Il difensore dell’arrestato o del fermato ha diritto di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida del fermo o dell’arresto e di applicazione della misura cautelare. Il rigetto di tale richiesta, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell’interrogatorio e del provvedimento di convalida, che resta sanata a norma dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., se non viene eccepita nella udienza di convalida
SEZIONI UNITE PENALI
R.G.N. 9762/10
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
G. V. C., nata a ………. il …………..
avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Milano il 2 dicembre 2009;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita in camera di consiglio la relazione fatta dal consigliere Alberto Macchia;
udito il pubblico ministero in persona del Procuratore Generale Aggiunto Giovanni Palombarini che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1 . - Con ordinanza del 17 ottobre 2009, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha applicato nei confronti di G. V. C. la misura della custodia cautelare in carcere quale indagata per vari reati, a seguito di convalida del fermo operato dalla polizia giudiziaria. La misura era disposta all’esito della celebrazione della udienza di convalida, alla quale il pubblico ministero non aveva partecipato, depositando la richiesta di convalida e di emissione della misura, con gli atti pertinenti. La misura cautelare era stata poi confermata dal Tribunale di Milano, quale giudice del riesame, con ordinanza del 27 ottobre 2009.
Con successiva istanza, la difesa della indagata ha chiesto al Giudice per le indagini preliminari che la misura fosse revocata ai sensi dell’art. 302 cod. proc. pen., perché emessa a seguito di interrogatorio viziato da nullità assoluta. Osservava, infatti, la difesa che in sede di interrogatorio di convalida, la persona fermata e la stessa difesa non avevano avuto accesso alla richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero ed agli atti posti a fondamento della richiesta stessa. Il Giudice per le indagini preliminari ha respinto, con ordinanza del 30 ottobre 2009, l’istanza in questione, ritenendo insussistente il vizio denunciato.
2 . - Proposto appello avverso tale ultima decisione, il Tribunale di Milano, con ordinanza del 2 dicembre 2009, ha respinto il gravame. Osserva, al riguardo, il Tribunale adìto, che dal verbale della udienza di convalida emerge che gli elementi portati a conoscenza della indagata e della difesa nel corso della udienza di convalida, nella sostanza sintetizzavano «in modo completo il contenuto della denuncia presentata dalla persona offesa, che a sua volta sostanzialmente esaurisce il materiale indiziario, posto che la attività di indagine successiva (individuazione dell’alloggio ove la persona offesa e gli indagati vivevano; riconoscimenti fotografici) è modesta e svolta solo a verifica di attendibilità». Alla luce di tali emergenze, il Tribunale aderisce alla tesi prevalente secondo la quale non vi è nullità dell’interrogatorio reso in sede di convalida se non vi è stato avviso di deposito delle richieste formulate e della documentazione allegata dal pubblico ministero non comparso, ovvero se ne sia stato negato l’accesso prima dell’espletamento dell’interrogatorio, segnalando come la contraria tesi, pur emersa in giurisprudenza, potrebbe trovare un qualche fondamento soltanto nella ipotesi – che non ricorre nella specie - in cui il difensore sia stato posto nella «assoluta impossibilità di conoscere le richieste del pubblico ministero in ordine alle misure cautelari e alle ragioni su cui si fondano». Sottolineate, dunque, le differenze strutturali e funzionali che distinguono fra loro l’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., e quello di cui all’art. 391, comma 3, dello stesso codice, il Tribunale reputa che nella vicenda in esame non si sia verificata una violazione dei diritti della difesa che abbia inciso sulla validità dell’interrogatorio, tale da rendere conseguentemente inefficace la misura cautelare disposta.
3 . - Avverso l’ordinanza indicata in premessa ha proposto ricorso per cassazione personalmente l’indagata, la quale lamenta violazione di legge, anche in riferimento all’art. 111 Cost. Dopo aver premesso, in fatto, che la difesa aveva chiesto in sede di convalida di poter visionare le richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi posti a fondamento delle stesse e che, a fronte del diniego da parte del giudice, veniva eccepita immediatamente la nullità dell’interrogatorio per violazione del diritto di difesa, il ricorso passa in analitica rassegna le pronunce di questa Corte contrarie all’orientamento sostenuto dal Tribunale di Milano, i cui rilievi vengono conseguentemente sottoposti a censura. Donde, la richiesta principale di annullamento della ordinanza impugnata o, in via subordinata, di assegnare il ricorso alle Sezioni Unite.
