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 Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 29 aprile 2011 (dep. 11 maggio 2011), n. 18586

A seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 28 aprile 2011 sul reato di cui all'art. 14, comma quinto ter, d. lgs. n. 286 del 1998, va pronunciata assoluzione per il fatto non č previsto dalla legge come reato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente
Dott. IANNELLI Enzo - Consigliere
Dott. VECCHIO Massimo - rel. Consigliere
Dott. ROMBOLA' Marcello - Consigliere
Dott. BARBARISI Maurizio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) S.M., N. IL (OMISSIS);
2) T.G., N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 353/2006 CORTE APPELLO di PERUGIA, del 22/05/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO;
Udito, altresì, nella pubblica udienza il rappresentante del Pubblico Ministero in persona del Dott. Galasso Aurelio, sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte, il quale ha concluso per l'annullamento, senza rinvio, del provvedimento impugnato, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. - Con sentenza, deliberata il 22 maggio 2009 e depositata il 21 luglio 2009, la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale ordinario di quella stessa sede, 26 luglio 2005, di condanna alla pena della reclusione in mesi sei, a carico di M. S. e di G.T., imputati del delitto previsto e punito dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, per non aver ottemperato i decreti di allontanamento dal territorio dello Stato emessi dal Questore di Perugia il 19 aprile 2005, essendosi trattenuti in Italia fino al 21 luglio 2005.
La Corte territoriale ha motivato, in relazione alle censure degli appellanti: le prospettate difficoltà economiche dei giudicabili non costituiscono giustificato motivo di inadempimento dell'ordine del Questore, laddove l'assunto non è dimostrato e laddove gli appellanti neppure hanno presentato richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; è irrilevante la circostanza che i provvedimenti della Autorità amministrativa fossero passibili di impugnazione, in quanto i decreti sono esecutivi; la pena è stata contenuta nel minimo edittale, con la massima riduzioni e consentita dalle elargite attenuanti generiche.
2. - Ricorrono per Cassazione entrambi gli imputati, col ministero del difensore di ufficio, avvocata Silvia Egidi, mediante atto recante la data del 19 ottobre 2009, depositato il 20 ottobre 2009, col quale sviluppano quattro motivi.
2.1 - Col primo motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c) ed e), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, inosservanza di norme processuali, in relazione all'art. 192 c.p.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, censurando l'omesso esame delle "questioni inerenti il diritto intertemporale", proposte col gravame con riferimento al D.L. n. 241 del 2004. 2.2 - Col secondo motivo il difensore, ai sensi delle succitate lettere dell'art. 606 c.p.p., osserva che i provvedimenti del Questore di Perugia "non avevano l'autorità di cosa giudicata". 2.3 - Col terzo motivo il difensore ripropone la tesi della ricorrenza del giustificato motivo, facendo riferimento alle "precarie attività lavorative" dei ricorrenti, alla mancanza di disponibilità economiche, alle disagiate condizioni; e obiettando, in relazione al rilievo della Corte territoriale circa la mancata richiesta del patrocinio a spese dello Stato, che i giudicabili erano assistiti (non - come opina la Corte di appello - da difensore di fiducia, bensì) da legale nominato di ufficio.
2.4 - Col quarto motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 62 bis, 63, 118, 132 e 133 c.p. e D.Lgs. n. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio del quale la Corte - secondo i ricorrenti - non avrebbe dato conto.
3. - Il ricorso è infondato, in quanto non ricorrono nè la denunziate violazioni di legge (alla stregua del diritto vigente al momento della deliberazione della sentenza), nè vizio alcuno della motivazione, rilevante nella sede del presente scrutinio di legittimità. 4. - Tuttavia, successivamente alla proposizione del ricorso, il 25 dicembre 2010, essendo infruttuosamente spiratoci giorno precedente) il termine stabilito per l'attuazione e/o per il recepimento, hanno acquisito efficacia diretta nell'ordinamento giuridico interno gli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. E, in proposito, è, testè sopravvenuto il recentissimo arresto della Corte di giustizia della Unione europea, Sezione 1, 28 aprile 2001, nel procedimento C-61/11 PPU, sulla pregiudiziale interpretativa circa le disposizioni della suddetta direttiva, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter.
La Corte della Unione ha stabilito: "La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, etc..., in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo".
E, conseguentemente, ha affermato che ai giudici penali degli Stati della Unione spetta "disapplicare ogni disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115", tenendo anche "debito conto del principio della applicazione della retroattiva della legge più mite il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri" (p. 61).
La Corte di Kirchberg ha motivato: "gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all'insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all'allontanamento coattivo conformemente all'art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, solo perchè un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale" (p. 58), in quanto la pena detentiva "segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell'obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l'instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare", ostacolando l'applicazione delle misure di cui all'art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardar(dando) l'esecuzione della decisione di rimpatrio" (p. 59).
4.3 - Il principio di diritto stabilito dal Giudice della Unione implica la disapplicazione della norma incriminatrice, contestata al giudicabile nel presente giudizio e, per l'effetto, impone l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata colla formula più favorevole per i giudicabili "perche il fatto non è previsto dalla legge come reato".
Si tratta, infatti, della formula che, secondo un arresto di questa Corte suprema, si attaglia al caso della inapplicabilità della disposizione penale per effetto della incompatibilità con la "normativa comunitaria", stabilita dalla Corte di giustizia della Unione europea (Sez. 7, 6 marzo 2008, n. 21579, Boujlaib, massima n. 239960).
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.
 
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