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 Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 15 marzo 2011 (dep. 28 aprile 2011), n. 16307

Rispetto all'offesa della reputazione altrui realizzata via internet, ai fini dell'individuazione della competenza, sono inutilizzabili, in quanto di difficilissima, se non impossibile individuazione, criteri oggettivi unici, quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di immissione della notizia nella rete, di accesso del primo visitatore. Per entrambe le ragioni esposte non è neppure utilizzabile quello del luogo in cui a situato il server (che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo), in cui il provider alloca la notizia. Ne consegue che non possono trovare applicazione né la regola stabilita dall'art. 8 cod. proc. pen. né quella fissata dall 'art. 9, comma 1, cod. proc. pen., ma è necessario fare ricorso ai criteri suppletivi fissati dal secondo comma del predetto art. 9 cod. proc. pen., ossia al luogo di domicilio dell'imputato

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIAN
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARIA CRISTINA SIOTTO                                         - Presidente
Dott. ANGELA TARDIO                                                        - Consigliere
Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO                   - Consigliere
Dott. PAOLA PIRACCINI                                               - Rel. Consigliere
Dott. LUCIA LA POSTA                                                        - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul conflitto di competenza sollevato da:
1) TRIBUNALE SASSARI - CONFLITTO N. IL
IL 1) TRIBUNALE AREZZO N. IL
avverso l'ordinanza n. 515/2010 TRIBUNALE di SASSARI, del 24/05/2010
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLA PIRACCINI;
Rilevato che il Procuratore Generale nella persona del Cons. Fraticelli chiedeva dichiararsi la competenza del Tribunale di Sassari
Rilevato che il difensore Avv. De Luca, insisteva nell'istanza
FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Sassari accoglieva la richiesta avanzata da P. G., imputato per il delitto di cui all'art. 595 c.p., di sollevare conflitto positivo di competenza per territorio in quanta era emerso che davanti al tribunale di Arezzo pendeva analogo procedimento.
Nella denuncia di il P. osservava che l’accusa a lui rivolta in ambedue i procedimenti aveva ad oggetto la diffamazione commessa attraverso la pubblicazione di un articolo nella rubrica "Eventi e Documenti presente nel sito internet di cui dell'imputato era amministratore, oltre che per il reato di cui all'art. 684 c.p. Aggiungeva che la genesi dei due procedimenti era dovuta al fatto che la P.G. che aveva ricevuto la querela della persona offesa aveva inviato gli atti sia al P.M. di Sassari, luogo di residenza dell'imputato, che a quello di Roma, il quale ultimo aveva trasmesso gli atti ad Arezzo, luogo dove ha sede il server tramite il quale si era giunti alla pubblicazione; l'imputato riteneva che non fosse possibile stabile il luogo di consumazione del reato e quindi che dovesse ritenersi la competenza del luogo di residenza dell'imputato e cioè Sassari.
Presentava una memoria la persona offesa la quale ribadiva che si trattava del medesimo fatto che aveva dato origine a due distinti procedimenti e che la competenza doveva radicarsi dove era avvenuta una parte dell'azione e cioè l'immissione in rete della notizia tramite il server; inoltre presso Arezzo erano state presentate due querele e quindi il relativo procedimento era più completo.
Il conflitto positivo di competenza sussiste, in quanto due giudici prendono cognizione del medesimo processo determinando una situazione prevista dall'art. 28 cod. proc. pen., la cui risoluzione a demandata a questa Corte dalla norme successive.
La Suprema Corte ha già avuto modo di pronunciarsi di recente sulla medesima questione con la decisione Sez. I 21 dicembre 2010 n. 2739, dep 26/1/2011, con la quale si è tra l'altro affermato
