Il presupposto di operatività dell'istituto di cui all'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992 è la presunzione di illiceità della provenienza delle risorse patrimoniali, pertanto allorché le fonti di produzione del patrimonio di un soggetto siano identificabili, siano lecite e ne giustifichino la titolarità in termini non sproporzionati ad esse, è irrilevante che tali fonti siano identificabili nei redditi dichiarati a fini fiscali piuttosto che nel valore delle attività economiche che tali entità patrimoniali producano, pur in assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi; diversamente, si verrebbe a colpire il soggetto, espropriandosene il patrimonio, non per una presunzione di illiceità della sua provenienza, ma per il solo fatto della evasione fiscale, condotta che non può ricondursi allo spirito e alla ratio dell'istituto in questione, il quale mira a colpire i proventi di attività criminose e non a sanzionare la infedele dichiarazione dei redditi.
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA di CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Saverio F. Mannino - Presidente -
Tito Garribba
Francesco Ippolito
Giovanni Conti - Relatore -
Ersilia Calvanese
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
T.G., nato a X.Y. il XX/XX/19XX
V.G., in proprio e quale legale rappresentante della X.Y s.a.s. di X.Y. & C.
avverso la ordinanza del 21/01/2011 del Tribunale della Spezia
visti gli atti, la ordinanza denunziata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Conti;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele Mazzotta, che ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi;
udito per Viani l'avv. Cristiano Bonani, in sostituzione dell'avv. Enrico Marzaduri, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale della Spezia, adito ex art. 324 cod. proc. pen., in parziale riforma del decreto di sequestro preventivo emesso in data 28 febbraio 2010, ex artt. 321 cod. proc. pen. e 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale nei confronti di G.T. e G.V., il primo dei quali indagato per il reato di corruzione, e la seconda quale terza interessata in proprio e quale legale rappresentante della X.Y s.a.s. di X.Y. & C., disponeva la restituzione all'avente diritto dell'immobile intestato a G.V. sito in La Spezia, via Xxxxxx, composto da X vani, cat. X/Y, confermando l'ordinanza impugnata con riferimento ai restanti beni immobili sequestrati e alla somma di euro XX.XX0,00 depositata sul conto corrente n. Xxxxxx intestato a G.T., padre di G.
2. Ricorrono per cassazione gli indagati.
3. Il difensore di G.T., avv. Marco Valerio Corini, denuncia la erronea applicazione dell'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, il travisamento dei fatti e l'omessa considerazione della consulenza tecnica di parte. Quanto al denaro sequestrato sul conto Xxxxx, si osserva che il Tribunale non ha considerato che dati obiettivi indicavano che esso era effettivamente riferibile al padre X. Quanto all'immobile, si osserva che l'analisi dei redditi conduceva a ritenere compatibile, nel periodo di tempo considerato, il suo acquisto.
4. Il difensore di G.V., avv. Enrico Marzaduri, denuncia l'erronea applicazione della legge penale con riferimento ai beni sequestrabili ai sensi dell'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992.
Questa norma pone il criterio della sproporzione rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica svolta, quest'ultima nella specie derivante alla V. dall'attività riconducibile alla Xxxxxx s.r.l, per la quale in sede di accertamento fiscale erano stati rilevati ricavi non dichiarati per l'anno 2004 pari a euro XX.XXX,00, ed analoghi ricavi non dichiarati erano stati rilevati negli anni successivi.
Erroneamente il Tribunale ha affermato che gli importi derivanti da evasione fiscale non potessero essere computati ai fini della giustificazione della consistenza patrimoniale dei beni sottoposti a sequestro, proprio perché la norma pone in alternativa al parametro del reddito dichiarato quello dell'attività economica svolta, che nella specie era pienamente lecita, consistendo nel commercio di frutta e verdura.
Inoltre, altrettanto erroneamente il Tribunale ha considerato confiscabile il diritto di superficie dell'immobile ad uso commerciale sito in Xxxxx Xxxxxx della Spezia, acquistato nell'anno 2001 per euro XX.XXX. Il rilievo secondo cui nel quinquennio precedente i redditi della V. sarebbero stati impegnati per il 70 per cento per tale acquisto residuando una disponibilità economica insufficiente per il sostentamento suo e della famiglia non tiene conto del fatto che la V. si era sposata solo il XX xxxxxx 2000, sicché in precedenza essa dovette provvedere al solo suo sostentamento.
Infine, erroneamente non sono stati considerati ai fini della valutazione della disponibilità economica complessiva gli importi derivanti dalla vendita, nel dicembre 2004 e nell'aprile 2006, di due immobili per euro XXX.000 ed euro XXX.X00
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di T. appare inammissibile, in quanto volto a contestare genericamente i puntuali rilievi svolti dal Tribunale in punto di inadeguatezza delle risorse economiche del medesimo rispetto al valore dell'immobile sequestratogli.
