Corte di Cassazione, Sez. III Penale
Sentenza 17 novembre 1997, n. 3882

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

1. dott. Papadia Umberto Presidente
2. dott. Pioletti Giovanni Consigliere
3. dott. Savignano Giuseppe Consigliere
4. dott. Imposimato Ferdinando Consigliere
5. dott. Squassoni Claudia Consigliere rel

Udienza in Camera di Consiglio 17/11/97, Sentenza N. 3882, Registro Generale n. 19319/97

ha pronuciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso presentato da:

M. M. n. a Bari XXX

avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Bari il 17/3/97

Visti gli atti,
Udita la relazione fatta dal Consigliere Squassoni
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero con il quale chiede il rigetto del ricorso
Uditi i Difensori Avv. G. A., Prof. F. C. che hanno consluso per l'accoglimento del ricorso

MOTIVI DELLA DECISIONE

La trasformazione edilizia ìn esame ricade nella fascia di 300 metri dal demanio marittimo in zona destinata dal piano regolatore ad "attività terziaria"; la area era inserita nei piani particolareggiati di attuazione vigenti dal 1981 al 1990 ed era oggetto di due lottizzazioni la n° 141/l989 (adottata il 20.3.1990 ed approvata l'11.5.1992) e la n° 151/1989 (adottata il 20.3.1990 ed approvata il 11.5.1992)
L'indagato M. M. ha posto in essere le opere cui è procedimento previo conseguimento di concessione edilizia rilasciata il 19.1.1995
Cìò nonostante l'accusa ha richìesto il vincolo reale dei beni reputando che l'edificazione sia illegittima ed in violazione dell'art.1 sexies L. 431/1985 (per avere 1'indagato costruito i11 deroga al vincolo di inedificabilità assoluta o, comunque, senza il preventivo nulla osta paesaggistico), dell'art.20 lett.c L.47/1985 ( per avere realizzato le opere avendo come supporto una concessione edilizia inefficace, per il motivo già riferito), dell'art.18 e 20 lett.c L 47/1985 ( per avere edificato in base ad una lottizzazione in contrasto con gli strumenti urbanistici), dell'art.20 lett.a L.477/1985 (per inosservanza delle prescrizioni e delle modalità esecutive previste dalle leggi urbanistiche-edilizie e dai regolamenti edilizi),dell'art.20 lett.c L.47/1985 (per avere realizzato modifiche alla sagoma ed al prospetto e all'immobìle assentito); all'indagato é stato anche contestato ìl reato previsto dall'art.734 cp (distruzione dì bellezze naturali)
e dall'art. 480 cp (false dichiarazioni agli organi preposti all'emanazione degli atti autorizzativi).

Le prospettazioni accusatorie sono state recepite dal G.I.P. presso la Pretura di Bari che, con decreto 17.3.1997, ha disposto il vincolo reale ravvisando sia l'ipotizzabilità dei contestati illeciti sia il periculum in mora.

In sunto il Giudice ha ritenuto: che la modificazione del territorio sia avvenuta in violazione della LR 56/1980 che stabilisce un dìvieto di edificazione entro la fascia dì 300 metri dal mare; che la deroga al vincolo, prevista dalla legge, non sia applicabile dal momento che la zona non rientra nella categoria C e non riveste le caratteristiche del centro abitato.

Nè il Giudice ha ritenuto l'inoperatività del vincolo ìn base al secondo comma dell'art.1 L.431/1985 in quanto la norma presuppone la vigenza dei programmi pluriennali di attuazione ,mentre tali strumenti erano scaduti nel 1990 e non più riadottati.

Infine ha analizzato ,per confutare la prospettazione difensiva la incidenza delle Leggi Regionali n°30/1990, n°2/1991, n° 14/1994 e ritenuto non riferibili al caso le disposizioni di esonero dal vincolo.

Ha ritenuto sussistente 1'ipotesi di lottizzazione abusiva ,in puma luogo, perchè la stessa non era preceduta dal parere del Cur ed inoltre, per la circostanza che nelle more tra l'adozione e l'approvazione del piano, e successivamente, sono state introdotte illegittime varianti essenziali.
Infine ha individuato le esigenze di cautela, limitate ai reati urbanistici edilizi, nella necessità di interrompere la permanenza degli illeciti essendo la edificazione ancora in fieri.

