Sulla causalità nei reati omissivi impropri
TRIBUNALE DELLA SPEZIA
- sez. distaccata di Sarzana -
FATTO E DIRITTO
1. A. B. è stato citato a giudizio per rispondere del reato di omicidio colposo menzionato in rubrica.
1.1 Si contesta all'imputato, nella sua qualità di legale rappresentante della S.r.l. C.G., datore di lavoro di T. D., di aver colposamente tollerato che lo stesso T. effettuasse, per anni, nella sua qualità di capo piazzale, le operazioni di carico di lastre di marmo all'interno dei containers, in violazione delle norme di sicurezza e, in particolare, mediante il sistema detto “a libro aperto”, rispetto al modo che prevede l'uso di “capre” posizionate al centro del container; nell’avere, quindi, omesso, in violazione delle disposizioni di cui all’art. 4 D.Lgs. 626/94, di effettuare la necessaria valutazione di tale rischio e di prendere le misure appropriate affinché al lavoratore venissero impartite adeguate informazioni ed istruzioni circa l'utilizzo di tecniche di carico diverse da quella “a libro aperto”; in tal modo cagionando al T. - che era entrato in un container sul quale erano già stati caricati, con sistema a libro aperto, due “pacchi”, per un totale di 17 lastre appoggiate alla parete sinistra dello stesso container, e sul quale veniva posizionato, sulla destra, un ulteriore “pacco” di 19 lastre di dimensioni più ridotte, che crollavano e schiacciavano il lavoratore sul fondo del container - lesioni personali che lo traevano immediatamente a morte in data 11/8/2006.
1.2 Nel corso del processo sono stati sentiti numerosi testimoni, consulenti di parte e sono stati acquisiti documenti che saranno menzionati in quanto ritenuti utili ai fini della decisione.
2. Dall’istruttoria svolta è emerso pacificamente che la mattina dell'11 agosto 2006, presso l'insediamento produttivo della S.r.l. C.G. con sede in XXX, alle ore 6.00 di mattina i dipendenti dell'azienda, T. e I., si accingevano a caricare delle lastre di marmo (di proprietà della ditta M.) su un container con l'ausilio di una gru semovente, noleggiata dalla ditta YYY di Carrara e guidata dal signor P..
2.1 Le operazioni di carico delle lastre all'interno del container consistevano nell’imbracare dal piazzale aziendale dei pacchi (pastelli) di 10-12 lastre ciascuno che, una volta agganciati e sollevati con l'autogrù, venivano trasportati e successivamente scaricati all'interno del container posizionato sul rimorchio dell'autoarticolato, idoneamente piazzato su fondo solido, con zanche abbassate e agganciato alla motrice. I pastelli venivano posizionati su traversini di legno fissati sul fondo del container ed appoggiati a montanti in legno, a loro volta appoggiati alle pareti laterali del container, avendo cura di dare alle lastre una sufficiente inclinazione per garantirne la stabilità. Una volta appoggiate, le lastre venivano liberate dalle brache e si procedeva al nuovo carico.
2.2 La mattina dell'infortunio due pastelli di 17 lastre erano stati già appoggiati alla parete di sinistra del container (guardandolo dalla sua apertura), mentre il carico successivo (di 19 lastre) stava per essere appoggiato contro la parete di destra, al fine di far assumere alle lastre, all'interno del container, una configurazione a “V”, chiamata in gergo “a libro aperto” (metodo cui si contrappone quello che fa uso di cd. “capre metalliche”, posizionate al centro del container, parallele alle pareti dello stesso, alle quali vengono appoggiati i pacchi di lastre con configurazione a “V rovesciata”, su cui v. infra par. 5 ss).
2.3 Il T., messe in bando le brache, aveva dato l'ordine al gruista di uscire e sfilare il braccio dal container. La semovente, seguita da I., che nel frattempo era sceso dal container, si stava dirigendo verso il deposito per caricare una nuova imbracata, quando improvvisamente le lastre del pacco di destra, appena caricato, cadevano verso il centro del container, travolgendo e schiacciando il povero T. sul fondo dello stesso. La caduta provocava anche il ribaltamento del pacco di lastre caricato a sinistra.