4 . - La Terza Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, registrata l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza sul tema centrale che ha formato oggetto del ricorso, ha, con ordinanza emessa il 6 maggio 2010, rimesso il ricorso medesimo alle Sezioni unite, a norma dell’art. 618 cod. prc. pen..
5 . – Il Presidente Aggiunto, con decreto in data 21 maggio 2010, ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza camerale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 .- Il quesito sul quale queste Sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi è il seguente: se il difensore della persona arrestata o fermata possa prendere visione delle richieste in ordine alla libertà personale, con gli elementi su cui le stesse si fondano, trasmesse dal pubblico ministero al giudice della udienza di convalida a norma dell’art. 390, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Sul punto, si registrano, in giurisprudenza, posizioni differenziate. Secondo una prima, radicale impostazione, si esclude qualsiasi diritto da parte dell’arrestato, del fermato e dei difensori, non soltanto a prendere visione, ma anche a conoscere le richieste del pubblico ministero in ordine alla libertà personale. Si è infatti osservato, al riguardo, che le richieste avanzate in proposito nell’ambito della udienza di convalida, essendo volte ad ottenere l’applicazione di una misura cautelare, presentano la identica natura delle richieste che, agli stessi fini, il pubblico ministero può formulare ai sensi dell’art. 291, comma 1, cod. proc. pen. e rispetto alle quali il difensore non deve essere informato e non ha quindi titolo per interloquire. Da qui l’affermazione secondo la quale l’audizione del difensore nella udienza di convalida può avere ad oggetto unicamente questioni attinenti alla convalida dell’arresto o del fermo e non quelle riguardanti le eventuali richieste di applicazione di misure cautelari, salvo che il pubblico ministero, se comparso, e il giudice vi consentano. D’altra parte, si è aggiunto, nulla vieterebbe al giudice di provvedere sulla richiesta di applicazione della misura al di fuori del procedimento di convalida, il che consentirebbe di presupporre come indispensabile la richiesta del pubblico ministero, ma non anche l’intervento dell’indagato o del suo difensore (Sez. I, 22 novembre 1991, n.4101, Ugon, rv 188669; Sez. VI, 21 ottobre 1991, n. 3374, Cacciola, rv 188691).
L’orientamento che risulta di gran lunga prevalente, pur mantenendo ferma la esclusione di un diritto all’accesso degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida e quella di applicazione della misura cautelare, ammette, invece, che il contraddittorio orale si sviluppi nella udienza di cui all’art. 391 cod. proc. pen., non soltanto sul tema della convalida dell’arresto o del fermo, e quindi sulla legittimità dell’atto di “pre-cautela” provvisoriamente posto in essere nei confronti dell’indagato, ma anche sulla eventuale “domanda cautelare” rivolta al giudice dal pubblico ministero, alla stregua e sulla base degli elementi illustrativi offerti dal pubblico ministero, se presente, o dallo stesso giudice in via preliminare rispetto all’interrogatorio dell’arrestato o del fermato ed alle conclusioni del suo difensore. Si è infatti affermato, in proposito, che allorché il pubblico ministero scelga di non comparire all’udienza di convalida e trasmetta al giudice, contestualmente alla richiesta di convalida, quella di applicazione di una misura cautelare personale con gli elementi su cui essa si fonda, e in udienza il giudice porti a conoscenza delle parti il contenuto degli atti trasmessi, le esigenze conoscitive della difesa risultano pienamente soddisfatte, sicché nessuna nullità può conseguire al mancato riconoscimento del diritto di accesso a quegli stessi atti da parte dell’indagato. D’altra parte, l’assenza di un obbligo di deposito degli atti e delle richieste del pubblico ministero e, di conseguenza, la ritenuta legittimità del provvedimento con il quale il giudice adìto in sede di convalida respinga la richiesta della difesa di prendere visione di tali atti, si giustificherebbe anche , secondo tale orientamento, alla luce della mancanza di una previsione corrispondente a quella dettata dall’art. 293, comma 3, cod. proc. pen., che tale diritto invece sancisce per l’ordinario procedimento cautelare, e che non può applicarsi analogicamente all’interno del procedimento