Andrea Guido, Nota a Cass., Sez. IV Penale, 8 aprile-19 giugno 1999, n. 1074 (*)

La sentenza commentata costituisce l'epilogo di una interessante controversia insorta circa l'applicazione dell'art. 1 L. 165/1998, che ha novellato l'art. 656 c.p.p.. In estrema sintesi, oggetto della contesa era rappresentato dall'applicabilità del meccanismo sospensivo previsto dal quinto comma della disposizione ora richiamata relativamente all'esecuzione delle sentenze di condanna a pene detentive inferiori a tre anni (salve le eccezioni previste dai successivi commi 7 e 9) con riferimento agli ordini di carcerazione già emessi ma non ancora eseguiti al momento dell'entrata in vigore della riforma legislativa. In relazione a tali provvedimenti, infatti, la Procura della Repubblica di Genova non aveva ritenuto di emettere il decreto di sospensione previsto dal comma 5 dell'art. 656 c.p.p. (ed anzi, in taluni casi aveva addirittura respinto istanze di sospensione dell'esecuzione in pendenza di domanda di concessione di benefici penitenziari da parte di condannati ancora in stato di libertà), assumendo l'inapplicabilità della nuova disciplina legislativa per il preteso intervenuto perfezionamento dell'ordine di esecuzione con la fase della mera emissione sulla base della normativa previgente.
Nella fattispecie giunta allo scrutinio del giudice di legittimità, il Pubblico Ministero aveva emesso ordine di carcerazione di una pena detentiva in data antecedente all'entrata in vigore della L. 165/1998; pur essendo la sanzione inferiore a tre anni di reclusione, il P.M. non aveva ritenuto di sospendere l'esecuzione secondo quanto previsto dal nuovo testo dell'art. 656 comma 5 c.p.p., ed il destinatario del provvedimento era stato poi ristretto in carcere.
Il condannato si era rivolto al Giudice dell'esecuzione in primo luogo lamentando la nullità (o comunque la cessazione di efficacia) dell'ordine di esecuzione in quanto emesso sulla base di una disciplina legislativa non più vigente e, in secondo luogo, invocando l'applicazione del generale principio "tempus regit actum", con la conseguente necessità di sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 656 comma 5 c.p.p. nuovo testo. Il Tribunale adìto aveva in concreto accolto il secondo motivo di gravame revocando l'ordine di esecuzione ed ordinando la liberazione del condannato con il provvedimento che di seguito si riporta (cfr. Trib. Genova, ord. 31.7.1998, ric. Ponce, Pres. ed Est. Macchiavello, inedita): (omissis) "rilevato che la ricorrente chiede la sospensione dell'ordine di esecuzione 24/4/1998, validamente emesso nel vigore del vecchio testo dell'art. 656 c.p.p., ed eseguito il 3/7/1998, sulla base del testo del medesimo articolo, novellato dalla legge 165/1998; rilevato che l'art. 656 c.p.p. così come riformulato dispone l'obbligatoria sospensione dell'ordine di carcerazione, prima della sua esecuzione (5° comma norma citata); rilevato che la legge 27/5/1998 n. 165 è stata pubblicata nella G.U. del 30/5/1998 ed è quindi entrata in vigore il 15/6/1998; ritenuto che la nuova formulazione dell'art. 656 c.p.p., pur non involgendo la validità dell'emesso ordine di carcerazione 24/4/1998, impone che la esecutività del medesimo sia sospesa ai sensi del 5° comma di detta norma novellata, immediatamente applicabile; ritenuto invero che, nulla prevedendo la legge 165/1998 in ordine alla sorte degli ordini di carcerazione emessi prima della sua entrata in vigore, soccorrono i principi generali dell'ordinamento; ritenuto che il principio tempus regit actum di cui all'art. 11 Preleggi deve essere, nel caso de quo, superato dal disposto dell'art. 2 c.p. in quanto la disciplina contenuta nella L. 165/1998 non appare avere (quantomeno non esclusivamente) carattere processuale, per incidere la stessa sul tipo di pena da concretamente infliggere, donde la sua evidente (in parte qua) natura sostanziale; ritenuta quindi la necessità di revocare l'ordine di carcerazione per cui è procedimento (riguardando lo stesso una pena di durata inferiore agli anni tre) in attesa che il competente ufficio del Pubblico Ministero proceda a nuova emissione degli atti esecutivi, alla luce delle indicate modifiche legislative (omissis)".