3. Lo I. (sentito all’udienza del 7/2/2011) ha confermato che quella mattina stava aiutando il T. nell’operazione di carico delle lastre, precisando che il T. era “il capo”, vale a dire colui che prendeva tutte le decisioni di carico e scarico delle lastre. Quella mattina, dopo essere entrato nel container per levare le brache dal pacco di destra, era sceso e stava accompagnando l’autogru per la successiva imbracata, quando aveva sentito improvvisamente un forte colpo e, girandosi, aveva visto le lastre ribaltate a terra (sul fondo del container).
4. R. S. (ud. 7/2/2011), presente al fatto, rappresentava la ditta (M.) che aveva commissionato alla C.G. la lucidatura delle lastre in questione. Quella mattina si trovava sul piazzale proprio per assistere alle operazioni di carico. Il T. era il suo referente per la C.G. per tutte le operazioni tecniche di lucidatura e carico delle lastre. La ditta del R. aveva deciso che il carico di quelle lastre su container doveva essere effettuato “a libro aperto”, una modalità sempre seguita per i contenitori da trasportare via mare (quel carico era diretto in Argentina), in quanto considerata più sicura sia per le operazioni di carico, sia per la successiva stabilità della merce all’interno del container. Nei tre anni precedenti, presso la stessa ditta, erano già stati effettuati circa novanta carichi “a libro aperto”, tutti eseguiti dal T..
5. B. G., consulente delle parti civili, all’udienza del 7/2/2011 ha riferito in ordine alle linee guida della A.S.L. di Massa-Carrara, adottate anche dall’A.S.L. di Versilia e di Verona, nelle quali vengono presi in considerazione solo due metodi di carico delle lastre, uno tramite l'uso di “capre” (in pratica dei cavalletti metallici collocati al centro del container, sui quali vengono appoggiate le lastre), l'altro tramite l'uso di legacci di legno (una tecnica particolare che si usa soprattutto quando si spediscono lastre di grosse dimensioni di un certo valore economico). Il metodo standard è quello delle “capre”. Altri metodi non sono pressi in considerazione e quindi, a parere del consulente, non sono consigliabili.
5.1 Per quanto attiene in particolare al sistema “a libro aperto”, osserva il consulente che con tale sistema si appoggiano le lastre alle sponde del container. Ciò non è consigliabile, visto che il container non è omologato per sostenere pesi nelle parti laterali. Inoltre, caricando a libro aperto, fino a che il carico non è stato completato e puntellato, le lastre sono quasi verticali e sono sottoposte in ogni momento alle oscillazioni, per cui possono cadere; mentre, appoggiandole sui cavalletti, sono più stabili e difficilmente possono cadere. Nel metodo a libro aperto le lastre non sono fissate a niente fino all'ultimo momento (quando vengono definitivamente rizzate). Ne discende che, a parere del consulente, tale metodo è molto pericoloso.
6. L’altro consulente di parte civile, Z. M., ha spiegato che, dal punto di vista della sicurezza del lavoratore, con la modalità di carico a libro aperto il lavoratore si trova sempre costantemente all'interno di un corridoio centrale tra le imbracate di lastre appoggiate (quasi verticalmente) alle pareti e non vincolate in alcuna maniera, con conseguente pericolo che le lastre si ribaltino per assenza di un angolo di inclinazione predefinito (cd. “piede”). Nel caso del sistema “a capre”, invece, il ribaltamento, pur sempre possibile, è meno probabile in considerazione del maggiore angolo di inclinazione delle imbracate, dato proprio dalla struttura inclinata della “capra”.
7. F. L., ispettore dell’ASL della Spezia, sentito all’udienza dell’ 11/10/2010, è intervenuto sul luogo del sinistro il giorno dopo l’incidente e, sulla scorta degli accertamenti espletati, ha riferito che l’evento mortale è avvenuto verosimilmente nel momento in cui il T., dopo aver tolto l’imbracatura, stava cercando di “sfogliare” e accostare il pacco di 19 lastre (su ciascuna lastra era interposto un film plastico) sulla parete destra del container; nel corso di tale operazione una lastra gli deve essere caduta addosso e così di seguito tutte le altre lastre, ivi comprese quelle del “pacco” di sinistra. Ha aggiunto che durante le operazioni di carico delle lastre è inevitabile che un operatore debba entrare nel container per togliere le brache e accostare le lastre sulla parete. Al riguardo il T. svolgeva funzioni di capo piazzale ed era il responsabile di tali operazioni.