Per l'annullamento del decreto l'indagato ricorre in Cassazione; con articolati motivi a sostegno dell'impugnazione, rileva che la zona fosse esente dal vincolo della Legge Galasso in quanto ricompresa nei piani pluriennali di attuazione sia al momento detti entrata in vigore della L.431/l985 sia al momento di adozione del piano di lottizzazione.
Deduce che la normativa di riferimento per valutare la possibilità della urbanìzzazione è la LR 30/1990 e successive modificazioni ed,alla luce di tale discìplina è incontestabile la sussistenza di tutte le condizioni della legge richieste per ritenere legittimi gli interventi realizzati.
Per quanto concerne la pretesa abusiva lottizzazione, rileva che la stessa non doveva essere sottoposta al parere del Cur, essendo la zona non vincolata e che nessuna variante essenziale é stata realizzata.
Nega la sussistenza di esigenze di cautela in quanto la edificazione è praticamente ultimata.

Le deduzioni del ricorrente, a parere del Collegio, sono fondate
e, pertanto, meritevoli di accoglimento.
Prima di affrontare le questioni sottoposte al vaglio di legittimità la Corte ritiene utile, per chiarezza espositiva sintetizzare le coordinate normative regionali cui si farà riferimento.

La prima sottoposizione a vincolo della zona si rinviene nella L.R.56/1980 la quale stabilisce (art.51) il divieto di qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo; la deroga al divieto é consentita solo per gli strumenti urbanistici adottati alla data di entrata in vigore della legge, per le zone A B C dei centri abitati.
La legge prescrive, inoltre,(artt.21,27) la necessità del preventivo parere obbligatorio del Cur in caso dì lottizzazione in zone gravate da vincoli paesaggìstici.

Il divieto dì edificabilità è stato trasfuso, e modificato, in una sede di altre leggi conseguenti alla L.431/1985 la quale attribuisce alle Regioni la potestà di sottopone a specifica normativa di uso e di valorizzazione ambientale il territorio e di delimitare aree nelle quali è vietata qualsiasi
edificazione fino all'adozione dei piani paesaggisticì o territorialì.
Nel dare attuazione alla cd Legge Galasso, la Regione Puglia (L.R.30/1990) vieta ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia ìn varie aree tra cui i territori costieri compresi entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo (fino all'approvazione degli strumenti previsti dall'art. 1 bis L.43l/l985).
Per evitare il blocco dell'attività edilizia, la legge stabilisce quali siano gli interventi ammissibili; per quanto rileva l'art.2 c.2° consente nelle zone C gli interventi previsti in strumenti urbanistici esecutivi (piani particolareggiati e piani di lottizzazione) che risultino "adottati" alla data del 6 giugno 1990.

La disposizione ha subito alcune modifiche che hanno allargato l'ambito della fattispecie derogatoria.

In particolare la LR 2/1991,pur non alterando il precetto, ammette gli interventi edi1izi previsti in strumenti esecutivi "approvati" alla data del 6 giugno 1996. La successiva LR.14/1993 consente gli stessi interventi per gli strumenti esecutivi, formalmente e regolarmente "presentati" alla data ricordata, che devono essere sottoposti al parere preventivo del Cur per l'accertamento del non contrasto con le esigenze di tutela delle aree di particolare interesse ambientale-paesaggistico.
Tanto premesso, deve osservarsi che le ipotesi di reato inplicano il presupposto che l'area interessata dall'intervento edificatorio oggetto di lottizzazione fosse sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluto o relativo.

Pertanto punto focale della questione consiste nell'accertare quale fosse il regime giuridico della zona e la legge di riferimento per verificare se fosse gravata da vincoli o esistessero ipotesi di deroga dagli stessi. Sul punto la Corte non condivide la conclusione del Giudice che operassero due diverse normative: quella regionale,art.51 lett.f LR 56/1980, recante un vincolo dì inedificabilità assoluto, e quella statale, art.1 L.431/l985, recante un vincolo di inedificabilità relativo.

La disposizione del citato art.51, infatti, deve intendersi abrogata dalla L.431/1985 per incompatibilità dì disciplina dello stesso oggetto, la edificazione delle zone costiere.