di convalida, avuto riguardo alla differente natura e finalità dell’interrogatorio di garanzia, rispetto a quello che si svolge nella udienza di convalida (cfr., sia pure con differenti sfumature argomentative, Sez. III, 7 aprile 2010, n. 16420, Z., rv 246772; Sez. III, 9 luglio 2009, n. 34813, Said, rv 244574; Sez. VI, 27 novembre 2008, n. 2709, Artiano, rv 242933; Sez. VI, 11 ottobre 2007, n. 43614, Gurrieri, rv 238401; Sez. V, 9 luglio 2007, n. 36682, Pilia, rv 237283; Sez. I, 14 marzo 2007, n. 32030, Pinna, rv 237269; Sez. VI, 19 aprile 2007, n. 26321, Ben, rv 236855; Sez. VI, 5 febbraio 2007, n. 17948, P.M. in proc. Hoxha, rv 236445; Sez. IV, 18 gennaio 2007, n. 13171, Albanese, rv 236380; Sez. VI, 27 novembre 2006, n. 42185, Parisi, rv 235287; Sez. II, 9 luglio 2004, n. 31113, Cernica, rv 229646).
Secondo una diversa linea ermeneutica si reputa, invece, che la mancata possibilità per il difensore dell’arrestato o del fermato di prendere conoscenza del contenuto degli atti posti a fondamento della richiesta di misura cautelare, determina una violazione del diritto di difesa che si ripercuote negativamente sull’interrogatorio che si svolge nella udienza di convalida, e che tiene luogo di quello di garanzia secondo quanto previsto dall’at. 294 cod. proc. pen., determinando una nullità di ordine generale a regime intermedio che va tempestivamente dedotta. Si osserva, in particolare - evocandosi a fondamento di tale assunto la ordinanza n. 424 del 2001 della Corte costituzionale, ove è stato richiamato il concetto di “contraddittorio cartolare” in ipotesi di assenza del pubblico ministero alla udienza di convalida -. che la scelta del pubblico di non comparire e di illustrare le proprie richieste per iscritto anzichè oralmente, non può sortire l’effetto negativo ed irragionevole di privare l’indagato e il suo difensore di ottenere il contraddittorio in situazione di parità, così come garantito dalla norma. (Sez. II, 23 febbraio 2006, n. 10492, Basile rv 233736; Sez. IV, 14 giugno 2007, n. 42686, Kurti, rv 237984; Sez. I, 1 aprile 2009, n. 19170, Schirripa, rv 243690).
2 . – Ai fini della ricostruzione del quadro normativo di riferimento e dei valori che esso coinvolge, assumono, poi, particolare significato due pronunce della Corte costituzionale, una delle quali espressamente richiamata , come si è appena accennato, dall’orientamento favorevole a permettere al difensore di prendere visione degli atti su cui si fonda la richiesta cautelare formulata dal pubblico ministero in sede di convalida. Con l’ordinanza n. 16 del 1999, infatti, la Corte costituzionale dichiarò manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale degli artt. 294, comma 1, cod. proc. pen. sollevata nella parte in cui doveva ritenersi precluso al giudice di procedere all’interrogatorio di garanzia una volta che vi avesse già provveduto in sede di convalida, avuto riguardo proprio al diverso regime di conoscenza degli atti che caratterizzava l’un interrogatorio rispetto all’altro. La Corte, dopo aver ricordato che l’innovazione introdotta dal d. lgs. n. 12 del 1991 era stata dettata dalla esigenza di evitare duplicazioni di attività processuali, venendo soddisfatte anticipatamente, in sede di convalida, le finalità di garanzia poste a base dell’interrogatorio reso dall’indagato dopo l’applicazione della misura cautelare, ha ritenuto nella specie inconferente il richiamo, operato dal giudice a quo, all’art. 293, comma 3, cod. proc pen, in tema di deposito degli atti posti a base della richiesta di misura cautelare formulata da pubblico ministero nell’ordinario procedimento de libertate. Ciò in quanto – osservò la Corte – il deposito della richiesta del pubblico ministero e dei relativi atti, con avviso di deposito al difensore, dopo la esecuzione della misura va «coordinato all’esigenza “di consentire al difensore pieno accesso agli atti depositati dal pubblico ministero, sul presupposto che, dopo l’esecuzione della misura cautelare, non sussistono ragioni di riservatezza tali da giustificare limitazioni al diritto di difesa”, così da assicurare “al difensore la più ampia e agevole conoscenza degli elementi su cui è fondata la richiesta del pubblico ministero, al fine di rendere attuabile un’adeguata e informata assistenza all’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare ex art. 294 del codice di procedura penale” (v. sentenza n. 192 del 1997)». Una esigenza, questa – sottolineò