7.1 Ha accennato in ordine ai tre metodi di carico dei container delle lastre di marmo (“a libro aperto”, con uso di “capre metalliche” e con cd. “legacci di legno”), precisando che il metodo a libro aperto è molto adottato, specialmente nei paesi esteri, in quanto esistono direttive delle Compagnie che affittano i container che prevedono quel tipo di carico. Nella zona di Carrara è invece molto utilizzato il metodo con le “capre metalliche”, per il quale esistono delle linee guida specifiche. In altre zone, e soprattutto per il materiale semilavorato (lastre di maggior pregio) viene adottato il metodo di carico con i “legacci” (si tratta di gabbie di legno dove viene racchiuso il materiale da caricare sul container).
7.2 F. ha riconosciuto che i suoi colleghi della ASL di Massa – Carrara hanno escluso, nelle loro linee guida, il metodo “a libro aperto”, ritenendolo pericoloso, ma ha precisato che tale metodo di carico è adottato a livello internazionale da diversi paesi (Brasile, Cina, India) da cui arriva questo materiale. In ogni caso, ha osservato che se le lastre sono caricate con le “capre”, l’operatore, all’interno del container, deve passare da una parte o dall’altra (la capra è collocata al centro del container), per cui, rispetto al sistema a libro aperto, corre il rischio che gli cadano addosso la metà delle lastre, ma ciò evidentemente non esclude il rischio di infortunio: le lastre non devono cadere, né in una maniera né nell’altra. Il rischio deriva dalla necessità di “sfogliare” le lastre dopo il primo carico, e ciò deve essere fatto all’interno del container con una leva metallica che consenta di accostare tutte le lastre, attaccandole come i fogli di un libro. In entrambi i metodi appena accennati, durante questa operazione le lastre sono collocate in una posizione verticale quando si tolgono le brache, per cui bisogna avere l’accortezza di puntellare il pacco onde evitare che lo stesso si ribalti. Normalmente tale operazione deve essere eseguita da almeno due persone.
7.3 Questo rischio di lavoro nel container è previsto nel documento di valutazione dei rischi generici in materia di movimentazione dei carichi con la gru, e secondo il teste un simile documento di valutazione del rischio era presente anche nella C.G., che aveva anche potuto dimostrare di aver fatto i corsi di formazione per i suoi dipendenti, ivi compreso il T., che era uno dei “piazzalisti” più esperti della zona (v. pagg. 17-18, trascriz. ud. 11/10/2010).
7.4 In sede di controesame il F. ha ribadito che la fase più pericolosa di tali operazioni di carico, sia con il metodo a libro aperto che con quello che fa uso di “capre”, è quella nella quale, dopo aver sfilato l’imbracatura, si deve procedere ad appoggiare le lastre sulla parete laterale del container (nel metodo a libro aperto) ovvero sulla “capra” centrale: ha ribadito che in entrambi i casi il rischio (di ribaltamento delle lastre) è lo stesso (F.: <<Il problema è tutto appoggiarle alle capre, cioè il rischio di appoggiarle alle capre o appoggiarle alla parete è il solito, deve sfilare, la manovra è la solita, deve lasciarle comunque staccate dopo la prima imbracata, sfilare le cose, e rimangono lì, in piedi… Bisogna metterci un listello dietro, appoggiarle, ha capito? Le appoggia, sfila le cose, però poi le lastre vanno addossate una all’altra…Bisogna togliere questi listelli fra le lastre, dopo di che, siccome ci rimane un vuoto…con una leva bisogna una ad una sollevarle e accostarle al pacco…>>; difensore: <<E invece appoggiandole sulla parete del container?>>; F.: <<è uguale e identico, la procedura è uguale e identica, solo che la capra lavora con un corridoio… la capra non protegge davvero le cose a cadere…una volta che sono addossate alle capre o alle pareti, che sono stabilizzate…non cadono più le lastre… Il pericolo è quando…deve togliere le brache…in quell'attimo lì c’è il rischio che cadano o da una parte o dall'altra... Non so come sono arrivati a Carrara dire che [il metodo a libro aperto] è più rischioso…secondo noi lavorano molto meglio e con meno rischio, perché lavorano in spazi meno angusti, a caricare a libro aperto>>; v. pagg. 33 ss. trascriz. ud. 11/10/2010).
