edificazione e, la notizia di reato veniva iscritta
come "atti relativi" in data 28.04.96.
Si accertava preliminarmente, dal rapporto della Polizia Municipale in data 12.11.96, a
seguito di specifica delega di indagine, che il cantiere era asservito da concessioni
edilizie rilasciate dal Comune di Bari in seguito alla approvazione e convenzionamento dei
piani di lottizzazione n. 141/87 e n. 151/89, sulla zona in questione, e si identificavano
gli attuali imputati nelle loro qualità di proprietari e direttori dei lavori senza però
che gli stessi fossero denunziati formalmente.
Il PM nominava all'uopo tre consulenti tecnici per le diverse questioni oggetto di
accertamento, al fine di approfondire la complessa vicenda.
All'esito delle disposte consulenze tecniche, e degli ulteriori accertamenti, il PM
inoltrava al GIP richiesta di sequestro preventivo dell'intera area in corso di
edificazione ravvisando il fumus relativo ai reati in contestazione ( ad esclusione di
quelli connessi al T. V.) nonché il periculum in mora. Il GIP, accogliendo integralmente
le argomentazioni accusatorie, in data 17.03.97 disponeva il richiesto sequestro
preventivo.
Nella stessa data il PM provvedeva all'iscrizione nel registro degli indagati degli
attuali imputati.
Il citato decreto di sequestro preventivo, a seguito di ricorso degli indagati, veniva
prima confermato integralmente dal Tribunale in sede di riesame ma successivamente
annullato dalla Corte di Cassazione. [link alla
sentenza della Cassazione]
All'esito delle indagini il PM emetteva decreto di citazione a giudizio degli odierni
imputati, ed i predetti nei termini di legge proponevano richiesta di giudizio abbreviato,
cui il PM consentiva.
All'odierna Camera di Consiglio, questo giudice ammetteva la costituzione di parte civile
del Ministero dell'Ambiente, del Ministero dei Beni e Attività Culturali, nonché delle
associazioni Italia Nostra, Legambiente Nazionale, Legambiente Regionale e WWF; ammetteva
altresì l'intervento adesivo ad adiuvandum, delle associazioni L.I.P.U. e Codacons;
all'esito di ampia e articolata discussione, il PM e la Difesa concludevano come da
separato verbale.
A questo punto il GIP decideva come da dispositivo.
FATTO E DIRITTO
1. ECCEZIONI PRELIMINARI
Preliminarmente, preme a questo giudice affrontare e risolvere tre questioni di carattere
strettamente procedurale, che spesso, nel corso del giudizio, sono state sollevate, se pur
la prima solo incidentalmente, da parte della difesa.
1.1 incompatibilità del
giudice
La prima questione riguarda l'ipotesi di una presunta incompatibilità della persona
fisica del giudice che ha proceduto al giudizio per la ragione che lo stesso giudice aveva
emesso il provvedimento di sequestro preventivo. Si ritiene necessario spendere qualche
parola sull'argomento nonostante la difesa non abbia formalizzato, con apposita istanza di
ricusazione, la questione, atteso che più volte nel corso del giudizio la stessa è stata
incidentalmente introdotta ( " peculiare " vicenda processuale, è stata
definita da parte di uno dei difensori -avv. D. T. - ) quasi a voler intendersi che il
giudicante avesse avuto una qualche facoltà di scelta circa il procedere al giudizio,
ovvero l'astenersene ( vedi anche memoria di replica depositata dall'avv. G. ), e non
fosse, invero, da ritenersi il giudice naturale precostituito per legge, come tale
investito del dovere giuridico di procedere al giudizio in questione, fatte salve le
ipotesi di astensione specificamente indicate dalle norme , insussistenti nella
fattispecie.
Doveroso appare allora richiamare la sentenza della Corte Costituzionale 12-21 marzo 97,
decisiva sul punto.
In sintesi, afferma la Corte, le misure cautelari reali sono per loro natura attinenti a
beni o cose pertinenti al reato, la cui libera disponibilità può costituire situazione
di pericolo e che , pertanto possono prescindere da qualsiasi profilo di colpevolezza.
Manca, quindi nell'adozione o nella conferma delle misure cautelari reali, quella incisiva
valutazione prognostica sulla responsabilità dell'imputato, basata sui gravi indizi di
colpevolezza, che potrebbe rendere o far apparire, condizionato il successivo giudizio di
merito da parte dello stesso giudice, così da violare le garanzie che si collegano al
principio del giusto processo.
Non vi è, dunque, per le due diverse misure cautelari, personali o reali, una identità
di presupposti in ordine alla valutazione, rimessa al giudice tale da comportare una
identica disciplina quanto all'incompatibilità del giudice.
1.2 preclusione
processuale
La seconda questione da risolvere riguarda precipuamente l'eccezione, sollevata sempre
dalla difesa, di preclusione processuale dell'ordinanza della Corte di Cassazione che
annullava il sequestro preventivo del cantiere edile de quo, in ragione di una presunta
valenza vincolante attribuita ai principi di diritto enunciati dalla S.C. nell'ambito di
procedimento cautelare; sicché il presente giudizio è stato più volte definito
"vincolato".
Tale eccezione è assolutamente priva di alcun fondamento giuridico di carattere normativo
o giurisprudenziale. Non a caso la difesa ha ripetutamente fatto riferimento alle norme
relative al " giudizio di rinvio " ( art. 627 n.3 cpp ), riferimento del tutto
inconferente nella fattispecie per la ragione che il presente giudizio, non è giudizio di
rinvio, né può esservi accomunato, in quanto giudizio di primo grado.
Il riferimento, impropriamente operato dalla difesa, al principio di non conflittualità
dei provvedimenti giudiziali risulta smentito dal carattere endoprocedimentale e allo
stato degli atti dei provvedimenti cautelari.
Afferma infatti la Corte di Cassazione che, imposta una misura cautelare ed esauritosi
l'"iter" delle impugnazioni avverso l'ordinanza applicativa (ovvero scaduti i
termini per proporre richiesta di riesame e o ricorso per cassazione), la situazione
(gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari, nonche' adeguatezza dimostrata
ovvero, ove previsto, presunta "iuris tantum") si cristallizza in una sorta di
giudicato allo stato degli atti, sicche', "rebus sic stantibus", la misura
imposta non e' soggetta a revoca, se non si prospettino dall'indagato fatti sopravvenuti
ovvero anche fatti preesistenti, ma che non hanno formato oggetto di esame e di
valutazione da parte del G.I.P. che ha applicato la misura cautelare. ( Cassazione penale
sez. I, 14 dicembre 1993 Mass. pen. cass. 1994,fasc. 3, 72 )
Ciò equivale a dire che una pronunzia in sede cautelare, resta circoscritta nell'ambito
del procedimento incidentale (nella specie "de libertate" ) ed è finalizzata
soltanto all'eliminazione della misura cautelare. La stessa non vincola, invece, né
l'apprezzamento dell'Ufficio del PM titolare delle indagini preliminari, quanto alla
rilevanza degli elementi indiziari acquisiti, né quello del GIP, ai fini del rinvio a
giudizio, o del giudice del dibattimento. ( Cass. Pen. , sez. un., 12.10.93, Durante,
Cass. Pen. 1994,283, n. Vessichelli; conforme sentenza Cass. Pen. III, 1.12.97, Svara).
Sotto il profilo logico, inoltre, atteso che il nostro ordinamento giuridico non riconosce
cittadinanza al principio, proprio in verità degli ordinamenti di "common law",
del valore vincolante del precedente giurisprudenziale, si percepisce chiaramente che
nessuna norma impedisce alla Corte di Cassazione, melius re perpensa di cambiare
orientamento su questioni dalla stessa affrontate e risolte in fatto ed in diritto ( cfr.
ad esempio Cass. Sez.I 19.11.93 dep. 26.01.94 n.1177 e Cass. Sez. I 5.06.97 n. 8201, cc
28.04.97 entrambe pubblicate in Rivista Penale 1994, 1197 e 1997, 709, nelle quali la S.C.
ha adottato decisioni opposte su una medesima situazione di diritto relativa alla stessa
fattispecie ).
Vieppiù l'ulteriore argomento introdotto dalla difesa, a sostegno della tesi sopra
menzionata, che si collega ad una affermazione contenuta nella sentenza della S.C. 17.11.97, A., che annullava il sequestro
preventivo del cantiere in questione, ed in particolare che le conclusioni del Collegio
fossero allo stato degli atti "salva differente valutazione da parte dei Giudici di
merito, all'esito di possibili ulteriori investigazioni ed acquisizioni probatorie"
non ha sicuramente la valenza che alla stessa vuole attribuirsi, poiché se la medesima
affermazione fosse interpretata nel senso preclusivo inteso dalla difesa sarebbe del tutto
indebita, atteso che assumerebbe l'abnorme significato di privare il giudice della piena
cognizione, tipica del giudizio di merito.
1.3 inutilizzabilità
degli atti
La difesa ha eccepito nella memoria del 2/2/99 ( avv. G.) l'inutilizzabilità degli atti
per decorso dei termini di indagine preliminare non avendo il PM iscritto immediatamente i
nomi degli indagati ma solo in data 17/3/97.
L'eccezione ad avviso di questo giudice va rigettata .
Va premesso in fatto che:
· il Pm ha iscritto come "atti relativi" in data 28/4/96 il fascicolo in base
ad una notizia di stampa (allegata agli atti).
· a seguito di specifica delega di indagine in data 12/11/96 veniva depositato in
cancelleria un rapporto della Polizia municipale nella quale si identificavano gli attuali
indagati ma gli stessi non venivano formalmente denunciati;
· il PM, per approfondire la complessa vicenda, ha nominato tre consulenti tecnici su
diverse questioni;
· solo dopo l'analisi della documentazione e delle consulenze il Pm ha ritenuto di
iscrivere gli attuali indagati in data 17/3/97;
· il Pm ha richiesta proroga di indagini con due richieste sia con riferimento alla data
del 17/3/97 sia con riferimento alla data del 12/11/96;
· questo GIP ha prorogato le indagini con riferimento alla data del 17/3/97.
In diritto va rilevato
che è pacifico in giurisprudenza che l'art. 335 comma 1 c.p.p. impone al pubblico
ministero l'obbligo di iscrizione immediata della notizia di reato nell'apposito registro.
Quanto, invece, all'iscrizione del nome dell' indagato, poiché questa, in base alla
stessa disposizione normativa, deve avvenire o "contestualmente" ovvero
"dal momento in cui risulta", ne deriva che, verificandosi detta seconda
ipotesi, il pubblico ministero viene a fruire di un ambito di valutazione discrezionale la
cui esclusività comporta l'insindacabilità da parte del giudice. Non può quindi porsi
alcun problema di inutilizzabilità degli atti d'indagine, ai sensi dell'art. 407 comma 3
c.p.p., per inosservanza dei termini di durata massima delle indagini preliminari, se non
con riferimento alla data in cui il nome dell' indagato è stato effettivamente iscritto
nel registro in questione. (Cass. pen., sez. V, 10 novembre 1995, Sibilla, Cass. Pen.,
1996, 2268; Cass. pen., sez. I, 28 aprile 1995, Grimoli, Croci e altro, Foro It., 1994,
II, 699, n. GIRONI)
Tale tesi risponde sia ad una interpretazione letterale della norma (il PM chiede il
rinvio .. entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona è iscritto) sia da un
interpretazione funzionale; atteso che la ratio della norma è la tutela dell' indagato
perché lo stesso non sia sottoposto all'indagine senza che la medesima abbia rapidamente
il suo termine; sia perché la mancata iscrizione non è sanzionata in alcun modo (valendo
anche qui la regola generale della tassatività delle nullità).
Vieppiù tale eccezione deve comunque ritenersi inammissibile , perché tardiva.
2. IL FATTO STORICO
Sgombrato il campo dalle
eccezioni preliminari di carattere strettamente processuale, può passarsi all'esame del
merito, prendendo le mosse dalla storia delle lottizzazioni in questione, ricostruendone
sinteticamente, ma nel modo più chiaro possibile l'iter amministrativo, con riferimento
alla documentazione in atti ( annotazione di PG del 3.10.96 --faldone 2 pag. 1 ).
In data 06 luglio 1979, gli Architetti V. C. e M. N., presentavano istanza, con allegato
progetto di lottizzazione, riguardante un'area ubicata al Lungomare Perotti di Bari,
redatto per conto dei proprietari delle aree ricadenti nella zona.
L'area oggetto del Piano di Lottizzazione (P.di L.) , ad iniziativa privata, risulta far
parte di una maglia di Piano Regolatore Generale inclusa sia nel I° Piano Pluriennale di
Attuazione (1981-83, prorogato fino al 1985) che nel II° P.P.A. (1986-91), avente quale
destinazione di zona "attività terziarie" e, sviluppante una superficie
complessiva di mq 99.475.
Il piano di lottizzazione presentato, individuato presso l'U.T.C. con il n. 21/79,
impegnava l'intera maglia, prevedendo la suddivisione della stessa in due comparti
denominati "A e B". In data 07.07.80, la Commissione Urbanistica Aggiunta, dopo
aver ascoltato gli Arch.tti C. e S., rinviavano il progetto in attesa della produzione di
nuovi elaborati integrativi.
In data 12.03.985, la C.U.A esaminava l'istanza, presentata il 18.01.85, con la quale i
progettisti, con l'assenso di tutti i proprietari del comparto B, richiedevano l'esame del
progetto di lottizzazione riguardante il detto comparto. In tale occasione la stessa C.U.A
esprimeva il seguente parere "esaminata l'istanza della zona B come autonoma
lottizzazione, fatte salve le decisioni che l'Amministrazione comunale andrà ad adottare
circa la permanenza dell'obbligo del Piano Particolareggiato , invita i progettisti a
presentare un regolare distinto progetto di lottizzazione autonomo nel rispetto di tutte
le N.T.A. (norme tecniche di attuazione al P.R.G.), previa la sistemazione del rapporto
con le Autorità competenti per le aree demaniali ricadenti nella lottizzazione che
s'intende proporre".
A seguito del parere espresso dalla C.U.A. da questo momento, il progetto unico n. 21/79,
non viene più esaminato nel suo insieme, dando luogo a due distinti progetti di
lottizzazione, istruiti ed esaminati separatamente, che verranno in seguito individuati
con i nn. 141 e 151.
In data 24.02.86, i Sigg. A. e G. S., inviavano al Sindaco, all'allora Ing. Capo
dell'U.T.C. F. T., all'Assessore all'Urbanistica del Comune di Bari, nonché all'Arch. V.
C., una nota con la quale rappresentavano la loro ferma opposizione ad un progetto di
lottizzazione in via di presentazione da parte dell'arch. C., riguardante una parte della
maglia destinata ad attività terziaria sita al lungomare Perotti. Nel merito, gli
opponenti diffidavano la P.A. dal prendere in considerazione tale progetto, alla luce del
mandato conferito a questi da tutti i proprietari dei suoli insistenti sulla maglia in
questione. Gli opponenti stigmatizzavano la necessità della redazione e presentazione di
un unico progetto conforme alle norme di P.R.G., tenuto conto che la lottizzazione avrebbe
dovuto comprendere l'intera maglia ed in ossequio a quanto previsto dagli artt. 39 e 59
delle N.T.A.. Le citate norme prevedono per tali zone, l'unitarietà dell'intervento sotto
il profilo architettonico, da realizzarsi mediante l'approvazione di Piani
Particolareggiati e successive Lottizzazioni. Il progetto in via di presentazione,
riguardante una parte della maglia, a detta degli opponenti, oltre a creare evidenti danni
economici ai proprietari esclusi dalla lottizzazione, non aveva i requisiti richiesti
dalle norme dettate dal P.R.G..
P.d.L. 141/89
In data 14.11.1987, il dott. L. D. N., nella sua qualità di Amministratore Unico della
società S. F. S.r.l., proprietaria di un suolo riportato in Catasto terreni al foglio 124
p.lla 6, presentava istanza con la quale richiedeva l'esame di un progetto di Piano
Particolareggiato e lottizzazione di zona per attività terziarie al lungomare Perotti di
Bari, redatto sempre dall'Arch. V. C., riguardante parte dell'intera maglia, estesa per
mq. 58.510, sommariamente individuata nel primo progetto, come Comparto B.
Dall'istruttoria e relativo parere della Sezione P.R.G. dell'U.T.C. che in data 15.12.1987
esaminava il progetto, emergeva che lo stesso risultava non avere i requisiti di un Piano
Particolareggiato, in quanto non interessava l'intera maglia, ma quota parte di essa (ex
comparto B, attuale lottizzazione n. 141), considerandolo come una lottizzazione da porre
in essere con la procedura del comparto, ai sensi dell'art. 27/2° comma della L.R. 56/80,
"perché promossa da un solo proprietario senza il consenso di tutti gli altri
proprietari interessati dall'intervento" e, pertanto, veniva inviato all'esame della
C.U.A per il parere collegiale.
In data 31.01.90, a distanza di circa due anni, la Soc. S. F. S.r.l., nel frattempo
divenuta proprietaria anche delle p.lle 8 e 14 del foglio 124, presentava nuova istanza
con la quale richiedeva il riesame del progetto di lottizzazione, allegando i grafici con
gli adeguamenti richiesti dalla C.U.A nella seduta del 21.12.87. Istanza questa, che
esaminata in data 27.02.90 dall'Architetto M. F., nella sua qualità di Capo Sezione
P.R.G. ed in seguito, in data 13.03.90 dalla C.U.A, otteneva parere
"favorevole".
In data 20.03.1990, il Consiglio Comunale con deliberazione n. 1042, alla luce dei pareri
favorevoli espressi dalla C.U.A. del 13.03.90, dall'8^ Commissione Consiliare del
16.03.1990, nonché del Consiglio Circoscrizionale Torre a Mare - Japigia, adottava il
Piano di Lottizzazione - Comparto 141, con il relativo schema di convenzione.
Per consentire l'ulteriore iter del P.d.L., in data 18.10.90, l'allora Assessore
all'Urbanistica ed Edilizia Privata, dr. A. D. R., con due distinte note (nn. 51047 e
51053, All. n. 11) chiedeva all'U.T.C. di conoscere, quindi, esprimersi nel merito, se i
suoli di cui alla lottizzazione di che trattasi, fossero interessati dal divieto di cui
all'art. 1 della L.R. 30/90 e se il P.di L. dovesse essere inviato al C.U.R. per il parere
di competenza.
In data 12.11.90, l'Arch. F. M., con nota n. 25549, comunicava alla Rip. Urbanistica che i
suoli relativi alla lottizzazione risultavano essere interessati dal divieto di cui
all'art. 1 L.R. 30/90.
In data 22.03.91, lo stesso Assessore, a seguito dell'entrata in vigore della L.R. 2/91 di
modifica e proroga della L.R. 30/90, richiedeva nuovamente al Direttore dell'U.T.C. con
nota n. 16524 (All. n. 13 rapporto della Polizia Municipale), se le realizzazioni previste
dal P.di L. risultavano essere compatibili con la previsione del 2° comma dell'art. 2
della L.R. n. 2/91.
In data 29.03.91, l'U.T.C. con nota n. 8084 (All. n. 14 rapporto della Polizia
Municipale), a firma dell'Ing. Capo A. C., comunicava che le realizzazioni previste dalla
lottizzazione, risultavano essere compatibili con quanto prescritto dalla richiamata
normativa regionale.
In data 09.12.1991, l'Ing. M. M., nella sua qualità di Amministratore della S. F. S.r.l.,
richiedeva la rielaborazione della planimetria degli standards a cedere, determinata dagli
adeguamenti del progetto agli allineamenti di P.R.G. redatti dall'U.T.C. e dalle verifiche
catastali. Istanza che veniva istruita in data 16.12.1991 dall'allora Ing. Capo A. C., che
rigettava i grafici proposti perché carenti di dati modificati e ne richiedeva altro
elaborato corretto. In merito la C.U.A. nella seduta del 18.12.1991 esprimeva parere
favorevole alle condizioni dell'U.T.C..
Il Piano di Lottizzazione - comparto 141 concernente una porzione di maglia del P.R.G., in
data 11.05.92, veniva quindi approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 96
In data 26.05.93, la S. F., presentava una ulteriore istanza di variante al P.d.L.
approvato, tesa al recupero di volumetria derivante dall'adeguamento dei progetti al
verbale di allineamento stradale di P.R.G. redatto dall'U.T.C. in data 07.10.1991, che
aveva determinato, a loro dire, un aumento di superficie dell'area da mq 58.410 di
progetto a mq 59.761 effettivi. Istanza questa, che in data 30.09.1993, veniva esaminata
dalla C.U.A. che esprimeva il seguente parere: "rinviato perché la parte produca la
integrazione di tutti gli elaborati di cui alla L.R. n. 56/80, coerenti con la nuova
distribuzione dei volumi e con la precisazione che le destinazioni delle aree a cedere per
gli standards pubblici sono da ritenersi semplici indicazioni non vincolanti per
l'Amministrazione".
In data 03.11.93, veniva stipulata presso il Notaio M. C. (rep. n. 202434, All. n. 18
rapporto della Polizia Municipale) tra la S. F. S.r.l. ed il Comune di Bari, la
Convenzione relativa al P.d. L. - Comparto 141, approvato dal C.C. in data 11.05.92 con
deliberazione n. 96, che consentiva su di una volumetria totale di mc. 291.995,
l'edificazione del 70% pari a mc. 199.327. Tanto, in relazione ai progetti esaminati con
parere favorevole dalla C.U.A. nella seduta del 18.12.91.
Successivamente all'approvazione da parte del Consiglio Comunale del P.d. L. ed al
convenzionamento, la SUD FONDI S.r.l., a seguito del parere espresso dalla C.U.A. nella
seduta del 30.09.93 (sopra riportato), in data 25.07.1994, produceva i nuovi elaborati
richiesti, che esaminati dalla C.U.A. nella seduta del 01.09.94, ottenevano parere
"favorevole".
Per quanto sopra, presso lo stesso Notaio C., veniva sottoscritto dall'Ing. M. M. in data
20.09.94, atto dichiarativo e d'obbligo rep. 204059, racc. 11474 (All. n. 20; 20/a
deliberazione n. 2037 del 1988 e stralcio art. 34 L. 865 del 1971).
In data 19.01.95, a seguito di istanza presentata dalla Soc. S. F. S.r.l., veniva
rilasciata Concessione Edilizia n. 67/92 (All. n. 21 rapporto della Polizia Municipale),
per la realizzazione dei blocchi A - B ed N. Va sottolineato comunque, che le tavole
rappresentano i Corpi di fabbrica che dovrebbero essere realizzati in Corpo A - B - C - N
e T.
E' bene evidenziare che gli architetti M. e D. N., membri della C.E. nella seduta del
11.11.94 (All. n. 22 rapporto della Polizia Municipale), dissociandosi dal parere
favorevole della C.E., al rilascio della Concessione Edilizia, esprimevano parere
contrario al rilascio della stessa in quanto, a loro dire, "la sola residenza e
negozi non soddisfa quanto previsto dall'art. 39 comma 1° e 2°. In particolare l'art. 39
prevede l'intervento pieno per il terziario (comma 1) e residenza nella misura massima del
50% del volume ammesso, misura percentuale calcolata come media all'interno dei comparti
(comma 2°)".
Si legge nel parere espresso sul progetto n. 67/92 dall'Arch. F. M., che i corpi di
fabbrica sono distinti in A e B per residenza (altezza max ml. 45 f. t.) e N destinato
prevalentemente a terziario (negozi per una altezza massima di ml. 3.40 f. t.). Le
volumetrie assentite per il Corpo A sono di mc. 67.754,285, per il Corpo B mc. 55.612,387
ed il Corpo N mc. 8.194,21.
In data 14.02.95, iniziavano i lavori di edificazione.
In data 23.03.95, la S. F. S.r.l. presentava istanza con allegati grafici, con la quale
richiedeva una ulteriore variante. Questa volta riguardante il blocco T, nel quale sono
previsti gli interventi edificatori per il terziario. La C.U.A. nella seduta del 21.04.95,
esaminava il progetto di variante esprimendo il seguente parere "favorevole alla
procedura di cui alla deliberazione n. 2037 del 15.04.88, con esclusione della proposta di
sistemazione delle aree già cedute per standards, che potranno essere oggetto di
specifica proposta. Si richiedevano elaborati integrativi planimetrici che meglio
identificassero i profili delle aree interessate dall'intervento" (All. n. 23).
In data 29.06.95 (All. n. 24), l'Ing. M. M., presentava al Comune di Bari, istanza
tendente ad ottenere l'estensione del convenzionamento a tutto il territorio interessato
dal Piano (il convenzionato era relativo solo a mc 199.327) pari a mc 298.805 (differenza
298.805 - 199327 99.478 mc).
Il 17.07.95 l'attuale Assessore all'Assetto e Tutela del Territorio, Arch. D. M., in
riscontro alla istanza dell'Ing. M., comunicava con nota n. 42455, che le determinazioni
da assumere in merito a tale richiesta, erano al vaglio dell'Amministrazione.
In data 28.07.95, veniva presentata dalla Società S. F., istanza per variante al P. di L.
per i corpi di fabbrica terziari "T" ed inerente il posizionamento degli stessi.
In data 23.10.95 l'Arch. F. M., relazionava in merito a tale istanza.
In data 14.12.95 (All. n. 28 rapporto della Polizia Municipale) veniva presentata
dall'Ing. M. M., comunicazione di variante in corso d'opera alla Concessione Edilizia.
Tale variante consisteva nell'esecuzione di un cavedio per ogni vano scala dei blocchi A.
Nella relazione tecnica redatta dalla parte ed allegata alla comunicazione, si legge:
"la suddetta variante, sebbene concorra ad una lieve modifica prospettica di una
porzione di fabbricato, non è da considerarsi sostanziale e di pregiudizio per la
destinazione d'uso, la categoria edilizia e le prescrizioni contenute nella concessione
edilizia innanzi citata".
In data 25.01.96, l'Ing. M. M., presentava istanza al Sindaco di Bari al fine di ottenere
la sospensione dell'esame del progetto relativo ai corpi di fabbrica terziari
"T", in quanto l'istante aveva in redazione ulteriori elaborati grafici
integrativi (All. n. 29, N.B. Sprovvista di timbro con relativo numero di protocollo).
Il 29.02.96 veniva presentata dall'Ing. M. M., comunicazione delle varianti alla
concessione edilizia n. 67/92, avvalendosi dell'art. 9 co. 7 lett. e del D.L. 24.01.96 n.
30 (All. n. 30), per il fabbricato blocco "A". Le varianti comunicate,
consistevano nella diminuzione delle superfici destinate a balconi e riduzione della
superficie finestrata dei vani scala.
P. di L. n. 151/89
In data 19.01.1989, il
Sig. A. D., nella sua qualità di Amministratore Unico della S.r.l. " A.I. ",
con sede in Bari alla via XXX, quale proprietaria dei suoli riportati in catasto terreni
di Bari al Foglio 123, particelle 24, 25 e 26, nonché particella 27, per una quota comune
ed indivisa con T. ed altri, presentava istanza al Sindaco del Comune di Bari (All. n. 31)
con la quale richiedeva l'esame di un progetto di piano particolareggiato e di
lottizzazione di completamento di zona per attività terziarie, rubricato dall'U.T.C. al
numero 151/89, sul lungomare Perotti di Bari, già presentato dall'Arch. V. C. in qualità
di progettista. La zona, interessata dal progetto risultava delimitata a Nord - Est dal
lungomare Perotti, a Sud - Est da suoli ricadenti nella stessa maglia e sui quali veniva
presentato altro piano di lottizzazione, rubricato dall'U.T.C. al numero 141/87, a Sud -
Ovest dal tracciato ferroviario Bari - Lecce (V.le Imperatore Traiano), ed a Nord - Ovest
da una nuova strada di P.R.G.. La lottizzazione in questione, si avvaleva della procedura
prevista dalla normativa regionale dettata dall'Art. 27 della L.R. n. 56/80 che prevedeva
la procedura del comparto edificatorio.
In data 04.12.1989, veniva presentata nuova istanza del piano di lottizzazione. La stessa
veniva esaminata dalla Commissione Aggiunta per l'Urbanistica, nella seduta del
13.03.1990, che esprimeva, alla luce dei nuovi elaborati, parere "favorevole",
precisando comunque, "che l'ulteriore corso della pratica, era subordinato alle
definitive determinazioni del Consiglio Comunale".