la Corte - «non avvertibile allorché la misura sia stata adottata all’esito del procedimento di convalida, almeno nel senso che la conoscenza anticipata del contenuto della eventuale richiesta vale a qualificare tale deposito come preordinato esclusivamente all’esercizio del potere di gravame». Pertanto – concluse la Corte – «la diversità delle situazioni poste a confronto esclude che possa dirsi vulnerato il principio di eguaglianza, mentre l’interrogatorio in sede di convalida risulta, considerato il complessivo contesto in cui la relativa udienza si svolge, in grado di soddisfare compiutamente l’esigenza di tutela dell’indagato anche con riferimento alla misura disposta, così da escludere qualsivoglia lesione del diritto di difesa».
Con l’ordinanza n. 424 del 2001, la Corte dichiarò invece la manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 390, comma 3-bis, e 391 cod. proc. pen., sollevata nella parte in cui, secondo il giudice rimettente, tali norme non consentivano al giudice di assumere elementi di giudizio diversi dagli atti trasmessi dal pubblico ministero con la richiesta di convalida del fermo o dell’arresto, così compromettendo le garanzie del giusto processo e del diritto di “difendersi provando”. La Corte, nel frangente, disattese la correttezza della premessa interpretativa da cui aveva tratto origine la questione, sottolineando, in particolare, come alla difesa fosse consentito di produrre documenti dei quali il giudice ben poteva tenere conto; e ciò, a prescindere dalla partecipazione del pubblico ministero alla udienza di convalida. A quest’ultimo riguardo, anzi, la Corte, rievocando un passaggio della relazione che accompagnava il d. lgs. n. 12 del 1991, sottolineò come, in caso di assenza del pubblico ministero – ragionevolmente introdotta dal legislatore per evidenti esigenze di funzionalità – al contraddittorio orale si sostituisse una forma di «contraddittorio cartolare caratterizzato da una tempestiva formulazione della richiesta [del pubblico ministero] e dal deposito degli elementi su cui le stesse si fondano». Passaggio argomentativo, questo, che, secondo la già citata sentenza n.10492 del 2006, era stato inteso nel senso che a tale deposito degli atti potesse implicitamente ricollegarsi la possibilità di conoscenza degli stessi da parte della difesa.
3 . - Alla stregua di tale quadro di riferimento, possono dunque dirsi conseguiti alcuni punti, utili ai fini della ricostruzione del sistema e della soluzione del quesito sottoposto a queste Sezioni unite. Può, anzitutto, ritenersi del tutto pacifica la profonda differenza strutturale e funzionale che caratterizza la “sequenza” procedimentale in cui si iscrive l’interrogatorio che si celebra nella udienza di convalida, da un lato, e quello di garanzia, dall’altro. E’ ben vero, infatti, che alcune circostanze sembrano accomunare i due atti, quali la condizione di privazione della libertà in cui si trovano tanto l’arrestato o il fermato che la persona sottoposta a misura cautelare e le garanzie che assistono i due atti, quali la contestazione dei fatti e degli elementi di accusa e la presenza del difensore. Ma a parte ciò, sono le due “udienze” a divergere profondamente, così come differenti sono le caratteristiche e le finalità delle rispettive audizioni. L’interrogatorio in sede di convalida, infatti, è atto polifunzionale, perché è destinato, da un lato, a riflettersi sulla richiesta di convalida del fermo o dell’arresto e, dunque, eventualmente a contestarne la fondatezza, e, dall’altro, sulla eventuale richiesta di misura cautelare: tema, quest’ultimo, evidentemente indipendente dal primo, e che postula una gamma del tutto autonoma di presupposti, ciascuno dei quali suscettibile di formare oggetto di contraddittorio, cartolare o meno che sia. Ciò comporta che, su quest’ultimo profilo, l’arrestato o il fermato ed il suo difensore, sono messi in condizione di sviluppare – anche attraverso produzione documentale (come ha puntualizzato la Corte costituzionale) o di altri elementi di prova di cui dispongano - le proprie domande eventualmente alternative, rispetto alla domanda cautelare formulata dal pubblico ministero. E tutto ciò, come è evidente, a prescindere dalla presenza o meno del pubblico ministero nella udienza di convalida, posto che una scelta in sé insindacabile della parte pubblica non potrebbe certo consentire una diversa articolazione delle garanzie difensive dell’indagato.