7.5 Il F. ha inoltre accertato che il metodo a libro aperto era stato richiesto dal proprietario del materiale (la ditta M.), visto che secondo la prassi è il proprietario del materiale che effettua la spedizione che decide le modalità di carico delle lastre all'interno del container.
7.6 Secondo il F., la vera anomalia di tale operazione di carico è stata l'elevata quantità di lastre contenute nel pastello (ben 19), visto che idealmente un “pacco” dovrebbe essere costituito da non più di 7-8 lastre, quantità che rende più semplice le operazioni di “sbracatura” e appoggio delle lastre sulla sponda (del container o del cavalletto metallico). Nel caso di specie è stato accertato che era proprio il T. il preposto che doveva dirigere tutte le operazioni, ivi comprese quelle di predisposizione dei pacchi di lastre da caricare.
8. C. R. (sentito all’udienza del 23/5/2011) è un consulente ambientale e di sicurezza sul lavoro che ha riferito di aver svolto, nella ditta dell'odierno imputato, periodici corsi di formazione e aggiornamento in materia di sicurezza, secondo i dettami previsti dalla legge n. 626/94. Ha riferito di non aver mai rilevato anomalie particolari nella ditta in questione in materia di sicurezza, trattandosi di un'azienda sana che lavorava bene con persone estremamente preparate, compreso il T., che aveva partecipato ai corsi di formazione e che aveva trovato adeguatamente preparato e con una grande esperienza. Ha precisato di non aver mai parlato in maniera specifica delle diverse modalità di carico delle lastre nei container.
9. S. GiusG.eppino (sentito all’udienza del 23/5/2011), dipendente della C.G., dopo aver precisato che la sua ditta lavora per conto terzi, e che in genere è il proprietario del materiale che dispone le modalità di carico delle lastre, ha riferito che il giorno dell’incidente il T., avendo prenotato un viaggio e dovendo fare tre carichi, aveva anticipato di un’ora (dalle 7 alle 6) l’orario di inizio delle operazioni, per poter poi partire in vacanza con la sua convivente.
10. Alla medesima udienza del 23/5/2011 un altro dipendente della C.G., A. F., nel ribadire che il T. era una persona molto esperta nel suo lavoro, ha confermato che è sempre il committente che stabilisce le modalità di carico delle lastre, e che procura alla C.G. i mezzi necessari per il sistema di carico scelto (i cavalletti per il metodo a capre, i travicelli o montanti per il metodo a libro aperto, le scatole per il metodo a legaccio). Nei corsi di formazione a cui aveva partecipato gli erano stati indicati come più sicuri il metodo a capre o a legaccio rispetto al sistema a libro aperto.
11. In punto di diritto, vertendosi in materia di omicidio colposo, occorre in primo luogo stabilire con precisione l'esatto rimprovero che viene mosso all'imputato, titolare della posizione di garanzia quale datore di lavoro e quindi quale responsabile della sicurezza della sua azienda, in relazione alla morte del dipendente T. D. in occasione dell’infortunio lavorativo sopra descritto.
11.1 Dalla attenta lettura del capo di accusa si ricava che il rimprovero è costituito essenzialmente dall'aver “tollerato” che il T., per anni, caricasse le lastre di marmo sui container con il metodo “a libro aperto”, omettendo di valutarne adeguatamente il rischio e, conseguentemente, omettendo di informarlo ed istruirlo circa l’utilizzo di tecniche di carico diverse, come ad es. quella che fa uso di “capre” (tecnica reputata più sicura di quella a libro aperto).