Nella seduta del Consiglio Comunale del giorno 20.03.1990, il piano di lottizzazione -
comparto, veniva adottato con deliberazione n. 1034.
In data 18.10.1990, con nota prot. 51046, l'Assessore all'Urbanistica dr A. D. R.,
invitava il Direttore dell'Ufficio Tecnico Comunale ad esprimersi e far conoscere le sue
determinazioni in merito ai suoli relativi alla lottizzazione in questione, al fine di
sapere se gli stessi suoli fossero interessati dal divieto di cui all'Art. 1 della Legge
Regionale 11.05.1990 n. 30.
Inoltre, sempre in data 18.10.1990, con nota prot. 51054 (All. n. 37 rapporto della
Polizia Municipale), lo stesso Assessore richiedeva all'Ufficio Tecnico Comunale se i
suoli interessati dalla lottizzazione, erano subordinati, ai sensi dell'Art. 1 Legge
1497/39, al vincolo di cui al D.M. del 09.07.1990 e se, di conseguenza, il piano di
lottizzazione, dovesse essere inviato al C.U.R., per il parere di competenza.
A tali richieste, in data 12.11.1990, con nota prot. n. 25547 (All. n. 38), il Vice Capo
Ripartizione Ufficio Tecnico Arch. F. M., comunicava che, i suoli relativi alla
lottizzazione erano interessati dal divieto di cui all'Art. 1 della L.R. n. 30 del
11.05.1990 e, non dal vincolo di cui al D.M. del 09.07.1990.
In data 22.03.91, con nota prot. 16525 (All. n. 42 rapporto della Polizia Municipale)
l'Assessore all'Urbanistica A. d. R., in riscontro alla nota 25547 del 12.11.1990 (con la
quale l'Arch. M. comunicava che i suoli interessati dalla lottizzazione erano sottoposti
al divieto di cui all'art. 1 della L.R. n. 30/90), a seguito della pubblicazione della L.
R. 11.02.91 n. 2, di modifica e proroga della L.R. 11.05.90 n. 30, richiedeva alla
Direzione dell'Ufficio Tecnico Comunale, di far conoscere "se le realizzazioni
previste col piano di lottizzazione 151/89, erano compatibili con le previsioni del 2°
comma dell'art. 2 della suddetta Legge, nella parte modificata dalla L.R. n. 2 del
1991".
A tale ulteriore richiesta in data 29.03.91, con nota prot. 8085 (All. n. 43), l'allora
Direttore incaricato dell'U.T.C. Ing. A. C., comunicava che le realizzazioni previste con
il piano di lottizzazione n. 151/89, erano compatibili con quanto prescritto dal 2° comma
dell'art. 2 L.R. 11.05.90 n. 30, così come modificato dalla L.R. 12.02.91 n. 2.
In data 22.04.91, con nota prot. n. 22223 l'Ufficio Tecnico Comunale, comunicava alla
Società A.I. ed ai Sigg. L.-M. che, la Commissione Aggiunta per l'Urbanistica nella
seduta del 10.04.91, aveva espresso parere favorevole, comunicando inoltre, che
l'ulteriore corso della pratica, era subordinato alle definitive determinazioni del
Consiglio Comunale.
Il Consiglio Comunale nella seduta dell'11.05.92 con deliberazione n. 91 approvava il
piano di lottizzazione-comparto n. 151/89 (All. n. 47 rapporto della Polizia Municipale).
Il suddetto piano risulta essere composto dai comparti A - B - C - D - E.
In data 11.09.92 la società A.I. proprietaria dei suoli interessati dal piano di
lottizzazione comparto 151/89 con la previsione di volumetria approvata pari a mc. 45.610,
atteso che il secondo P.P.A., ormai scaduto, prevedeva la realizzazione del 70% della
volumetria totale, rinviando il rimanente 30%, al terzo P.P.A. in corso di attuazione (mai
approvato dal C.C.), chiedeva al Sig. Sindaco di Bari, l'Autorizzazione all'esecuzione
dell'intera cubatura pari a mc. 65.187,80. In data 16.09.92 con nota n. 20569 il Direttore
incaricato dell'Ufficio Tecnico Comunale comunicava all'Assessore all'Assetto e Tutela del
Territorio e Decentramento ed alla Ripartizione Urbanistica, parere favorevole
"tenuto conto che nel caso esaminato si erano verificate le condizioni di cui alla
Deliberazione del C.C. n. 837 del 19.03.90".
In data 05.10.92 con nota prot. n. 47842 (All. n. 51 rapporto della Polizia Municipale)
l'allora Direttore della Ripartizione Urbanistica dr. V. V. chiedeva al Direttore
dell'Ufficio Tecnico Comunale "se i suoli interessati dalla lottizzazione 151/89
erano subordinati al vincolo di cui al D.L. del 27.06.85 n. 312, convertito con
modificazioni in Legge n. 431 dell'08.08.85 (All. n. 52 rapporto della Polizia Municipale)
e del D.M. 01.08.85 e, se in conseguenza, il piano di lottizzazione doveva essere inviato
al C.U.R. per il parere di competenza".
Per quanto sopra in data 26.10.92 con nota prot. n. 24000 (All. n. 53 rapporto della
Polizia Municipale) il Vice Capo Rip. Ufficio Tecnico arch. F. M. comunicava, in risposta
alla predetta richiesta, alla Ripartizione Urbanistica "che il piano di lottizzazione
n. 151/89, non doveva essere inviato al C.U.R. in quanto, non ricorrevano i presupposti di
cui al D.L. 27.06.85 n. 312 convertito il Legge n. 431 dell'08.08.85 e al D.M.
01.08.85".
In data 10.12.92 con nota prot. n. 61143 (All. n. 54 rapporto della Polizia Municipale) la
Rip. Urbanistica del Comune di Bari trasmetteva all'Assessorato dell'Urbanistica della
Regione Puglia la copia del piano di lottizzazione 151/89 unitamente alla Deliberazione
Consiliare di Adozione n. 1034 del 20.03.90 e di approvazione n. 91 dell'11.05.92.
In data 14.04.93 prot. Archivio Generale n. 21343 il Sig. B. C., dichiaratosi attuale ed
unico proprietario dei suoli del comparto C, presentava al Comune di Bari, istanza
tendente ad ottenere l'approvazione di una variante al piano di lottizzazione 151/89,
limitatamente al comparto C. La variante, si legge nell'istanza, si limitava ad un mera
rielaborazione dei parametri di lottizzazione determinata dall'adeguamento dei dati di
progetto all'effettiva situazione e consistenza dei luoghi, dopo il tracciamento degli
allineamenti stradali, effettuato dall'Amministrazione in data 18.07.92 con Verbale n.
1661 e dopo il frazionamento catastale delle aree a cedere per standards.
In data 21.06.1993, presso lo studio del Notaio M. C., veniva sottoscritta la convenzione
relativa al comparto C del piano di lottizzazione n. 151/89 di proprietà del Sig. C. B.
quale rappresentante della I. C. S.r.l. (All. n. 60 rapporto della Polizia Municipale).
La Commissione Urbanistica nella seduta del 30.09.93 esprimeva parere favorevole alle
variazioni proposte. Inoltre, per quanto riguardava la richiesta di convenzionamento della
residua cubatura (30%), non prevista dal secondo P.P.A., esprimeva parere
"contrario" confermando le proprie perplessità sulla percentualizzazione
adottata dal C.C. che conduce alle difficoltà di fattibilità circa la realizzazione
dell'intervento.
In data 26.10.1993 con nota prot. n. 60871 l'Assessore all'Assetto e Tutela del Territorio
e Decentramento dr P. M., interessava la Ripartizione Edilizia Privata e l'ufficio
Avvocatura, affinché fornissero apposito parere circa la possibilità di poter stipulare
la convenzione di lottizzazione in presenza di edificazioni non meglio specificate,
insistenti su area non da cedere al Comune. Sulla stessa nota, a margine sinistro, si
legge che non occorre riscontrare la nota in quanto già effettuato il convenzionamento, a
firma del Geom. N. B., addetto al Settore P.R.G..
In data 27.10.1993 la Società M.B. S.r.l., in risposta alla nota n. 27125 del 11.05.93,
confermava quanto precedentemente scritto e cioè, il decurtamento di un corpo scala, di
volumetria pari al 30% di quella assentita nel comparto E della lottizzazione 151/89, non
essendo possibile altro affettamento verticale od orizzontale.
In data 28.10.93 con nota prot. n. 5730 ,il Direttore Incaricato della Ripartizione
Edilizia Privata, Arch. F. M., comunicava alla Ripartizione Urbanistica che la Società
M.B. aveva risposto alla nota n. 27125 del 11.05.93. Inoltre, confermava che il piano di
lottizzazione non doveva essere inviato al C.U.R..
In data 01.12.93 presso lo studio del notaio E. A. veniva stipulata la convenzione
relativa al piano di lottizzazione Comparto - E - tra la società M.B. ed altri e il
Comune di Bari (All. n. 65 rapporto della Polizia Municipale).
Conseguentemente alla variante assentita in data 30.09.93, il Sig. C. B., rappresentante
della I. C. S.r.l., - Comparto C - il giorno 09.03.1994 presso lo studio del notaio M. C.,
sottoscriveva atto dichiarativo e d'obbligo (All. n. 66; per deliberazione n. 2037 del
1988 ved. all. n. 20/a).
In data 10.05.94 la Società I.C. S.r.l. presentava ulteriore Variante al Comparto - C -.
La C.U.A. nella seduta del 01.09.94 , dopo aver esaminato il progetto Comparto - C -
contestualmente al progetto Comparto - E - ( A. ), esprimeva il seguente parere: la C.U.
nell'affrontare l'esame dei progetti presentati dalle Società I.C. e M.B., relativi al
piano di lottizzazione n. 151/89 al Lungomare PEROTTI riteneva preliminarmente di
richiedere alle Società istanti la dimostrazione delle condizioni di cui all'art. 39
delle N.T.A. del P.R.G., relativamente alla prescritta " unitarietà "
dell'intervento nel suo complesso, con riferimento, in particolare, ai grafici per gli
strumenti urbanistici attuativi. Pertanto, l'ulteriore iter della pratica restava sospeso
in attesa di acquisire quanto richiesto dalla C.U..
In data 20.10.94 veniva presentato progetto di rielaborazione del piano di lottizzazione a
seguito del sopracitato parere della C.U.A. Detta progettazione era indirizzata verso una
omogeneizzazione, ai fini della prescritta "unitarietà" dell'intervento nella
sua interezza, dei progetti relativi ai Comparti - C ed - E - al resto della
lottizzazione.
La C.U.A. nella seduta del 04.11.94, esprimeva parere favorevole (All. n. 71 rapporto
della Polizia Municipale).
In data 09.11.94 presso lo studio del notaio E. A. il Sig. A. D. in qualità di
Amministratore Unico della Società M.B. stipulava l'atto dichiarativo e d'obbligo (All.
n. 72 e per deliberazione n. 2037 ved. all. n. 20/a).
In data 02.10.95, veniva rilasciata Concessione Edilizia n. 436 alla Soc. M.B., a seguito
del parere favorevole espresso in data 10.04.95 dalla Commissione Edilizia.
Successivamente, la Soc. M.B., presentava progetto di variante in corso d'opera, rubricato
al n. 163 e, in data 30.01.96, veniva esaminato dalla Commissione Edilizia, ottenendo
parere favorevole. A seguito di tale parere in data 03.05.96, veniva rilasciata relativa
Concessione Edilizia (All. n. 74 rapporto della Polizia Municipale).
In data 16.11.94 presso lo studio del notaio P. S. veniva sottoscritto apposito atto
dichiarativo e d'obbligo dalla Società I. (All. n. 75 rapporto della Polizia Municipale).
In data 13.07.95 veniva rilasciata concessione edilizia n. 284/93 alla Società I. nella
persona del legale rappresentante Q. V., subentrato alla Società I. S.r.l. Amm. C. B.
(All. n. 76 rapporto della Polizia Municipale), a seguito del parere favorevole della C.E.
del 27.04.95.
In data 04.04.96, veniva rilasciata Concessione Edilizia in variante n. 5257/95, a seguito
di istanza presentata dalla Società I. in data 03.11.95, esaminata con parere favorevole
della Commissione Edilizia in data 30.01.96, (All. n. 77 rapporto della Polizia
Municipale).
E' bene precisare che la Polizia Municipale, in data 21.06.96 con nota prot. n. 141/96
(All. n. 78), richiedevano alla Direzione delle FF.SS., 1) se avessero ricevuto richieste
di sdemanializzazione della p.lla 32 del foglio di mappa 123 (ex casa cantoniera - attuale
postazione di servizio delle ferrovie), 2) se avessero ricevuto richieste di
partecipazione al P.di L., 3) se avessero ricevuto richieste o rilasciato
autorizzazioni/nulla osta ad edificare ad una distanza inferiore ai metri 30 dalla prima
rotaia.
In data 25.06.96, con nota prot. n. 1707, l'Ufficio Territoriale - M. S.p.A. (ex FF.SS. -
All. n. 79 rapporto della Polizia Municipale), in riscontro alla nota prot. 141/96,
comunicava che non vi erano richieste di sdemanializzazione, né di partecipazione ai P.di
L. né richieste di deroga ad edificare ad una distanza inferiore ai metri 30.
In data 25.07.96, con nota prot. n. 166/96 (All. n. 80), avendo avuto notizie di un
sopralluogo da parte del personale delle FF.SS. sui cantieri della M.B. e della I.,
richiedevamo all'Ufficio M., copia degli atti di accertamento redatti nel corso del
sopralluogo. Nella stessa giornata, nel medesimo Ufficio delle Ferrovie, si provvedeva ad
acquisire con verbale n. 167/96 (All. n. 81): copia del verbale di accertamento n. 2 -
448170 redatto in data 24.06.96 (All. n. 82) da personale delle Ferrovie dello Stato a
carico della M.B. S.r.l. per violazione dell'art. 49 del D.P.R. 753/80 (All. n. 82/a), in
quanto la costruzione trovavasi a distanza di mt. 29 dalla più vicina rotaia ed il piano
interrato a distanza di mt. 18 dalla più vicina rotaia e copia del verbale di
accertamento n. 1 - 448170 redatto a carico della I. (All. n. 83) per violazione della
stessa disposizione in quanto la costruzione trovavasi a mt. 27 dalla più vicina rotaia.
Gli scriventi acquisivano copia delle comunicazioni inviate in data 01.07.96 con prot. n.
1757, dall'Ufficio Territoriale M. alle suddette imprese ed al Comune di Bari, con le
quali oltre a diffidare dal prosieguo delle opere edili ingiungeva il ripristino dello
stato dei luoghi (All. n. 84). Inoltre, nella stessa sede, venivano acquisite le richieste
delle due summenzionate società, inoltrate alle Ferrovie dello Stato, rispettivamente l'8
ed il 9 luglio 96, con le quali richiedevano la deroga al dispositivo di legge (All. n.
85).
In data 01.10.96 con nota n. 8881, il Direttore della Rip. Edilizia Privata, Arch. F. M.,
riscontrava la nota dell'Ufficio M., comunicando "di aver preso atto di quanto
lamentato" e specificando le concessioni edilizie e successive varianti, rilasciate
alle Società (All. n. 86).
3. IL QUADRO NORMATIVO CONNESSO ALLA TUTELA PAESISTICA NEL TERRITORIO
Questo gip, aderendo alla
tesi accusatoria ritiene che nel territorio oggetto dell'imputazione convivono diversi
tipi di vincolo paesistico, di carattere diverso, che si integrano e rafforzano tra loro.
Tale concorso formale è ben possibile poiché l'art. 1 sexies della legge 431/85 prevede
la sanzione penale "per ogni violazione del presente decreto".
Va ricordato che la violazione della l. 8 agosto 1985, n. 431, purché consista nella
esecuzione di lavori e di attività di modificazione ambientale, è punita come autonoma
ipotesi di reato (eventualmente concorrente con le contravvenzioni di costruzione senza
concessione e di distruzione o deturpamento di bellezze naturali); il richiamo operato
dall'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985 all'art. 20, l. n. 47 del 1985 è effettuato
soltanto quoad poenam e si riferisce in particolare alla sanzione comminata dalla lettera
c), menzionato art. 20 (Cass., 19-04-1991, Paddeu, Riv. pen., 1991, 984) Pertanto non
esiste nessun riferimento nella norma alla presenza o meno di concessioni ma la norma
tutela le zone sottoposte a vincolo creando vincoli di inedificabilità assoluta o
relativa la cui violazione comporta la sanzione penale di cui all'art. 1 sexies; vincoli
superabili solo con la corretta applicazione della normativa nazionale e regionale
indicata dal decreto Galasso. Infatti il legislatore ha voluto con il predetto art. 1
sexies sanzionare ogni violazione del decreto legge a prescindere dall'esistenza o meno
delle concessioni edilizie. In sostanza, per verificare astrattamente la ricorribilità
del reato, occorre verificare se la modificazione territoriale è avvenuta nel rispetto
della normativa nazionale e regionale relativa alle zone sottoposte a vincolo ambientale.
Occorre cioè chiedersi se ogni atto del procedimento amministrativo che ha consentito la
trasformazione del territorio risponde a criteri di legalità. In particolare la
Cassazione ha chiarito che punto di riferimento per la violazione della legge Galasso non
è la presenza o meno della concessione ma l'esistenza dell'autorizzazione paesistica.
Infatti qualora venga eseguito un qualsiasi lavoro in zona vincolata senza
l'autorizzazione paesistica ovvero in totale difformità dalla stessa trova applicazione
la sanzione di cui all'art. 20 lett. C) (V. tra le altre Cass. sez. III,, 13 novembre
1995, n. 11085, Romano in Riv. giurid. edilizia, 1996, 403) Pertanto è inconferente è in
questa ipotesi il riferimento al tema della disapplicazione costituendo invece la
violazione della legge Galasso ipotesi tipica in cui "l'illegittimità dell'atto
amministrativo si presenta come elemento essenziale della fattispecie criminosa" (V.
la sentenza Cass. S.U. 31 gennaio 1987, Borgia).
Bisogna quindi comprendere se prima dell'inizio dei lavori (a prescindere dall'esistenza delle concessioni e del provvedimento autorizzativo della lottizzazione che attengono al diverso profilo della gestione del territorio) occorreva il nulla osta paesistico della Regione Puglia o se la legge, a tutela di valori paesistici impediva qualsiasi trasformazione urbanistica.
3.1 La tutela paesistica : la legge 29 giugno 1939 n. 1497
La prima significativa tutela che il legislatore ha posto nel nostro ordinamento è stata la legge 29 giugno 1939 n. 1497.
Essa prevede la
sottoposizione (vedi art.1) alla legge a causa del notevole interesse pubblico:
(omissis)
3° i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore
estetico e tradizionale;
4° le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di
vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle
bellezze.
La legge agli articoli successivi prevede un complesso procedimento con il quale sono costituiti degli elenchi di bellezze naturali. Tali elenchi sono definiti dall'autorità statale e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Se una determinata zona è dichiarata bellezza naturale con Decreto Ministeriale ad essa si applica l'art. 7 della L. 1497/39 che afferma:
Art. 7. - I proprietari,
possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dell'immobile, il quale sia stato oggetto di
notificata dichiarazione o sia stato compreso nei pubblicati elenchi delle località non
possono distruggerlo né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo
esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge.
Essi, pertanto debbono presentare i progetti dei lavori che vogliano intraprendere alla
competente regia soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne
abbiano ottenuta l'autorizzazione.
La chiara disposizione normativa indica quindi la necessità, a prescindere dagli altri atti autorizzatori, di acquisire preventivamente il nulla osta per gli immobili siti in zone dichiarate di pubblico interesse dal Ministero. In sostanza si crea un divieto di inedificabilità relativo; il privato può realizzare l'immobile ma il suo diritto è condizionato ad una autorizzazione per il controllo di compatibilità dell'opera al bene paesistico.
La legge prevedeva, per
le violazione della legge, una serie di sanzioni previste dall'art. 15.
I limiti della legge descritta tuttora vigente (seppure con le integrazioni che vedremo)
è, da una parte la farraginosità e la lentezza di dichiarazione delle zone di pubblico
interesse (con la conseguenza di urbanizzazione delle stesse nelle more), dall'altra la
carenza di sanzioni specifiche efficace.
3.2 La tutela paesistica : la legge 24 luglio 1977 n. 616
L'importanza della tutela
del paesaggio ha indotto il legislatore costituzionale all'art. 9 a dare al paesaggio una
tutela di rango costituzionale. Va inoltre detto che la Costituzione, mentre per
l'urbanistica prevede una competenza di carattere regionale, per la tutela del Paesaggio
(proprio per la sua particolare importanza) prevede la competenza statale.
Pertanto quando si è proceduto alla delega amministrativa dallo Stato alle Regioni l'art.
82 della legge 24 luglio 1977 n. 616 ha così disposto:
Beni ambientali.
Sono delegate alle
regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello
Stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro
individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni.
La delega riguarda tra l'altro le funzioni amministrative concernenti:
a) l'individuazione delle bellezze naturali, salvo il potere del Ministro per i beni
culturali e ambientali, sentito il Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali,
di integrare gli elenchi delle bellezze naturali approvate dalle regioni;
b) la concessione delle autorizzazioni o nulla osta per le loro
modificazioni;
c) l'apertura di strade e cave;
d) la posa in opera di cartelli o di altri mezzi di pubblicità;
e) l'adozione di provvedimenti cautelari anche indipendentemente
dall'inclusione dei beni nei relativi elenchi;
f) l'adozione dei provvedimenti di demolizione e l'irrogazione
delle sanzioni amministrative;
g) le attribuzioni degli organi statali centrali e periferici inerenti alle commissioni
provinciali previste dall'art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e dall'art. 31 del
decreto del
Presidente della Repubblica 3 dicembre 1975, n. 805;
h) l'autorizzazione prevista dalla legge 29 novembre 1971, n.1097, per la tutela dei Colli
Euganei.
Le notifiche di notevole interesse pubblico delle bellezze naturali e panoramiche eseguite
in base alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, non possono essere revocate o modificate se
non previo parere del Consiglio nazionale per i beni culturali.
Il Ministro per i beni culturali e ambientali può inibire lavori o disporne la
sospensione, quando essi rechino pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali
anche indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi.
Pertanto ora la
compilazione degli elenchi delle bellezze naturali spetta, sia alle Regioni mediante
apposite leggi regionali o attraverso la compilazione dei Piani urbanistici territoriali,
sia al Ministero dei Beni ambientali mediante decreto ministeriale.
Va qui ricordato che a norma del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 art. 82 comma 2 lett. a) al
ministro dei beni culturali e ambientali spetta il potere di dichiarare il particolare
interesse di aree territoriali ai fini della protezione di bellezze naturali,
nell'esercizio di attribuzioni concorrenti e non sostitutive del potere delegato alle
regioni. L'esercizio del potere statale non presuppone, pertanto, l'inerzia della regione
(Cons. Stato (Sez. VI), 25 gennaio 1995, n. 78, Com. Napoli c. Lancellotti e altro, Giur.
It., 1995, III,1, 259; Cons. Stato (Sez. VI), 24 marzo 1994, n. 415, Soc. La Triglia c.
Min. beni culturali e altro, Foro Amm., 1994, 567) Tale potere si atteggia come speciale
limitazione della delega effettuata nei confronti delle regioni nella materia della tutela
del paesaggio e si risolve nel mantenimento in capo allo stato di un autonomo potere di
intervento in tema di individuazione delle bellezze naturali, volto a consentire che
vengano dichiarate di particolare interesse, dal punto di vista paesaggistico, località
non comprese sui relativi elenchi. Per l'esercizio di tale potere risulta per di più
articolato uno specifico ed autonomo procedimento, caratterizzato dall'obbligatorio
intervento del consiglio nazionale per i beni culturali ed ambientali. (Cass., sez. III, 7
maggio 1997, n. 4057, Amato, Riv. pen., 1997, 727; Cons. Stato (Sez. VI), 14 novembre
1992, n. 873, Min. beni culturali c. Com. Jesolo, Cons. Stato, 1992, I, 1660; Cons. Stato
(Sez. VI), 12 dicembre 1992, n. 1069, Soc. Lido Azzurro Ancona c. Min. beni culturali,
Cons. Stato, 1992, I, 1926; Cons. Stato (Sez. VI), 14 gennaio 1993, n. 30, Min. beni
culturali c. Com. S. Nazario, Riv. Giur. Edil., 1993, I, 591; Cons. Stato (Sez. VI), 22
marzo 1993, n. 254, Min. beni culturali c. Soc. Financo sviluppo immob., Riv. Giur. Edil.,
1993, I, 880; Cons. Stato (Sez. VI), 21 luglio 1990, n. 740, Soc. calcestruzzo Senigallia
c. Min. beni culturali, Cons. Stato , 1990, I, 1015)
3.3 L'art. 51 lett. f) della L.R. 31 maggio 1980 n. 56
L'art. 51 della Legge
regionale 31 maggio 1980 n. 56 prevede delle limitazioni delle previsioni insediative fino
all'entrata in vigore dei piani territoriali ed in particolare alla lettera f) detta
"è vietata qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine
del demanio marittimo, o dal ciglio più elevato del mare. Per gli strumenti urbanistici
vigenti o adottati alla data di entrare in vigore della presente legge, è consentita la
edificazione solo nelle zone omogenee A, B e C dei centri abitati e negli insediamenti
turistici (..)"
Non vi possono essere dubbi che il vincolo ivi previsto è una tipica misura di
salvaguardia di natura urbanistica a tutela della programmazione del territorio da parte
della PA.
Infatti l'art. 51 riguarda, come si rileva anche dal titolo, la disciplina degli standards
urbanistici in attesa della emanazione dei piani territoriali aventi natura urbanistica;
la disposizione detta una serie di norme volte a disciplinare le previsioni insediative,
le destinazioni di zone ecc.
La stessa legge regionale 31 maggio 1980 n.56 riguarda la tutela e uso del territorio.
Essa è espressione delle legge n. 616/1977 nella quale si è dato pieno compimento alla
norma costituzionale dell'art. 117 che prevede la competenza urbanistica alla Regione
La predetta tesi è unanimamente condivisa dalla giurisprudenza amministrativa e della Suprema Corte (Cass. ,sez. III, 21 gennaio 1997 Volpe+ altri; C. Stato, sez. V, 28-02-1995, 300/1995,Com. Bari - Intranò,Cons. Stato, 1995, I, 237; C. Stato, sez. IV, 23-04-1993, 458/1993, Reg. Puglia - Soc. Montimare,Cons. Stato, 1993, I, 517; T.a.r. Puglia, sez. Lecce, 06-02-1990, 130/1990, Serra - Com. Gallipoli, Trib. amm. reg., 1990, I, 4017; Cass., sez. III, 7 giugno 1994, Ruotolo).
Il Consiglio di Stato, in particolar modo, afferma "che l'art. 51 citato pone, nelle more dell'adozione del Piano territoriale, un divieto assoluto di edificazione in funzione di salvaguardia delle future scelte dell'amministrazione. L'immediata operatività del vincolo, e la conseguente insanabilità delle opere realizzate in contrasto con esso, trovano piena, ragionevole ed esaustiva giustificazione nell'esigenza di evitare che una edificazione incontrollata possa compromettere in modo irreversibile la funzione programmatoria affidata al suddetto strumento. Si tratta dunque di un vincolo assoluto, non derogabile dai Comuni nemmeno in sede di pianificazione ed operante fino all'approvazione dei piani territoriali."
Tale vincolo pertanto ha
per oggetto la tutela programmatoria del territorio.
3.4 La tutela paesistica : la legge 8 agosto 1985 n. 431
Il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, preso atto delle insufficienze della legge del 1939, al fine di impedire la urbanizzazione selvaggia di vaste zone del territorio italiano, emanò il DM 21 settembre 1984 (cd Decreto ministeriale Galasso) con il quale veniva dichiarata di interesse pubblico una vasta area del territorio nazionale (tra cui i territori costieri e ). All'art. 2 il DM prevedeva una procedura specifica da parte delle Sovraintendenze locali per la individuazione di zone di interesse paesistico dove vietare ogni modificazione della zona in oggetto. (un ipotesi diversa di inedificabilità assoluta) A seguito di tale procedura vennero approvati diversi decreti definiti Galassini. Il decreto venne annullato (soprattutto perché tale compressione del diritto di proprietà esigeva una legge); pertanto venne emanato un decreto legge convertito successivamente con la legge 431/85.
