La Consulta dichiara non fondata la questione di legittimitą costituzionale dell'art. 420-ter, comma 5, e dell'art. 484, comma 2-bis c.p.p. nella parte in cui non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza, quando l'assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilitą di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato.
CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 217 ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
- Alfonso QUARANTA
- Franco GALLO
- Luigi MAZZELLA
- Gaetano SILVESTRI
- Sabino CASSESE
- Maria Rita SAULLE
- Giuseppe TESAURO
- Paolo Maria NAPOLITANO
- Giuseppe FRIGO
- Alessandro CRISCUOLO
- Paolo GROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale promosso dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, nel procedimento penale a carico di S. M., con ordinanza del 2 ottobre 2008, iscritta al n. 24 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2009.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto in fatto
1.— Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con ordinanza del 2 ottobre 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 420-ter, comma 5, e dell'art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui «non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l'assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato».
Il rimettente premette di essere chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di S. M., imputato del delitto di cui all'art. 570 codice penale (violazione degli obblighi di assistenza familiare), in relazione al quale, in data 5 giugno 2007, il difensore della costituita parte civile P. M. ha depositato in cancelleria un certificato medico, datato 4 giugno 2007, attestante condizioni di salute incompatibili con la sua comparizione per l'udienza del 7 giugno 2007.
Il giudice a quo riferisce che all'udienza del 7 giugno 2007 non ha accolto la richiesta di differimento dell'udienza, in forza del combinato disposto degli artt. 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, cod. proc. pen., in quanto dette norme riservano il diritto di differimento dell'udienza in caso di legittimo impedimento, prontamente comunicato, soltanto al difensore dell'imputato, sicché, nella medesima udienza, ai sensi dell'art. 519 cod. proc. pen., ha provveduto all'ammissione di prove testimoniali richieste dall'imputato a seguito di contestazione suppletiva.
Precisa, inoltre, che all'udienza dell'8 maggio 2008 il difensore della parte civile ha eccepito, ai sensi dell'art. 180 cod. proc. pen., la nullità dell'ordinanza con la quale il giudicante ha respinto la richiesta di rinvio dell'udienza del 7 giugno 2007 e del provvedimento di ammissione delle nuove prove richieste dall'imputato, per violazione dell'art. 178, lett. c), cod. proc. pen., ovvero per inosservanza delle disposizioni concernenti l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza della parte civile costituita; in particolare, il difensore della parte civile ha eccepito che l'ordinanza di ammissione delle prove richieste dall'imputato, a seguito della contestazione suppletiva, è stata pronunziata nonostante la sua assenza, dovuta ad impedimento assoluto, prontamente comunicato e, quindi, senza alcun contraddittorio con una delle parti del processo.
Il giudice rimettente prospetta la violazione degli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. ritenendo, in punto di rilevanza della questione, che l'eccezione di nullità e, quindi, il giudizio non possono essere definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità in esame, giacché l'incostituzionalità degli artt. 420-ter, comma 5 e 484, comma 2-bis, «nei termini prospettati dal difensore della parte civile imporrebbe al decidente di accogliere l'eccezione di nullità».
Pone in evidenza il rimettente che la questione appare non manifestamente infondata, in quanto «la mancata estensione da parte del combinato disposto degli articoli 420-ter comma 5, e 484 comma 2-bis, cod. proc. pen. al difensore della parte civile dell'istituto del rinvio dell'udienza in caso di mancata comparizione, quanto meno quando la stessa sia dovuta, come nel caso in esame, ad impossibilità assoluta per forza maggiore sembra contrastare» con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., con quello della parità delle parti nel processo di cui al secondo comma dell'art. 111 Cost. e con il principio di inviolabilità della difesa di cui ai commi primo e secondo dell'art. 24 Cost.