L’interrogatorio di garanzia, invece, si colloca quale atto conclusivo del procedimento cautelare, ed è destinato a consentire all’indagato di svolgere le proprie difese, tanto sulla legittimità che sul merito di un provvedimento privativo della libertà personale che ha già ricevuto esecuzione. Sicché, dovendosi la difesa sviluppare, non su una domanda di cautela – come nel caso della convalida – ma su una decisione giurisdizionale già adottata, è del tutto logico che la difesa stessa debba essere messa in condizione di avere previamente la disponibilità di tutti gli atti su cui quella decisione è stata adottata: ed è proprio in tale prospettiva che la Corte costituzionale, nelle richiamate decisioni, ha valorizzato la regola del previo deposito di quegli atti, con avviso al difensore, previsto dall’art. 293, comma 3 cod. proc. pen., non surrogabile, quanto all’interrogatorio ex art. 294, dalle garanzie contestative offerte dall’art. 65 del codice di rito (v. Sez. un., 28 giugno 2005, n. 26798, rv 231349). Deposito e avviso che, invece, non potrebbero trovare spazio nella udienza di convalida, in considerazione dei tempi assai ristretti in cui deve essere celebrata, avuto riguardo alle cadenze ad horas per essa sancite dallo stesso art. 13 della Carta fondamentale. Da qui, la impossibilità di replicare, per l’udienza di convalida, le stesse regole che disciplinano la conoscenza degli atti da parte del difensore ai fini dell’interrogatorio di garanzia.
4 . – Le diversità di regime che caratterizzano i due interrogatori che vengono qui in considerazione non obliterano, però, le torsioni che le garanzie difensive possono in concreto venire a subire, ove alla segnalata inapplicabilità, per la udienza di convalida, della regola del deposito degli atti con avviso al difensore, prescritta, invece, per l’interrogatorio di garanzia, si dovesse coniugare anche, come mostra di ritenere l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, una totale preclusione per il difensore di accedere agli atti su cui si fonda la richiesta di convalida dell’arresto o del fermo e di applicazione di una misura cautelare. Il nucleo del problema sta infatti nella previsione, dettata dall’art. 294, comma 1, cod. proc. pen., a norma del quale il giudice è tenuto a procedere all’interrogatorio di garanzia, pena, altrimenti, la perdita di efficacia della custodia cautelare ex art. 302 dello stesso codice, salvo che all’interrogatorio abbia già provveduto «nel corso della udienza di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto». Il codice, dunque, stabilisce una equivalenza di effetti tra i due atti, evocando in tal modo chiaramente una valutazione legalmente tipizzata di “equipollenza” tra le finalità di garanzia che entrambi gli interrogatori sono destinati a svolgere nella dinamica del procedimento cautelare. Il che, se non comporta – come la Corte costituzionale ha puntualmente rilevato – la necessità di configurare una totale sovrapponibilità tra le diverse discipline processuali, certo induce a ritenere che la posizione dell’indagato, quanto a conoscenza degli elementi necessari per articolare la propria difesa, debba essere strutturalmente “equivalente” nelle due sedi, presupponendo i due interrogatori – proprio perché destinati a soddisfare la medesima funzione in sede cautelare – un identico diritto di difendersi ratione cognita. E’ ben vero, a questo riguardo, che, nel corso della udienza di convalida, il pubblico ministero, se presente, o il giudice, sulla base delle richieste e degli atti trasmessi dalla parte pubblica, «indica i motivi dell’arresto o del fermo e illustra le richieste in ordine alla libertà personale»: ma, da un lato, tale attività meramente “illustrativa,” può essere ritenuta frutto di una selezione degli elementi posti a fondamento della convalida e della domanda cautelare, in sé non esaustiva ai fini della conoscenza degli atti e dell’approntamento di una difesa effettiva; dall’altro lato, non va neppure trascurata, agli effetti che qui rilevano, la ben diversa base fattuale che può caratterizzare l’arresto in flagranza, rispetto al fermo di indiziato di delitto, giacché a fondamento di quest’ultimo provvedimento e della correlativa richiesta di misura può in concreto concorrere una indagine, anche approfondita e lunga, difficilmente comprimibile, nei suoi risultati, in un semplice enunciato illustrativo.