"Occorre premettere che il reato di diffamazione è un reato di evento, inteso quest'ultimo come avvenimento esterno all'agente e causalmente collegato al comportamento di costui. Si tratta di evento non fisico, ma, per cosi dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo (rectius dei terzi) della espressione offensiva, che si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano "terzi" rispetto all'agente ed alla persona offesa.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Sez, V 17 novembre 2000 n. 4741), l'immissione di scritti lesivi dell'altrui reputazione nel sistema internet integra il reato di diffamazione aggravata (art. 595, comma 3, cod. proc. pen.). Esso si consuma anche se la comunicazione con pia persone e/o la percezione da parte di costoro del messaggio non siano contemporanee (alla trasmissione) e contestuali (tra di loro), ben potendo i destinatari trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri ovvero dall'agente. Ma, mentre, nel caso, di diffamazione commesso, ad esempio, a mezzo posta, telegramma o e-mail, e necessario che l'agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari, nel caso in cui egli crei a utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes, sia pure nel ristretto - ma non troppo - ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi (Sez. V 21 giugno 2006 n. 25875; Sez. V, 17 novembre 2000 n. 4741).
Occorre, in proposito, precisare che il provider mette a disposizione dell'utilizzatore (nel caso in esame la testata editoriale o giornalistica) uno spazio web allocato presso un server (che può trovarsi ovunque); peraltro, l'inserimento dei dati in questo spazio non comporta alcuna ulteriore attività da parte del fornitore di servizi internet né di altro soggetto. Una volta inserite le informazioni, non si verifica alcuna "diffusione" delle stesse; infatti i dati inseriti non partono dal server verso alcuna destinazione, ma rimangono immagazzinati a disposizione dei singoli utenti che vi possono accedere, attingendo dal server e leggendoli al proprio terminale.
Ne consegue che, quand'anche esista un preciso luogo di partenza (il server) delle informazioni, lo stesso non coincide con quello di percezione delle espressioni offensive e, quindi, di verificazione dell'evento lesivo, da individuare nel luogo in cui il collegamento viene attivato.
Il sito web sul quale viene effettuata l'immissione e, per sua natura, destinato ad essere normalmente visitato da un numero indeterminato di soggetti; pertanto nell'ipotesi (come nella fattispecie sottoposta all 'esame della Corte) in cui un giornale sia redatto in forma telematica, deve necessariamente presumersi che all'immissione, faccia seguito, in tempi assai ravvicinati, il collegamento da parte di lettori, non diversamente da quanto deve presumersi nel caso di un tradizionale giornale a stampa. Pertanto, quando una notizia risulti immessa sul sito web - da ricomprendere nella nozione di mezzo di comunicazione di massa al pari degli strumenti cartacei, radiofonici, televisivi, ecc.- la diffusione della stessa, secondo un criterio che la nozione stessa di pubblicazione impone, deve presumersi, fino a prova del contrario. Il principio non può soffrire eccezione per quanto riguarda i siti web, atteso che l'accesso ad essi e solitamente libero e, in genere, frequente (sia esso di elezione o meramente casuale), sicché l'immissione di notizie o immagini in rete integra la ipotesi di offerta delle stesse in incertam personam e, dunque, implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato (ma difficilmente accertabile) di utenti (cfr. in tal senso Sez. V, 4 aprile 2008, n. 16262).
Sulla base di tali premesse può, quindi, riaffermarsi che il locus commissi delicti della diffamazione telematica è da individuare in quello in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete e, dunque, nel luogo in cui li collegamento viene attivato e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all'estero, purché l'offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia.
Sulla base di quanta sinora esposto, e possibile affermare, in armonia con i principi già espressi da questa Corte (Sez. Un. civ. 13 ottobre 2009, n. 21661), che rispetto all'offesa della reputazione altrui realizzata via internet, ai fini dell'individuazione della competenza, sono inutilizzabili, in quanto di difficilissima, se non impossibile individuazione, criteri oggettivi unici, quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di immissione della notizia nella rete, di accesso del primo visitatore. Per entrambe le ragioni esposte none neppure utilizzabile quello del luogo in cui a situato il server (che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo), in cui il provider alloca la notizia.
Ne consegue che non possono trovare applicazione né la regola stabilita dall'art. 8 cod. proc. pen. né quella fissata dall 'art. 9, comma 1, cod. proc. pen."
Il collegio ritiene che non vi sia motivo per discostarsi dal suesposto orientamento, con la conseguenza che è necessario fare ricorso ai criteri suppletivi fissati dal secondo comma del predetto art. 9 cod. proc. pen., ossia al luogo di domicilio dell'imputato che, nel caso di specie, è Sassari.
P.Q.M.
Dichiara la competenza del Tribunale di Sassari cui dispone trasmettersi gli atti.
Roma 15 marzo 2011.
Depositata in cancelleria 28 aprile 2011

 

 
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