11.2 La costruzione dell’accusa configura un tipico reato omissivo improprio (o commissivo mediante omissione), in quanto secondo tale prospettazione la condotta (omissiva) del B., causativa dell’evento mortale, sarebbe consistita nel non aver impedito che il T. adottasse il detto metodo di carico e nel non averlo informato e istruito circa il possibile (ed anzi doveroso) utilizzo di un altro metodo di carico che, in quanto reputato più sicuro, non ne avrebbe cagionato la morte.
12. Ma proprio quest’ultimo punto evidenzia il problema principale del suddetto costrutto accusatorio. Prima ancora della colpa, nel reato in disamina occorre valutare in maniera rigorosa la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta omissiva contestata e l’evento.
12.1 Al riguardo è noto il principio, stabilito nella ormai famosa sentenza “Franzese” delle sezioni unite (n. 30328/2002), secondo cui nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua (non di un coefficiente di probabilità statistica ma) di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento non avrebbe avuto luogo.
12.2 Né tale rapporto di causalità può desumersi soltanto dall’omessa previsione del rischio nel documento di cui all’art. 4 D.Lgs. 626/94, dovendo tale rapporto essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell’omissione all’evento che si è concretizzato (cfr. Cass., sez. 4°, n. 8622/2009).
13. Nel nostro caso, quindi, ci si deve domandare se sia possibile affermare in concreto, con elevato grado di credibilità razionale che, qualora l’imputato avesse imposto un metodo di carico diverso da quello “a libro aperto”, ciò avrebbe sicuramente impedito l’evento mortale. La risposta non può che essere negativa, per le considerazioni che seguono.
14. Il ragionamento deve partire dallo stesso presupposto accusatorio - a ben vedere ingannevole perché logicamente viziato - secondo cui il metodo “a libro aperto” è altamente pericoloso, molto più pericoloso del metodo a “capre”, con la conseguenza che adottando un metodo di carico diverso l’incidente mortale non sarebbe sicuramente (con alta probabilità logica) avvenuto.
15. In realtà, I dati processuali raccolti non consentono di corroborare una simile affermazione.
16. Intanto non è affatto vero che il metodo “a libro aperto” sia molto più pericoloso di quello “a capre”. Si può solo affermare che con il sistema “a libro” le lastre, una volta appoggiate, assumano un’inclinazione (un piede) minore sulla parete del container rispetto a quella assunta con la configurazione “a capre”, con la conseguenza che, durante le operazioni di carico, in caso di oscillazioni della struttura portante esse possano essere sottoposte ad una (teorica) maggiore possibilità di caduta rispetto alle lastre appoggiate sui cavalletti.
17. Ma è stato processualmente chiarito che il suddetto aspetto (oscillazioni) non ha giocato alcun ruolo nella causazione dell’evento mortale per cui è causa, che è avvenuto invece nel corso delle operazioni di “sbracatura” e appoggio delle lastre alla parete destra del container, quando il povero T. stava cercando di “sfogliare” le lastre (v. supra par. 7). In tale fase il rischio di ribaltamento delle lastre è il medesimo, sia con il sistema “a libro” che con quello che fa uso delle “capre”, come ben spiegato dall’ispettore ASL “Spezzino” F., alle cui dettagliate considerazioni (v. supra par. 7.4), estremamente chiare ed esaurienti, si rimanda (in estrema sintesi: la fase più a rischio di ribaltamento delle lastre contro l’operatore, analoga in entrambe le modalità di carico, è quella durante la quale, sfilata l’imbracatura, le lastre devono essere “sfogliate” e appoggiate una ad una sulla parete laterale del container ovvero sulla “capra”).
18. E’ insomma evidente che, alla luce dell’accertata dinamica dell’incidente, la caduta delle lastre contro il lavoratore sarebbe potuta avvenire sia con il metodo “a libro”, sia con quello “a capre”. Il pacco di lastre che il T. stava “sfilando”, composto da ben 19 lastre inserite nel fondo del container, presentava delle problematicità (numero eccessivo di lastre) che, stante la situazione accertata, avrebbe esposto il lavoratore al medesimo rischio di infortunio anche se fosse stato adottato un sistema di carico diverso da quello “a libro aperto”.