Quanto poi alla somma di denaro portata dal conto bancario, il ricorso appare per di più privo di interesse, deducendosi che essa era di pertinenza del padre.
Consegue la condanna del T. al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si ritiene equo determinare in euro mille.
2. Il ricorso della V., in proprio e nella qualità, appare invece fondato limitatamente alla parte in cui critica l'ordinanza impugnata per non avere tenuto conto dei proventi rivenienti dalla sua lecita attività economica, sia pure non denunciati a fini delle imposte sul reddito.
Va al riguardo osservato che l'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, ai fini della confisca e, quindi del sequestro ad essa finalizzata, prende in considerazione i beni o le altre utilità economiche di cui il soggetto (imputato condannato per determinati delitti) «non può giustificare la provenienza e di cui [...] risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica». Perché sia evitato il provvedimento ablativo non basta dunque che il soggetto giustifichi la provenienza di tali risorse economiche, occorrendo anche che il valore di queste non sia sproporzionato rispetto, alternativamente, al reddito dichiarato a fini fiscali o all'attività economica esercitata.
Tale ultimo presupposto, relativo alla sproporzione del valore dei beni rispetto ai redditi dichiarati o all'attività economica esercitata, è stato talvolta inteso in giurisprudenza nel senso che sia sufficiente che ricorra uno solo dei detti parametri di sproporzione; con la conseguenza che sarebbero assoggettabili a sequestro (e a confisca) beni di valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati pur se proporzionati all'attività economica svolta (v. ad es. Sez. 1, n. 2860 del 10/06/1994, Moriggi, Rv. 198941; Sez. 1, n. 5202 del 14/10/1996, Scarcella, Rv. 205738).
Questa linea interpretativa non può essere condivisa.
Se il presupposto di operatività dell'istituto di cui all'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992 è la presunzione di illiceità della provenienza delle risorse patrimoniali di un dato soggetto, appare evidente che ove le fonti di produzione del patrimonio siano identificabili, siano lecite, e ne giustifichino la titolarità in termini non sproporzionati ad esse, è irrilevante che tali fonti siano identificabili nei redditi dichiarati a fini fiscali piuttosto che nel valore delle attività economiche che tali entità patrimoniali producano, pur in assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi.
Diversamente, si verrebbe a colpire il soggetto, espropriandosene il patrimonio, non per una presunzione di illiceità, in tutto o in parte, della sua provenienza ma per il solo fatto della evasione fiscale; condotta, questa, che all'evidenza non può dirsi riconducibile allo spirito e alla ratio dell'istituto in questione, che mira a colpire i proventi di attività criminose e non a sanzionare la infedele dichiarazione dei redditi, che si colloca in un momento successivo rispetto a quello della produzione del reddito, e per la quale soccorrono specifiche norme in materia tributaria, non necessariamente implicanti responsabilità penali.
Una simile interpretazione è del resto confortata dal tenore letterale della disposizione, che impedisce l'ablazione del patrimonio quando, indifferentemente, esso sia giustificato dal valore dei redditi formalmente dichiarati ovvero dall'attività economica svolta, quest'ultima normalmente produttiva di reddito imponibile.
3. Ciò osservato in punto di diritto, va rilevato che nella ordinanza impugnata si disattende la deduzione della V., secondo cui la sua azienda (Xxxxxx s.r.I.), svolgente una presuntivamente lecita attività di commercio di frutta e verdura, aveva prodotto ricavi non dichiarati dall'anno 2004 in poi (oggetto anche di accertamento fiscale per euro XX.XXX relativamente al solo anno 2004) giustificativi della acquisizione della titolarità dei beni sottoposti a sequestro, essendosi ritenuto dal Tribunale che fosse da «escludere che la prospettata evasione fiscale possa essere utilizzata dall'evasore, a proprio vantaggio, per legittimare acquisizione di beni non proporzionati ai redditi dichiarati o all'attività economica svolta»; con ciò collocandosi su una linea interpretativa che, per le ragioni esposte, non è conforme alla lettera e alla ratio dell'art. 12-sexies.
4. Quanto alle restanti censure della V. (relative alla congruità dei redditi ad essa riferibili rispetto all'acquisto del diritto di superficie dell'immobile di Xxxxx Xxxxxxx e alla omessa considerazione dei proventi derivanti dalle vendite di due immobili nel dicembre 2004 e nell'aprile 2006), esse si risolvono nella sottoposizione alla sede di legittimità di aspetti esaurientemente e logicamente trattati dal Tribunale, e quindi devono ritenersi inammissibili.
L'ordinanza impugnata, nei limiti indicati al § 3, va pertanto annullata nei confronti della V., con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale della Spezia.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di T.G. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Annulla l'ordinanza impugnata nei confronti di V.G. e rinvia al Tribunale della Spezia per nuovo giudizio.
Così deciso il 31/05/2011.
Il Consigliere estensore Il Presidente
Giovanni Conti Saverio F. Mannino
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