La legge 431/85 non ha creato una nuova modalità di costituzione dei vincoli ma si è innestata nel precedente trend normativo costituito dalla legge 29 giugno 1939 n. 1497 e l'art. 82 del DPR 24 luglio 1977 n. 616. In tal modo ha integrato tale quadro normativo rafforzandolo e dotandolo di una autonoma sanzione penale. In particolare ha creato:
· vincoli relativi
permanenti di carattere generale di inedificabilità. La legge n.431/85 riprende l'art. 82
del D.P.R. n.616 del 24.7.1977, secondo cui sono delegate alle regioni le funzioni
amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione
delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e
alle relative sanzioni, ed aggiunge ad esso ulteriori commi, fra cui, in particolare, un
elenco di undici categorie ambientali da sottoporre a "vincolo paesaggistico" ai
sensi della legge n.1497 del 29.7.1939. Tale vincolo però è di carattere relativo in
quanto può essere superato con il cd nullaosta paesistico e con i pareri prescritti dalle
singole leggi regionali (nulla osta e pareri che servono a verificare la compatibilità
tra l'edificazione e l'interesse paesistico). In tali zone la edificazione è consentita
ma è subordinata all'autorizzazione regionale;
· vincoli relativi di
carattere speciale di inedificabilità. Non modificando il quadro normativo precedente il
legislatore ha fornito con la legge Galasso una sanzionabilità penale anche dei vincoli
(sempre relativi perché superabili con il nulla osta paesistico) che il ministero o la
Regione possono creare su singole zone del territorio (ad es. una particolare zona
forestale, un tratto di costa ecc.). Infatti la previsione di pena per le "violazioni
delle disposizioni del presente decreto": tra queste va annoverato l'art. 1 che,
richiamando la disposizione di cui alla legge 29 giugno 1939 n. 1497, richiede
l'autorizzazione per qualsiasi opera realizzata in zona sottoposta a vincolo paesistico
(Cass., sez. III, 05-03-1993, Cavicchioli, Mass. Cass. pen., 1993, fasc. 9, 27) Ne deriva
che i beni di cui all'art. 1, legge 8 agosto 1985, n. 431 e quelli individuati a norma
della legge 29 giugno 1939 n. 1497 sono sottoposti ad una stessa disciplina e cioè al
medesimo vincolo paesaggistico, al medesimo regime autorizzatorio. Pertanto le violazioni
del vincolo, sia esso imposto in virtù della legge n. 1497 del 1939 o di quella n. 431
del 1985, comportano l'applicabilità delle sanzioni di cui all'art. 1 sexies legge n. 431
del 1985 (V. Cass., pen., sez. III, 23 giugno 1994, n. 7271);
· vincoli assoluti temporanei (fino alla approvazione del Piano paesistico della Regione) di inedificabilità che potevano essere preesistenti o successivi alla legge 431/85; ma se successivi potevano essere imposti solo dalla legge regionale, a seguito della delega. Tale vincoli sono stati successivamente aggiunti dal legislatore in sede di conversione del decreto legge. Come risulta anche dal dibattito parlamentare si è voluto, con l'introduzione delle misure di salvaguardia non derogabili dall'autorità amministrativa, rafforzare il vincolo, seppure temporalmente, al fine di permettere all'autorità Regionale di programmare l'uso del territorio ai fini paesistici senza che nelle more avvenisse una edificazione incontrollata ( o mal controllata mediante il sistema delle autorizzazioni). Infatti l'art. 1 ter prevede:
Art. 1-ter. -- 1. Le
regioni, entro centoventi giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, possono individuare con
indicazioni planimetriche e catastali, nell'ambito delle zone elencate dal quinto comma
dell'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come
integrato dal precedente art. 1, nonché nelle altre comprese negli elenchi redatti ai
sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, le
aree in cui è vietata, fino all'adozione da parte delle regioni dei piani di cui al
precedente art. 1-bis, ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché qualsiasi
opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria,
di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi
e l'aspetto esteriore degli edifici. La notificazione dei provvedimenti predetti avviene
secondo le procedure previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e dal relativo
regolamento di esecuzione approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357.
2. Restano fermi al riguardo le competenze ed i poteri del Ministro per i beni culturali e
ambientali di cui all'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977,
n. 616.
Tali vincoli non possono essere superati da nessun provvedimento amministrativo di autorizzazione e/o nullaosta. (Cass. pen. , sez. III, 7 gennaio 1991, Zona, Cass. Pen. , 1991, I, 1612)
3.5 Il vincolo della L.R. 11 maggio 1990 n. 30 e ss. modificazioni
La Regione Puglia ai
sensi dell'art. 1 ter della legge Galasso, in attesa dell'approvazione dei PUTT (in Puglia
non ancora formalmente avvenuta) ha approvato una serie di leggi regionali che si sono
succedute nel tempo creando un divieto di edificabilità per alcune zone.
Ora la legge in argomento, n. 30 del 11 maggio 1990, prevede che "è vietata ogni
modificazione dell'assetto del territorio, nonché qualsiasi opera edilizia fino
all'approvazione dei P.U.TT nei territori costieri compresi in una fascia della
profondità di 300 metri dal confine del demanio marittimo e nei territori compresi nella
fascia di 200 metri dal piede dei torrenti classificati pubblici. Tale vincolo creato
dalla regione Puglia in base alla delega avuta dalla legge Galasso è un vincolo assoluto
-quindi non derogabile- temporaneo (ma tuttora vigente poiché i PUTT non sono stati
deliberati) di inedificabilità. Appare evidente che poiché la zona oggetto della
trasformazione urbanistica rientra nei territori sopra detti va affermato che dal 1990,
sotto un profilo paesaggistico, la zona oggetto della trasformazione urbanistica era
interessata da un divieto di edificazione.
La Regione Puglia infatti, proprio per evitare una incontrollata edificazione in particolari zone in attesa del Piano paesistico, ha emanato, a seguito della delega prevista dall'art. 1 ter la legge 30/90. Infatti, se osserviamo le due normative (art. 1 ter e legge 30/90), ne verifichiamo la perfetta corrispondenza nella lettera, nella temporaneità in attesa dei PUTT, nella tipologia del vincolo (vincolo di inedificabilità assoluto), nella fonte del vincolo ecc. La legge 30/90 è stata reiterata, avendo il vincolo di inedificabilità assoluto una valenza temporale limitata, con modificazione con successive leggi non avendo la regione Puglia ancora approvato il PUTT.
Il vincolo di
inedificabilità assoluto (meglio definito come misura di salvaguardia) non sostituisce
quello relativo ma rinforza lo stesso. D'altra parte diversa è la ratio di questi due
strumenti di tutela del paesaggio. Il vincolo di inedificabilità relativo ha la funzione,
per determinate categorie di beni, di creare un ordinato sviluppo del territorio
attraverso la verifica in concreto della compatibilità ambientale delle opere. Le misure
di salvaguardia "hanno uno specifico ambito di applicazione su territori, aree e beni
individuati non in relazione ad una astratta categoria, bensì in funzione di una
accertata rilevanza ambientale, il cui valore primario prevale su ogni altra
considerazione. Qui la misura di salvaguardia ha il preciso scopo di impedire che, nelle
more dell'adozione del piano territoriale paesistico, le aree di quella località siano
utilizzate in modo pregiudiziale all'ambiente ed alla tutela delle bellezze naturali"
(Cass. sez. un. 15 marzo 1989, Foro it., 1990, 13 a cui si rinvia per una lettura completa
del quadro normativo della legge Galasso; Cass. pen., sez. un., 25 marzo 1993, Totaro,
Cass. Pen., 1993, 1977, n. MENDOZA; Cass. pen., sez. un., 27 marzo 1992, Midolini, Cass.
Pen., 1993, 509, n. MENDOZA).
Diversa è la fonte del vincolo. Il primo posto da una legge statale. Il secondo da leggi
regionali in base ad una delega statale posta appunto nella medesima legge 431/85.
Diversa è la disciplina. Il vincolo di inedificabilità relativo è superabile dal nulla
osta paesistico. Il vincolo di inedificabilità assoluto non è superabile in alcun modo.
Appare chiaro che il legislatore da una parte si è preoccupato di regolarizzare la
gestione del territorio per categorie di beni; d'altra ha delegato le Regione ad
individuare zone da sottoporre a misure di salvaguardia per evitare una indiscriminata
edificazione in attesa dei PUTT. Le due misure non confliggono ma si armonizzano e si
completano per un efficace tutela del territorio paesisticamente rilevante.
In nessun modo si può
allora ritenere che le Regioni, con la delega di cui all'art. 1 ter, possano derogare al
vincolo posto dalla legge dello Stato.
Le Regioni possono solo trasformare il vincolo di inedificabilità relativo in assoluto in
attesa dell'emanazione dei PUTT.
Infatti laddove la legge Galasso ha voluto che le Regioni potessero derogare al vincolo lo
ha esplicitamente detto (vedi art. 1 quarter).
La lettura delle norme
sopra indicate è corrispondente a quanto la giurisprudenza della Corte Costituzionale e
della Cassazione a SU hanno ripetutamente affermato.
In sintesi il legislatore, in ossequio al disposto costituzionale di cui all'art. 9 co.2
ha previsto una serie di strumenti volti a scongiurare il crescente degrado del patrimonio
ambientale, avvalendosi in particolare di un vincolo paesistico generalizzato su località
individuate mediante tipologie morfologiche e ubicazionali, ma ponendo una eccezione per
le zone già urbanizzate, non aventi cioè più alcun interesse dal punto di vista
ambientale, perché ormai già irreversibilmente compromesse. E' stato inoltre sancito
l'intreccio di competenze tra Stato e Regioni nella materia in questione laddove
sussistano compenetrazioni di interessi ambientali ed urbanistici , in ossequio a principi
cooperativi operanti secondo uno schema di concorrenza di poteri mediante il quale vengono
conferiti agli organi regionali ampi spazi nella gestione della tutela del paesaggio, ma
attribuisce comunque allo Stato poteri surrogatori e sostitutivi in caso di inerzia delle
Regioni ( quali l'adozione dei piani paesistici ) a tutela dei valori paesistici ed
ambientali primari ed essenziali per definizione.
4. L'ITER DELLE LOTTIZZAZIONI E LA COMPARAZIONE CON LE NORMATIVE VIGENTI
4.1 La lottizzazione n. 141/89
In data 31.05.80 entra in
vigore la L.R. n. 56/80 che all'art. 51 lett. F) prevede che fino all'entrata in vigore
dei piani territoriali è vietata qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300
m. dal confine del demanio marittimo o dal ciglio più elevato sul mare. Prevede, altresì
che per gli strumenti urbanistici vigenti o adottati alla data di entrata in vigore della
stessa legge, è consentita la edificazione solo nelle zone omogenee A, B e C dei centri
abitati e negli insediamenti turistici.
In data 29.12.80 entra in vigore il I PPA.
In data 6.09.85 entra in vigore la Legge Galasso che prevede un elenco di undici categorie
ambientali da sottoporre a "vincolo paesaggistico" ai sensi della L. 1497/39. La
lett. a) include i territori costieri compresi in una fascia di profondità di 300 m.
dalla linea di battigia e la lett. c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti
negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti
elettrici approvato con R.D. 1775/33, e le relative sponde o piedi degli argini per una
fascia di 150 m. ciascuna.
La legge prevede altresì, la deroga dal vincolo per le zone A e B e - limitatamente alle
parti comprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate
negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. 1444/68.
In data 29.12.85 cessa la vigenza del I PPA.
In data 9.09.86 entra in vigore il II PPA.
In data 20.03.90 viene adottato il piano di lottizzazione in questione.
In data 30.06.90 entra in vigore la L.R. 30/90 che prevede fino all'approvazione del PUTT
e dei relativi piani paesistici delle diverse aree subregionali individuate dal PUTT e,
comunque non oltre la data del 31.12.90, è vietata ogni modificazione dell'assetto del
territorio nonché qualsiasi opera edilizia nelle seguenti aree:
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 m. dal confine del
demanio marittimo (..)
c) territori compresi nella fascia di 200 m. dal piede degli argini dei fiumi, torrenti e
corsi d'acqua classificati pubblici (..).
L'attività edilizia e relative opere di urbanizzazione nei territori costieri di cui al
precedente art. 1 sono consentite nelle zone A e B previste dagli strumenti urbanistici.
Nelle zone C, nelle aree destinate ad insediamenti turistici, artigianali ed industriali
sono consentiti gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi ( piani
particolareggiati o piani di lottizzazione ) che risultino approvati alla data di entrata
in vigore della presente legge .(..)
La realizzazione di tutte le opere è comunque subordinato al rilascio del nulla osta
previsto dall'art. 7 L.1497/39.
In data 31.12.90 cessa il vigore della L. 30/90.
In data 20.02.91 entra in vigore la L.R. 2/91 che " consente (..) l'attività
edilizia con strumenti urbanistici esecutivi adottati alla data del 6.06.90 a condizione
che le aree interessate risultino incluse nei PPA approvati alla stessa data.
In data 30.06.91cessa la vigenza della L.R. 2/91.
In data 13.08.91 entra in vigore la L.R. 8/91 che proroga la L.R. 30/90.
In data 8.09.91 cessa la vigenza del I PPA.
In data 9.12.91 la Sud Fondi srl richiede la rielaborazione degli standards a cedersi in
seguito agli allineamenti di PRG effettuati dall'UTC.
In data 18.12.91 interviene il parere favorevole della C.U.A. sulla predetta istanza.
In data 31.12.91 cessa la vigenza della L.R. n. 8/91.
In data 14.02.92 entra in vigore la L.R. 4.02.92 n. 7 che proroga la L.R. n. 30/90 fino al
30.06.92.
In data 11.05.92 viene approvata la lottizzazione in questione.
In data 30.06.92 cessa la vigenza della L.R. 4.02.92 n. 7.
In data 29.12.92 entra in vigore la L.R. 15.12.92 n.7 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.12.93.
In data 2.03.93 entra in vigore la L.R. 5.02.93 n. 2 che modifica il 3° comma dell'art. 2
della L.R. 30/90.
In data 26.05.93 la SUD FONDI srl presenta istanza di variante al P.di L..
In data 10.09.93 entra in vigore la L.R. 9.08.93 n. 14 che modifica l'art. 2, 2°comma
della L.R. 30/90 nel senso di consentire l'attività edilizia in presenza di strumenti
urbanistici esecutivi formalmente e regolarmente presentati alla data del 6.06.90, a
condizione che le aree interessate risultino incluse nei PPA approvati alla stessa data .
Detti strumenti urbanistici dovranno però essere sottoposti a preventivo parere del
C.U.R. per l'accertamento di non contrasto con le esigenze di tutela delle aree di
particolare interesse ambientale paesaggistico.
In data 3.11.93 viene stipulata tra la SUD FONDI srl ed il Comune di Bari, la Convenzione
relativa al P.di L.
In data 31.12.93 cessa la vigenza della L.R. 15.12.92 n. 7.
In data 16.03.94 entra in vigore la L.R. 7.03.94 n. 10 che proroga la L.R. 30/90 fino al
30.06.94.
In data 30.06.94 cessa la vigenza della L.R. 7.03.94 n. 94.
In data 19.01.95 viene rilasciata concessione edilizia n. 67/92 per i blocchi A, B ed N.
In data 14.02.95 iniziano i lavori di edificazione.
In data 20.04.95 entra in vigore la L.R. 5.04.95 n.16 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.07.95.
In data 31.07.95 cessa la vigenza della L.R. 5.04.95 n. 16.
In data 16.08.95 entra in vigore la L.R. 9.08.95 n. 33 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.03.96.
In data 31.03.96 cessa la vigenza della L.R. 9.08.95 n. 33.
In data 19.07.96 entra in vigore la L.R. 14.06.96 n. 9 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.12.96.
In data 31.12.96 cessa la vigenza della L.R. 14.06.96 n. 9.
In data 22.01.97 entra in vigore la L.R. 20.01.97 n. 2 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.12.97.
In data 31.12.97 cessa la vigenza della L.R. 20.01.97 n. 2.
In data 16.01.98 entra in vigore la L.R. 14.01.98 n. 2che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.12.98.
4.2 La lottizzazione n. 151/89
In data 31.05.80 entra in
vigore la L.R. n. 56/80 che all'art. 51 lett. F) prevede che fino all'entrata in vigore
dei piani territoriali è vietata qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300
m. dal confine del demanio marittimo o dal ciglio più elevato sul mare. Prevede, altresì
che per gli strumenti urbanistici vigenti o adottati alla data di entrata in vigore della
stessa legge, è consentita la edificazione solo nelle zone omogenee A, B e C dei centri
abitati e negli insediamenti turistici.
In data 29.12.80 entra in vigore il I PPA.
In data 6.09.85 entra in vigore la Legge Galasso che prevede un elenco di undici categorie
ambientali da sottoporre a "vincolo paesaggistico" ai sensi della L. 1497/39. La
lett. a) include i territori costieri compresi in una fascia di profondità di 300 m.
dalla linea di battigia e la lett. c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti
negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti
elettrici approvato con R.D. 1775/33, e le relative sponde o piedi degli argini per una
fascia di 150 m. ciascuna.
La legge prevede altresì, la deroga dal vincolo per le zone A e B e - limitatamente alle
parti comprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate
negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. 1444/68.
In data 29.12.85 cessa la vigenza del I PPA.
In data 9.09.86 entra in vigore il II PPA.
In data 20.03.90 viene adottato il piano di lottizzazione in questione.
In data 30.06.90 entra in vigore la L.R. 30/90 che prevede fino all'approvazione del PUTT
e dei relativi piani paesistici delle diverse aree subregionali individuate dal PUTT e,
comunque non oltre la data del 31.12.90, è vietata ogni modificazione dell'assetto del
territorio nonché qualsiasi opera edilizia nelle seguenti aree:
b) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 m. dal confine del
demanio marittimo (..)
c) territori compresi nella fascia di 200 m. dal piede degli argini dei fiumi, torrenti e
corsi d'acqua classificati pubblici (..).
L'attività edilizia e relative opere di urbanizzazione nei territori costieri di cui al
precedente art. 1 sono consentite nelle zone A e B previste dagli strumenti urbanistici.
Nelle zone C, nelle aree destinate ad insediamenti turistici, artigianali ed industriali
sono consentiti gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi ( piani
particolareggiati o piani di lottizzazione ) che risultino approvati alla data di entrata
in vigore della presente legge .(..)
La realizzazione di tutte le opere è comunque subordinato al rilascio del nulla osta
previsto dall'art. 7 L.1497/39.
In data 28.11.90 viene presentata opposizione da parte della famiglia M. al P.di L
adottato.
In data 31.12.90 cessa il vigore della L. 30/90.
In data 20.02.91 entra in vigore la L.R. 2/91 che " consente (..) l'attività
edilizia con strumenti urbanistici esecutivi adottati alla data del 6.06.90 a condizione
che le aree interessate risultino incluse nei PPA approvati alla stessa data.
In data 12.03.91 vi è riproposizione della domanda a seguito dell'opposizione M.
In data 10.04.91 la C.U.A. esprime parere positivo.
In data 30.06.91cessa la vigenza della L.R. 2/91.
In data 13.08.91 entra in vigore la L.R. 8/91 che proroga la L.R. 30/90.
In data 8.09.91 cessa la vigenza del I PPA.
In data 9.12.91 la Sud Fondi srl richiede la rielaborazione degli standards a cedersi in
seguito agli allineamenti di PRG effettuati dall'UTC.
In data 18.12.91 interviene il parere favorevole della C.U.A. sulla predetta istanza.
In data 31.12.91 cessa la vigenza della L.R. n. 8/91.
In data 14.02.92 entra in vigore la L.R. 4.02.92 n. 7 che proroga la L.R. n. 30/90 fino al
30.06.92.
In data 11.05.92 viene approvata la lottizzazione in questione.
In data 30.06.92 cessa la vigenza della L.R. 4.02.92 n. 7.
In data 29.12.92 entra in vigore la L.R. 15.12.92 n.7 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.12.93.
In data 2.03.93 entra in vigore la L.R. 5.02.93 n. 2 che modifica il 3° comma dell'art. 2
della L.R. 30/90.
In data 14.04.93 viene presentata istanza di variante al P.di L..
In data 10.09.93 entra in vigore la L.R. 9.08.93 n. 14 che modifica l'art. 2, 2°comma
della L.R. 30/90 nel senso di consentire l'attività edilizia in presenza di strumenti
urbanistici esecutivi formalmente e regolarmente presentati alla data del 6.06.90, a
condizione che le aree interessate risultino incluse nei PPA approvati alla stessa data .
Detti strumenti urbanistici dovranno però essere sottoposti a preventivo parere del
C.U.R. per l'accertamento di non contrasto con le esigenze di tutela delle aree di
particolare interesse ambientale paesaggistico.
In data 21.06.93 viene stipulata tra la I.C. srl ed il Comune di Bari, la Convenzione
relativa al P.di L.
In data 30.09.93 interviene la stipula di una 2°convenzione a seguito della variante.
In data 31.12.93 cessa la vigenza della L.R. 15.12.92 n. 7.
In data 16.03.94 entra in vigore la L.R. 7.03.94 n. 10 che proroga la L.R. 30/90 fino al
30.06.94.
In data 10.05.94 viene presentata un 2° istanza di variante al P.diL.
In data 30.06.94 cessa la vigenza della L.R. 7.03.94 n. 10.
In data 9.11.94 viene stipulato atto dichiarativo d'obbligo da A. per M.B. srl.
In data 16.11.94 viene stipulato atto dichiarativo d'obbligo da Quistelli per IEMA srl.
In data 20.04.95 entra in vigore la L.R. 5.04.95 n.16 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.07.95.
In data 13.07.95 viene rilasciata concessione edilizia n.284/93 alla I. srl.
In data 31.07.95 cessa la vigenza della L.R. 5.04.95 n. 16.
In data 16.08.95 entra in vigore la L.R. 9.08.95 n. 33 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.03.96.
In data 2.10.95 viene rilasciata concessione edilizia 436 alla M.B. srl.
In data 31.03.96 cessa la vigenza della L.R. 9.08.95 n. 33.
In data 4.04.96 viene rilasciata concessione edilizia in variante n. 5257/95 in seguito ad
istanza presentata dalla I. srl in data 3.11.95.
In data 3.05.96 viene rilasciata concessione edilizia in variante n. 163 alla M. srl.
In data 19.07.96 entra in vigore la L.R. 14.06.96 n. 9 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.12.96.
In data 31.12.96 cessa la vigenza della L.R. 14.06.96 n. 9.
In data 22.01.97 entra in vigore la L.R. 20.01.97 n. 2 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.12.97.
In data 31.12.97 cessa la vigenza della L.R. 20.01.97 n. 2.
In data 16.01.98 entra in vigore la L.R. 14.01.98 n. 2 che proroga la L.R. 30/90 fino al
31.12.98.
5. LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE 17.11.97 CHE ANNULLAVA IL DECRETO DI SEQUESTRO PREVENTIVO DELLE OPERE [link alla sentenza]
In data 17.03.97, questo
gip condividendo appieno le prospettazioni accusatorie adottava il provvedimento di
sequestro preventivo delle opere edilizie meglio descritte in narrativa.
Tale decreto veniva a propria volta confermato in toto e per le medesime argomentazioni
dal Tribunale in sede di riesame.
Gli indagati proponevano quindi ricorso per Cassazione.
La S.C. in data 17.11.97 annullava il decreto de quo, aderendo alle tesi difensive e,
quindi affermando che l'area in questione non fosse gravata da alcun vincolo di
inedificabilità, né assoluto né relativo atteso che per effetto delle leggi regionali
citate, la zona in questione non dovesse considerarsi assoggettata alla disciplina
vincolistica relativa alle zone costiere.
In particolare quanto all'art.51 lett. f) L.R. 56/80 la S.C. ha ritenuto che la stessa
dovesse ritenersi abrogata:
"La disposizione del citato art. 51, infatti deve intendersi abrogata dalla legge n. 431 del 1985, per incompatibilità di disciplina dello stesso oggetto, la edificazione delle zone costiere. (..) Quindi è chiaro che la legge statale introduce un vincolo già previsto dalla legge regionale, ma disciplina lo sgravio dallo stesso, per quanto concerne le zone differenti dalla A e B, in modo incompatibile con la legge n. 56 del 1980. In tale contesto, il principio regolatore della successione di leggi regionali e statali (artt. 9, 10 della legge n. 62 del 1953) prevede una abrogazione implicita della norma regionale inconciliabile con quella nazionale".
Quanto poi alla normativa introdotta dalla Legge Galasso il Supremo Collegio con una serie di passaggi argomentativi in verità poco chiari , lascia quasi intendere che la stessa debba ritenersi abrogata per la Regione Puglia ( tesi quest'ultima esplicitamente introdotta dalla difesa anche nel corso del giudizio di merito ) :
"E' vero che, una volta scaduto il limite temporale di validità di tali strumenti urbanistici (PPA ) (completati o non i processi di urbanizzazione dagli stessi previsti), il vincolo si riespande in quanto l'operatività della disciplina contenuta nell'art.1 c.2 L.431/1981 presuppone l'attualità dei piani.
I programmi in oggetto sono un mezzo per graduare nel tempo la trasformazione del territorio in quanto individuano nel quadro del piano regolatore generale ì settori su cui intervenire con priorità nell'ambito di scadenze ben definite.
Il giudizio dell'autorità amministrativa su tali priorità non ha un effetto permanente, bensì è valido rispetto ad un determinato lasso di tempo, quello di vigenza dei piani pluriennali; il consenso all'edificazione non può avere carattere definitivo essendo stato emanato con riferimento ad una contingente situazione destinata a modificarsi nel tempo.
Pertanto non é sostenibile il principio dì ultrattività del piano scaduto e non sostituito.
Aggiunge tuttavia il relatore
"Tale problematica, a parere della Corte, non è influente nel caso in quanto al momento dell'approvazione del piano di lottizzazione la zona era esente da vincolo in virtù della LR 2/1991 (modificativa della LR 30/1990) all'epoca vigente; la normativa si adegua alla legge Galasso ed, anzi, disciplina la materia in maniera più rigorosa e restrittiva non ritenendo sufficienti per le zone diverse dalle A e B la vigenza del piano pluriennale di attuazione. Avendo come referente la ricordata legge, non si rilevano ipotesi di preclusione alla urbanizzazione in quanto sussistevano le tre condizioni richieste per consentire gli interventi edilizi. Il piano di lottizzazione era stato approvato alla data del 6/6/90; alla stessa epoca sussisteva un piano pluriennale di attuazione approvato (avente efficacia fino al 31/12/90) e comprendente le aree interessate dal piano di lottizzazione del territorio; inoltre la zona rientrava nelle "zone C, nelle aree destinate ad insediamenti turistici, artigianali ed industriali".
6. LA SUSSISTENZA DEI VINCOLI DI INEDIFICABILITA'
Ritiene questo giudice
all'esito del procedimento, che l'area in questione sia, contrariamente a quanto affermato
dalla Corte di Cassazione e dalla difesa degli imputati, gravata dai vincoli di
inedificabilità assoluti e relativi sanciti dalle norme sopra analiticamente richiamate.
Infatti la citata sentenza - pur emanata da Collegio in autorevole composizione - nonché
le valorosissime argomentazioni difensive non appaiono condivisibili poiché si pongono
fuori, e dalla corretta e coerente lettura ed interpretazione delle norme giuridiche, e
soprattutto dal solco giurisprudenziale pressochè unanime tracciato dalla stessa Corte di
Cassazione, dal Consiglio di Stato e dalla Corte Costituzionale nel corso dell'ultimo
decennio.