19. E’ noto che in tema di reati omissivi la verifica della causalità postula il ricorso al cd. giudizio controfattuale, articolato secondo la tradizionale “doppia formula”, nel senso che: a) la condotta umana "è" condizione necessaria dell'evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l'evento non si sarebbe verificato; b) la condotta umana "non è" condizione necessaria dell'evento se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l'evento si sarebbe egualmente verificato.
19.1 Nel caso di specie, a fronte della situazione concretamente accertata, non è configurabile, con alto grado di probabilità logica, il nesso di causalità fra la condotta omissiva contestata al B. e l’evento mortale, in quanto, e ciò è assorbente di qualsiasi ulteriore considerazione, se anche il B. si fosse attivato nel senso richiesto dall’accusa, l’evento mortale non si sarebbe necessariamente evitato, ed anzi, date le stesse condizioni, verosimilmente si sarebbe egualmente verificato.
20. Sotto altro profilo si può dubitare della stessa configurabilità/esigibilità della condotta omissiva ascritta al B..
21. E’ pacifico che il metodo “a libro aperto” presenti dei rischi per i lavoratori, non diversamente dagli altri metodi di carico sopra richiamati. La ASL di Massa – Carrara lo sconsiglia (recte, non lo prende in considerazione), ritenendolo più pericoloso degli altri, i quali peraltro non appaiono, in assoluto, molto meno rischiosi del primo, come dimostrato, oltre che dalle superiori considerazioni, dalle stesse voluminose e dettagliate linee-guida predisposte da quella ASL per la movimentazione in sicurezza dei materiali lapidei con uso di “capra” o “legaccio” (v. allegato 1 della relazione tecnica B.-Z.).
22. Ciò, peraltro, non rende, di per sé, illecito il metodo di carico “a libro aperto”, che continua invece ad essere adottato sia a livello nazionale che a livello internazionale, come riferito dal F.. In diritto il punto non è, quindi, quello di stabilire quale sia il metodo migliore (ciascuno presenta i suoi pro e i suoi contro), bensì quello di adottare, con riferimento alle modalità di carico utilizzate, tutte le cautele richieste dalla normativa antinfortunistica.
23. Non si vede allora come il B., titolare di una ditta che lavora per conto terzi e che, come accertato, deve effettuare i carichi dei materiali lapidei su container secondo quelle che sono le richieste del committente (il quale procura alla ditta del B. anche il materiale necessario per effettuare il carico “a libro” o con “capre”), avrebbe potuto vietare una simile modalità di carico, di per sé non illecita, soltanto sulla considerazione che la stessa – secondo la ASL di Massa Carrara - presenta qualche rischio in più rispetto ai metodi consigliati nelle linee guida della predetta ASL; valutazione questa peraltro neanche condivisa dalla ASL di riferimento del B. (quella della Spezia).
24. In ogni caso in atti è stato adeguatamente provato che la ditta del B. aveva adottato tutte le cautele previste in materia antinfortunistica, con particolare riguardo all’adozione del documento di valutazione del rischio, alla partecipazione dei lavoratori (ivi compreso il T.) agli incontri periodici in materia di sicurezza sul lavoro, all’adozione, nel caso specifico, di tutti i mezzi richiesti (in parte forniti dalla stessa ditta committente) per effettuare il carico a regola d’arte e con tutte le precauzioni necessarie.
25. In definitiva, nessuna specifica omissione, in rapporto con l’evento mortale sopra richiamato, pare concretamente configurabile a carico del B., ed anche ammesso (ma non concesso) che omissione vi sia stata, la stessa non è in alcun modo imputabile causalmente alla morte del T., con la conseguenza che, in difetto dell’elemento oggettivo del reato in contestazione (condotta omissiva e/o rapporto di causalità), l’imputato va mandato assolto dall’accusa di aver (colposamente) cagionato la morte del predetto per insussistenza del fatto.
P.Q.M.
Visto l’art. 530 c.p.p., assolve A. B. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.
Fissa il termine di gg. 40 per il deposito della sentenza.
Sarzana, 3 ottobre 2011
Il Giudice
Alessandro Ranaldi
|