Corte
di Cassazione, Sez. VI Penale
Sentenza 5 aprile - 3 maggio 2000, n. 1641
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Renato FULGENZI - Presidente
Dott. Raffaele LEONASI - Consigliere
" Luciano DI NOTO - "
" Bruno OLIVA - "
" Giorgio COLLA - "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
PM c/
M. L.
avverso provvedimento del 14/8/99 del Giudice della esecuzione - Tribunale di Genova -
Sentita la relazione fatta
dal Consigliere dott. Leonasi -
letta la requisitoria del Pubblico Ministero nella persona del sost. Procuratore
Generale presso la Corte di Cassazione che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Premesso:
- che con l'ordinanza in epigrafe il giudice della esecuzione ha accolto l'istanza
di revoca ex art. 673 C.P.P. presentata da M. L. già condannato con sentenza
irrevocabile per il reato. di cui all'art. 341 C.P.;
- che la decisione ruota intorno al concetto che non sussistendo rapporto di
specialità tra il delitto di ingiuria e quello di oltraggio (in ragione
della diversità dei beni protetti), si è verificato,.per effetto
dell'art. 18 legge n. 205/99, un semplice fenomeno di abrogazione della fattispecie
penale;
- che ricorre per cassazione il Procuratore della repubblica presso il Tribunale
per lamentare l'erroneità della decisione sotto il profilo che con l'entrata
in vigore di detta norma si è registrata soltanto un'ipotesi di trattamento
sanzionatorio più favorevole, con conseguente applicabilità della
riserva di cui al terzo comma dell'art. 2 C.P. -
Si osserva:
Il problema appare ormai. agevolmente risolvibile sulla base dei contributi
offerti dall'Organo requirente presso questa Corte oltre che da recentissima
decisione di questa sezione (c.c. 28/1/2000,
M.): argomenti del tutto persuasivi e qui da riassumere soltanto, anche
nel rispetto della regola di concisione.
1. Non è applicabile l'art. 2 co. 3°, mancando tra le norme all'esame
(art. 594 e art. 341 C.P.) il necessario rapporto di specialità Nel secondo,
come si sa e come ricordato autorevolmente da Corte cost. 25/7/1994 n. 341,
è protetto un interesse "che supera quello della persona fisica
e investe il prestigio e quindi il buon andamento della pubblica amministrazione",
venendo solo in secondo piano, e non sempre, la persona del pubblico ufficiale.
E invero l'esperienza quotidiana insegna come non siano infrequenti comportamenti,
in genere verbali, che ledono il "prestigio" del p.u",.senza
coinvolgere il decoro dell'uomo (si pensi alle cosiddette "offese alla
divisa").
2. Si è pure osservato, sia nella precedente sent. cit. sia nella requisitoria
del P.G., che per potersi porre il problema di applicabilità dell'art.
2 nella successione di leggi, è necessaria la cosiddetta "continuità
del tipo di illecito", avendosi riguardo all'interesse protetto e alle
stesse modalità di aggressione (cfr. SS.UU. 26/6/1990, Monaco, a proposito
della legge n. 86/90 che ha abrogato l'art. 324 e modificato l'art. 323 C.P.).
E proprio sotto il profilo delle "modalità di aggressione"
non sembra superfluo ricordare che l'art. 341 richiede che il fatto sia commesso
"nell'esercizio o a causa delle funzioni".
3. Non è di certo casuale la disciplina transitoria dettata dall'art.
19 della legge n. 205/1999, disciplina che riguarda unicamente reati (divenuti)
perseguibili a querela a sensi della legge stessa o dei successivi decreti legislativi:
e non si può pensare che il legislatore abbia involontariamente trascurato
la eventuale residua disciplina penalistica per un fatto tanto rilevante anche
sul piano della frequenza quanto generatore, negli ultimi tempi, di non poche
dispute sulla stessa opportunità di sopravvivenza come reato.
4. Seguire la tesi del P.M. ricorrente significherebbe, nella sostanza, mettersi
il più delle volte a rischio di incostituzionalità, nella misura
più o meno rilevante in cui si lascerebbe in esecuzione una pena detentiva
certo non adeguata, quand'anche nei termini più favorevoli consentiti
dalla nota decisione Corte Cost., all'ingiuria, reato punibile - e in concreto
punito nella gran parte dei casi - con la sola pecuniaria.
In conclusione, trattandosi di un caso di abrogatio criminis, rettamente la
sentenza di condanna è stata revocata dal giudice della esecuzione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 5 aprile 2000
Il Cons. est.
(Leonasi)
Il Presidente
(Fulgenzi)
Depositato in Cancelleria
Roma, li 03 MAG. 2000