D’altra parte, il diritto del difensore di prendere visione degli atti posti a base di un procedimento che si celebra in contraddittorio, riposa su una esigenza di ordine generale che appare essere del tutto in linea con una interpretazione del sistema secundum constitutionem. La giurisprudenza costituzionale ha, infatti, costantemente affermato che il diritto di difesa, presidiato come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento dall’art. 24 Cost., deve essere inteso come potestà effettiva di assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti, così da far assumere a tale diritto un’importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale. E’ ben vero che la effettività di tale diritto non comporta che il suo esercizio debba essere disciplinato in modo identico in ogni tipo di procedimento o in ogni fase processuale; anzi, la modulabilità delle forme e dei contenuti in cui si articola il diritto di difesa in relazione alle caratteristiche dei singoli procedimenti o delle varie fasi processuali è stata costantemente ritenuta dalla Corte costituzionale come una legittima espressione della discrezionalità legislativa. Ma è altrettanto vero che le pur diverse modalità secondo le quali si articola il concreto esercizio di tale fondamentale diritto, non ne debbano in alcun modo compromettere o menomare la funzione, all’interno e nel quadro del singolo istituto preso in considerazione (cfr., ex plurimis, Corte cost. ordinanze nn. 291 e 230 del 2005 e sentenza n.175 del 1996).
In tale prospettiva, quindi, la possibilità di conoscere “direttamente,” da parte del difensore, la integralità degli elementi e degli atti che formano oggetto della richiesta di convalida e di applicazione della misura, a prescindere dalla “mediazione illustrativa” del pubblico ministero o del giudice, rappresenta null’altro che la base ineludibile sulla quale poter configurare un contraddittorio “effettivo” e, con esso, un effettivo soddisfacimento della funzione difensiva che l’interrogatorio in sede di convalida è destinato a realizzare: giustificandone, per questa via, la equipollenza normativa all’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc. pen. Per altro verso, essendo l’accesso agli atti previsto come disposizione di carattere generale in favore di chiunque vi abbia interesse (art. 116 cod. proc. pen.), e poiché gli atti di indagine sono coperti dal segreto, a norma dell’art. 329 cod. proc. pen., fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza, non v’è ragione per precludere al difensore il diritto di prendere visione ed estrarre copia degli atti relativi alla udienza di convalida.