L'omessa previsione contrasterebbe, secondo il rimettente, con il principio di uguaglianza, «stante l'irragionevole discriminazione operata tra il difensore dell'imputato ed il difensore della parte civile che vengono a trovarsi nella medesima situazione incolpevole»; con il principio della parità delle parti nel processo, «stante l'attribuzione del diritto al differimento dell'udienza al difensore di una delle parti del processo penale e la negazione di tale identico diritto al difensore della parte civile che si trova nella medesima situazione»; inoltre, con il principio della inviolabilità della difesa, «sicuramente applicabile anche alla persona offesa dal reato in relazione alle sue pretese civilistiche: diritto la cui effettività sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l'imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa in assenza della parte civile e del suo difensore impossibilitato a presenziare per forza maggiore».
2. — Con atto depositato in data 3 marzo 2009, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito la manifesta irrilevanza della questione.
La difesa erariale ha evidenziato che la questione sollevata dal rimettente, «al fine di operare una corretta disamina del caso oggetto di cognizione», deve essere affrontata nella «appropriata e diversa sede normativa dell'art. 519 cod. proc. pen., con particolare riguardo al comma 3 della norma medesima». Osserva che la citata disposizione, in caso di contestazione suppletiva, effettuata ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen., nelle previsioni di cui ai commi 1 e 2, impone al giudice di concedere termini per la difesa e di sospendere il dibattimento, se l'imputato ne faccia richiesta; inoltre, il comma 3 prevede che il presidente dispone la citazione della persona offesa osservando un termine non inferiore a cinque giorni.
L'Avvocatura ritiene che «secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata della norma processuale in esame, una volta che lo stesso ordinamento processuale contempla la possibilità che dopo l'apertura del dibattimento i fatti di reato per cui si procede vengano integrati e ridefiniti e, dunque, che il processo conosca nuovi sviluppi, sarebbe illogico e contraddittorio – rispetto a questi ultimi – impedire ai soggetti coinvolti l'esercizio dei loro fondamentali diritti di ordine processuale».
La difesa pubblica indica alcune decisioni della Corte costituzionale con cui è stata riconosciuta la facoltà dell'imputato di richiedere il “patteggiamento” (sentenza n. 265 del 1994) e di proporre domanda di oblazione (sentenza n. 530 del 1995), ma anche la facoltà del pubblico ministero e delle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove in relazione alle contestazioni introdotte in via suppletiva (sentenze n. 50 del 1995 e n. 241 del 1992); inoltre, evidenzia che la possibilità di chiedere l'ammissione di nuove prove sussiste a prescindere dalla circostanza che la contestazione suppletiva abbia ad oggetto un fatto – reato già risultante dagli atti prima dell'inizio del dibattimento o al momento dell'esercizio dell'azione penale o, ancora, un fatto emerso successivamente nel corso dell'istruzione dibattimentale.
L'interveniente indica, altresì, la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui, in caso di contestazioni suppletive formulate ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen., la parte offesa, ancorché presente, ha diritto anch'essa, come l'imputato, alla sospensione del dibattimento, onde potersi costituire parte civile per la nuova udienza. Analogo diritto spetta anche alla parte civile già costituita, in vista della possibile modifica, sotto il profilo tanto della causa petendi, quanto del petitum dei già costituiti rapporti processuali (Cass., sentenze n. 12732 del 2000 e n. 10660 del 1995).
L'Avvocatura sostiene, dunque, che nel caso di specie difetta il nesso di pregiudizialità che deve necessariamente sussistere tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale, e ciò in quanto «l'eccezione di nullità sollevata nel giudizio a quo», essendo «riconducibile esclusivamente alla mera inosservanza della disposizione di cui all'art. 519, comma 3, cod. proc. pen. è suscettibile di essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo».
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 420-ter, comma 5, e dell'art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui «non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l'assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato».