6.1 L'art. 51 lett. f) L.R. 56/80
Le leggi generali dello Stato, contenenti principi fondamentali in ordine a determinate materie hanno, ai sensi dell'art. 10, l. 10 febbraio 1953 n. 62, effetto abrogativo delle leggi regionali non conformi e sono immediatamente applicabili nelle regioni, finchè esse non abbiano adattato ai nuovi principi la propria normativa.
La Corte Costituzionale
ha più volte affermato che, ai sensi dell'art. 10, 1° comma, l. 10 febbraio 1953 n. 62,
il sopravvenire nelle leggi statali di norme recanti principî, in grado di costituire un
limite all'esercizio di competenze legislative regionali, comporta, nei casi di accertata
e diretta incompatibilità fra la legge regionale e quella statale, l'effetto
dell'abrogazione (v. spec. Corte cost., 8 maggio 1995, n. 153, Soc. Stafe c. Assess. agr.
Sicilia, Cons. Stato, 1995, II, 839; sentenze nn. 498 del 1993, Foro it., Rep. 1994, voce
Regione, n. 275; 497 del 1993; 50 del 1991, Foro it., 1991, I, 2940; 151 del 1974, id.,
1974, I, 2262).
Pertanto occorre verificare se sussiste nel concreto tale diretta e accertata
incompatibilità.
In giurisprudenza si afferma che l'abrogazione tacita di una norma va dedotta dalla
diretta incompatibilità logica, ossia dalla impossibilità di coesistenza della norma
nuova con l'antica sullo stesso oggetto, per l'assoluta contraddittorietà delle due
disposizioni, ovvero dal fatto che la nuova legge regola l'intera materia, anche se in
modo non del tutto incompatibile con la singola norma precedente, e ciò perchè la
disciplina complessiva importa il coordinarsi delle varie disposizioni di cui essa consta
in un insieme unitario, che non tollera contaminazioni con norme logicamente ispirate a
principi diversi. In sostanza si richiede che tra le nuove disposizioni e le precedenti vi
sia tale contraddizione da renderne impossibile la contemporanea applicazione, per cui
dall'applicazione o dall'inosservanza dell'ultima deriverebbe la disapplicazione per
l'inosservanza dell'altra. (C. conti, sez. contr., 12 ottobre 1994, n. 105, Min. int.,
Cons. Stato, 1995, II, 313; Cass. civ., sez. lav., 18 febbraio 1995, n. 1760, Soc. Ilva c.
Enasarco, Mass., 1995; Cons. Stato (Sez. IV), 5 luglio 1995, n. 538 Pardi e altro c. Min.
difesa, Foro Amm., 1995, 1484; Trib. Sup. Acque, 14 dicembre 1994, n. 70, Cons. acqued.
Simbrivio c. Enel, Cons. Stato, 1994, II, 1958; C. conti, sez. contr., 27 luglio 1994, n.
53 Pres. Cons. Cons. Stato, 1994, II, 1716)
Orbene nella specie tale diretta incompatibilità non sussiste.
Infatti le discipline oggetto dei due vincoli sono radicalmente diverse.
In primo luogo il vincolo
della legge 51/80 è di carattere urbanistico mentre il vincolo di cui alla 431/85 è di
carattere paesaggistico.
I due tipi di vincoli sono totalmente diversi.
Afferma di recente (inserendosi come si evince dalla stessa motivazione della sentenza in
un solco consolidato e mai contraddetto della giurisprudenza) la CORTE COSTITUZIONALE,
18-23 luglio 1997, n. 262 Pres. Granata - Est. Chieppa T.A.R. Veneto Pres. Cons. Ministri:
Tali impostazioni partono da un presupposto di diritto errato, in quanto diversa è la natura dei vincoli previsti dalla Legge n. 1497 de] 1939 rispetto ai vincoli urbanistici derivanti dai piani regolatori comunali e dagli altri strumenti urbanistici. Infatti i beni immobili soggetti a vincoli paesistici per il loro intrinseco valore in "- virtù della loro localizzazione o della loro inserzione in un com-plesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate - dalla legge costitui-scono una "categoria originalmente di interesse. pubblico", la cui disciplina è del tutto estranea alla materia dell'espropriazione di cui all'art. 42, terzo comma, rientrando, invece, a pieno titolo nella disciplina dell'art. 42, secondo comma" (sentenza n. 417 del 1995 che si richiama all'indirizzo giurisprudenziale scaturente dalla sentenza n. 56 del 1968). Di conseguenza deve essere riconfermata la non assimilabilità dei vincoli paesistici a quelli urbanistici e la inconferenza dì qualsiasi richiamo o raffronto rispetto all'art. 2 della legge n. 1187 del 1968 (sentenza n.. 417 del 1995): i beni paesistici, al pari dei beni vincolati dalla legge n. 431. del 1985, sono inscrivibili nella disciplina posta dall'art. 42, comma 2, della Costituzione (sentenze nn. 56 del 1968 e successive fino alla recente n. 417 del 1995), alla quale è del tutto estranea come sopra sottolineato - la materia delle espropriazioni.
Anche la sentenza citata dalla difesa (Corte cost., 18 ottobre 1996, n. 341, Pres. Cons. c. Reg. Sardegna, Cons. Stato, 1996, II, 1657) per la quale nel nostro sistema costituzionale, il paesaggio costituisce un valore etico - culturale che trascende la competenza della Regione in materia urbanistica e nella cui realizzazione sono impegnate tutte le pubbliche amministrazioni, in primo luogo Stato e regioni, ordinarie e speciali, in un vincolo reciproco di leale cooperazione chiarisce la differenza tra i due vincoli.
La Cassazione conferma tale indirizzo quando afferma che la sostituzione della pena detentiva breve di cui all'art. 53 della l. 24 novembre 1981, n. 689 non può essere applicata ai "reati previsti dalle leggi in materia edilizia ed urbanistica". Tale divieto non concerne, però, i reati in materia paesaggistica, che si differenzia dalla prima per molteplici profili: 1) il particolare rilievo che assume il paesaggio nella Costituzione, autonomamente disciplinato nell'art. 9 e non regolato nell'art. 117, che menziona soltanto l'urbanistica; 2) le distinzioni tra le competenze trasferite (urbanistica) alle regioni e competenze delegate (paesaggio), le quali ultime mantengono un ampio potere di controllo e intervento in capo alle autorità centrali; 3) la diversa incidenza, che hanno i due tipi di vincolo sulla proprietà privata; 4) la possibilità di concessione in sanatoria per la materia urbanistica, non prevista per quella paesaggistica; 5) la diversità della causa di estinzione prevista dalla recente l. 23 dicembre 1994, n. 724: oblazione o concessione in sanatoria per le contravvenzioni urbanistiche; soltanto estinzione per autorizzazione paesaggistica in sanatoria in ordine agli illeciti di cui alla l. n. 431 del 1985; 6) obbligo di interpretazione restrittiva per la disposizione, che prevede eccezioni alla regola generale della sostituzione delle pene detentive brevi. (ex plurimis Cass. pen., sez. III, 13 novembre 1995, Vacca, Cass. Pen., 1997, 175, n. GALLUCCI; Cass. pen., sez. III, 1 febbraio 1995, n. 2351, Ceresa, Cass. Pen., 1996, 2730)
Sulla stessa linea il Consiglio di Stato che afferma che l'interesse paesaggistico è funzionalmente differenziato da quello urbanistico e che la materia del paesaggio non è riducibile in quella dell'urbanistica, anche dopo l'ampliamento della nozione di urbanistica sancito dall'art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977 (ex plurimis Cons. Stato (Sez. VI), 30 giugno 1997, n. 1001, Min. beni culturali c. Papadia, Foro Amm., 1997, 1702; Cons. Stato (Sez. VI), 25 gennaio 1995, n. 78, Com. Napoli c. Lancellotti e altro, Giur. It., 1995, III,1, 259; Cons. Stato (Sez. VI), 14 gennaio 1993, n. 29, Min. beni culturali c. Viviani e altro, Riv. Giur. Urbanistica, 1994, 285, n. BRANCA;Cons. Stato (Sez. VI), 5 giugno 1981, n. 249, Reg. Veneto c. Rossitto, Giur. It., 1982, III, 1, 82)
La sentenza della Corte di Cassazione 17.11.97 individua l'oggetto delle normative nell' edificazione nelle zone costiere mentre, a parere di questo giudice, appare più corretto ritenere che oggetto della materia urbanistica è il controllo del territorio da parte della PA e oggetto della materia paesistica è il profilo di compatibilità tra trasformazione e bellezza naturale.
I due tipi di vincoli hanno disciplina diversa:
· il vincolo della legge
56/80 incide anche sulla pianificazione urbanistica mentre quello paesistico solo sulla
trasformazione urbanistica;
· il vincolo della legge 56/80 è di inedificabilità assoluto mentre il vincolo della
legge Galasso è relativo (cioè superabile con il nulla osta);
· la "deroga" ai vincoli in realtà è diversa nelle due discipline e per
niente inconciliabile. Intanto va detto che la verifica va fatta in astratto in quanto non
si può affermare l'esistenza o l'inesistenza di una legge a seconda delle diverse
fattispecie. Infatti per una c'è il riferimento ai centri abitati per l'altra ipotesi ai
PPA.
Pertanto si potrà logicamente affermare che una zona che non è interessata dal vincolo di inedificabilità relativo della legge Galasso (teso a tutelare il paesaggio) ben potrà essere sottoposto al vincolo di inedificabilità assoluto previsto a tutela della potestà di pianificazione urbanistica dalla Regione.
Vieppiù la deroga di cui alla legge Galasso non può estendersi ad altre ipotesi oltre che a quelle ivi specificamente previste.
Infatti l'operatività del 6° comma del testé citato art. 82, introdotto dall'art. 1 l. 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del d.l. 27 giugno 1985, n. 312 è limitata alla previsione del comma precedente, concernente, in via generale ed astratta, l'imposizione del vincolo a determinare categorie di beni, e pertanto essendo norma eccezionale di stretta interpretazione, va limitata a questa sola previsione (v., seppure per fattispecie diversa, Cass. civ., sez. un., 25 marzo 1993, n. 3574, Cons, obbligatorio Casalone c. Min. beni culturali, Mass., 1993; T.A.R. Marche, 22 marzo 1991, n. 134, Lido , Ancona c. Reg. Marche, Foro It. , 1992, III, 406; Cons. Stato (Sez. VI), 6 aprile 1987, n. 242, Com, Sabaudia c. Min. beni culturali, Giur. It. , 1988, III, 1, 29)
In conclusione nessuna incompatibilità sussiste tra le due norme con conseguente vigenza, almeno fino alla legge 30/90, del vincolo in oggetto.
La predetta tesi è
unanimamente condivisa dalla giurisprudenza amministrativa e della Suprema Corte (Cass.
,sez. III, 21 gennaio 1997 Volpe+ altri; C. Stato, sez. V, 28-02-1995, 300/1995,Com. Bari
- Intranò,Cons. Stato, 1995, I, 237; C. Stato, sez. IV, 23-04-1993, 458/1993, Reg. Puglia
- Soc. Montimare,Cons. Stato, 1993, I, 517; T.a.r. Puglia, sez. Lecce, 06-02-1990,
130/1990, Serra - Com. Gallipoli, Trib. amm. reg., 1990, I, 4017; Cass., sez. III, 7
giugno 1994, Ruotolo).
Il Consiglio di Stato, in particolar modo, dopo aver indicato nella premessa le eccezioni
della difesa relativamente alla abrogazione della norma, ribadisce la sua vigenza non
prima del 1983 ma al momento della richiesta del condona nel 1991 (infatti si discetta
nella sentenza del TAR se la legge 30/90 ha abrogato o meno la disciplina in oggetto).
L'esistenza pertanto di questo vincolo impone alcune conseguenze. Tutti gli atti programmatori fondanti la trasformazione urbanistica in oggetto sarebbero inesistenti perché emanati in diretta violazione di legge.
6.1.1 La zona oggetto della trasformazione urbanistica come zona posta al di fuori del centro abitato
Ora anche ammettendo, ma così non è per quanto ampiamente detto prima, la circostanza di dover "assimilare" tali zone "terziarie" alle zone "C" del P.R.G., essa non sembra però, da sola, sufficiente a stabilire l' "esclusione" delle aree di che trattasi dal vincolo di inedificabilità ( comunque temporaneo ) previsto nel precitato art. 51, lett. f), della legge reg. n. 56/80, in quanto, a ben leggere la stessa norma, sembra che la stessa richieda anche che le "zone A-B-C " escluse da tale limitazione, non siano tutte quelle tipizzate o riconducibile a quelle definibili di tipo "A" - "B" o "C" dell'intero "territorio comunale", ovvero dell'intero P.R.G., ma tale "esclusione" sembra che debba invece operare solo per quelle aree, pur riconducibili alle zone "A-B-C", che però entrino a far parte del cosiddetto "centro abitato" dello stesso "territorio comunale".
Necessita a questo punto chiarire che cosa debba intendersi per "Centro Abitato".
Si definisce "centro abitato" un aggregato di case continue o vicine con interposte strade, piazze e simili o comunque con pochi lotti interclusi "brevi" soluzioni di continuità, caratterizzato dall'esistenza di "servizi od esercizi pubblici".
Ora per il fine voluto dalla norma urbanistica di cui alla legge regionale 56/80, invece, per aree facenti parte, e così comprese nel "centro abitato", devono chiaramente intendersi tutte quelle aree (pur inedificate) già comprese in una aggregato urbano sostanzialmente definito e compromesso ( sostanzialmente quindi coincidenti con le zone A e B e le altre zone di tipo C - abitate- , così come definite dal D.M. 2-4-1968 n. 1444) , e vieppiù quasi sostanzialmente completo di opere di urbanizzazione (sia primarie che secondarie), tale che, la norma di salvaguardia imposta ( ... è vietata l'edificazione ..... sino all'entrata in vigore dei piani territoriali .....) non possa considerarsi operante, tenuto conto, in concreto, che non sembrava forse aver senso imporre un sostanziale vincolo di inedificabilità in aree urbanisticamente già definite, in quanto certo un nuovo piano territoriale ben poco avrebbe potuto, o potrebbe determinare, in una situazione già urbanisticamente sostanzialmente compromessa dal suo "intorno" edificato, e così dal "centro abitato" esistente.
Diversa appare essere la situazione, per quelle aree che, pur posizionate a "margine", ovvero in attacco al concreto "centro abitato", in realtà appaiono essere suscettibili di "tutela" e così di possibile regolamentazione da parte dei previsti "piani territoriali", così come appaiono essere le aree di che trattasi poste all'estrema appendice ( non certo abitata al 1980) del Lungomare Perotti del Comune di Bari. Basti osservare che tra l'ultima costruzione dell'abitato e la trasformazione dell'area in oggetto non vi è continuità fisica.
D'altra parte, riscontro oggettivo a tale affermazione è la planimetria che il Comune di Bari ha in allegato alla deliberazione di Giunta Municipale n. 534 del 21-4-1977, dalla quale rilevasi che la maglia terziaria di che trattasi ricade fuori del "Centro Edificato", così a suo tempo delimitato, ai sensi della legge n. 865 del 22-10-1971 ( ai fini della determinazione delle indennità di esproprio).
Vieppiù, da ultimo con delibera del Consiglio Comunale n. 220 del 23-11-1994 il Comune di Bari ha adottato una deliberazione con la quale ha delimitato il "Centro Abitato", e le varie zone, ai sensi del D.L.vo 15-11-1993, n. 507 al fine dell'approvazione del "Piano Generale Comunale per l'impiantistica pubblicitaria pubblica e privata", con allegata una planimetria, che sarebbe stata redatta ai sensi del D.L.vo n. 205/92 ( Nuovo codice della Strada) dalla quale rilevasi che la zona terziaria di che trattasi ricade "all'interno" del perimetro così delimitato del nuovo "Centro Abitato".
Tale ultimo deliberato, è comunque ininfluente per la tematica trattata sia perché successivo all'approvazione delle lottizzazioni sia perché attinente a disciplina di materia non urbanistica (definizione dei canoni di pagamento di pubblicità).
Prescindendo per un attimo anche da tale documentazione inoppugnabile al problema posto sembra potersi dare comunque una risposta, ricorrendo alle disposizioni previste dallo stesso art. 39 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. di Bari.
Dall'esame di tale articolo, si rileva infatti che per tali insediamenti relativi ad "attività terziarie", il Comune di Bari ha considerato una doppia possibile fattispecie normativa: una relativa a quelle aree che ricadono "nell'ambito dell'abitato", e l'altra, più generale, valida per le aree pur tipizzate "terziarie", poste ovviamente "fuori dell'abitato".
All'art. 39 delle N.T.A. del P.R.G. di Bari, tra l'altro è infatti stabilito che:
".....................
A norma dell'art. 5, comma 1°, n. 2, del D.M. 2-4-1968, devono essere previsti spazi,
escluse le sedi viarie, in misura non inferiore a 80 mq. x 100 mq. di superficie lorda di
pavimento con destinazione terziario-direzionale; inoltre, debbono essere reperiti i
servizi di quartiere per gli abitanti insediati, nella misura di 20 mq. per abitante, se
la zona è parzialmente utilizzata per destinazioni residenziali.
Gli spazi, nella misura precisata di 80 mq. x 100 mq. di superficie lorda di pavimento, devono destinarsi almeno per il 15% a verde condominiale e almeno per il 50% a spazi per parcheggi. Questi ultimi possono essere coperti, interrati, a più livelli o realizzati in altre forme particolari; gli spazi relativi si aggiungono a quelli previsti nell'art. 18 della legge 765 ed alle autorimesse previste nel precedente art. 22.
Le quantità di spazi
liberi e di autorimesse previste nel comma precedente, si dimezzano nel caso in cui gli
insediamenti direzionali - terziari sono il risultato del completamento di abitati
esistenti e, comunque, ubicati nelle zone B, mentre i parcheggi a norma dell'art. 18 della
legge 765 restano inalterati.
.......................... omissis .................." .
In definitiva quindi, dalla modalità con la quale si è proceduto al soddisfo di tali standards urbanistici, si può quindi derivare, in maniera indiretta, se la "zona terziaria" di che trattasi, sia da considerarsi "completamento dell'abitato esistente" , ovvero non sia tale e così posta "fuori" dall'abitato esistente, e da tanto quindi dedursi se l'area di che trattasi sia ricadente o meno in quello che la norma regionale, più generalmente, chiama e definisce "Centro Abitato".
Laddove tale maglia urbanistica fosse stata ritenuta ricadente nell'ambito del "centro abitato" e così a costituire un "completamento dell'abitato esistente", i relativi standards dovevano avere valori "dimezzati" rispetto alla misura invece appplicata.
Ora se si legge con attenzione (v. pg. 47-56 consulenza dell'ing. Ferri) in tutte le presentazioni dei progettisti delle lottizzazioni in oggetto si è inteso pienamente soddisfare "tutti" gli standards urbanistici (almeno sotto il profilo quantitativo) previsti dall'art. 39 delle N.T.A. del P.R.G. di Bari, e non hanno così inteso applicare la possibilità di "dimezzare" tali valori ( certo non per scelta personale, ma in relazione alla concreta situazione dei luoghi), e con tanto, ai sensi dell'art. 39 delle N.T.A. del P.R.G., per quanto qui interessa in questo momento, tali progettisti hanno sostanzialmente, implicitamente, affermato che :
" ...... tali
insediamenti direzionali - terziari NON sono il risultato del completamento di abitati
esistenti......."
6.1.2 Conclusioni
· L'art. 51 della Legge regionale 31 maggio 1980 n. 56, tuttora vigente, prevede delle
limitazioni delle previsioni insediative fino all'entrata in vigore dei piani territoriali
ed in particolare alla lettera f) detta "è vietata qualsiasi opera di edificazione
entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo, o dal ciglio più elevato
del mare.;
· la zona oggetto della trasformazione urbanistica è nella fascia di 300 metri dal
confine del demanio marittimo (vedi relazione del consulente Schiavoni)
· la zona oggetto della trasformazione urbanistica non rientra nelle ipotesi derogatorie
della legge (A, B e C dei centri abitati e negli insediamenti turistici) in quanto è zona
al di fuori del centro abitato);
· pertanto vige nella zona in oggetto il vincolo di cui alla legge regionale e, si è
pianificato e edificato in presenza di un divieto assoluto
Onde la tesi che appare preferibile è quella del carattere assoluto del vincolo. Questo sia per la collocazione sistematica della norma (la legge n. 56/80 è una legge avente ad oggetto la pianificazione urbanistica del territorio) sia per la dizione letterale "è vietata".
Sul punto il Consiglio di Stato, (C. Stato, sez. V, 28-02-1995, 300/1995,Com. Bari - Intranò,Cons. Stato, 1995, I, 237; C. Stato, sez. IV, 23-04-1993, 458/1993, Reg. Puglia - Soc. Montimare,Cons. Stato, 1993, I, 517) afferma:
"che l'art. 51
citato pone, nelle more dell'adozione del Piano territoriale, un divieto assoluto di
edificazione in funzione di salvaguardia delle future scelte dell'amministrazione.
L'immediata operatività del vincolo, e la conseguente insanabilità delle opere
realizzate in contrasto con esso, trovano piena, ragionevole ed esaustiva giustificazione
nell'esigenza di evitare che una edificazione incontrollata possa compromettere in modo
irreversibile la funzione programmatoria affidata al suddetto strumento. Si tratta dunque
di un vincolo assoluto, non derogabile dai Comuni nemmeno in sede di pianificazione ed
operante fino all'approvazione dei piani territoriali."
6.2 Il vincolo di cui all'art. 1 della legge n. 431/85
La legge n.431/85 riprende l'art. 82 del D.P.R. n.616 del 24.7.1977, secondo cui sono
delegate alle regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e
periferici dello Stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla
loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni, ed aggiunge ad esso
ulteriori commi, fra cui, in particolare, un elenco di undici categorie ambientali da
sottoporre a "vincolo paesaggistico" ai sensi della legge n.1497 del 29.7.1939.
Fra queste categorie sono inclusi i territori costieri compresi in una fascia di 300 metri
dalla linea di battigia.
La legge precisa altresì che il citato vincolo paesaggistico non si applica alle zone A,
B e - limitatamente alle parti comprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre
zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. n.1444 del 2.4.1968.
La ratio di tale norma consiste nella volontà legislativa di porre un vincolo
generalizzato di inedificabilità relativo per le zone predette.
Il legislatore ha voluto creare una eccezione a tale regola escludendo il vincolo per le
zone storicamente urbanizzate (A centro storico; B abitato connesso al centro storico)
oppure per le zone in cui, attraverso i piani pluriennali di attuazione - piani a termine
-, vi sia una concreta e attuale volontà di edificare da parte del Comune.
6.2.1 L'esclusione del vincolo: inapplicabilità nell'ipotesi di ppa deliberati
successivamente alla legge Galasso
Inoltre l'esclusione dal vincolo paesaggistico generale (concernente cioè' talune
categorie di beni, quali territori costieri contermini a laghi, fiumi, torrenti, ecc.) per
le zone diverse dalla "A" e dalla "B", e limitatamente a quelle aree
individuate in piani pluriennali di attuazione, ha carattere eccezionale ed e' di stretta
interpretazione. (Cassazione penale sez. III, 2 luglio 1993, Cass. pen. 1994,1925 )
Per questo motivo l'esclusione dal vincolo generalizzato apposto con l'art. 1, l. 8 agosto
1985, n. 431, di conversione in legge con modificazioni del D.L. 27 giugno 1985, n. 312,
delle aree comprese in zone A e B e di quelle incluse nei piani particolareggiati di
attuazione o in delibere di perimetrazione dei centri edificati, riguarda soltanto le aree
già disciplinate dai PPA, non con-sentendo invece deroghe per la futura pianificazione
urbanistica, che di quei vincoli deve tenere conto.
Tale tesi appare sostenibile per una serie di motivazioni:
1. argomento letterale.
La disposizione utilizza il participio passato "ricomprese" e quindi è da
riferire ai soli interventi inclusi nei programmi pluriennali già operanti al momento di
introduzione del vincolo;
2. argomento sostanziale. l'inclusione delle suddette zone all'interno dei programmi
pluriennali di attuazione, al fine di escluderle dal vincolo paesaggistico, deve essere
riferita alla data di pubblicazione della stessa legge, ossia 22.8.1985 e deve permanere
fino alla data di approvazione delle concessioni e all'inizio dei lavori. Se così non
fosse, tutte le zone di PRG potrebbero essere inserite nei PPA, successivamente a tale
data, e quindi escluse dal vincolo paesaggistico. In sostanza si permetterebbe
l'aggiramento della norma mediante l'emanazione successiva di atti procedimentali
amministrativi.
3. la ratio della norma
che è quella di non interferire sui processi di trasformazione del territorio in atto
riguardo a zone dove il Comune ha inteso concentrare in un determinato periodo di tempo
l'attività edilizia e il processo di urbanizzazione;
Infatti il programma pluriennale di attuazione - PPA - (introdotto con l'art. 13 della
legge 28 gennaio 1977 n. 10) è uno strumento urbanistico finalizzato a coordinare forme,
tempi e modalità di attuazione degli strumenti urbanistici generali in base alle risorse
economiche - finanziarie e disponibili o prevedibili. Tali previsioni hanno un tempo
determinato (3 o 5 anni) (vedi art. 2, 3 L.R. 12/2/79 n.6) Il programma pluriennale di
attuazione risponde ad una esigenza di graduazione temporale degli interventi di
edificazione ed urbanizzazione, in un sistema in cui il piano regolatore ha per
definizione durata a tempo indeterminato e deve quindi contenere previsioni anche di lunga
scadenza, con l'effetto di mantenere temporaneamente quiescenti le previsioni di sviluppo
edilizio contenute nel piano regolatore e renderle concretamente eseguibili a scaglioni,
graduati nel tempo. Pertanto è pacifica l'opinione per cui i ppa hanno natura di atti di
programmazione temporale e non sono strumenti urbanistici, neppure di dettaglio. Il PPA
non disciplina le forme di utilizzazione del territorio, ma i tempi di utilizzazione del
territorio.
Partendo da tale concetto si comprende la ratio della deroga prevista dal legislatore, che
ha sede nella circostanza che il PPA ha un limite temporale. In sostanza la norma
transitoria è volta a consentire il completamento di processi di urbanizzazione già
regolarmente avviati sulla base di un preciso programma pubblico. Ma esaurito il programma
predisposto nel tempo rientra in vigore il vincolo generale. Sul punto è significativo il
fatto che la deroga è stata introdotta con la legge di conversione proprio per la
indicazione dei Comuni che avendo già compiuto programmazione economica per un
determinato periodo si opponevano ad una norma che nello stretto periodo di tempo avrebbe
bloccato lo sviluppo edilizio e frustrato la programmazione fatta. Ma in successive
programmazioni nessun problema avrebbe comportato la necessità di chiedere il nulla osta
paesistico;
4. argomento interpretativo L'esclusione del vincolo paesaggistico generale per zone
diverse dalla A e dalla B, e limitatamente a quelle aree individuate in piani pluriennali
di attuazione, ha carattere eccezionale ed è di stretta interpretazione (Cass., sez. III,
19/7/93, n. 1512, Santise).
Tali argomentazioni sono condivise dalla unanime giurisprudenza (amministrativa, di
legittimità e di merito V.Trib. Piacenza, ord. 21/5/94, Signaroldi; T.a.r. Lombardia,
sez. II, 5 dicembre 1991, n. 1330; T.a.r. Lombardia, sez. II, 12-12-1986, 369/1986, Soc.
Siba D Com. Aprica, Trib. amm. reg., 1987, I, 570; Cass., pen., sez. III, 26 settembre
1990, Serlenga, in Giur. pen.1991, II, 122 con nota adesiva; Cons. Stato, Sez. V, 20
novembre 1987 n. 710, in Foro Amm., 1987, fasc. 11; Tar Lombardia sez. II, 3 luglio 1987,
n. 269, Foro it., 1988, III, 53, con nota adesiva; Tar Lombardia sez. II, 5 dicembre 1991,
n. 1330 e 20 dicembre 1991, n. 1393; Pret. Pavia, 31 gennaio 1992, Ricotti, Riv. giur.
edilizia, 1993, 202).