Avverso detta ordinanza il Pubblico Ministero aveva proposto ricorso per Cassazione, deciso con la sentenza in epigrafe, deducendone l'erroneità in diritto sia per essere stato applicato un principio di diritto penale sostanziale a materia avente chiaro carattere procedurale, sia comunque per l'essere stato revocato un ordine di esecuzione che al più avrebbe dovuto essere sospeso.
Su conclusioni parzialmente difformi del Procuratore Generale presso la Suprema Corte (che ha così sinteticamente concluso: "letti gli atti del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova avverso l'ordinanza 31/7/1998 emessa dal locale Tribunale nei confronti di Ponce Hernandez Gladys; rilevato che - come giustamente osserva il ricorrente - è del tutto erroneo attribuire natura sostanziale all'art. 656 c.p.p., il cui carattere di norma squisitamente processuale è di tutta evidenza; P.Q.M. chiede che la Corte di Cassazione annulli senza rinvio l'impugnata ordinanza e restituisca gli atti al P.M. per l'ulteriore corso di sua competenza"), il giudice di legittimità ha risolto la questione, affermando a chiare lettere l'applicabilità del principio "tempus regit actum", operante senza eccezioni nel nostro sistema processuale. Nel fare ciò, la Suprema Corte ha dovuto correggere l'iter argomentativo seguito dai giudici di merito, che avevano fatto riferimento a principi di natura e carattere sostanziale, che in effetti nulla hanno a che vedere con fattispecie come quella in esame.
La sentenza della Suprema Corte in epigrafe non è isolata, ma costituisce parte di una serie di decisioni, orientate in senso sostanzialmente conforme, pur nella diversità delle singole fattispecie oggetto di giudizio.-
In particolare, cfr. Cass. Pen., Sez. I, 18.2.1999 (c.c. 18.1.1999), ric. P.M. in proc. Hamrouch, in Gazz. Giur., n. 13/99, p. 72 ed in Arch. Nuova Proc. Pen., 1999, p. 27, la cui massima ufficiale (rv. n. 212584) recita: "In virtù del principio "tempus regit actum", all'ordine di carcerazione emesso prima dell'entrata in vigore della legge n. 165 del 1998, che ha modificato l'art. 656 cod. proc. pen., si applica la nuova disposizione del comma quinto di detto articolo, che impone al pubblico ministero di sospenderne l'esecuzione con decreto contenente l'avviso al condannato della facoltà, che gli compete, di presentare, entro trenta giorni dall'avvenuta consegna del provvedimento, istanza di ammissione a una delle misure alternative alla detenzione in esso indicate". La motivazione della sentenza osserva che l'assenza di una norma transitoria regolante la sorte degli ordini di carcerazione emessi anteriormente all'entrata in vigore ella riforma dell'art. 656 c.p.p. comporta la necessità di applicare il principio "tempus regit actum", trattandosi di vicenda processuale non ancora esaurita e quindi dovendosi escludere "la possibilità di considerare il momento dell'emissione dell'ordine di carcerazione, che è anteriore alla "novatio legis", disgiunto ed avulso da quello, connesso e consecutivo, della sua esecuzione", di talché questa, "non essendo ancora iniziata, non era insensibile alla modifica legislativa e ben avrebbe potuto, in base al disposto dell'art. 656 comma 5 c.p.p., essere sospesa con decreto del pubblico ministero", non necessariamente coevo all'ordine di cui sopra. In senso conforme, vedi Cass. Pen., Sez. I, 22.3.1999 (c.c. 2.2.1999), ric. Oueslati, in Arch. Nuova Proc. Pen., 1999, p. 428 ed in Riv. Pen., 1999, p. 692 (rv. n. 212746), massimata ufficialmente in modo identico alla sentenza Hamrouch. Analoghe osservazioni risultano esposte in Cass. Pen., Sez. IV, 1.3.1999, n. 122 (c.c. 19.1.1999), ric. Alli, inedita, ove è ribadita l'immediata operatività di tutto il nuovo testo dell'art. 656, poiché "non si rinvengono