Il rimettente, chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di S. M., imputato del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, in relazione al quale, in data 5 giugno 2007, il difensore della costituita parte civile P. M. ha prodotto un certificato medico, datato 4 giugno 2007, attestante condizioni di salute incompatibili con la sua comparizione per l'udienza del 7 giugno 2007, osserva che all'udienza indicata ha respinto la richiesta di differimento in forza del combinato disposto degli articoli 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, cod. proc. pen., che riserva il diritto di differimento dell'udienza, in caso di legittimo impedimento prontamente comunicato, soltanto al difensore dell'imputato; pertanto, all'udienza del 7 giugno 2007, ai sensi dell'art. 519 cod. proc. pen., ha provveduto all'ammissione delle prove testimoniali richieste dall'imputato a seguito di contestazione suppletiva.
Sussisterebbe, secondo il giudice a quo, la violazione degli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., in quanto l'omessa previsione del diritto del difensore della parte civile al differimento dell'udienza, in caso di impedimento legittimo, prontamente comunicato, violerebbe il principio di uguaglianza, «stante l'irragionevole discriminazione operata tra il difensore dell'imputato ed il difensore della parte civile che vengono a trovarsi nella medesima situazione incolpevole»; il principio della inviolabilità della difesa, «sicuramente applicabile anche alla persona offesa dal reato in relazione alle sue pretese civilistiche: diritto la cui effettività sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l'imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa in assenza della parte civile e del suo difensore impossibilitato a presenziare per forza maggiore»; inoltre, sarebbe in contrasto con il principio della parità delle parti nel processo, «stante l'attribuzione del diritto al differimento dell'udienza al difensore di una delle parti del processo penale e la negazione di tale identico diritto al difensore della parte civile che si trova nella medesima situazione».
E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito la manifesta irrilevanza della questione in considerazione del difetto del nesso di pregiudizialità che deve sussistere tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale.
2.— L'eccezione di inammissibilità per manifesta irrilevanza, sollevata dall'Avvocatura dello Stato, non è fondata.
Essa si richiama ad una situazione processuale diversa da quella descritta nell'ordinanza di rimessione, ossia alla situazione in cui, a seguito di nuove contestazioni (artt. 516 e seguenti, cod. proc. pen.), il presidente debba disporre la citazione della persona offesa (art. 178, lett. c, cod. proc. pen.), osservando un termine non inferiore a cinque giorni (art. 519, comma 3, cod. proc. pen.). Ma il difensore della parte civile non fa valere, a quanto risulta dall'ordinanza di rimessione, la violazione di diritti processuali inerenti alla contestazione suppletiva. Si duole, invece, di una diversa (presunta) violazione, correlata al mancato rinvio dell'udienza per il dedotto suo impedimento a parteciparvi.
Pertanto, non è ravvisabile la carenza del nesso di pregiudizialità tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale, nei termini prospettati dall'Avvocatura dello Stato.
La difesa erariale omette, inoltre, di adempiere all'onere di indicare circostanze a riscontro di ciò che sostiene, in quanto non fornisce elementi idonei a dimostrare che l'udienza nella quale il pubblico ministero ha formulato la contestazione suppletiva sia stata la stessa cui il difensore di parte civile non ha potuto partecipare, per impedimento legittimo.
Posto, infatti, che l'obbligo per il giudice, sanzionato a pena di nullità dal comma 3 dell'art. 519 cod. proc. pen., di concedere il termine in caso di contestazione suppletiva, anche in favore della persona offesa e della parte civile, è immediatamente collegato alla formulazione della contestazione stessa, soltanto qualora la nuova contestazione fosse stata formulata all'udienza alla quale il difensore della parte civile è stato nella impossibilità di partecipare, il giudice a quo avrebbe potuto decidere l'eccezione di nullità ricorrendo alla disposizione menzionata (art. 519, comma 3, cod. proc. pen.).
3.— Nel merito, la questione non è fondata.