In particolare:
1. Cons. Stato, Sez. V,
20 novembre 1987 n. 710, di fronte all'eccezione del ricorrente per la quale la
qualificazione impressa all'area con l'inserimento nel PPA si protrae nel tempo venendo
così a configurare le condizioni ostative all'applicazione del vincolo per cui si
discute, la sentenza così motiva:
"Invero la soluzione, pur abilmente prospettata, si infrange di fronte all'univoco
disposto dell'art. 13 l. n. 10 del 1977 che, coerentemente alla natura esecutiva e
temporanea dello strumento, assegna al programma pluriennale di attuazione un limite
massimo quinquennale di efficacia, scaduto il quale cessa l'operatività delle previsioni
in esso contenute che nel predetto arco di tempo non hanno ricevuto attuazione. Da ciò
consegue che, sul piano dei principi, che la qualità impressa all'area e rivelata
dall'inserimento della stessa nelle revisioni del programma costituisce un effetto che non
sopravvive alla caducazione dell'atto che lo stesso ha prodotto e nel quale unicamente
trova giustificazione e fondamento. D'altro canto sul piano dell'interpretazione non vi è
del pari dubbio che quel rapporto tra regola e eccezione previsto dall'art. 1 L. n. 431
del 1985 ha come necessario termine di riferimento non già la molteplicità di fatti
rilevanti al più in senso storico ma la simultanea presenza di due discipline vigenti e
operanti, regolate tra loro sulla base del rapporto regola - eccezione, sicché in tanto
può farsi luogo alla disciplina derogatoria in quanto il fatto sia tuttora oggetto di una
disciplina operante (..)"
2. Cass., sez. III, 27 maggio 1996, n. 5244, Gatto:
la ratio della disposizione va individuata, infatti, nell'opportunità di non paralizzare
del tutta l'attività costruttiva e di consentirla in quei territori, nei quali già vi
sia un'intensa urbanizzazione o lo sviluppo edilizio stia per essere realizzato in modo
attuale, cioè con riferimento a situazioni concrete.
3. Consiglio di Stato 4 dicembre 1996, sez. VI:
"La deroga alla imposizione del vincolo paesistico per il suo carattere e per le sue
finalità di tutela di situazioni in itinere al momento dell'entrata in vigore della nuova
normativa, non può essere estesa ai successivi atti di programmazione comunale. Una
siffatta soluzione porterebbe alla conseguenza di vanificare ogni prescrizione di tutela,
attraverso il semplice inserimento dell'area in uno strumento di semplice programmazione
finanziaria."
4. Cass. ,sez. III, 21 gennaio 1997 Volpe + altri
"Non è possibile che il vincolo paesaggistico può essere abolito da un successivo
piano urbanistico anche perché la legge Galasso attribuisce questa possibilità solo ai
piani paesistici."
5. Cass., sez. III, 9 giugno 1997, Varvara (che conferma una ordinanza del Tribunale della
Libertà di Bari) che ha ribadito che la decadenza del I PPA del Comune di Cassano Murge
comporta la sussistenza del vincolo nella zona.
6. Cass., sez. III, 24 marzo 1998, Lucifero la quale afferma:
"Il legislatore,
introducendo un vincolo paesaggistico, generalizzato per vaste porzioni del territorio,
definite in termini generali ed astratti, ha contemperato le esigenze ambientalistiche con
quelle edificatorie rendendo inoperante il vincolo nelle situazioni in cui ricorreva la
programmata ed attuale possibilità di edificare, stante il richiamo ai piani pluriennali
di attuazione, sicché non può derogarsi al vincolo per i PPA successivamente intervenuti
i quali non si pongano in rapporto di stretta continuità con l'attuazione dei programmi
edificatori già in vigore al momento dell'entrata in vigore della legge Galasso.
Pertanto, se alla scadenza del piano, il suo rinnovo è configurabile soltanto nei limiti
dell' accennato rapporto, in ogni altro caso in cui sia adottato uno strumento urbanistico
attuativo successivamente all'entrata in vigore della legge citata, opera la disciplina
vincolistica posta da una legge statale che non può essere elusa con un provvedimento
amministrativo."
7. Cass., 17 novembre 1997, A. (l'ordinanza che ha annullato il sequestro) per la quale:
"E' vero che una volta scaduto il limite temporale di validità di tali strumenti urbanistici (completati o non i processi di urbanizzazione dagli stessi previsti), il vincolo si riespande in quanto l'operatività della disciplina contenuta nell'art. 1 c.2 L. 431/1985 presuppone l'attualità dei piani. I programmi in oggetto sono un mezzo per graduare nel tempo la trasformazione del territorio in quanto individuano -nel quadro del pino regolatore- i settori su cui intervenire con priorità nell'ambito di scadenze ben definite. Il giudizio dell'attività amministrativa su tali priorità non ha un effetto permanente, bensì è valido rispetto ad un determinato lasso di tempo, quello di vigenza dei piani pluriennali; il consenso all'edificazione non può avere carattere definitivo essendo stato emanato con riferimento ad una contingente situazione destinata a modificarsi nel tempo. Pertanto non è sostenibile il principio di ultrattività del piano scaduto e non sostituito."
8. Tribunale del Riesame di Bari, 11 marzo 1997, Varvara confermato dalla Cassazione (rel. Dott. De Feo), il quale afferma:
"Invero, è di tutta evidenza che il legislatore intese meramente non coinvolgere nel nuovo vincolo soltanto le parti di zone diverse dalla A e dalla B che venissero in futuro destinate a edificazione da successivi strumenti urbanistici; ciò infatti avrebbe significato assurda possibilità di sottrarre al vincolo in questione, in qualsiasi momento, qualsiasi parte di zone diverse dalla A o dalla B. (..) nel caso di specie il suolo (..) è da ritenersi al vincolo paesaggistico (..) una volta scaduto il periodo di tempo di riferimento del PPA vigente alla data di entrata in vigore della L. 431/85.;
I difensori degli odierni
imputati eccepiscono che "la L. 431/85 fotografava una situazione nella sua
attualità e con riguardo a tale situazione ha individuato le ipotesi nelle quali il
vincolo si rendeva necessario, da quelle, in cui l'attività edilizia poteva essere
consentita. La ragione della esclusione del vincolo è comune alle due ipotesi. Il
legislatore ha ritenuto che se una zona era stata previamente classificata A o B o era
stata previamente inserita in un PPA vi era un elevata probabilità che essa fosse già
compromessa."
Ma tale tesi non è giuridicamente sostenibile. Infatti se fosse vera la tesi difensiva il
legislatore avrebbe escluso le zone inserite in piani attuativi dove è sicura e concreta
la possibilità di edificare. Invece con il PPA tale certezza non vi è poiché il privato
può non richiedere di lottizzare e il Comune non espropriare. Prova evidente che
nonostante la zona in oggetto fosse inserita dal 1981 in un PPA, solo nel 1995 è iniziata
l'edificazione.
Invero i PPA non sono strumenti che indicano su quali zone costruire; se così fosse
avrebbe senso ritenere che il PPA cristallizza una situazione. Essi indicano invece quanto
costruire per un certo tempo. Come si è detto prima la ratio della norma non è nella
necessità di individuare su quali zone è ipotizzabile costruire (i PPA non fanno scelte
urbanistiche vedi ex plurimis Cons. Stato (Sez. V), 14 giugno 1996, n. 704, Cond. via
Bessarione Milano c. Com. Milano e altro, Giur. Bollettino legisl. tecnica, 1997, 4062)
senza nulla osta (altrimenti il legislatore avrebbe fatto riferimento a criteri diversi
quali l'intensità edilizia, la tipologia della zona) né di tutelare le aspettative
edificatorie del privato (altrimenti avrebbe escluso dal vincolo le zone oggetto di
lottizzazioni già approvate per i quali sussiste una aspettativa edificatoria
giuridicamente tutelata) ma la programmazione finanziaria dei Comuni in itinere al momento
di entrata in vigore della legge Galasso. (infatti i PPA si caratterizzano per la
previsione di una programmazione economica per un periodo limitato di tempo per il
finanziamento dei servizi necessari per la edificazione programmata in quel periodo)
La conseguenza di questo discorso è che, ove decaduto il PPA presente al momento dell'entrata in vigore della legge, i successivi PPA approvati devono tenere conto dei vincoli introdotti con la legge Galasso. Non essendo con-sentite deroghe per la futura pianificazione urbanistica, che di quei vincoli deve tenere conto.
Pertanto, poiché il I^ PPA del Comune di Bari risulta scaduto ben prima sia dell'approvazione delle lottizzazioni sia dell' emissione delle concessioni edilizie, non è possibile ritenere escluso nella zona il vincolo in oggetto con conseguente necessità del nulla osta paesistico.
Nella sentenza della Corte di Cassazione 17.11.97 si legge un palese errore materiale . Infatti le lottizzazioni in oggetto sono state approvate in data 11/5/92 e non in data 6/6/90. Tale errore materiale ha evidentemente fuorviato la decisione della Suprema Corte. Infatti è dato inconfutabile che al momento dell'adozione dei piani di lottizzazione (20/03/90) non era in vigore la legge 30/90 e il PPA vigente al momento dell'entrata in vigore della legge era scaduto.
Ad ogni buon conto,
seppure in modo non del tutto esplicito, la Cassazione ha affermato che pur sussistendo il
vincolo della legge Galasso sulla zona in oggetto (per scadenza dei limiti di temporalità
dei PPA e quindi insussistenza della deroga) la trasformazione urbanistica viene ritenuta
legittima, pur in assenza di nulla osta paesistici, in quanto la legge regionale pone una
deroga al vincolo posto dalla legge nazionale.
In sostanza la Cassazione afferma che la legge regionale 30/90 e succ. ha abrogato una
parte della legge nazionale. Infatti senza la legge regionale per la Suprema Corte vi
sarebbe stato il vincolo ed è proprio la legge regionale ad escluderlo.
Tale tesi, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni della deroga nella specie inesistenti, a sommesso avviso di questo giudice appare contraria ai criteri interpretativi logici, letterari, funzionali e costituzionali delle nostre leggi.
Infatti:
Ø sussiste una intima contraddizione nelle affermazioni della Suprema Corte la quale da una parte asserisce che la legge regionale disciplina la materia in maniera più rigorosa e restrittiva, dall'altra ritiene che al momento dell'approvazione del piano di lottizzazione la zona era esente da vincolo in virtù della LR 2/1991;
Ø la motivazione della Cassazione, non da conto dell'iter logico giuridico per il quale è possibile che una deroga inserita in una legge regionale possa valere anche per la legge Galasso. Infatti non si può parlare di una successioni di leggi regionali e nazionali in quanto la Costituzione ha posto ambiti di competenza diverse per la fonte regionale e nazionale; esse regolano materie diverse e pertanto tecnicamente non si può parlare di successione;
Ø sotto il profilo letterale la legge 30/90 in nessun momento prevede una deroga al vincolo di inedificabilità relativo. Basti pensare che all'art.2 parla di non applicazione del divieto di cui all'art. 1; cioè del divieto di inedificabilità assoluto. Mai nella legge si ipotizza una deroga al vincolo di inedificabilità relativo previsto dalla legge Galasso (vincolo che non presuppone un divieto di edificazione ma al contrario un necessario consenso della PA per la verifica della compatibilità della trasformazione con l'ambiente). Anzi al contrario esplicitamente il legislatore regionale ha precisato al comma sesto dell' art. 2 della L.R. 11 Maggio 1990 n. 30 che la realizzazione di tutte le opere è comunque subordinata al rilascio del nulla osta previsto dall'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497 ove le relative aree sono soggette al vincolo paesaggistico di cui alla stessa legge.
Ø sotto il profilo funzionale si deve ribadire quanto ampiamente esposto precedentemente sulla differenza tra i vincoli di inedificabilità assoluti (previsti dalla legge regionale) e i vincoli di inedificabilità relativi che si compenetrano e si rafforzano a vicenda e non certo si elidono (vedi sul punto la chiarezza della sentenza Cass. ,sez. III, 21 gennaio 1997 Volpe+ altri nella quale si evidenzia che l'art. 2 della legge 30/90 rendendo ammissibili alcuni interventi edilizi mutano il vincolo di inedificabilità assoluta in relativa);
Ø sotto il profilo
costituzionale. Infatti, ove si ritenesse che la norma regionale fosse da interpretarsi
come norma derogatoria alla legge Galasso, sarebbe doveroso ed imprescindibile sollevare
la questione della sua costituzionalità. Infatti la Corte Costituzionale ribadendo una
giurisprudenza ormai consolidata ha, con la sentenza del 31 marzo 1994, n. 110 in Foro
it., 1996, I, 1358, , dichiarato incostituzionale l'art. 11, lett. a), l. reg. Piemonte 3
aprile 1989 n. 20, nella parte in cui muta, estendendolo, l'ambito territoriale delle zone
che sono sottratte al vincolo paesaggistico della legge Galasso in base a criteri previsti
dal legislatore statale con norme costituenti principi fondamentali di riforma economico -
sociale. Infatti, motiva la Corte, la predetta legge regionale limita la tutela paesistica
ed ambientale disposta dal legislatore statale con norme dotate di particolare forza
vincolante nei confronti della legislazione regionale, in quanto qualificate come norme
fondamentali di riforma economica - sociale (art. 2 l. n. 431 del 1985) ed alle quali è
da riconoscere tale natura. In ogni caso la questione di costituzionalità ha qui un suo
rilievo perché ove possibili due interpretazioni della norma va preferita quella
costituzionalmente corretta (nella specie quella che esclude deroghe alla legge Galasso
nella specie vedi in termini Cass. 2 aprile 1997, Lima -allegata- in ordine ai rapporti
tra legislazione regionale siciliana e legge Galasso).
Pertanto sorprende la posizione della Cassazione che non ha ritenuto di sollevare la
questione di costituzionalità.
Tale perplessità è condivisa anche in dottrina, laddove nel commento - in verità assai
critico sul punto - alla sentenza in questione, pubblicata su Giurisprudenza Italiana, si
evidenzia che, da un canto la motivazione della S.C. è ineccepibile quando afferma che,
scaduto il PPA senza attuazione, la zona non è né urbanizzata né urbanizzabile, e
conseguentemente i vincoli si riespandono ; d'altro canto la S.C. non si è avveduta di
incorrere in contraddizione, quando poi ha affermato da un lato che il principio generale
regolatore nella successione fra leggi regionali e statali comporta l'abrogazione delle
norme regionali preesistenti incompatibili con quelle statali, nella specie quelle della
legge della Regione Puglia n. 56/80 e dall'altro ha ritenuto che si applichi alla specie
la legge regionale n. 2/91 che disciplina l'esonero dal vincolo in modo divergente dalla
precedente legge Galasso. Onde la decisione in questione ha ritenuto che le norme sui
vincoli paesaggistici e relative esenzioni contenute nella legge Galasso costituiscano
principi fondamentali della legislazione statale e che, in forza di tale inespressa
premessa, le norme di questa legge hanno abrogato le divergenti norme della legge
regionale n. 56/80. Da questa premessa non è stata tratta peraltro la conseguenza
ineluttabile che norme regionali successive divergenti da quella della legge Galasso sono
invalide per contrasto con l'art. 117 Cost.
Analogamente la difesa nel corso del giudizio ha ribadito i medesimi - errati - principi
argomentando che la legge regionale avrebbe riprodotto la legge Galasso, sostituendola ed
in certo senso prestando il consenso ad edificare laddove la legge Galasso aveva posto il
vincolo. Si afferma infatti che la legge Galasso impone il vincolo nelle zone
espressamente indicate ( nella specie nei 300 m. dalla battigia del mare ) , ma tale
vincolo varrebbe solo allorquando non vi fosse il consenso all'edificazione, consenso che
nella specie sarebbe stato prestato dalla legge regionale n. 2/91, unica legge applicabile
alla fattispecie.
Tali principi non si ritengono assolutamente condivisibili per tutte le motivazioni già
ampiamente esposte e per quelle che ci si appresta ad illustrare di seguito , oltre che
per quella - ovvia - che certo alla legge regionale non era stato delegato il potere di
porre nel nulla il vincolo posto dalla legge statale ma solo quello di renderlo ancor più
forte; invece la nostra legge regionale inspiegabilmente, pur inasprendo il vincolo in
questione - come afferma sia la S.C. sia la difesa degli imputati - lo avrebbe in realtà
eliminato dalle coste pugliesi. Tale situazione a dir poco paradossale rende ragione alle
tesi esposte.
Vero è che la possibilità per il legislatore regionale di modificare le previsioni della
legge Galasso è limitata, a giudizio della Corte Costituzionale, ad i soli interventi
ampliativi del vincolo paesaggistico, rimanendo esclusa la possibilità di intaccare con
legge o provvedimento regionale la tutela minimale preordinata dalla legge n. 431/85.
E' quindi suggestivo ma francamente inverosimile ritenere che in forza della L. n.2/91, la
quale trae origine dall'art. 1 ter della legge Galasso che consente alle regioni di
emanare provvedimenti ampliativi del vincolo, possano estendersi i casi di esenzione dal
vincolo paesaggistico oltre i limiti posti dalla stessa legge. Di tal chè il legislatore
regionale pugliese si sarebbe preoccupato, anzichè di rafforzare il vincolo
paesaggistico, di ampliare le ipotesi derogatorie allo stesso vincolo, allo scopo non
legittimo né dichiarato di salvaguardare le iniziative edilizie già programmate.
6.2 .2 Conclusioni
Bisogna quindi verificare se la zona del Lungomare Perotti oggetto della trasformazione urbanistica risulti assoggettata al regime vincolistico introdotto dalla Legge Galasso.
In particolare:
· la zona oggetto di trasformazione si trova nella fascia dei trecento metri dalla battigia del mare e non rientra nelle zone omogenee A, B;
· le lottizzazioni, le concessioni che hanno autorizzato la trasformazione sono state approvate in assenza di un PPA vigente. soprattutto la condotta di trasformazione urbanistica iniziata nel 1995 è stata operata con PPA assente e alla scadenza del PPA vigente all'epoca dei fatti. Infatti il primo PPA, che prevedeva per la maglia in oggetto l'insediamento di attività terziarie, è rimasto in vigore dal 29/12/80 al 29/12/85. Il secondo PPA è rimasto in vigore per il quinquennio 1986-1990. Il terzo PPA è stato adottato ma fino a questo momento non approvato. I piani di lottizzazione n. 141/89 e 151/89 venivano approvati in data 11/05/92 con deliberazione n. 96 e 91. In data 19.01.95, a seguito di istanza presentata dalla Soc. SUD FONDI S.r.l., veniva rilasciata Concessione Edilizia n. 67/92, per la realizzazione dei blocchi A - B ed N. In data 2/10/95 veniva rilasciata concessione edilizia n. 436 alla Soc. M.B. In data 13/7/95 veniva rilasciata concessione edilizia n. 284/93 alla società I. nella persona del legale rappresentante Q. V. Pertanto è evidente che tali atti autorizzatori sono successivi alla decadenza dei PPA;
· non sono stati richiesti e ottenuti i nullaosta paesistici dalla Regione Puglia.
Ricorrono tutti i presupposti per affermare che nella zona vige il vincolo della legge Galasso. Onde la zona è sottoposta ad un divieto edificatorio derogabile solo con un nulla osta paesistico della Regione.
6.3 Il vincolo delle aree limitrofe al Torrente Valenzano dell'art. 1 della legge 8 agosto 1985 n. 431
L'art. 1 lett. c) della legge 431/85 prevede la tutela paesistica della fascia dei 150 metri dalle sponde degli argini dei fiumi, torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al TU 11 dicembre 1933 n. 1775.
Ora in fatto è pacifico:
: la lottizzazione della
S. F. è posta nella fascia dei 150 metri dal Torrente Valenzano (vedi sul punto la terza
consulenza dell'arch. S. faldone 7 pag.8);
: il torrente Valenzano è inserito negli elenchi di cui alle acque pubbliche (vedi Regio
Decreto 12 novembre 1936 allegato alla memoria e planimetrie in atti dalla quale si evince
che il punto di riferimento di inizio del vincolo è Torre Quetta sullo sbocco a mare);
Pertanto, anche se nessuna trasformazione urbanistica è stata operata in quel punto non vi sono dubbi che la sussistenza del vincolo nella zona in oggetto ha diretto effetto sulla procedura di approvazione della lottizzazione in oggetto come si vedrà dopo.
Giova ricordare che, anche seguendo per assurdo il ragionamento della Cassazione, la legge regionale 30/90 nella specie non prevede "deroghe" all'art. 2 della legge stessa.
Inoltre il reato in oggetto, per giurisprudenza costante della Cassazione e della Corte Costituzionale è di pericolo presunto in quanto volto a tutelare la prodromica gestione del bene paesaggio da parte della PA; in sostanza si tratta di un reato di mera disubbidienza. Pertanto esso si realizza a prescindere della corretta qualificazione del bene come paesaggio. Inoltre la definizione di bene di interesse pubblico è operazione di discrezionalità tecnica e quindi non sindacabile dal GO.
6.3.1 Il vincolo della legge regionale n. 30 dell' 11 maggio 1990 e ss. modificazioni
La Regione Puglia ai
sensi dell'art. 1 ter della legge Galasso, in attesa dell'approvazione dei PUTT (in Puglia
non ancora formalmente avvenuta) ha approvato una serie di leggi regionali che si sono
succedute nel tempo creando un divieto di edificabilità per alcune zone.
La legge in argomento, n. 30 del 11 maggio 1990, prevede che "è vietata ogni
modificazione dell'assetto del territorio, nonché qualsiasi opera edilizia fino
all'approvazione dei P.U.TT nei territori costieri compresi in una fascia della
profondità di 300 metri dal confine del demanio marittimo e nei terrritori compresi nella
fascia di 200 metri dal piede dei torrenti classificati pubblici. Tale vincolo creato
dalla regione Puglia in base alla delega avuta dalla legge Galasso è un vincolo assoluto
- quindi non derogabile - temporaneo (ma tuttora vigente poiché i PUTT non sono stati
deliberati) di inedificabilità. Appare evidente che poiché la zona oggetto della
trasformazione urbanistica rientra nei territori sopra detti va affermato che dal 1990,
sotto un profilo paesaggistico, la zona oggetto della trasformazione urbanistica era
interessato da un divieto di edificazione.
6.3.1 Inapplicabilità alla fattispecie delle ipotesi derogatorie al vincolo della legge regionale
La legge 30/90 è stata
reiterata più volte con una serie di modifiche. La legge Regionale 11 febbraio 1991 n.2
ha modificato la legge all'art. 2 prevedendo una deroga al divieto di inedificabilità a
determinate condizioni.
Ribadisce però che le realizzazioni di tutte le opere è comunque subordinato al rilascio
di nulla osta ove soggette al vincolo; in tal senso l'art. 2 trasforma il vincolo di cui
all'art.1 da vincolo di inedificabilità assoluto in relativo. (vedi sul punto la
chiarissima sentenza della Cassazione 21 gennaio 1997 Volpe+ altri).
La deroga al vincolo di inedificabilità assoluto è stata ribadita nelle leggi successive
di proroga del vincolo con alcune lievi modificazioni.
Pertanto analizzando la fattispecie bisogna affermare che non ricorrono le ipotesi derogatorie al vincolo ivi previste.
Infatti le condizioni di queste deroghe sono le seguenti:
· Gli interventi devono essere previsti in strumenti urbanistici esecutivi adottati alla data del 6 giugno 1990. Nella specie, per la patologica procedura con la quale sono state approvate le lottizzazioni certamente si deve ritenere che la lottizzazione adottata al 20/3/90 non è quella formalmente convenzionata. Pertanto nessuna formale adozione si può ritenere esservi stata in ordine alle sostanziali varianti della lottizzazione;
· le aree interessate
risultino incluse nei PPA approvati alla stessa data. Tale condizione non si è verificata
in quanto al momento della approvazione della lottizzazione (11/5/92), dell'emanazione
della concessione e soprattutto all'epoca dell'inizio dei lavori le aree non risultano
incluse in nessun PPA - scaduto nel 1991 e mai rinnovato -. Infatti ogni tipo di
interpretazione letterale, funzionale conduce a ritenere che per esservi la deroga il PPA
doveva essere valido ed efficace fino almeno alla approvazione della lottizzazione e delle
concessioni:
v interpretazione letterale. Ai sensi dell'art. 12 delle preleggi le norme vanno
interpretate secondo il significato proprio delle parole. "a condizione che le aree
interessate risultino incluse nei PPA approvati alla stessa data. " risultino incluse
" è congiuntivo presente, "approvati" è participio passato. Pertanto
sotto un profilo grammaticale l'approvazione dei PPA deve essere stata fatta prima della
data del 6/6/90 mentre gli interventi edilizi devono essere compiuti in aree attualmente
incluse nei PPA.;
v interpretazione funzionale. L'interpretazione letterale trova piena rispondenza nella
interpretazione funzionale. Infatti la diversità dei tempi è rispondente alla
temporaneità degli effetti del PPA che non sopravvivono alla caducazione dello stesso. La
ratio della deroga è chiara: tutelare da una parte l'aspettativa edificatoria del privato
che ha presentato un piano di lottizzazione poi adottato, dall'altra i Comuni nella loro
programmazione edificatoria ed economica mediante i PPA;
v interpretazione restrittiva. trattandosi di norma derogatoria eccezionale deve essere di
stretta interpretazione.
· le aree interessate
siano nelle zone C, nelle aree destinate ad insediamenti turistici, artigianali e
industriali.
Guardando la zonizzazione prevista dal Piano regolatore di Bari la zona in oggetto è
tipizzata come terziario ed è distinta sia dalle zone C sia dagli insediamenti turistici,
artigianali, ed industriali. Zona che ha una sua autonomia, una sua disciplina, una sua
precisa localizzazione. Tale tipizzazione rientra nella discrezionalità tecnica della PA.
Si obietta che la PA è tenuta ad adottare le zone omogenee e quindi la zona terziario è
solamente descrittiva. Ma tale tesi è erronea sotto due profili.
In primo luogo la legge urbanistica (17 agosto 1942 n. 1150) ha previsto all'art. 7 che il
piano regolatore generale deve prevedere la divisione in zone del territorio senza
specificare che esse devono assumere una determinata tipizzazione. Anzi precisa una
differenza tra zone ed aree. L'art. 41 quinquies della predetta legge urbanistica
(modificato dall'art. 17 della l. 6 agosto 1967 n. 765) ha introdotto alcune limitazione
al potere discrezionale dei comuni indicando alcuni standard da rispettare nella
edificazione. Per poter applicare tali standard venne emanato un decreto ministeriale che
prevedeva alcune zone omogenee; ora tale decreto (che inizia "ai sensi e per gli
effetti dell'art. 17 della l. 6 agosto 1967 n. 765") prevede appunto solo a questi
fini degli elementi unitari di riferimento per gli standard ma non impone sicuramente una
tipizzazione delle zone. Infatti anche il riferimento all'interno dell'art. 39 N.T.A. del
dimezzamento degli spazi liberi e autorimesse per gli insediamenti che sono il risultato
di completamento di abitati esistenti e comunque ubicati nelle zone B appare confermativa
di questa tesi. La preoccupazione del Comune è appunto quella che siano comunque
rispettate le misure standard a seconda del contesto. Ma come si può ritenere la zona
terziaria come C se in essa vi è un preciso riferimento ad altra zona (la B). Inoltre è
appena il caso di riferire che gli standard adottati nella specie non sono quelli
dimezzati (quindi siamo al di fuori della zona B o di completamento)
In secondo luogo la descrizione alle quale fa riferimento la legge n. 30/90 (zona c, nelle
aree) è quella già prevista dalla legge regionale 56/80 e dalla legge regionale 12
febbraio 1979 n. 6 nella quale accanto alle zone omogenee (previste dall'art. 5 c. 2 D) n.
1 e 2) prevede la tipizzazione di aree (così come indicato dall'art.7 della legge
Urbanistica) destinate agli insediamenti industriali, artigianali, commerciali direzionali
e turistici (previste dall'art. 5 c. 2 D) n.4). Appare allora evidente che il legislatore
della L. 2 del 91 ha inteso ricomprendere oltre alle zone tipizzate C anche le altre aree
di cui al n. 4 escludendo proprio gli insediamenti commerciali e direzionali. Tale scelta
ha un significato poiché le altezze degli edifici previsti per tali zone può essere
superiore a 45 metri e quindi costituiscono un rilevante impatto ambientale.