D’altra parte, a tale conclusione occorre pervenire anche facendo leva sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte di Strasburgo, infatti, ha costantemente avuto modo di sottolineare che «tutti i processi penali devono rivestire un carattere contradittorio e garantire la parità delle armi tra accusa e difesa: questo – ha puntualizzato la Corte – è uno degli aspetti fondamentali del diritto ad un processo equo. Il diritto a un processo penale in contraddittorio implica, per l’accusa come per la difesa, la facoltà di prendere conoscenza delle osservazioni o degli elementi di prova prodotti dall’altra parte (Brandstetter c. Austria, 28 agosto 1991, §§ 66-67, serie A n. 211). Per di più, l’articolo 6 §1 esige che le autorità procedenti comunichino alla difesa tutte le prove pertinenti in loro possesso, sia a carico che a discarico (Edwards c. Regno Unito, 16 dicembre 1992, § 36, serie A n. 247-B)». E’ ben vero – ha ancora sottolineato la Corte – che «il diritto alla diffusione delle prove pertinenti non è assoluto», in quanto «in un determinato processo penale vi possono essere interessi concorrenti – come la sicurezza nazionale o la necessità di proteggere i testimoni che rischiano rappresaglie, o di mantenere segreti dei metodi polizieschi di ricerca dei reati – che devono essere bilanciati con i diritti dell’imputato (Doorson c. Olanda 26 marzo 1996, § 70, Recueil des arréts et décision 1996-II, e Rowe e Davis c. Regno Unito, n. 28901/95, § 61, CEDU 2000-II).». Sicché, «in alcuni casi può essere necessario dissimulare alcune prove alla difesa, in modo da preservare i diritti fondamentali di un altro individuo o salvaguardare un interesse pubblico importante». «Tuttavia – ha soggiunto la Corte – sono legittime rispetto all’art. 6 §1 solo le misure che limitano i diritti della difesa che sono assolutamente necessarie (Van Mechelen e altri c. Olanda, 23 aprile 1997, § 58, Recueil 1997-III). Per di più, se si vuole garantire un processo equo all’imputato, tutte le difficoltà causate alla difesa da una limitazione dei suoi diritti devono essere sufficientemente compensate dalla procedura seguita dinanzi alle autorità giudiziarie (Rowe e Davis, già cit., § 61 in fine)» (Decisione dell’8 dicembre 2009, Previti c. Italia, ric. n. 45291/06, §§ 178 e 179).
Il che definitivamente assevera l’esistenza di un diritto del difensore di prendere conoscenza degli atti che costituiscono la base tanto del giudizio di convalida che della decisone sulla eventuale richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti dell’arrestato o del fermato. Ove l’esercizio di tale diritto sia stato impedito, ne deriverà una nullità di ordine generale a regime intermedio tanto dell’interrogatorio che della decisione di convalida, la quale, peraltro, deve essere dedotta entro il termine previsto dall’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.
5 . – Può, quindi, conclusivamente affermarsi il seguente principio di diritto: il difensore dell’arrestato o del fermato ha diritto di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida del fermo o dell’arresto e di applicazione della misura cautelare. Il rigetto di tale richiesta, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell’interrogatorio e del provvedimento di convalida, che resta sanata a norma dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., se non viene eccepita nella udienza di convalida.
6 . – Alla stregua dei richiamati principi, il ricorso deve essere, nella peculiare fattispecie qui in esame, dichiarato inammissibile. Come infatti pacificamente posto in risalto tanto nella ordinanza impugnata che nel ricorso, la difesa ebbe formalmente e tempestivamente ad eccepire, nel corso della udienza di convalida, la nullità degli atti derivante dal fatto che tanto alla difesa che all’indagato non era stato consentito di prendere visione degli atti posti a fondamento della richiesta di convalida e di applicazione della misura cautelare formulate dal pubblico ministero, che non era comparso. Il giudice della convalida aveva poi disatteso l’eccezione, provvedendo ad adottare tanto il provvedimento di convalida del fermo che ad applicare la misura cautelare sollecitata dal pubblico ministero. Ciò comporta, dunque, che la statuizione del giudice di accogliere, all’esito della udienza di convalida, le richieste del pubblico ministero e disattendere la eccezione difensiva, doveva formare oggetto di apposita impugnazione, secondo il generale principio in virtù del quale la decisione giurisdizionale impugnabile (come l’ordinanza che decide sulla convalida, ex art. 391, comma 3, cod. proc. pen.) e non impugnata, assume i connotati preclusivi della irrevocabilità. Essendo stato, dunque, ritualmente fatto valere il vizio nel corso della udienza di convalida, il provvedimento reiettivo adottato con la pronuncia conclusiva della udienza, in mancanza di impugnazione, non è più suscettibile di revisione: con la conseguenza di rendere dunque inammissibile l’odierno ricorso, mirando esso a riesaminare una decisione ormai irretrattabile sul punto.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non sussistono invece i presupposti per pronunciare una condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, avuto riguardo ai principi a tal proposito dettati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2010
Il Consigliere estensore Il Presidente
Alberto Macchia Ernesto Lupo
Depositato in cancelleria
il 11 ottobre 2010
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