elementi che ne escludano l'applicabilità a situazioni in corso alla sua entrata in vigore". La particolarità di questa ultima decisione, resa su ricorso del condannato cui il Giudice di merito aveva respinto l'incidente di esecuzione proposto, è data dal dispositivo adottato, di annullamento con rinvio per nuovo esame, al fine di verificare l'insussistenza di causa preclusive di cui ai commi 7 e 9 dell'art. 656 c.p.p.. Trattasi di soluzione formalmente corretta, ma che appare di dubbia opportunità, atteso che l'accertamento demandato al giudice di rinvio ben avrebbe potuto essere effettuato dalla medesima Corte di Cassazione, al fine di non ritardare nel tempo l'eventuale rimessione in libertà del condannato. Ovviamente, quanto esposto presume la completezza del fascicolo di merito inviato all'attenzione del giudice di legittimità; d'altro canto, il Collegio avrebbe potuto farsi cario del problema e motivare circa la mancata applicazione dell'art. 620 comma 1 lett. L c.p.p.. L'opinione è rafforzata da quanto deciso con la sentenza in epigrafe, che ha direttamente corretto sia la parte motiva, sia il dispositivo dell'ordinanza del Giudice dell'esecuzione, senza rinviare la causa per un nuovo esame nel merito della sussistenza delle condizioni per la disposta sospensione dell'esecuzione.-
In senso conforme a quanto ritenuto dalla Cassazione con le pronunce ora recensite possono essere citate alcune decisioni di merito, che hanno ribadito l'applicabilità del principio "tempus regit actum", ed hanno disposto la sospensione dell'esecuzione della pena, in alcuni casi corredando il dispositivo con gli avvertimenti previsti dalla L. 165/1998, senza ordinare nuova emissione degli atti da parte del Pubblico Ministero: cfr. Pret. Genova, est. Lepri, ord. 8.8.1998, ric. Djenane; id., est. Merlo, ord. 29.7.1998, ric. Vajar Labra, inedite. In senso difforme, e quindi per l'inapplicabilità della nuova disposizione agli ordini già emessi e non ancora eseguiti, cfr. G.I.P. Trib. Genova, est. Gavotti, ord. 12.8.1998, ric. Alli (decisione poi annullata dalla Cassazione con la sentenza 122/1999 citata) e Trib. Genova, Sez. I, Pres. ed Est. Delucchi, ord. 17.7.1998, ric. Cocola, inedite.-
Per completezza, debbono infine essere segnalati due ulteriori profili problematici suscitati dall'entrata in vigore della novella dell'art.- 656 c.p.p., risolti con recenti arresti da parte della Corte di Cassazione. Anzitutto, si era posta la questione circa l'immediata applicabilità della norma che vieta espressamente la reiterazione della sospensione dell'esecuzione della pena una volta intervenuta la pronunzia negativa del Tribunale di Sorveglianza circa la concessione di misure alternative al carcere (precedentemente all'entrata in vigore della L. 165/1998, invero era prassi diffusa quella dell'ammissibilità di più istanze successive, purché fossero fondate su differenti presupposti). La Corte di Cassazione ha applicato anche a tale fattispecie il principio "tempus regit actum", ed ha statuito che "il condannato nei cui confronti antecedentemente alla modificazione dell'art. 656 c.p.p. introdotta con l'art. 1 della legge n. 165 del 1998, sia stata rigettata l'istanza di misura alternativa alla detenzione (nella specie affidamento in prova al servizio sociale), in costanza della cui definizione aveva ottenuto la sospensione dell'esecuzione, legittimamente viene ristretto in carcere, una volta entrata in vigore detta legge, che non consente la reiterazione di detta sospensione: e ciò in applicazione del principio "tempus regit actum", che caratterizza gli effetti della normativa procedurale (in motivazione, la S.C. ha sottolineato l'irrilevanza del fatto che, in tale situazione, di passaggio dall'una all'altra normativa, fosse