6.3.3.Conclusioni
In conclusione vi è violazione della legge Galasso anche in relazione alla legge
regionale n. 30 del 1990 e succ. Infatti la zona in oggetto non rientra nelle ipotesi
derogatorie della legge stessa e pertanto siamo in presenza di un vincolo assoluto seppure
temporaneo che impediva la emanazioni di concessioni edilizie. violazione del vincolo è
punibile per il richiamo che l'art. 1 sexies fa alle norme del presente decreto tra le
quali vi è l'art. 1-ter che delega alle regioni l'indicazione di vincoli paesaggistici
qual è quello della legge regionale n. 30 del 1990.
7. L'INEFFICACIA DELLE CONCESSIONI
1.1 Rapporti tra concessione e nulla osta paesistico
La concessione edilizia è provvedimento distinto ed autonomo rispetto al c.d. nulla osta regionale, con riferimento all'oggetto, ai criteri di valutazione, al procedimento ed alle finalità. In particolare la prima è diretta ad assicurare la corretta gestione del territorio, sotto il profilo dell'uso e della trasformazione complessivamente programmata con visione unitaria e non settoriale da parte dell'amministrazione locale; la seconda invece è volta a salvaguardare il paesaggio, bene protetto in via primaria dalla stessa Carta fondamentale (art. 9), non soltanto sotto l'aspetto estetico - culturale, ma anche di risorsa economica. Infatti l'art. 25 del r.d. 3 giugno 1940 n. 1357 (regolamento di applicazione della l. 29 giugno 1939 n. 1497), disponendo che, "quando sia stato imposto il vincolo, i sindaci non possono concedere licenza se non previo favorevole avviso della soprintendenza, detta soltanto una norma di comportamento per i pubblici amministratori, ma non elimina le caratteristiche proprie dei diversi atti amministrativi. (Cass. pen., sez. fer., 2 agosto 1994 Silvestri)
In ordine al contestato
reato dell'art.20 lett. c) Legge 28/02/1985 N.47 va pertanto ricordato che in materia di
reati edilizi, il prescritto preventivo nulla osta non costituisce una semplice modalità'
esecutiva della concessione, bensi' una condizione di efficacia della stessa. Inoltre in
presenza di un vincolo assoluto vi è carenza di potere assoluta da parte del Comune che
non può autorizzare alcuna trasformazione del territorio vincolato.
7.2 Problematica della disapplicazione della concessione edilizia
Infatti, come di recente
la Cassazione ha più volte ribadito, pur non sussistendo nel nostro ordinamento un
principio generalizzato di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi da parte
del giudice penale, a quest'ultimo deve essere riconosciuto il potere di sindacare la
legittimità dell'atto amministrativo tutte le volte in cui esso è integrativo della
fattispecie penale, oggetto del giudizio. (Cass. pen., sez. V, 12 gennaio 1996, Amendola e
altro, Cass. Pen., 1996, 3455).
In particolare l'interesse protetto dalla l. 28 febbraio 1985 n. 47 deve rinvenirsi in
quello sostanziale alla protezione del territorio in conformità alla normativa
urbanistica. Pertanto, alla luce della sentenza delle sezioni unite 21 dicembre 1993, p.m.
in proc. Borgia e altri, nell'ipotesi in cui si edifichi con concessione edilizia
illegittima, non si discute più di disapplicazione di un atto amministrativo illegittimo
e dei relativi poteri del giudice penale, ma di potere accertativo di detto magistrato
dinanzi ad un atto amministrativo, che costituisce presupposto o elemento costitutivo di
un reato. In tale ipotesi l'esame deve riguardare non l'esistenza ontologica dello stesso,
ma l'integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell'interesse
sostanziale che tale fattispecie assume a tutela (nella specie l'interesse sostanziale
alla tutela del territorio), nella quale gli elementi di natura extrapenale... convergono
organicamente, assumendo un significato descrittivo". Tale potere accertativo non è
limitato solo all'ipotesi di cui all'art. 20 lett. a) l. n. 47 del 1985, ma anche a quelle
previste dalle lettere b) e c), essendo identici i principi ai quali si ispira la citata
pronuncia. (Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 1995, Antonilli, Cass. Pen., 1996, 3455; gli
stessi principi sono inoltre affermati seppure per fattispecie diversa in Cass. pen., sez.
un., 19 giugno 1996, Monterisi, Arch. Nuova Proc. Pen., 1996, 757)
Riepilogando:
· la concessione non poteva essere emanata in presenza di un vincolo di inedificabilità
assoluto previsto dagli artt. 1 ter L. 431/85 e artt. 1 c.2 lett.a) e c) L.R. 30/90, e 51
lett. f) L.R. 31/05/80 n. 56.
· la concessione è stata emanata in mancanza di un piano di lottizzazione valido.
la concessione è stata emanata con un rapporto tra volumetria edificabile e area
disponibile di 5 mc/mq invece di quelle previste per le cd zone bianche, a seguito della
mancata tempestiva approvazione nei cinque anni dello strumento urbanistico di attuazione
(piano particolareggiato o piano particolareggiato quadro) previsto art. 39 delle Norme
Tecniche di Attuazione del P.R.G. Infatti, poiché l'effetto di decadenza dei vincoli
urbanistici di cui all'art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187 è applicabile anche al c. d.
vincolo procedimentale - consistente nella previsione da parte del P.R.G. della previa
approvazione di uno strumento urbanistico attuativo (nella specie, un piano
particolareggiato), diversamente traducendosi la previsione in una indefinita e
incostituzionale compressione del diritto ad edificare - (Cons. Stato (Sez. II), 21
febbraio 1996, n. 2402, Min. ll.pp., Cons. Stato, 1997, I, 448); la decadenza dei vincoli
di p.r.g. dà luogo ad una situazione del tutto peculiare di area edificabile, nei limiti
non altrimenti desumibili se non dall'art. 4 della l. 28 gennaio 1977 n. 10 (limiti propri
dei comuni sforniti di piano generale), ma non equiparabile per il resto ad un'area
localizzata in un comune privo di piano regolatore generale (Cons. Stato (Sez. V), 1
febbraio 1995, n. 163, Soc. Monti S. Paolo Quinta c. Com. Roma e altro, Giust. Civ., 1995,
I, 1686; Cons. Stato (Sez. V), 15 marzo 1991, n. 262, Com. Roma c. Rivetta di Solonghello,
Cons. Stato, 1991, I, 427). Pertanto la zona in oggetto priva del piano particolareggiato
poteva essere edificata, anche in assenza di tale piano, ma solo nei limiti di
edificazione delle cd zone bianche ; limiti ben inferiori a quelli per i quali è stata
consentita l'edificazione in oggetto.
7.3 Il mutamento della sagoma e del prospetto: la violazione dell'art. 20 lett. C) L. 47/85
La nozione di sagoma e prospetto.
In ordine alla contestazione di cui al capo D) e' opportuno soffermarsi sulla nozione di sagoma e prospetto così come elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina amministrativa. Esclusa una nozione di sagoma come figura solida e ritenuta problematica la sua identificazione con il concetto di prospetto per l'omessa ripetizione del termine contenuto nell'art. 26 L. 47/85; si deve affermare che la sagoma attiene alla conformazione planovolumetrica della costruzione ed al suo perimetro inteso sia in senso verticale sia orizzontale, mentre il prospetto si riferisce alla relativa superficie; pertanto, la sagoma di una costruzione concerne il contorno che viene ad assumere l'edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti non rientrano nella nozione di sagoma e sono sottoposte al regime delle c.d. varianti in corso d'opera (V. in ultimo Cass., sez. III, 12-05-1994, Soprani)
La variazione della sagoma in zona vincolata
Definito il concetto di sagoma bisogna verificare una variazione di sagoma non autorizzata che non comporti la creazione di nuove volumetrie o la realizzazione di un nuovo organismo edilizio in zona sottoposta a vincolo quali effetti sanzionatori comporta. L'art. 15 della legge 47/85 definisce la categoria delle varianti in corso d'opera - depenalizzando sostanzialmente le stesse - quali quelle che tra l'altro non comportano modifiche della sagoma. D'altra parte gli artt. 7 e 8 della medesima legge definiscono le variazioni essenziali e la totale difformità in rapporto alla creazione di nuove volumetrie o la realizzazione di un nuovo organismo edilizio. Pertanto la predetta variazione di sagoma rientra nell'ipotesi residuale di parziali difformità. Ora l'art. 8 citato all'ultimo comma afferma che tutti gli interventi che non siano caratterizzati dalle ipotesi di cui al 1° co del medesimo articolo (variazioni essenziali) "sono considerati variazioni essenziali" se posti su immobili siti in zona vincolata. Pertanto le parziali difformità dalla concessione edilizia dell'immobile sito in zona vincolata deve essere considerato quale intervento in variazione essenziale. Ebbene l'art. 20 lett. C) della stessa legge punisce gli interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo paesistico ambientale in variazione essenziale. D'altra parte tale tesi non è in contrasto con quanto affermato anche di recente dalla Cassazione (Sez. III, 13 novembre 1995 n. 11085, Romano), che affronta la diversa tematica della difformità della costruzione dall'autorizzazione paesistica nella specie inesistente.
La variazione della sagoma nei corpi A) B) della concessione edilizia 67/92 del 19/01/95
In data 14.12.95 (All. n. 28 rapporto della Polizia Municipale) veniva presentata dall'Ing. M. M., comunicazione di variante in corso d'opera alla Concessione Edilizia. Tale variante consisteva nell'esecuzione di un cavedio per ogni vano scala dei blocchi A. Nella relazione tecnica redatta dalla parte ed allegata alla comunicazione, si legge: "la suddetta variante, sebbene concorra ad una lieve modifica prospettica di una porzione di fabbricato, non è da considerarsi sostanziale e di pregiudizio per la destinazione d'uso, la categoria edilizia e le prescrizioni contenute nella concessione edilizia innanzi citata".
Rileva il consulente (p. 36-37 consulenza Schiavoni) che:
Tale istanza riguarda l'inserimento di un cavedio (volume tecnico) per ogni corpo scala del blocco A. Si fa osservare comunque che in sede di rilievo tali cavedi sono stati riscontrati sia nel BLOCCO A, che nel BLOCCO B. Oltre tale variante è stata consegnata allo scrivente una denuncia di inizio di attività ai sensi del DL 24/01/96 n. 30 presentata in data 29/02/96. Tale pratica in oggetto fa riferimento "all'art. 9 comma 7 lettera e". Rifacendosi al D.L: gli interessati comunicano di aver apportato varianti al progetto di cui alla concessione edilizia 67/92 del 19/01/95 e aggiungono: "In particolare trattasi di diminuzioni delle superfici destinate a balconi; riduzioni della superficie finestrata dei vani scala." In effetti in tale pratica si riconformano i balconi come profilo, come entità d'aggetto e quindi come superficie d'ingombro rispetto a quanto riscontrato sul posto. Inoltre si inseriscono anche i cavedi corpo scala menzionati nella variante di cui al punto precedente. Si adegua la variazione della finestratura del corpo scala. Si adeguano a quanto rilevato sul posto le posizioni e le dimensioni di alcuni pilastri, con particolare riguardo nei confronti di quelli posti perimetralmente. Preme far osservare che in fase di verifica di tale variante si è notato al primo piano anche la modifica della posizione di quattro tratti delle tamponature esterne. Tale variazione consiste nello slittamento di circa 70 cm. verso l'interno di altre due pareti. Se da un lato si incrementa la superficie interna, dall'altro si cede superficie interna andando complessivamente ad equivalere il dato iniziale. Sul prospetto nord-est della stessa variante inoltre non viene riproposto il timpano che altrimenti era previsto nell'elaborato di prospetto assentito. Queste ultime due variazioni pur se esistenti graficamente negli elaborati non vengono menzionate nella relazione allegata alla stessa variante in corso d'opera."
Da tali osservazioni (corroborate da precise e puntuali rilevazioni grafiche v. pag.37 e segg.) si può ben affermare che le variazioni effettuate, abbiano comportato modifiche alle strutture perimetrali mediante modifica degli aggetti e degli sporti. Basti osservare che la modifica dei balconi provoca una modifica dello sporto e quindi del contorno orizzontale dell'edificio. Pertanto si è compiuta una trasformazione edilizia non regolarmente consentita (cioè mediante concessione e relativo nulla osta paesistico) in quanto modifica della sagoma dell'edificio.
L'inapplicabilità, per la variante in oggetto, del DL 24/01/96 n. 30
L'invocato decreto legge (convertito in legge con la finanziaria del 1996) quali ipotesi derogatoria della necessità di munirsi di concessione edilizia per la variante in oggetto è inapplicabile alla fattispecie poiché:
· il decreto esclude la procedura semplificata nelle ipotesi di zone vincolate come nella specie;
· vi è stata una variazione di sagome e rilevante di prospetto che esclude le ipotesi di legge (V. sul punto Cass., sez. III, 4 ottobre 1995, Nicoletti che precisa il ristretto ambito delle varianti ipotizzate dal decreto legge).
Conclusioni
In relazione alle concessioni edilizie di cui alla lottizzazione 141 vi sono state delle
variazioni degli sporti tali da configurarsi come variazioni di sagoma in zona vincolata.
8.VIOLAZIONE DI CUI ALL'ART. 734 c.p. ED IL DANNO AMBIENTALE
In ordine alla contestata
violazione dell'art. 734 c.p. va ricordato che è pacifico in giurisprudenza che è
riservato esclusivamente al giudice penale accertare se in concreto l'opera eseguita abbia
distrutto o danneggiato bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, a nulla
rilevando l'avvenuto conseguimento dell'autorizzazione amministrativa. (Cass. , sez. II,
04-12-1989, Montuoso, Cass. pen., 1991, I, 1560).
Altrettanto pacifico è che trattasi di un reato di danno per il quale occorre fornire la
prova del concreto danno ambientale posto dall'opera edilizia. In particolare per definire
il concetto di <bellezza naturale> impiegato dall'art. 734 c. p. non può farsi
esclusivo riferimento alla l. 29 giugno 1939, n. 1497; ed invero la formula della norma
incriminatrice deve essere riletta alla luce dei principi costituzionali, nel senso che la
tutela penale da essa predisposta non ha per oggetto solo le menomazioni permanenti al
c.d. gusto estetico, bensì ha per oggetto tutte le distruzioni dell'ambiente, in tutte le
sue componenti essenziali (Cass. pen. , sez. II, 19 settembre 1990, Zanni, Cass. Pen. ,
1992, 59)
Il danno ambientale, nella fattispecie è enorme in quanto incide su uno dei beni più
preziosi per la città di Bari qual'è il suo Lungomare.
Ciò si evince non solo dalla mera valutazione visiva della documentazione fotografica
acquisita in atti, ma anche attraverso la relazione preliminare del consulente prof. D. B.
La consulenza con metodologia appropriate di studiosi internazionale fatte proprie anche
dal in riferimento all'allegato I ("Componenti e Fattori Ambientali") del
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27.12.1988 ha ritenuto, quanto
all'impatto ambientale degli interventi urbanistico - edilizi proposti, approvati dal
Comune di Bari, e già in parte in esecuzione, che :
(i) gli interventi insistano in sito a elevata articolazione di ecosistemi, anche avendo
considerazione per la preesistenza di trasformazione antropica e urbanizzazione;
(ii) gli impatti vadano valutati rispetto a una completa serie di componenti ambientali,
al di là della mera componente paesaggistica;
(iii) gli interventi proposti, approvati e in parte in esecuzione esplichino un'articolata
gamma di impatti ambientali, in estensione sia locale che allargata, tra i quali
particolarmente rilevanti (severi e a volte forti) appaiono quelli sull'atmosfera
(modifica fisico - chimica), la fauna, l'ecosistema costiero, la salute pubblica, il
paesaggio, mentre impatti di secondo livello, comunque significativi (apprezzabili)
possono stimarsi per l'atmosfera (umidità, vento), l'ambiente idrico (falda idrica
sotterranea), il suolo e sottosuolo (pedologia), l'ecosistema terrestre, l'ecosistema
fluviale, il rumore;
(iv) che gli impatti siano stimabili come generalmente detrimentali delle risorse
ambientali (negativi) e irreversibili nell'arco presumibile di vita degli interventi dove
non si ipotizzino radicali alterazioni delle condizioni di assetto e uso (per esempio
radicali alterazioni delle forme di mobilità o di riscaldamento).
Inoltre sussiste un impatto negativo di tipo percettivo - visivo severo in dimensione
locale e forte in dimensione di quartiere e urbana per l'alterazione indotta dai cospicui
volumi edilizi (per altezza, lunghezza, larghezza) - peraltro ancora più rilevanti di
quanto appaia dalle cifre riportate nei progetti a causa del mancato computo delle parti
anche assai estese riservate a parcheggi e a "connettivi" coperti- sugli assetti
storicamente assunti dal paesaggio costiero della fascia lungomare della città di Bari,
nella transizione tra "natura" (la costa a sud est della città) e
"costruzione" (il lungomare "monumentale" realizzato negli anni 1930,
la città nel suo complesso), rispetto a punti di visione prospettici ubicati a ovest,
est, e anche nord (vista da mare), dell'intervento in discussione, parzialmente
reversibile (irreversibile per le alterazioni delle componenti naturali di cui ai
precedenti impatti.
Ed ancora un impatto negativo storico-culturale e testimoniale apprezzabile in dimensione
locale e severo in dimensione di quartiere e urbana per l'alterazione precedente.
Importante è sul punto l'opinione della Mininni, incaricata dell'analisi paesistica del
Progetto di Difesa, Recupero e Fruibilità della Fascia Costiera del Comune di Bari. Parco
Urbano sul Lungomare Perotti (Regione Puglia, legge regionale n. 7/1987), che rileva per
l'area interessata dall'intervento in discussione, denominata "costa - lido
Marzulli", due ambiti: un ambito costiero costituito da materiale di riporto e da
macchia sporadica; un ambito costiero urbanizzato con piccola spiaggia di sabbia, dune
frangivento e macchia di tamerice. Sempre la Mininni per la fascia costiera "costa -
lido Marzulli" si esprime per un "ambito di visione aperto verso il mare e verso
la costa, lettura dello sky - line della città e delle emergenze monumentali, visione
notturna del lungomare illuminato". A proposito dell'importanza paesaggistica
dell'impatto visuale in aree costiere C. Zoppi (Aree Protette Marine e Costiere. Questioni
di Pianificazione del Territorio, Roma, Gangemi, 1993) rileva, richiamando il lavoro di J.
F. Wohlwill ("The Visual Impact of Development in Coastal Zone Areas", CZMJ 9,
1987, pp. 225-248), peraltro, come non si tratti di una questione estetica ma di
manifestazione della salute del paesaggio quale modo di presentarsi ai sensi da parte
dell'ambiente.
9. ABUSIVITA' DELLE LOTTIZZAZIONI
9.1 Lottizzazione edilizia abusiva: premessa giuridica
Lottizzazione edilizia abusiva: l'interpretazione letterale dell'art. 18 L.47/85
Nonostante i contrasti
interpretativi creatisi attorno alle norme contestate al relativo capo di imputazione non
consentano di rimanere ancorati al testo della legge, tuttavia non può prescindersi dalla
preliminare analisi del dato normativo - letterale.
Le forme di lottizzazione abusiva previste dall'art. 18 L. 28/2/85 n. 47 sono suscettibili
di varie classificazioni ma quella più accreditata dalla giurisprudenza e dalla dottrina
distingue una lottizzazione cd. materiale ed una lottizzazione cd. negoziale: premessa
questa summa divisio ed estromesse dall'indagine le ipotesi riconducibili alla
lottizzazione negoziale che non attengono al caso di specie, può immediatamente
accentrarsi l'attenzione sulle forme di lottizzazione materiale.
La prima forma, quella, per così dire, più scontata è la lottizzazione materiale senza
autorizzazione da parte della P.A.: trattasi dell'ipotesi del frazionamento di un fondo in
lotti di dimensioni che ne consentano l'edificazione e la conseguente realizzazione di
manufatti o di opere di urbanizzazione o soltanto di lavori preparatori alla edificazione
di manufatti (es. sbancamenti ), senza la prescritta autorizzazione da parte della P.A.
senza che, cioè, la P.A. sia investita della vicenda lottizzatoria per valutarne la
legittimità sotto il profilo della rispondenza agli strumenti urbanistici e alle leggi e,
naturalmente, per avanzare le proprie pretese in sede di convenzione ed ottenere un
ritorno in termini di opere pubbliche ed altri vantaggi di pubblico interesse.
La seconda forma, quella che attiene al caso di specie, trova proprio nella lettera della
legge la migliore esposizione:
" Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali".
In questo caso la
prospettazione dell'illecito prescinde dalla esistenza di una autorizzazione che potrebbe
esserci o meno, e si esaurisce nella contrarietà della lottizzazione alle previsioni
della legge o degli strumenti urbanistici.
A ben vedere la precisa elencazione del legislatore che antepone nella prima parte del
primo comma dell'art. 18 L.47/85, l'ipotesi della contrarietà della lottizzazione alle
previsioni di piano e di legge a quella dell'assenza di autorizzazione o per meglio dire
espone l'ipotesi della contrarietà dell'autorizzazione alle previsioni di piano e di
legge utilizzando una disgiuntiva rispetto a quella dell'assenza di autorizzazione, non
può rimanere senza significato. Il legislatore, infatti, sotto il profilo concettuale
ritiene le due lottizzazioni materiali certamente distinte ed autonome: l'una non include
l'altra ed entrambe hanno un ambito di previsione diverso senza alcuna forma di
interferenza. Secondo la fattispecie in astratto, la lottizzazione del tipo di quella
contestata, quella cioè contraria ai piani urbanistici o alle leggi, prescinde dalla
eventuale esistenza di un'autorizzazione a lottizzare rilasciata dalla P.A.; per cui se
tale autorizzazione manchi, si tratterà fondamentalmente di una lottizzazione contraria
ai piani e alle leggi e l'assenza dell'autorizzazione non sarà, sotto il profilo
concettuale assorbente rispetto ad essa; se, invece, l'autorizzazione vi sia, allora
ugualmente si tratterà fondamentalmente di una lottizzazione contraria ai piani e alle
leggi e, pertanto, abusiva per questa ragione e la constatazione successiva della presenza
di un'autorizzazione fatalmente in violazione di leggi e piani non sposterà l'ottica
dell'interprete, non creerà problemi di disapplicazione di atti amministrativi. Certo
nella ipotesi in cui manchi l'autorizzazione della P.A., è più semplice l' accertamento
della fattispecie di reato in tutti i suoi estremi (quanto meno con riferimento
all'elemento materiale). Al contrario allorquando l'atto autorizzatorio esista, si impone
all'interprete l'indagine ulteriore circa la corrispondenza tra quanto realizzato e quanto
previsto dalle leggi e dai piani.
9.2 Lottizzazione edilizia abusiva: l'evoluzione della giurisprudenza
Fatta questa premessa, la
tesi dell'autonomia strutturale di quest'ultima ipotesi criminosa rispetto alle altre
ipotesi di lottizzazioni abusive, trova oggi il conforto, come si dirà, della
giurisprudenza di legittimità; prima, però, di effettuare questo riscontro, occorre
esaminare le tappe attraverso le quali si è evoluta la discussione in dottrina e
giurisprudenza nel corso del tempo.
Inizialmente la tentazione di correlare l'ipotesi dell'autorizzazione a lottizzare
illegittima con quella della concessione ad edificare illegittima era forte ed il
conseguente e forse frettoloso parallelo finì per attribuire ad entrambi gli atti
amministrativi la medesima valenza penale nell'ambito dell'annosa questione del rapporto
tra giudice penale e Pubblica Amministrazione.
In verità la discussione si animava attorno alla figura della concessione ad edificare
illegittima, se questa comportasse l'integrazione della fattispecie di reato di cui
all'art. 20 lett. b L.47/85 . Senza, naturalmente, riproporre le coordinate della
complessa problematica della c.d. disapplicazione in peius della concessione edilizia e
della portata degli artt. 4 e 5 L. n. 2248 del 1865 All. E, si ricorderà unicamente la
ormai nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 31 gennaio 1987 che riconobbe
il potere di disapplicazione della concessione edilizia illegittima da parte del giudice
penale solo allorquando questo fosse il prodotto di comportamenti illeciti dei pubblici
amministratori. Solo in questo caso, si diceva, l'atto amministrativo illegittimo (nella
fattispecie la concessione edilizia) sarebbe radicalmente nullo, rectius inesistente, e
pertanto sarebbe perfettamente integrata la fattispecie criminosa di cui alla lett. b)
dell'art. 20 L. 47/85 che sanziona l'ipotesi di edificazione di manufatto o comunque di
inizio di opere edilizie senza concessione edilizia.
Questa impostazione, acriticamente trasposta nell'ambito della fattispecie criminosa della
lottizzazione abusiva di cui al combinato disposto degli artt. 18 e 20 lett. c L.47/85,
ispirò la nota sentenza Ligresti - Cass. Sez. III 8/5/91 secondo la quale " Il reato
di lottizzazione abusiva dei terreni si realizza solo se la attività lottizzatoria sia
abusiva e l'abusività è esclusa ogni qual volta la lottizzazione sia autorizzata
dall'autorità competente, senza che sia consentito al giudice penale di disapplicare
l'atto autorizzatorio, a meno che esso non sia inesistente o invalido."
In entrambi i casi, dunque, la presenza di un atto ampliativo della P.A. ( concessione ad
edificare o autorizzazione a lottizzare) avrebbe escluso la fattispecie criminosa a meno
che l'atto stesso non fosse da considerarsi inesistente e dunque l'attività non fosse da
considerarsi realizzata senza atto ampliativo della P.A. Questo parallelo ed il
recepimento in materia di lottizzazione delle argomentazioni già svolte con riferimento
alla concessione edilizia portò, d'altro canto, i giudici di legittimità a configurare
il reato di lottizzazione abusiva nell'ipotesi di totale difformità della trasformazione
urbanistica o edilizia rispetto all'autorizzazione così inquadrando questa ipotesi
(difformità totale) in schemi già noti e sperimentati in tema di opere eseguite in
totale difformità dalla concessione edilizia (Cass. sez III 15/5/91, La Pira ed altro).
Sin da allora, però, non mancò chi colse l'inopportunità di un accostamento così
frettoloso ed indiscriminato tra le due ipotesi di illegittimità del provvedimento della
PA. Nel primo caso, infatti, più o meno giustificata poteva essere l'impostazione della
problematica in considerazione della lettera dell'art. 20 lett. b L.47/85 che prevede
l'ipotesi dell'edificazione in assenza di concessione e non dell'edificazione in presenza
di concessione illegittima perché emanata in violazione di leggi o strumenti urbanistici:
il divieto per il giudice penale di sanzionare ai sensi dell'art. 20 lett. b L 47/85 chi
avesse edificato in presenza di una concessione in contrasto con leggi e piani
urbanistici, trovava fondamento nel principio di legalità e quello per il giudice penale
di disapplicare l'atto illegittimo, nei principi generali dei rapporti tra potere
giudiziario e potere esecutivo.
Al contrario l'ipotesi della lottizzazione abusiva perché, sia pure in presenza di
relativa autorizzazione, contraria a leggi o strumenti urbanistici, è dall'art. 18 L.
47/85, come visto, espressamente prevista ed il meccanismo interpretativo volto a
ricondurla, insieme a quella precedente, nello stesso novero, avrebbe pure, per motivi
opposti, violato il principio di legalità in quanto avrebbe dato luogo ad una
interpretazione parzialmente abrogante dello stesso articolo.
Così in Cass. 8/3/89, Greco, secondo cui non può sostenersi l'impossibilità della
configurazione del reato di lottizzazione abusiva in seguito ad autorizzazione illegittima
perché in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici per il sol fatto che
siano state rilasciate "regolari concessioni edilizie" in quanto " in tema
di lottizzazione abusiva il rilascio di una pluralità di concessioni edilizie nella zona
interessata non rende lecita un'attività che tale non è ed il cui accertamento è
istituzionalmente riservato all'autorità giudiziaria: la concessione infatti non ha una
funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell'uso del territorio".