L'art, 1 L 431/1985 ( inserito nei commi dal 5° al 13° dell'art.82 DPR 616/1977) impone ex lege vari vincoli ambientali per categorie di beni dì particolare interesse ,comprese le zone situate a 300 metri dalla linea dì battigia anche per ì territori elevati sul mare ; l'art.1 c.2° della Legge stabilisce che il vincolo non si applica alle zone A e B e, limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del DM.2.4.1968 n 1444 (e, nei Comuni sprovvisti dì tali strumentì, ai centri edificati perimetrati aì sensi dell'art.18 L.865/1971).

Per scelta del legislatore statale i vincoli di carattere generale non si applicano nelle zone urbanizzate, quindi già compromesse, ed ìn quelle oggetto dì una pianificazione che ha ritenuto maturo ìl tempo dell'esecuzione dì interventi sui territorio.

Quindi é chiaro che la legge statale introduce un vincolo già previsto darla legge regionale ,ma disciplina lo sgravio dallo stesso, per quanto concerne le zone differenti dalle A e B, in modo incompatibile con la L.56/1980.

In tale contesto, il principio generale regolatore della successione dì leggi regionali e statali (artt.9,10 L.62/1953) prevede una abrogazione implicita della norma regionale inconciliabile con quella nazionale. Pertanto, al momento dell'adozione del piano regolatore (20.3.1990), vigeva, per la fattispecie in esame, la L.431/1985 (e non ancora la LR 30/1990 del 11.5.1990). In base a tale normativa si rinvengono le condizioni richieste per consentire l'edificazione: esisteva uno strumento urbanistico e l'area era ricompresa ìn un piano pluriennale di attuazione ìn vigore.

E' vero che, una volta scaduto il limite temporale di validità di tali strumenti urbanistici (completati o non i processi di urbanizzazione dagli stessi previsti), il vincolo si riespande ìn quanto l'operatività della disciplina contenuta nell'art.1 c.2 L.431/1981 presuppone l'attualità dei piani.

I programmi in oggetto sono un mezzo per graduare nel tempo la trasformazione del territorio in quanto individuano nel quadro del piano regolatore generale ì settori su cui intervenire con priorità nell'ambito di scadenze ben definite.

Il giudizio dell'autorità amministrativa su tali priorità non ha un effetto permanente, bensì è valido rispetto ad un determinato lasso di tempo, quello di vigenza dei piani pluriennali; il consenso all'edificazione non può avere carattere definitivo essendo stato emanato con riferimento ad una contingente situazione destinata a modificarsi nel tempo.

Pertanto non é sostenibile il principio dì ultrattività del piano scaduto e non sostituito.

Tale problematica, a parere della Corte, non è influente nel caso in quanto anche al momento dell'approvazione del piano di lottizzazione la zona era esente da vincolo in virtù della LR 2/1991 (modificativa della LR.30/1990) all'epoca vigente; la normativa si adegua alla legge Galasso ed, anzi, disciplina la materia in maniera più rigorosa e restrittiva non
ritenendo sufficiente per le zone diverse dalle A e B la vigenza del piano pluriennale di attuazione.
Avendo come referente la ricordata legge, non si rilevano ipotesi di preclusione alla urbanizzazione ìn quanto sussistevano le tre condizioni richieste per consentire gli interventi edilizi.

Il piano di lottizzazione era stato approvato alla data del 6.6.1990 ; alla stessa epoca esisteva un piano pluriennale di attuazione approvato (avente efficacia fino al 31.12,1990) e comprendente le aree interessate dal piano di lottizzazione del territorio ; inoltre la zona rientrava nelle "zone C, nelle aree destinate ad insediamenti turistici, artigianali, ed industriali".

Sul tema il provvedimento impugnato ha rilevato che la zona oggetto di edificazione é dotata di autonomia e non rientra in nessuna delle ipotesi disciplinate dall'ert.2 DM 1444/1968 .

La tesi non pare al Collegio puntuale in quanto non è consentita la previsione da parte degli strumenti urbanistici di una divisione del territorio ulteriore e differente rispetto ai tipi di zone omogene individuate dal DM 1444/1968 per la seguente ragione.