divenuta deteriore la posizione del condannato che, nel vigore della normativa abrogata, non ultrattiva, avrebbe potuto beneficiare di un'ulteriore sospensione dell'esecuzione a seguito della presentazione di nuova istanza di misura alternativa" (così, Cass. Pen., Sez. I, 18.1.1999 (c.c. 30.11.1998), ric. De Fazio, in Arch. Nuova Proc. Pen., 1999, p. 296, rv. n. 212106). In senso conforme, cfr. Pret. Genova, Est. Merlo, ord. 30.7.1998, ric. Lo Coco, inedita, secondo cui, in applicazione del principio "tempus regit actum", una volta respinta dalla Magistratura di Sorveglianza la richiesta di ammissione a benefici penitenziari "ci si trova di fronte all'esecuzione, da parte del P.M., di provvedimento della magistratura di sorveglianza, come tale disciplinato dall'art. 659 c.p.p., non modificato dalla nuova disciplina, per cui nessun addebito di omissione procedimentale può essere addebitato all'organo di esecuzione" (id est l'emissione di un nuovo decreto di sospensione dell'esecuzione della pena).-
Altra questione risolta dal giudice di legittimità concerne infine la sorte dei condannati che si trovavano in regime di arresti domiciliari ed in tale condizione avevano richiesto misure alternative in epoca antecedente all'entrata in vigore dell'attuale comma 10 dell'art. 656 c.p.p.. Secondo questa disposizione invero, allorché divenga irrevocabile un decisione di condanna e l'interessato si trovi in stato di custodia cautelare in regime di arresti domiciliari, il Pubblico Ministero ha l'obbligo di sospendere l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmettere senza ritardi gli atti al Tribunale di Sorveglianza perché questi provveda, senza formalità, all'eventuale applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare. In attesa della decisione collegiale, il condannato permane nello stato in cui si trova ed il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti (circa la procedura che deve seguire il Tribunale di Sorveglianza in tali ipotesi, cfr. Cass. Pen., Sez. I, 15.4.1999, ric. Chiovitti, in Foro it., 1999, II, p. 425, secondo cui la procedura de plano può essere adottata solo allorché la decisione sia favorevole al condannato; diversamente, deve essere garantito il contraddittorio camerale ex art. 666 c.p.p.). La Suprema Corte, chiamata a decidere a Sezioni Unite per dirimere un contrasto di giurisprudenza relativo alla normativa previgente (era infatti dubbio se l'affidamento in prova al Servizio Sociale potesse essere disposto, previa sospensione dell'ordine di carcerazione fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza, in favore del condannato in detenuto agli arresti domiciliari al momento del passaggio in giudicato della sentenza), ha affermato l'applicabilità della nuove disposizioni anche "ai procedimenti di sorveglianza in corso al momento dell'entrata in vigore legge 27 maggio 1998, n. 165", in quanto afferenti a "rapporti non ancora esauriti, sicché è consentita la sospensione dell'esecuzione della pena anche a favore del condannato che, al momento del passaggio in giudicato della sentenza, si trovi ristretto agli arresti domiciliari ed abbia richiesto l'affidamento in prova al servizio sociale, sempre che non sussista una delle condizioni ostative di cui al comma 9 dell'art. 656 c.p.p., come modificato dalla legge predetta, ovvero non sia nel frattempo intervenuta la decisione del Tribunale di Sorveglianza che abbia negato la concessione del beneficio" (così, Cass. Pen., Sez. Un., 28.10.1998, n. 20 (c.c. 13.7.1998), ric. P.M. in proc. Griffa, massimata in Arch. Nuova proc. pen., 1999, p. 84 ed edita per esteso in Riv. Pen., 1998, p. 1115, nonché massimata ivi, 1999, p. 214).

avv. Andrea Guido - ottobre 1999

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