Successivamente la discussione che in dottrina e giurisprudenza andava animandosi attorno
alla figura della concessione edilizia illegittima ebbe una interessante evoluzione in
quanto si intuì che fosse più corretto far gravitare questa figura attorno alla lett. a)
dell'art.20 L 47/85 sganciandola definitivamente dalla lett.b) dello stesso articolo e
dall'idea della disapplicazione dell'atto amministrativo da parte del giudice penale. La
Cassazione affermò ripetutamente che nell'ipotesi di rilascio di concessione illegittima,
le inosservanze delle leggi e degli strumenti urbanistici avrebbero acquistato rilevanza
secondo il disposto della lett.a) art. 20 L 47/85 costituente l'unica ipotesi di reato
compatibile con la sussistenza della concessione edilizia illegittima ancorché lecita,
senza che il detto controllo di legittimità esercitato dal giudice penale comportasse
alcuna disapplicazione della concessione illegittima stessa. In altri termini, al fine di
dare rilevanza penale all'ipotesi in parola, si ritenne che non fosse più necessario
prospettare la strada della disapplicazione dell'atto che consentisse di contestare
l'ipotesi della mancanza dell'atto stesso ai sensi della lett. B L 47/85 (anche per le
obiezioni evidenziate in punto di diritto dalle sezioni unite della Cassazione), ma che
fosse più corretto lasciare in vita la concessione illegittima e sanzionare l'agente ai
sensi della fattispecie di cui alla lett. a) suddetta che espressamente prevede l'ipotesi
dell'opera edilizia che ancorché concessa fosse realizzata in violazione di leggi o
strumenti urbanistici (Cass. sez.III 13/10/92 Stefanini ed altri; Cass. sez. unite
12/11/93 Borgia). L'errore d'impostazione era dato dal voler estendere genericamente il
principio della disapplicazione a tutti i casi in cui nella fattispecie di reato sia
previsto un atto amministrativo ed in particolare a quelli in cui il comportamento del
privato debba essere previamente autorizzato dall'organo pubblico. Al contrario il giudice
penale potrà valutare la legittimità del provvedimento ai fini dell'accertamento del
reato solo se l'elemento "legittimità" rientri nella descrizione tipica della
fattispecie: certamente, però, non dovrà far ricorso alla disapplicazione, attraverso un
accertamento incidentale, in quanto è la stessa descrizione normativa del reato che
impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare
la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo.
Questa evoluzione della problematica inerente la valenza penale della concessione edilizia
illegittima consentì di inquadrare diversamente anche la figura della autorizzazione a
lottizzare illegittima. Anche in questo caso infatti emerse l'inopportunità di ricorrere
a figure così controverse come quella della disapplicazione dell'autorizzazione in quanto
l'ipotesi era prevista dalla lettera dell'art. 18 L.47/85 che consentiva, lungi dal
disapplicare l'atto, di sanzionare chi avesse lottizzato in violazione di piani o leggi.
Emerse, finalmente, l'inopportunità di mantenere agganciate le due figure anche perché
la concessione edilizia illegittima è riconducile ad una norma (lett. a art.20) diversa
rispetto a quella che contempla l'ipotesi della mancanza di concessione (lett. b art 20)
con una sostanziale differenza in termini di pena; al contrario le ipotesi di
autorizzazione a lottizzare illegittima e di assenza di autorizzazione a lottizzare sono
previste entrambe dal combinato disposto degli artt. 18 e 20 lett. c) L 47/85 e pertanto
con una previsione edittale di pena identica.
La giurisprudenza di legittimità naturalmente ha recepito tali evoluzioni ed anzi le ha
promosse così superando le impostazioni come visto lacunose della sentenza Ligresti sopra
citata e pervenendo a conclusioni completamente diverse e più consone alla lettera della
legge: "Il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo
realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione (approvazione del piano di
lottizzazione), sia per contrasto della stessa con le prescrizioni degli strumenti
urbanistici; sicchè non può obbiettarsi la non prospettabilità del reato de quo laddove
sussista un piano di lottizzazione approvato, ma possa per contro affermarsi la
contrarietà dello stesso agli strumenti urbanistici sovraordinati" (Cass. sez. III
16/11/95, Pellicani).
Per completezza di quadro è opportuno citare l'altra ipotesi di reato edilizio di natura
non formale in cui, alla stregua delle due figure finora esaminate, l'evento è costituito
non dal semplice costruire o lottizzare senza titolo ma dalla lesione in concreto degli
interessi urbanistici: l'art. 8 della L. n.94/82 nel prevedere la c.d. concessione
edilizia tacita, dichiara espressamente applicabile la sanzione penale dell'art. 17
L.10/77 anche ai casi di opere autorizzate tacitamente ma in contrasto con gli strumenti
urbanistici. La lett. a) dell'art.20 L 47/85 con riferimento alla concessione edilizia,
l'art. 8 L 94/82 con riferimento alla concessione edilizia tacita, gli artt.18 e 20 lett.
c) L 47/85 con riferimento alla lottizzazione edilizia, sono le tre ipotesi in cui è
consentito al giudice penale, dal legislatore, di valutare in concreto se l'opera
determini una lesione degli interessi urbanistici e di condannare anche chi costruisca in
base ad atto ritenuto illegittimo.
Dunque la lettera delle norme esaminate è univoca e importa la conclusione che il
contrasto della autorizzazione a lottizzare con leggi e strumenti urbanistici integri una
fattispecie criminosa assolutamente autonoma rispetto alle altre forme di lottizzazione
abusiva.
9.3 Lottizzazione edilizia abusiva: interpretazione funzionale
Tenendo fede alle
premesse, d'ora in poi, però, si cercherà conferma di queste conclusioni su un piano
interpretativo diverso da quello più strettamente legato alla lettera della norma, con
l'intento di enucleare la cd. funzione della norma e fugare, così, i dubbi residuali, ove
pure ve ne fossero, all'esito della prima tipologia interpretativa. Allorquando si
contrappongano interpretazioni diverse della stessa norma penale, infatti, diviene
risolutivo trarre dall'ombra il cd. bene - interesse che sottende alla norma stessa e che
consente di renderla viva alla luce della volontà del legislatore.
Sotto il pieno vigore della legge Bucalossi, L n. 10/77, e prima dell'emanazione della
L.47/85 si riteneva che l'interesse pubblico tutelato dalla normativa urbanistica fosse
quello di sottoporre l'attività edilizia al preventivo controllo della P.A. e non quello
dell'osservanza delle norme di diritto sostanziale che disciplinano l'attività edilizia
tant'è che il reato sussisteva anche nell'ipotesi in cui il privato, pur costruendo nel
pieno rispetto delle norme sostanziali non avesse chiesto la concessione. Le più
importanti innovazioni introdotte dalla L. 47/85 riguardano la natura del bene - interesse
tutelato dalla normativa. A prima vista l'art. 20 di questa legge sembra abbia lasciato
immutato il contenuto del corrispondente art. 17 della legge Bucalossi inasprendo solo le
sanzioni; un più attento esame della disciplina dell'85 però, consente di cogliere il
nuovo contenuto precettivo che emerge dal combinato disposto degli artt. 6 e 20 lett.a) e
da quello , come visto, degli artt.18 e 20 lett. c) e che consiste nell'obbligo per i
titolari di concessione o autorizzazione, i committenti ed i costruttori, di controllare
la conformità delle opere o dell'intera lottizzazione alla normativa urbanistica ed alle
previsioni di piano; ciò perché "l'interesse protetto non è più soltanto quello
di assicurare che la modifica del territorio avvenga sotto il controllo della PA ma che
tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al programmato assetto urbanistico poiché il
rilascio della concessione edilizia è subordinato all'indagine di conformità ai piani
regolatori e alla normativa urbanistica in genere" Cass. sez. III 13/3/87, Ginevoli e
altri.
Anche l'introduzione dell'istituto della concessione in sanatoria si inquadra in questa
ottica in quanto se precedentemente l'interesse pubblico si considerava conseguito per il
sol fatto che l'interessato avesse preventivamente attivato l'organo pubblico chiedendo la
concessione prima dell'inizio dei lavori e il mancato rilascio forniva una presunzione
assoluta di contrasto dell'opera con la normativa e gli interessi urbanistici, oggi
l'illecito può essere eliminato per effetto di un controllo postumo dell'autorità
comunale che riscontri la conformità dell'opera agli strumenti urbanistici (cfr. Cass.
sez III 15/10/88 n. 1720, Maglione e soprattutto Corte Costituz. n. 370 del 23/3/88
secondo cui la sanatoria viene concessa previo accertamento dell'intrinseca
"giustizia" sostanziale delle opere che comporta inesistenza del danno
urbanistico).
Si spiega allora anche sotto il profilo funzionale, alla luce cioè del duplice bene
interesse tutelato dalla normativa, la figura criminosa della lottizzazione abusiva
perché in contrasto con gli strumenti urbanistici: essa ha ragion d'essere in quanto se
pure lascia impregiudicato il bene interesse della riserva in mano pubblica della gestione
del territorio e della programmazione urbanistica in quanto è pur sempre la PA che
rilascia l'atto, comporta invece l'effettiva lesione dell'ordinato assetto del territorio
medesimo che costituisce l'altro bene interesse tutelato dalla norma.
9.4 La lottizzazione abusiva: considerazioni in fatto
La violazione degli artt. 21 e 27 della legge regionale n. 56/80
Fatta questa premessa in
punto di diritto occorre individuare in fatto le violazioni che rendono illegittime le
lottizzazioni in questione.
La vicenda, come s'è visto, è complessa e può essere colta, nell'ottica che ci
interessa, solo nella sua interezza: alcune delle violazioni non interessano una fase o un
atto del procedimento ma emergono dal contrasto della normativa o degli strumenti
urbanistici con gli effetti finali di tutta la storia delle lottizzazioni così come si
evince dalla consulenza dell'ing. Ferri che qui si richiama.
In altra parte di questo provvedimento è stata rappresentata la violazione degli artt. 21
e 27 della legge regionale n. 56/80 (cfr. par. 2.1.1) che vizia le lottizzazioni alla
radice. La estromissione dell'organo regionale, che per legge è deputato a rilasciare un
parere vincolante, dalla procedura di adozione e approvazione del piano di lottizzazione,
rende la lottizzazione stessa illegittima ed abusiva.
Si è già visto come la stessa Cassazione abbia richiamato la necessità del parere del
C.U.R. in zone di particolare valenza paesistica come la nostra (Cass.7/6/94 n.1822).
In questa sede è solo il caso di fugare dubbi, ove pure ve ne fossero, circa la
sussistenza di un concorso di reati essendo stata questa grave forma di omissione già
contestata con riferimento alla violazione della legge Galasso. Trattasi infatti di beni -
interessi completamente diversi atteso che la violazione del vincolo con riferimento alla
legge Galasso attiene più propriamente all'aspetto paesistico ambientale la cui gestione
è rimessa anche nelle mani dell'organo regionale; al contrario la violazione della legge
regionale con riferimento alla L.47/85 (art.20 lett.c- lottizzazione abusiva) attiene ai
beni del corretto assetto del territorio (bene più tipicamente urbanistico che
ambientale) e della riserva in mano pubblica della pianificazione urbanistica. Anche con
riferimento a questo secondo aspetto è facile intuire che se il legislatore ha stabilito
che in determinate ipotesi i piani di lottizzazione debbano essere sottoposti al vaglio
dell'autorità regionale, l'omissione di tale passaggio esautora un organo della PA (la
Regione) della sua potestà di pianificazione del territorio.
D'altro canto forme di concorso di questo genere ne incontriamo anche in ipotesi di
manufatto abusivo realizzato in zona paesisticamente tutelata: anche qui l'ipotesi della
violazione della legge Galasso è autonoma ed indipendente da quella prevista dall'art.20
L. 47/85 (assenza di concessione) e con essa concorre. Cass. Sez III 24/10/95n.10557 e
molte altre.
La procedura illegittima di varianti alle lottizzazioni: violazione degli artt. 39 e 59 delle n.t.a. del p.r.g. di Bari e degli artt. 1 e 2 della l. R. N.30/90 e successive modifiche.
Dopo il primo progetto di
lottizzazione del 1979, il Comune di Bari ha proceduto, con delibere del 20-3-1990 ad
adottare n. 2 Piani di Lottizzazione ( individuati con il n. 141/87 e n. 151/89 ),
relativi a due complementari porzioni in cui veniva suddivisa maglia urbanistica.
La lottizzazione n. 141/87, facente capo alla "S. F." s.r.l., venne adottata con
deliberazione n. 1042 del 20-3-1990, e riguarda la porzione terminale di maglia posta a
ridosso del Torrente Valenzano, ed ha una superficie complessiva di gran lunga superiore
ai mq. 50.000 richiesti dalla norma (mq. 58.410 ? o mq. 59.761 ? ).
La lottizzazione n. 151/89, presentata in un primo momento a nome della sola s.r.l.
"A.", venne adottata con deliberazione n. 1034, sempre in pari data, riguarda la
parte posta tra la precedente lottizzazione ed il prolungamento del viale Magna Grecia, ed
ha una superficie complessiva inferiore ai 50.000 mq. richiesti dalla norma ( mq.41.885
circa) .
Poiché gli elaborati della lottizzazione A. oggetto di adozione vennero presentati prima
di quelli della SUD FONDI, e vieppiù la stessa lottizzazione ( con delibera n. 1034)
venne presa in considerazione dal Consiglio Comunale prima della lottizzazione S. F.
(delibera n. 1042), la stessa non doveva essere adottata, ma avrebbe dovuto essere
respinta, in quanto non veniva soddisfatto il rispetto della superficie minima
lottizzabile, così come prescritto dall'art. 39 delle N.T.A. del P.R.G. di Bari.
Probabilmente invece, il Comune di Bari, ha ritenuto che gli elaborati che si adottavano
fossero il risultato di rielaborazioni di precedenti progetti (pur respinti o non
adottati), ha cioè ritenuto che le due lottizzazioni "rielaborate", una
complementare dell'altra, fossero comunque in "prosecuzione" di procedimenti
amministrativi già avviati, sicchè non ha tenuto in conto tale (irregolare) situazione
rinveniente dalle ultime date di presentazione degli ultimi progetti che si andavano ad
adottare.
Nella fase seguente a tali adozioni, il Comune di Bari, approvava dei progetti di
lottizzazione che erano quanto meno diversi da quelli "adottati".
La lottizzazione n. 141/87 venne approvata con deliberazione consiliare n. 96 dell' 11
maggio 1992.
La lottizzazione n. 151/89 venne approvata dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 91
sempre in data 11 maggio 1992.
Come ben si deduce, pur trattandosi di fattispecie gestite in maniera diversa tra loro, in
concreto tali lottizzazioni "viaggiavano" insieme, e tanto a significare forse
la volontà di voler imprimere un disegno unitario ed una soluzione coordinata da parte
del Comune di Bari alle due lottizzazioni, che pur distinte per quanto riguarda i soggetti
interessati, tuttavia riguardavano un'unica maglia del P.R.G. di Bari.
Orbene, l'aver introdotto tra la fase di adozione e quella di approvazione, dei nuovi
elaborati tecnici, che seppur in parte modificavano le stesse lottizzazioni, ha comportato
una alterazione di quel procedimento "unitario" che caratterizza tale procedura,
così come richiamato dall'Assessore Regionale ing. P. D. G., sicchè si ha la sensazione
che quanto così posto in essere nel Comune di Bari, sia stato finalizzato al superamento,
o meglio all'aggiramento, degli ulteriori divieti di edificazione che in quel momento
risultavano rinvenienti dalla intervenuta nuova legge regionale n. 30/90 e successive
modificazioni di cui alla legge n. 2/91 (e poi dalla legge n. 14/93).
Ove tali "Varianti" fossero state debitamente considerate come vere e proprie
nuove progettazioni, il Comune avrebbe dovuto infatti quanto meno accantonare tali ultimi
progetti, tenuto conto che gli stessi erano stati presentati dopo il 6-6-1990 , onde nel
merito, almeno per tali "varianti" operava il divieto di cui all'art. 1 e 2
della legge regionale n. 30/90, anche così come successivamente modificata; per tali
"varianti" così introdotte in tale delicatissima fase del "procedimento di
formazione ed approvazione" di una lottizzazione, non è invocabile neanche quanto
prestabilito dal Comune di Bari con la delibera n. 2037 del 15-4-1988, tenuto conto che
tale delibera esplicherebbe la propria efficacia in presenza di lottizzazioni "
approvate e/o convenzionate".
Per le due lottizzazioni, per motivazioni di ordine diverso, vuoi prima della stipula
della relativa "convenzione di lottizzazione", vuoi anche successivamente, sono
state presentate e solo esaminate favorevolmente dalla locale Commissione Urbanistica,
delle ulteriori "varianti di lottizzazione" che, per le motivazioni espresse nei
relativi capitoli della consulenza dell'ing. Ferri, abbisognavano quanto meno di
"approvazione" da parte del competente Consiglio Comunale e di una successiva
integrazione di relativa convenzione (oltre che di presumibile parere del C.U.R. per le
varianti approvate dopo la legge regionale n. 14/93), tenuto conto che, per le due
fattispecie, seppur in quantità diverse, venivano a modificarsi anche i dati base delle
stesse lottizzazioni ( ad esempio le superfici lottizzate e le volumetrie complessive
realizzabili), seppur tanto veniva giustificato con problemi di "tracciamento"
e/o migliori "verifiche catastali" .
La lottizzazione n. 141/87 venne convenzionata con atto in data 3-11-1993, nel mentre per
la lottizzazione n. 151/89 si procedette tramite diverse convenzioni riguardanti singole
porzioni, definiti "comparti", nella quale veniva suddivisa l'area lottizzata
(lotti A1- A2- B- C- D- E ).
In data 21-6-1993 si è convenzionato il lotto o "comparto C" del progetto n.
151/89, di proprietà del sig. Bruno Carlucci per la "I.C. s.r.l.".
In data 1-12-1993 si è convenzionato il lotto o "comparto E" del progetto n.
151/89, facente capo alla A. ed altri.
Sia da parte privata che da parte comunale, si è ritenuto, in linea generale, che per
tali "varianti", anche successivamente apportate alle lottizzazioni, ricorrevano
i presupposti di cui alla delibera del consiglio comunale n. 2037 del 15-4-1988, fatto non
condivisibile per tutte le argomentazioni al proposito sviluppate nel corso della detta
consulenza, sicchè da parte comunale si è ritenuto di poter anche
"autorizzare" tali "varianti di lottizzazione", tramite la semplice
sottoscrizione di un "atto d'obbligo unilaterale" da parte del solo lottizzante,
sulla base del solo parere favorevole della Commissione Urbanistica, ove in pratica lo
stesso lottizzante si impegnava a rispettare il progetto originariamente convenzionato,
con le "varianti" favorevolmente così esaminate dalla sola Commissione
Urbanistica.
Per tali "varianti di lottizzazione" si ritiene, invece, che, in linea generale,
quanto meno per le più significative ( così come anche ritenuto dall'Avvocatura
Comunale), fosse necessario ripercorrere l'iter di adozione / approvazione normale di un
piano di lottizzazione (per addivenire ad una convenzione integrativa di variante), ma ove
tanto si fosse posto in essere, le stesse "varianti" non avrebbero potuto essere
attuate o meglio approvate e/o autorizzate, stante il divieto della legge regionale n.
30/90 e n. 2/91 (per le varianti introdotte tra la fase di adozione e la fase di
approvazione), e la necessità del parere del C.U.R. , per quelle varianti
"approvate" (?) dopo la legge regionale n. 14/93, ed autorizzate tramite
"atti unilaterali" d'obbligo.
Inoltre la "S. F." in data 20-9-1994 ha sottoscritto un "atto
d'obbligo", con il quale, in pratica, si è elevata la volumetria possibile a
realizzarsi sulla complessiva area lottizzata, dagli originari mc.291.995 complessivi,
alla nuova volumetria di mc.298.803, con un incremento edilizio quindi di circa mc. 6.808,
di cui mc. 3.652 destinati a residenza, senza che per tale ulteriore volumetria
residenziale si procedesse alla cessione della corrispondente superficie a
"standards" di mq. 730 circa ( 20 mq./100 mc.), operando così, in maniera
autonoma, un "recupero" di superficie a "standards" già ceduta in
eccedenza al Comune in precedenza, a titolo di scomputo di "standards", senza
che tale operazione venisse "autorizzata" da alcunché, dalla controparte Comune
di Bari, se non dal semplice parere della Commissione Urbanistica.
In altri termini, posto che in sede di convenzione il lottizzante S. F. aveva già ceduto
al Comune, in eccedenza rispetto a quanto dovuto, la maggiore superficie di mq. 730 circa
per standards, appare evidente che sin da tale data lo stesso Comune diventava titolare di
qualsivoglia diritto sulla stessa area, onde non si comprende in base a quale
"titolo" sia stato consentito al lottizzante, poi, di scomputare dal
"nuovo" onere della cessione della "nuova" superficie di mq. 730,
quanto già precedentemente ceduto.
Tanto seppur rispetta i parametri urbanistici della intera area lottizzata sotto il
profilo meramente "tecnico", appare tuttavia essere un'anomalia procedurale,
onde non vi è chi non veda come per tale operazione, quanto meno era necessaria
l'espressione del Consiglio Comunale, unico soggetto abilitato a decidere dei diritti del
patrimonio/demanio comunale (ergo: era necessaria una nuova convenzione edilizia).
Alla luce di tanto, sembra quindi potersi asserire che la S. F. si sia indebitamente
appropriata, o riappropriata, di un diritto del quale in quel momento non sembra avesse
titolo, ragion per cui nella sostanza le sarebbe stato consentito di eseguire una maggiore
volumetria residenziale di circa mc. 3652 ( pari a circa una decina di appartamenti di 100
mq. di superficie), senza che per tanto cedesse la ulteriore necessaria superficie a
standards di mq. 730, "recuperando" così tale superficie da quelle già
precedentemente cedute.
Per quanto riguarda il progetto n. 151/89, con "atto d'obbligo" del 9-3-1994 il
sig. B. C. per la I.C., con analoga procedura, relativamente al lotto o comparto C,
elevava la volumetria realizzabile, dagli originari complessivi mc.13.072, alla nuova
volumetria possibile di mc. 13.580, e successivamente sottoscriveva altro "atto
d'obbligo" in data 16-11-1994 con il quale si apportavano ulteriori varianti plano -
volumetriche al progetto approvato dal Consiglio Comunale.
Analogamente, il sig. D. A., per la società M.B. (subentrata alla A. ed altri), in data
9-11-1994 sottoscriveva altro atto d'obbligo relativo a "Varianti"
planovolumetriche di lottizzazione, relative a porzioni del lotto o comparto E, in
sintonia con l'ultimo atto d'obbligo della I.C. del 16-11-1994.
Invero , le varianti agli originari piani di lottizzazione , approvati in data 11.05.92
altro non sono che nuove lottizzazioni e, come tali, dovevano seguire il normale iter di
adozione e successiva approvazione , ragion per cui necessitavano del parere del C.U.R.,
che nella specie non è mai stato ottenuto e tantomeno richiesto.
Vieppiù le anomalie procedimentali riscontrabili nel caso di specie appaiono tutt'altro
che insignificanti. Invero allorquando si modificano i parametri urbanistici di una
lottizzazione già approvata e convenzionata, attraverso mutamenti dei tracciati viari,
delle superfici a standards, dei volumi edificabili, delle sagome degli edifici ecc., non
trattasi di variante all'originaria lottizzazione bensì di nuova lottizzazione , che ,
pertanto, deve seguire il normale iter per l'adozione e l'approvazione.
Tuttavia, pur volendo per ipotesi ricorrere, come suggerito dalla Corte di Cassazione n.
3885, a quanto disposto dall'art. 34 L. 865/71, in materia di edilizia economica e
popolare, deve evidenziarsi che comunque neppure tale procedura risulta correttamente
eseguita.
Infatti il citato art.34 prevede che le varianti c.d. "lievi" ( cioè quelle che
non incidono sul dimensionamento globale del piano e non comportano modifiche al
perimetro, agli indici di fabbricazione e alle dotazioni di spazi pubblici o di uso
pubblico ), sono approvate con delibera del Consiglio Comunale.
Nella specie, tuttavia, non solo le varianti non sono certo lievi ( e di certo non
rispecchiano i parametri percentuali indicati nella stessa legge ), ma soprattutto non
sono mai state approvate dal Consiglio Comunale, essendosi ritenuta sufficiente la
sottoscrizione di un atto di obbligo in forza della delibera consiliare n. 2037 del 1988.
Onde non appare sensato ritenere possibile apportare varianti essenziali a piani di
lottizzazione approvati in presenza di parere dell'organo tecnico comunale e di un atto
proveniente dal privato lottizzante ( intervenuto addirittura dopo la stipula della
convenzione di lottizzazione, che risulterebbe così unilateralmente modificata) senza che
il Consiglio Comunale abbia mai approvato tali varianti.
Vero è , con riferimento alla lottizzazione n. 151 ( si legga la consulenza Ferri a pag.
64 ) che l'U.T.C. definisce il progetto cd in variante come "nuovo progetto di
lottizzazione".
A fortiori se lo stesso organo comunale definisce le "varianti" come nuove
lottizzazioni, non si poteva non trarne la immancabile conseguenza che le stesse dovessero
ripercorre l'iter procedimentale, e quindi dovessero essere assoggettate al parere del
C.U.R. stante la vigenza della L.R. n.14/93.
Quanto alla citata delibera consiliare n. 2037 del 1988 , la stessa ha inteso, di fronte a
varianti introdotte dopo la stipula della convenzione alla lottizzazione, trasferire e
delegare l'esercizio del potere di controllo all'organo tecnico rappresentato dalla
Commissione per l'edilizia e l'urbanistica. Ciò equivale a dire che la variante può
essere introdotta, previo parere obbligatorio ma non vincolante di un organo tecnico
assolutamente incompetente. Nello stesso modo è possibile introdurre, con sottoscrizione
di atto d'obbligo, una modifica ad una convenzione già stipulata, unilateralmente e senza
la approvazione del Consiglio Comunale.
Una tale delibera, che trasferisce ad un organo incompetente l'esercizio di detto potere,
che consente modifiche unilaterali a convenzioni già stipulate, è una delibera emessa in
carenza assoluta di potere, affetta quindi da nullità/inesistenza; infatti la legge
regionale che disciplina la materia, non concede al Comune alcuna possibilità di
trasferire l'esercizio del potere di approvazione, e quindi di controllo sulla variante, a
nessun altro organo, tantomeno alla Commissione edilizia.
Né soccorre, come già detto il richiamo all'art. 34 L.865/71 che richiede comunque
l'approvazione del Consiglio Comunale.
Tantovero che, l'Avvocatura Comunale, chiamata ad esprimere il proprio parere, aveva
escluso la possibilità di introdurre unilateralmente modifiche ad una convenzione di
lottizzazione.
Ma tale parere, pure richiesto, è stato inspiegabilmente bypassato dall'organo competente
10.L' ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO
Da tutte le
argomentazioni diffusamente esposte si evince come questo giudice abbia ritenuto
sussistenti le violazioni di legge così come contestate dalla Pubblica Accusa.
Pur tuttavia è stata pronunciata l'assoluzione di tutti gli imputati perché il fatto non
costituisce reato non ritenendosi sufficienti gli elementi acquisiti al fine di concludere
per la sussistenza in capo agli imputati tutti dell'elemento psicologico necessario ed
indefettibile per un giudizio di condanna.
E' appena il caso di ricordare che finalità del giudizio, è quella di acclarare la cd.
verità processuale così come scaturisce dal processo, che peraltro nella fattispecie si
connota, atteso il rito, come cartolare e allo stato degli atti; onde ogni ulteriore
valutazione, assume immancabilmente un carattere squisitamente extraprocessuale e, come
tale, non può trovare cittadinanza alcuna nel delicato momento di formazione del
convincimento.
Ebbene il giudicante ha ritenuto che gli imputati dovessero andare esenti da pena, perché
dagli atti processuali scaturisce il dubbio che gli stessi siano incorsi in errore
scusabile nell'interpretazione delle norme che si ritengono essere state violate.
10.1 L'art. 5 cp nella giurisprudenza della Corte Costituzionale
Punto di partenza a questo punto appare la sentenza della Corte Costituzionale 24 marzo 1988 n. 364 che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 5 cp .offrendo una diversa e pertanto rivoluzionaria della materia.