La L.765/1967 prevede dei limiti inderogabili da osservare nella
formazione degli strumenti urbanistici allo scopo dì garantire un migliore equilibrio tra uomo ed ambiente.
In attuazione di detta normativa, i1 decreto del Ministro dei lavori pubblici n.1444/1968 ha fissato valori minimi con riferimento a "zone territoriali omogenee" cioè a porzioni di terreno rìtenute, per le loro caratteristiche, idonee ad una specifica destinazione; trattasi di modelli urbanistici-edilizi valevoli per tutto il territorio, inderogabili nella formazione degli strumenti urbanistici, pena la illegittimità degli stessi per violazione di legge.

Per tale rilievo deve desumersi che la zonizzazione contenuta nel DM citato sia di natura vincolante e non vi sia spazio per un potere discrezionale della PA di individuare nei piani regolatori zone diverse dalla tipologie elencate nel decreto.

Nel caso in oggetto, l'art.39 PRG definisce la zona con espressione meramente descrittiva delle tipologie costruttive realizzabili" per attività terziarie" e la destina per metà a residenze e per metà ad alberghi, servizi ed attrezzature.

Trattasi di zona mista che, tuttavia, è inquadrabile nella previsione sub C in cui sono allocate le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali la edificazione non raggiunga i limiti di superficie sub B ; pertanto la zona C può avere tutte le destinazioni d'uso possibili con esclusione di quelle industriali per le quali il decreto prevede una specifica categoria.
Comunque, quando anche la tesi del Giudice fosse esatta, la conclusione non muterebbe : il testo normativo toglie interesse pratico ad accertare se, nella specie,lo strumento urbanistico assegnasse l'area alla zona C.

Invero la legge ( permettendo gli interventi nelle zone A,B ed,alle condizioni riferite, nelle zone C ,nelle aree destinate ad insediamenti turistici,artigianali ed industriali ),esplicita, sia pure con locuzione non felice,la volontà di consentire l'attività edilizia in tutte le zone utilizzabili ad eccezione di quelle agricole alle quali è destinata distinta normativa.

Deriva che, in base alla LR 2/1991,nel territorio non si applicava la disciplina dettata per le zone costiere.

Analoga conclusione deve trarsi anche con riferimento alla L.R.14/1994 in vigore al momento del rilascio delle concessioni.

Come detto, la norma riproduce sostanzialmente il testo della LR 2/1991 ritenendo,però, sufficiente la presentazione degli strumenti urbanistici ed introducendo la condizione del preventivo parere del CM ; la sottoposizione al controllo di tale organo tecltico-necessaria per la estensione dei casi di esonero dal vincolo- deve intendersi riferita ai pialù non ancora approvati all'epoca di entrata in vigore della legge.

L'agpavio di procedura,a parere della Corte, non può estendere aì piani di lottizzazione (o particolareggiati) il cui iter di formazione si è legittimamente concluso con la pregressa disciplina che non prevedeva tale formalità.

Nè é ipotizzabile,in base al generale principio tempus regit actum, una caducazione della lottizzazione per modifiche legislative successive o una riapertura del procedimento amministrativo per gli sbumenti urbanistici esecutivi alla data di entrata in vigore della L.R 14/1994, in quanto la legge non lo richiede.

La conclusione che la zona non fosse gravata da vincoli (conclusione che il Collegio prende allo stato degli atti salva differente valutazione da parte dei Giudìcì di merito,all'esito di possibili ulteriori investigazioni ed acquisizioni probatorie) porta come necessaria conseguenza la non configurabilità: del reato ex art. I sexies L.431/1985. sotto il profilo che, nqn sussistendo alcun divieto di edificabilità , non necessitasse il nulla osta paesagistico della Giunta regionale; del reato di cui all'art. I lett.C L.47/1985 (capo C) in quanto la modifica alla sagoma dell'immobile non é qualificabile variante essenziale ex art.8 u.c. L.47/1985; del reato ex an.20 c. I °lett C L.47/1985(capo E) poiché la prospenazione accusatoria, sulla inefficacia della concessione, presuppone la mancanza del nulla-osta paesagistico non richiesto nel caso; del reato di cui all'art.20 c.1°lett. A in quanto la ipotizzata e,peraltro generica,inosservanza delle leggi ,dei regolamenti,degli strumenti urbanistici ed edilizi non è riscontrabile; del reato di cui agli artt.18, 20 c.I sub C L.47/1985 ( per la prima ipotesi ritenuta sussitente) : la lottizzazione,inerendo su zona non gravata da vinncolo paesagistico,non doveva essere preceduta dal parere del Cur ex art.21,27 LR56/1980.