Si deve premettere che il codice di procedura penale del 1988, introducendo nell'ordinamento il processo penale di tipo accusatorio, ha comportato significativi riflessi sui rapporti tra processo penale ed azione civile, ispirati non più – come accadeva nel previgente sistema processuale penale di tipo inquisitorio – alla prevalenza del processo penale su quello civile e amministrativo, quanto, piuttosto, alla separazione dei giudizi ed alla indipendenza del giudizio civile e amministrativo da quello penale.
L'intero corpo normativo processuale risulta, infatti, strutturato sulla diversità delle posizioni processuali della parte civile e dell'imputato, in particolare, sul carattere accessorio, subordinato ed eventuale dell'azione civile rispetto al processo penale; si tratta di disposizioni che delineano una netta diversificazione dei diritti e dei poteri processuali attribuiti alla parte civile ed all'imputato, costituenti, dunque, situazioni soggettive non omologabili.
La non equiparabilità delle posizioni soggettive in questione e il favor separationis tra azione civile ed azione penale è alla base della più volte affermata non irragionevolezza della scelta del legislatore, nei casi in cui non ha esteso anche alla parte civile facoltà e diritti attribuiti in via esclusiva all'imputato ed in quelli in cui non ha riconosciuto autonomi diritti e facoltà alla parte civile.
Questa Corte, infatti, non ha ritenuto discriminatoria la scelta del legislatore di consentire soltanto all'imputato ed al pubblico ministero di formulare la richiesta di rimessione del processo (sentenza n. 168 del 2006); né ha ritenuto irragionevole il mancato riconoscimento alla parte civile del diritto di impugnare il provvedimento con il quale la sua istanza di sequestro conservativo sia stata respinta (ordinanza n. 424 del 1998); anzi, ha affermato la ragionevolezza del comma 2 dell'art. 495 cod. proc. pen., nella parte in cui attribuisce soltanto all'imputato ed al pubblico ministero, e non anche alla parte civile, il diritto alla prova contraria (sentenza n. 532 del 1995).
Inoltre, la Corte, già sotto la vigenza del codice di procedura penale del 1930, ha ritenuto la portata non discriminatoria dell'art.175 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva, in tema di notificazioni, l'obbligo di disporre le ricerche del danneggiato nei luoghi di nascita e di ultima dimora, così come era previsto per l'imputato (sentenza n. 187 del 1972).
La Corte, dunque, tutte le volte in cui è stata chiamata a decidere sui rapporti tra azione civile e azione penale, ha costantemente affermato il principio per cui «imputato e parte civile esprimono due entità soggettive fortemente diversificate, non solo sul piano del differente risalto degli interessi coinvolti, ma anche e soprattutto per l'impossibilità di configurare in capo ad essi un paradigma di par condicio valido come regola generale su cui conformare i relativi diritti e poteri processuali. Questa Corte, d'altra parte, ha costantemente avuto modo di affermare che le differenze di “trattamento processuale” tra le parti sono legittime, sempre che abbiano una loro ragionevole base all'interno del sistema processuale. Se ciò vale per le parti necessarie del processo, a fortiori è possibile tracciare un ragionevole discrimen in riferimento alle parti eventuali: specie nelle ipotesi in cui – come nel caso della parte civile nel processo penale – sia assicurato un diretto ed incondizionato ristoro dei propri diritti attraverso l'azione sempre esercitabile in sede propria» (sentenza n. 168 del 2006).
Si deve, inoltre, ribadire che la Corte, nel legittimare la differenza del trattamento processuale, nei termini indicati, ha, al contempo, affermato che l'eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul diritto di difesa e sulla parità delle parti, data la possibilità di esercitare l'azione di risarcimento del danno nella sede civile ed anche, atteso il carattere accessorio e subordinato dell'azione civile, in considerazione della facoltà del danneggiato dal reato di scegliere di far valere i propri diritti nella sede propria oppure in quella penale dopo aver effettuato una valutazione comparativa dei relativi vantaggi (sentenza n. 168 del 2006; ordinanza n. 124 del 1999).