In questa sentenza sono indicati chiaramente i limiti e i criteri entro i quali possono essere dichiarati esenti da responsabilità i soggetti dell'ordinamento giudiziario.
In primo luogo la sentenza afferma che gli opposti principî dell'assoluta irrilevanza o dell'assoluta rilevanza dell'ignoranza della legge penale non trovano valido fondamento: ove, infatti, s'accettasse il principio dell'assoluta irrilevanza dell'ignoranza della legge penale si darebbe incondizionata prevalenza alla tutela dei beni giuridici a scapito della libertà e dignità della persona umana, costretta a subire la pena (la più grave delle sanzioni giuridiche) anche per comportamenti (allorché l'ignoranza della legge sia inevitabile) non implicanti consapevole ribellione o trascuratezza nei confronti dell'ordinamento; ove, invece, si sostenesse l'opposto principio dell'assoluta scusabilità della predetta ignoranza, l'indubbio rispetto della persona umana condurrebbe a rimettere alla variabile "psicologia" dei singoli la tutela dei beni che, per essere tutelati penalmente, si suppone siano fondamentali per la società e per l'ordinamento giuridico statale.
Il passaggio
dall'oggettiva possibilità di conoscenza delle leggi penali assicurata dallo Stato
all'effettiva, concreta conoscenza delle leggi stesse avviene attraverso la
"mediazione", ovviamente insostituibile, dell'attività conoscitiva dei singoli
soggetti.
Supposta esistente, in fatto, l'oggettiva possibilità di conoscenza d'una particolare
legge penale, i soggetti privati, divenendo diretti destinatari dell'obbligo (principale)
d'adempimento del precetto oggettivamente conoscibile, devono operare la predetta,
insostituibile mediazione. A questo fine incombono sul privato, preliminarmente,
strumentali, specifici doveri d'informazione e conoscenza: ed è a causa del non
adempimento di tali doveri che è costituzionalmente consentito chiamare a rispondere
anche chi ignora la legge penale. Gli indicati doveri d'informazione, di conoscenza, ecc.
costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale, di cui all'art. 2
Cost. La Costituzione richiede dai singoli soggetti la massima, costante tensione ai fini
del rispetto degli interessi dell'"altrui" persona umana: ed è per la
violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la stessa Costituzione chiama a
rispondere penalmente anche chi lede tali interessi non conoscendone positivamente la
tutela giuridica.
Come è stato rilevato,
discende dall'ideologia contrattualistica l'assunzione da parte dello Stato dell'obbligo
di non punire senza preventivamente informare i cittadini su che cosa è stato vietato o
comandato ma da tale ideologia discende anche la richiesta, in contropartita, che i
singoli s'informino sulle leggi, si rendano attivi per conoscerle, prima d'agire. La
violazione del divieto di commettere reati, avvenuta nell'ignoranza della legge penale,
può, pertanto, dimostrare che l'agente non ha prestato alle leggi dello Stato tutta
l'attenzione "dovuta". Ma se non v'è stata alcuna violazione di quest'ultima,
se il cittadino, nei limiti possibili, si è dimostrato ligio al dovere (ex art. 54, 1°
comma, Cost.) e, ciò malgrado, continua ad ignorare la legge, deve concludersi che la sua
ignoranza è "inevitabile" e, pertanto, scusabile.
Non esiste, è vero, un "autonomo" obbligo di conoscenza delle singole leggi
penali; non può disconoscersi, tuttavia, l'esistenza in testa ai c.d. destinatari dei
precetti "principali", nei confronti di tutto l'ordinamento, di doveri
"strumentali", d'attenzione, prudenza.
Di particolare importanza
è la parte della sentenza nella quale si accennano ai criteri di discrimine della valenza
della scusabilità.
Non resta -dice la sentenza- che accennare ai criteri, ai parametri in base ai quali va
stabilita l'inevitabilità dell'ignoranza della legge penale. E', invero, di gran rilievo
impedire che, in fase applicativa, vengano a prodursi, insieme alla
"vanificazione" delle risultanze qui acquisite, altre violazioni della Carta
fondamentale.
L'inevitabilità dell'errore sul divieto (e, conseguentemente, l'esclusione della colpevolezza) non va misurata alla stregua di criteri c.d. soggettivi puri (ossia di parametri che valutino i dati influenti sulla conoscenza del precetto esclusivamente alla luce delle specifiche caratteristiche personali dell'agente) bensì secondo criteri oggettivi: ed anzitutto in base a criteri (c.d. oggettivi puri) secondo i quali l'errore sul precetto è inevitabile nei casi d'impossibilità di conoscenza della legge penale da parte d'ogni consociato. Tali casi attengono, per lo più, alla (oggettiva) mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa (ad es. assoluta oscurità del testo legislativo) oppure ad un gravemente caotico (la misura di tale gravità va apprezzata anche in relazione ai diversi tipi di reato) atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari, ecc. La spersonalizzazione che un giudizio formulato alla stregua di criteri oggettivi puri necessariamente comporta, tuttavia, la necessità di essere compensata, secondo quanto innanzi avvertito, dall'esame di eventuali, particolari conoscenze ed "abilità" possedute dal singolo agente: queste ultime, consentendo all'autore del reato di cogliere i contenuti ed il significato determinativo della legge penale, escludono che l'ignoranza della legge penale vada qualificata come inevitabile. Ed anche quando, sempre allo scopo di stabilire l'inevitabilità dell'errore sul divieto, ci si valga di "altri" criteri (c.d. "misti") secondo i quali la predetta inevitabilità può esser determinata, fra l'altro, da particolari, positive, circostanze di fatto in cui s'è formata la deliberazione criminosa (es. "assicurazioni erronee" di persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare; precedenti, varie assoluzioni dell'agente per lo stesso fatto, ecc.) occorre tener conto della "generalizzazione" dell'errore nel senso che qualunque consociato, in via di massima , sarebbe caduto nell'errore sul divieto ove si fosse trovato nelle stesse particolari condizioni dell'agente; ma, ancora una volta, la spersonalizzazione del giudizio va compensata dall'indagine attinente alla particolare posizione del singolo agente che, in generale, ma soprattutto quando eventualmente possegga specifiche "cognizioni" (ad es. conosca o sia in grado di conoscere l'origine lassistica o compiacente di assicurazioni di organi anche ufficiali, ecc.) è tenuto a "controllare" le informazioni ricevute. Il fondamento costituzionale della "scusa" dell'inevitabile ignoranza della legge penale vale soprattutto per chi versa in condizioni soggettive d'inferiorità e non può certo esser strumentalizzata per coprire omissioni di controllo, indifferenze, ecc., di soggetti dai quali, per la loro elevata condizione sociale e tecnica, sono esigibili particolari comportamenti realizzativi degli obblighi strumentali di diligenza nel conoscere le leggi penali.
In sintesi si può ritenere così indicati i criteri di individuazione della inevitabilità della ignoranza:
· (oggettiva) mancanza
di riconoscibilità della disposizione normativa (ad es. assoluta oscurità del testo
legislativo)
· un gravemente caotico (la misura di tale gravità va apprezzata anche in relazione ai
diversi tipi di reato) atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari fatto salvo
comunque l'esame di eventuali, particolari conoscenze ed "abilità" possedute
dal singolo agente: queste ultime, consentendo all'autore del reato di cogliere i
contenuti ed il significato determinativo della legge penale, escludono che l'ignoranza
della legge penale vada qualificata come inevitabile;
· inevitabilità può esser determinata, fra l'altro, da particolari, positive,
circostanze di fatto in cui s'è formata la deliberazione criminosa:
- "assicurazioni erronee" di persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare;
- precedenti, varie
assoluzioni dell'agente per lo stesso fatto
compensata dall'indagine attinente alla particolare posizione del singolo agente che, in
generale, ma soprattutto quando eventualmente possegga specifiche "cognizioni"
(ad es. conosca o sia in grado di conoscere l'origine lassistica o compiacente di
assicurazioni di organi anche ufficiali, ecc.) è tenuto a "controllare" le
informazioni ricevute.
· esigibili particolari comportamenti realizzativi degli obblighi strumentali di
diligenza nel conoscere le leggi penali da parte di soggetti di elevata condizione sociale
e tecnica;
· obbligo a risolvere l'eventuale dubbio attraverso l'esatta e completa conoscenza della
(singola) legge penale o, nel caso di soggettiva invincibilità del dubbio, ad astenersi
dall'azione;
· a parte i casi di carente socializzazione dell'agente la mancata previsione
dell'illiceità del fatto derivi dalla violazione degli obblighi d'informazione giuridica,
che sono, come s'è avvertito, alla base d'ogni convivenza civile deve ritenersi che
l'agente versi in evitabile e, pertanto, rimproverabile ignoranza della legge penale.
10.2 L'art. 5 cp nella giurisprudenza della Corte di Cassazione
La giurisprudenza della Cassazione ha raccolto l'indicazione della Corte Costituzionale e ha elaborato una serie di criteri esplicativi di quelli precedentemente indicati.
La posizione delle Sezioni Unite
In particolare è
importante partire dalle SU che sul punto affermano che il testo dell'art. 5 cod. pen., a
seguito della sentenza n. 364 del 24 marzo 1988 della Corte Costituzionale, è stato
sostanzialmente riformulato.
Il soggetto, autore dell'illecito, è scusato dall'ignoranza della legge penale, quando
questa sia incolpevole, a cagione della sua inevitabilità.
Vanno quindi stabiliti i limiti di tale inevitabilità.
Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogniqualvolta egli abbia assolto,
con il criterio della ordinaria diligenza, al c. d. "dovere di informazione",
attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza
della legislazione vigente in materia.
Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro, che svolgano professionalmente
una determinata attività: costoro rispondono dell'illecito anche in virtù di una
"culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per affermare la
scusabilità dell'ignoranza, occorre cioè che da un comportamento positivo degli organi
amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia
tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e
conseguentemente della liceità dei comportamento tenuto. (Cass. Sez. Un., 18 luglio 1994,
PG in proc. Calzetta conf. Cass. pen., sez. VI, 6 dicembre 1996, n. 1632, Manzi, Giust.
Pen., 1998, II, 168).
La giurisprudenza sulla "ignoranza inescusabile": i soggetti professionali, il dubbio e l'inerzia
La giurisprudenza ha sviluppato con attenzioni i presupposti dell'esimente in oggetto partendo ovviamente dalle indicazioni della Corte Costituzionale.
Si è rilevato che il fondamento costituzionale della "scusa" dell'inevitabile ignoranza della legge penale vale prima di tutto per chi versa in condizioni soggettive di sicura inferiorità e non può certo essere strumentalizzato per coprire omissioni di controllo o atteggiamenti indifferenti di soggetti dai quali, per la loro elevata condizione sociale e tecnica, sono esigibili particolari comportamenti realizzativi di obblighi strumentali di diligenza nel conoscere le leggi penali. L'ipotesi di un soggetto sano e maturo di mente che commetta fatti criminosi ignorandone l'antigiuridicità è concepibile soltanto quando si tratti di reati che, sebbene presentino un generico disvalore sociale, non siano sempre e dovunque previsti come illeciti penali, ovvero di reati che non presentino neppure un generico disvalore sociale. In relazione a tali categorie di reati possono essere prospettate due ipotesi: quella in cui il soggetto si rappresenti effettivamente la possibilità che il suo fatto sia antigiuridico e quella in cui tale possibilità non si rappresenti neppure. Mentre nella prima ipotesi, esistendo, in concreto, più che la possibilità di conoscenza dell'effettiva illiceità del fatto, la concreta previsione di essa, non può ravvisarsi ignoranza inevitabile della legge penale (dovendo il soggetto risolvere il "dubbio eventuale" attraverso l'esatta conoscenza della specifica norma o, in caso di soggettiva invincibilità di esso, astenersi dall'azione), nella seconda ipotesi è riservato al giudice il compito di una valutazione attenta delle ragioni per le quali l'agente, che ignora la legge penale, non si è neppure prospettato un dubbio sulla illiceità del fatto e, se l'assenza di simile dubbio risulti discendere - in via principale - da personale e incolpevole mancanza di socializzazione dello stesso, l'ignoranza della legge penale va, di regola, ritenuta inevitabile. (Cass. pen., sez. III, 9 maggio 1996, Falsini, Giust. Pen., 1997, II, 305)
L'accertamento di tale diligenza deve essere particolarmente approfondito per chi esercita professionalmente in un determinato settore un'attività alla quale inerisca la disciplina predisposta dalle norme violate. In particolare attraverso un corretto espletamento di mezzi d'informazione, di indagine e di ricerca in riferimento al settore di attività cui inerisce la disciplina predisposta. (Cass. pen., sez. I, 5 settembre 1995, Nitti, Foro It., 1997, II, 784, n. BELFIORE e in tema di coltivazione di cave: nella fattispecie è stata esclusa l'ignoranza inevitabile ex art. 5 c.p. in relazione ai reati paesaggistici di cui alle l. 29 giugno 1939, n. 1497 e 8 agosto 1985, n. 431 vedi Cass. pen., sez. III, 5 dicembre 1995, Rainone, Cass. Pen., 1997, 66)
L'inevitabilità
dell'errore su legge penale o la pretesa buona fede in base alla sentenza n. 364 del 1988
della Corte costituzionale non costituisce una causa indiscriminata di scusabilità, ma
deriva da particolari situazioni in cui il predetto errore è inevitabile, sicchè esiste
sempre un obbligo incombente su chi svolge attività in un determinato settore di
informarsi con molta diligenza sulla normativa esistente e, nel caso di dubbio, di
astenersi dal porre in essere la condotta, (Cass. pen., sez. III, 6 maggio 1994,
Bonsignore, Cass. Pen., 1995, 2561, n. CLAUDIA; Cass. pen., sez. III, 18 novembre 1993,
Baldassarri, Mass. Pen. Cass., 1994, fasc. 4, 100).
L'ignoranza inevitabile della legge penale è configurabile solo se emerga che nessun
rimprovero, neppure di leggerezza, possa essere mosso all'imputato per aver egli fatto
tutto il possibile per uniformarsi alla legge.
Ai fini della configurabilità dell'ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge
penale, la scriminante della buona fede può trovare applicazione solo nell'ipotesi in cui
l'agente abbia fatto il possibile per adeguarsi al dettato della norma e questa sia stata
violata per cause indipendenti dalla volontà dell'agente al quale quindi non possa essere
mosso alcun rimprovero neppure di semplice leggerezza: conseguentemente non è sufficiente
ad integrare gli estremi dell'esimente in parola il semplice comportamento passivo
dell'agente, essendo invece necessario che egli si adoperi al fine di adeguarsi
all'ordinamento giuridico, come ad esempio informandosi presso gli uffici competenti,
consultando esperti in materia. (Cass. pen., sez. I, 25 maggio 1994, Bartolini e altro,
Cass. Pen., 1995, 2150; Cass. pen., sez. III, 3 giugno 1993, Cardia, Cass. Pen., 1994,
2998)
10.3 La giurisprudenza sulla "ignoranza inescusabile": i criteri
La giurisprudenza ha
rielaborato una serie di criteri di individuazione della condotta inescusabile
Alla stregua del principio costituzionale che l'ignoranza della legge penale è scusabile
se inevitabile, l'inevitabilità dell'errore sul divieto, con conseguente esclusione della
colpevolezza, va valutata non con criteri esclusivamente soggettivi, bensì secondo
criteri oggettivi quali l'oggettiva mancanza di riconoscibilità della disposizione
normativa, cui va ricondotta l'assoluta oscurità del testo legislativo e il gravemente
caotico atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari, senza tuttavia trascurare le
eventuali particolari conoscenze ed <abilità> possedute dal singolo agente, che
escludano di poter qualificare come inevitabile l'ignoranza della legge penale. (Cass.
pen., sez. I, 1 ottobre 1991, Grassi, Giust. Pen., 1992, II, 203; Cass. pen., sez. VI, 12
marzo 1993, Sicurella e altro, Cass. Pen., 1994, 2077)
L'incertezza derivante da
contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell'interpretazione e nell'applicazione di
una norma, non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d'ignoranza
inevitabile della legge penale.
Per trovare applicazione il principio enunciato dalla corte costituzionale con la sentenza
n. 364 del 24 marzo 1988 (con la quale detta corte ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 5 c. p. nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità
dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile) è necessario che dagli atti
del processo risulti che l'agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla
legge, sicché nessun rimprovero neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e
che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti
dalla sua volontà;
10.4 Conclusioni
Da quanto esposto si possono così sintetizzare i criteri di individuazione della ignoranza inescusabile.
· per tutti coloro, che
svolgano professionalmente una determinata attività l'accertamento è particolarmente
rigoroso;
· in particolare per tali soggetti non è scriminante il semplice comportamento passivo
dell'agente, essendo invece necessario che egli si adoperi al fine di adeguarsi
all'ordinamento giuridico con espletamento di mezzi d'informazione, di indagine e di
ricerca, come ad esempio informandosi presso gli uffici competenti, consultando esperti in
materia;
· scusa l'esistenza di un comportamento positivo della PA competente, occorrendo però un
supplemento di controllo della fondatezza delle risposte avute da parte del soggetto ove
lo stesso svolga professionalmente una attività;
· scusa un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale senza che sia sufficiente
un contrasto giurisprudenziale sul punto.
10.5 Sussistenza della esimente nella fattispecie
Partendo dai criteri
sopra esposti, applicati alla fattispecie in esame, sussiste quantomeno il dubbio, che gli
odierni imputati avrebbero potuto evitare, così come la generalità dei consociati di
incorrere nell'errore interpretativo delle norme giuridiche, che ha portato alla
violazione tuttavia incolpevole delle norme stesse.
Infatti, la S.C. ha affermato che, in tema di elemento soggettivo del reato, è
configurabile l'inevitabilità dell'ignoranza della legge penale anche nei confronti di
quei soggetti dotati di particolari conoscenze giuridiche o dediti ad attività
professionali o mestieri, che presuppongono tali condizioni, qualora la normativa,
attinente alla specifica disciplina, oggetto di regolamentazione, presenti rilevanti ed
oggettivi connotati di equivocità, che rendano ragionevolmente oscuro il precetto,
contenente il divieto d'agire ovvero l'ordine di operare. In tal caso non può essere
mosso alcun addebito di rimproverabilità all'agente, qualunque sia il suo grado di
"socializzazione", non potendosi pretendere dal singolo un'astensione (tra
l'altro impossibile nelle ipotesi di ordine positivo) o una paralisi di attività della
vita di relazione, non dovuta, perchè ascrivibili non alla coscienza d'illiceità della
condotta da parte del privato, ma al cattivo funzionamento dell'apparato ordinamentale.
(Nella specie la suprema Corte ha ritenuto che trova piena applicazione il suddetto
principio, reputata estremamente complessa la normativa (legislazione vigente in materia
di sussistenza dei vincoli paesistici con riferimento ai piani pluriennali di attuazione
ed alla possibilità di inquadrare tra questi ultimi i piani di zona per l'edilizia
economica e popolare - P.E.E.P.) e, nella sua diversificata formulazione oggettivamente
oscura per gli stessi tecnici del diritto, come dimostrato dai contrasti interpretativi in
sede cautelare ed in sede di cognizione, ciò in presenza di vari atti dell'assessore
all'urbanistica, il quale si era ripetutamente espresso per la non necessità del nulla
osta in riferimento agli interventi di edilizia residenziale pubblica). (Cass. pen., sez.
III, 23 aprile 1996, Gatto, Cass. Pen., 1997, 1725, n. ROSA)
Nella fattispecie in esame, se è pur vero che la legge Galasso non sembra aver dato adito
a sostanziali dubbi interpretativi, ci troviamo di fronte ad una legislazione regionale
che interferisce con la legge Galasso, talmente oscura e male formulata da aver prodotto
contrasti giurisprudenziali e, vieppiù indotto in errore finanche la Corte di Cassazione,
che ha definito la fase cautelare relativa alla vicenda.
Peraltro risulta dagli atti che gli imputati si siano avvalsi della consulenza di esperti
di fama internazionale, quali l'architetto Renzo Piano e, se è pur vero che l'ottenimento
delle concessioni edilizie non scrimina ( secondo la costante giurisprudenza della S.C. ),
tale circostanza rappresenta comunque un fatto di cui per quanto entro ristretti limiti
non può non tenersi conto; così come non si può non annettere valore alcuno alle
dichiarazioni del direttore dell'ufficio tecnico del Comune di Bari.
Infatti se è vero che il predetto non ha competenza istituzionale sulla gestione dei
vincoli, non può però sottacersi che lo stesso ricopre una funzione tale da imporgli una
approfondita conoscenza della materia anche vincolistica. Onde sicuramente le
dichiarazioni del direttore dell'Ufficio tecnico comunale non equivalgono alle
dichiarazioni sui vincoli del direttore dell'AMTAB, come con eccessiva ironia ha
dichiarato il PM in sede di replica, ma, a parere di questo Gip, deve attribuirsi loro
valore pregnante perché provenienti da un organo determinante nel complesso iter
procedimentale.
Vieppiù, si rileva come nella planimetria allegata al II PPA (quantunque la stessa assuma
rilevanza di carattere meramente urbanistico ) la zona in esame risulta essere stata
esclusa dal regime vincolistico.
Onde anche tale circostanza può aver indotto in errore gli imputati.
Oltretutto la Sovrintendenza per i beni culturali ed ambientali, solo in data 10.02.97
arriva a dolersi con il Sindaco di Bari per la mancata corrispondenza tra le zone della
fascia costiera sottoposte a vincolo paesaggistico indicate nella tav. 2 allegate al II
PPA, redatta dall'Ufficio Tecnico, Sez. Urbanistica e P.R.G., e le zone indicate in rosso
dalla stessa nella planimetria trasmessa con nota 14906 del 26.10.84, chiedendo
chiarimenti ( come da relativa nota n.3134, in atti ), e cioè più di 10 anni dopo
l'entrata in vigore del II PPA, poco prima che le opere diventassero oggetto del sequestro
preventivo.
Tale, immotivato ritardo ha reso le predette contestazione assolutamente inutili, così
come inutile è stata poi la risposta del Comune di Bari, inoltrata, peraltro alla
Sovrintendenza quasi un anno più tardi ( come da nota n. 1196 del 26.01.98, in atti ).
D'altra parte, la Sovrintendenza per i beni culturali ed ambientali , organo addetto alla
vigilanza, non di rado attentissima e sempre pronta ad esercitare il proprio potere,
bloccando l'edificazione laddove vi sia verosimilmente la violazione dei beni di cui ha la
tutela, nell'ipotesi de qua, pur ravvisando " d'altra parte tale impatto ambientale
negativo è percettibile visivamente" ( come da nota prot. 8072 del 30.04.98 inviata
all'Ufficio centrale del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali), nulla ha fatto a
tutela degli interessi propri e per i quali esiste.
Ad ogni buon conto, neppure può sottacersi l'atteggiamento di scherno nei confronti
dell'Organo requirente riscontrato dalla P.G. da parte di alcuni funzionari della
Sovrintendenza, come riscontro ad una richiesta di acquisizione di documentazione ( come
da annotazione n. 655/98 del 28.04.98, del Corpo di Polizia Municipale di Bari, in atti ).
Cenno a sé merita il
comportamento dell'amministrazione comunale nella vicenda.
Singolare se non addirittura ai limiti del paradossale si appalesa la assoluta
disinvoltura con la quale si è svolto il complesso e travagliato procedimento
amministrativo che ha portato all'improvvido rilascio dei provvedimenti autorizzatori e
concessori. Procedimento assolutamente illegittimo ai limiti della liceità. E ciò è
tanto più scandaloso se sol ci si soffermi sulle finalità rappresentative e di tutela
della collettività intrinsecamente connesse alla funzione pubblica. Finalità
macroscopicamente ignorate dal Comune di Bari, tanto da far sorgere il dubbio che la PA
avesse tutt'altre finalità da perseguire e non certo a tutela di interessi pubblici e
coevi all'esercizio della propria pubblica funzione, quali potrebbero essere quelle di
consentire a tutti i costi la edificazione della zona in questione nonostante i divieti
normativi.
Ma tali fatti non hanno formato oggetto di indagini da parte del PM, onde neppure possono
essere oggetto di relative valutazioni.
Per quanto sopra esposto, quindi questo giudice ritiene che non essendo stata raggiunta
una plena probatio circa la effettiva consapevolezza degli imputati stessi, intesa sempre
nei limiti sopra indicati, di agire in contrarietà delle norme giuridiche che si assumono
violate, deve valere il principio secondo il quale in dubio pro reo, e gli imputati stessi
debbono andare assolti perché il fatto non costituisce reato.
11.LA CONFISCA DEI SITI COME CONSEGUENZA DELLA FORMULA ASSOLUTORIA ADOTTATA
Ritenuta sussistente l'esimente di cui all'art. 5 cp non vi sono dubbi per la lettera e la ratio della disposizione di cui all'art. 19 l. 47/85 che va disposta la confisca del sedime e delle opere di cui all'immobile in oggetto.
Infatti la confisca
prevista dall'art. 19 l. 28 febbraio 1985, n. 47 dei terreni abusivamente lottizzati e
delle opere abusivamente costruite ogni volta che sia stata accertata una lottizzazione
abusiva, e persino nel caso in cui non sia stata irrogata alcuna condanna, deve essere
ritenuta una sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale, in funzione di supplenza
rispetto alla pubblica amministrazione. Infatti la formulazione letterale dell 'art. 19 l.
28 febbraio 1985, n. 47 lascia intendere che, la confisca di cui al detto art. 19 prevede
quale unico presupposto l'accettata effettiva esistenza della lottizzazione, prescindendo
da ogni altra considerazione e con esclusione solo dell'ipotesi di insussistenza del
fatto. La natura reale del provvedimento è tale da colpire i beni anche in capo a terzi
possessori i quali, se estranei al reato ed acquirenti in buona fede, possono far valere i
loro diritti in sede civile .Inoltre, proprio per la predetta natura reale la confisca si
estende anche alle opere insistenti sui terreni. (Cass. pen., sez.III, 31 gennaio 1997, n.
331, Sucato, Cass. Pen., 1998, 1226; Cass. pen., sez. III, 16 novembre 1995, Besana, Cass.
Pen., 1997, 192; Cass. pen., sez. III, 4 aprile 1995, Marraro, Cass. Pen., 1997, 193;
Cass. pen., sez. III, 13 luglio 1995, Barletta, Cass. Pen., 1997, 195; Cass. pen., sez.
III, 4 dicembre 1995, Cascarino, Cass. Pen., 1997, 197; Cass. pen., sez. III, 8 febbraio
1994, Pene e altro, Cass. Pen., 1995, 381; Cass. pen., sez. VI, 25 marzo 1993, Lettieri,
Mass. Pen. Cass., 1993, fasc. 10, 3; Cass. pen., 12 novembre 1990, Licastro, Giur. It.,
1991, II, 118)
Tale confisca comporta l'acquisizione al Comune di Bari dei suoli e dell'intero complesso
immobiliare posto in Bari località Punta Perotti, relativo ai piani di lottizzazione in
questione.
Rileva altresì questo giudice che la indubbia complessità degli argomenti oggetto del
procedimento richieda per il deposito delle motivazioni della sentenza, il termine massimo
di giorni 90 dalla data della decisione, come previsto dall'art. 544 3° comma c.p.p.
P.Q.M.
Visti gli artt. 438 e
segg., 560, 561, 530 2° comma c.p.p.
Ritenuto di poter decidere allo stato degli atti
ASSOLVE
M. M.
M. V.
M. S.
M. M. jr.
A. D.
S. L. D.
Q. A.
B. L.
da tutti i reati loro contestati perché il fatto non costituisce reato.
Visto l'art. 19 L. 47/85 dispone la confisca ed acquisizione al Comune di Bari dei suoli e
dell'intero complesso immobiliare di cui ai piani di lottizzazione n. 141/89 n. 151/89,
ritenute le stesse abusive.
Visto l'art. 544 3° comma c.p.p., attesa la complessità del procedimento, riserva il
deposito della motivazione, indicando all'uopo il termine di giorni 90 dalla data della
decisione.
Così deciso in Bari il 10.02.99
IL GIP
(dr. Maria Mitola)