Il Giudice ha,però, evidenziato un ulteriore profilo di illegittimiità della lottizzazione. Nelle more tra adozione ed approvazione del piano sono state introdotte modifiche planovolumetriche e,successivamente alla approvazione,vi è stata una variante che ha permesso un ulteriore aumento di volumetria con mero atto di sottoscrizione dell'obbligo da parte dei lottizzanti; il Giudice ha sostenuto che tali modifiche impportassero la necessità che il procedimento amministrativo fosse ripercorso ab origine.
Più precisamente ha ritenuto che la variante sia un istituto tipico della concessione singola e del piano particolareggiato (secondo la disciplina regionale o ex art.16 L. 50/1942) e non sia consentita per i piani di lottizzazione che esprimono scelte concordate tra autorità e privato; conseguentemente ogni variante ai piani in oggetto si tradurebbe in un nuovo progetto che necessita di autonomo procedimento.

Ora,come rilevato, la disciplina delle varianti non é espressamente prevista nell'iter di formazione del piano di lottizzazione dalla L.R 51/1980.

Tuttavia,dal momento che sia il privato sia il Comune possono avere qualche ripensamento, la Corte ritiene che sia necessario, anche per questi strumenti negoziali, introdurre la possibilità di varianti,che costituiscono un indispensabile coefficiente di elasticità ed un mezzo di adeguamento di ogni atto di pianificazione ; ciò anche in considerazione del rilievo che un accordo progressivo tra privato e PA non pare inconciliabile con la natura convenzionale del piano.

In assenza di specifica disciplina nella materia ,il Collegio ritiene che ìl procedimento amministrativo debba essere ripercorso solo per le modifiche che,per la loro entità e àndone, possono qualificarsi rilevanti e danno luogo ad una pianificazione lottizzatoria in modo sostanziale divergente da quella adottata.

ln coerenza con tale principio il consiglio comunale di Bari,con delibera 15.4.1988, ha stabilito che, quando le varianti non incidono sul dimensionamento globale del piano di lottizazione, non comportano modifiche al perimetro, agli indici di fabbricabilità, alle dotazioni di spazi pubblici o di uso pubblico, sia sufficiente la sottoscrizione di apposito atto dichiarativo di obbligo.

Nel caso concreto le varianti -sia quelle presentate tra l'adozione e l'approvazione sia quella successiva-sono consistite in modifiche tecniche, compatibili con la destinazione del piano, che non hanno mutato la fisionomia della lottizzazione, non hanno urtato l'impostazione urbanistica dell'originario progetto, e non hanno determinato quelle modifiche sostanziali che la citata delibera considera incompatibili con la mera sottoscrizione dell'obbligo.

ln particolare,le modifiche sono consistite in un aumento di cubatura che può "essere considerato di non significativa incidenza in rapporto alla entità della lottizzazione.

Il giudizio di rilevanza può essere effettuato alla luce del criterio-da considerarsi meramente indicativo perché dettato in materia di edificazione-previsto dall'art.2 LR 26/1985 .

La disposizione definisce normativamente il concetto di variante essenziale stabilendo, tra l'altro,che si considera tale,per gli edifici eccedenti i 5000 mc,l'aumento di cubatura del 2,50 per cento ; nel caso concreto le modifiche hanno comportato un aumento di cubatura che non raggiunge la ricordata soglia.

Consegue che,a parere della Corte,la scansione procedimentale adottata deve ritenersi legittima in base alle varianti che emergono dal testo del provedimento impugnato.

Per le considerazioni esposte,la Corte non ritiene sussistenti quegli elementi di illiceità evidenziati dall'accusa che giustificano il provvedimento cautelare.

PQM

annulla il provvedimento impugnato e dispone restituirsi quanto in sequestro agli aventi diritto.

Manda alla Cancellerìa per ì provvedimenti di cui all'art.626 cpp.

Roma, 17 novembre 1997

Il Presidente

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