Ciò premesso, le argomentazioni del rimettente in ordine all'omessa estensione del diritto del differimento dell'udienza anche al difensore della parte civile, non sono idonee a superare le considerazioni sopra richiamate, che debbono essere qui ribadite, con la conseguenza che le norme denunziate si sottraggono alle censure mosse con riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.
Anche con riferimento alla diversità della disciplina concernente l'impedimento del difensore dell'imputato e di quello di parte civile, non può non venire in rilievo, ancora una volta, la eterogeneità delle posizioni processuali nel cui interesse il difensore compie e riceve tutti gli atti del procedimento.
La scelta del legislatore di non estendere anche al difensore della parte civile il diritto al differimento dell'udienza non è, dunque, irragionevole, e ciò in quanto il differente rilievo degli interessi di cui l'imputato e la parte civile sono portatori, e la diversa natura degli scopi perseguiti, si riflettono anche sulla disciplina prevista in relazione al diritto di partecipazione al processo e, quindi, alla presenza del difensore.
La non irragionevolezza della disposizione censurata deve essere affermata anche in considerazione di altri interessi da tutelare, quale quello della speditezza del processo penale, interesse che, evidentemente, il legislatore non ha inteso compromettere attraverso la previsione del diritto al rinvio anche per il difensore della parte civile, dovendo attribuirsi precipuo rilievo al dato che nel processo penale l'imputato è soggetto direttamente coinvolto, mentre la parte civile sceglie, liberamente, di far valere le proprie pretese civili in esso, anziché in sede civile.
In tal senso è significativa la sentenza n. 39369 del 2 ottobre 2008 della Corte di cassazione che, nell'escludere la possibilità di estendere l'applicazione dell'articolo 420-ter cod. proc. pen. al difensore della parte civile, ha affermato che la diversità di disciplina non appare irragionevole, in considerazione dei plurimi strumenti presenti nell'ordinamento per chi chiede la tutela dei propri interessi civili in una valutazione comparativa con l'interesse alla speditezza processuale.
Con tale pronunzia la Corte di cassazione ha ribadito quanto già espresso da questa Corte nella sentenza n. 433 del 1977, secondo cui «la separazione dell'azione civile dal processo penale non può essere considerata come evoluzione o menomazione del diritto di tutela giurisdizionale, costituendone una modalità che generalmente è alternativa, ma che il legislatore, nell'ambito del suo potere discrezionale, può scegliere come esclusiva in vista di altri interessi da tutelare come quello della speditezza del processo penale e che l'autonomo esercizio dell'azione di restituzione o risarcitoria nel processo civile non comprime il diritto di difesa, il quale potrà essere esercitato secondo le regole generali del codice di procedura civile».
Con riferimento alla violazione dell'art. 24 Cost., sotto il profilo per cui l'effettività del diritto di difesa della parte civile sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l'imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa, in assenza della parte civile e del suo difensore, si deve rilevare che tale lesione non sussiste. Ciò non solo perché ben può il difensore legittimamente impedito nominare un sostituto, il quale esercita i diritti e assume i doveri del difensore ai sensi dell'art. 102 cod. proc. pen., ma anche perché, come più volte affermato da questa Corte, l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno nel processo penale non rappresenta l'unico strumento di tutela giudiziaria a disposizione della parte civile «per l'esistenza di validi e praticabili percorsi giudiziari alternativi nella piena disponibilità del danneggiato (azione risarcitoria davanti al giudice civile)» (ordinanze n. 562 del 2000 e n. 424 del 1998).
Le considerazioni esposte conducono, altresì, ad escludere la violazione del secondo comma dell'articolo 111 Cost., in particolare, del principio della parità delle parti, atteso che la previsione della facoltà prevista in capo alla parte civile di trasferire, in qualsiasi momento, l'azione per il risarcimento del danno derivante dal reato nella sede civile, esclude di regola pregiudizi agli interessi di cui è portatrice.
In conclusione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe, deve essere dichiarata non fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 420-ter, comma 5, e dell'art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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