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 Marco Rebecca, Evoluzioni della dottrina Obama sul regime “Guantanamo” per la lotta al terrorismo

 

Evoluzioni della dottrina Obama sul regime “Guantanamo” per la lotta al terrorismo
(articolo a cura di Marco Rebecca)
 
Solo un anno fa il destino della commissione militare – il giudice extra ordinem istituito negli Stati Uniti per la repressione giudiziaria del fenomeno terroristico – sembrava inesorabilmente segnato. A sette anni di distanza dalla sua introduzione – e nel pieno della campagna elettorale – entrambi i candidati alla presidenza avevano annunciato, in caso di vittoria, una decisa svolta nella war on terrorism: chiusura del carcere di Guantanamo e revisione complessiva delle guidelines concenenti detenzione e processi. Poi coerentemente il 22 gennaio 2009 il presidente Obama ha adottato i tre executive orders[1]  che hanno ridisegnato i principi della nuova war on terrorism,  in modo tale da cancellare l’esperienza delle commissioni militari: chiusura di Guantanamo e riforma integrale della disciplina della detenzione e degli interrogatori dei sospetti terroristi[2].
Il primo ordine è intitolato “revisione e trasferimento dei detenuti sulla base navale di Guantanamo Bay e chiusura della struttura di detenzione”. Alla parte precettiva è premessa una sorta di “anamnesi”: negli ultimi sette anni circa ottocento persone sono state ristrette a Guantanamo e, di queste, oltre cinquecento sono state rilasciate o rimpatriate o trasferite in altri Stati. Tra quelle rimaste, alcune sono detenute da più di sei anni; la maggioranza da almeno quattro anni.
Ai dati di fatto pare sottesa implicitamente la constatazione dell’inefficienza del costrutto normativo approntato dall’amministrazione precedente: ottocento detenuti in sette anni, buona parte dei quali rilasciati senza che mai sia stata formulata un’imputazione; lesione delle più elementari garanzie costituzionali[3] (in parte ripristinate dall’intervento della giurisprudenza[4]), e soltanto tre processi in più di sette anni[5], il primo dei quali conclusosi (in primo grado) solo il 4 agosto 2008.
Su queste premesse si innestano le novità della dottrina Obama: chiusura del carcere di Guantanamo, verifica immediata della persistenza dei presupposti della detenzione dei sospetti terroristi, miglioramento degli standard di trattamento dei detenuti, sospensione dei processi pendenti innanzi alle military commissions. In particolare, l’executive order dispone la chiusura del carcere il più presto possibile e, comunque, entro un anno; gli eventuali detenuti ancora presenti alla data di chiusura dovranno essere rilasciati oppure trasferiti in altra struttura penitenziaria od in altro Stato[6].
Viene, inoltre, dato immediato avvio al procedimento di revisione dello status di ciascun detenuto: vi provvede uno staff assai composito, di cui fanno parte – tra gli altri - il segretario alla difesa ed il segretario di stato, coordinati dall’Attorney General, titolare del dicastero della giustizia[7].
L’ordine esecutivo fissa con precisione l’iter che la revisione deve seguire: raccolta di tutte le informazioni disponibili su ciascun detenuto da parte del ministero della giustizia; valutazione – sulla base dei dati raccolti – della possibilità di rilasciare o trasferire il detenuto e, nel caso in cui il rilascio od il trasferimento non siano possibili, successivo vaglio sull’opportunità di celebrare il processo (l’azione penale negli Stati Uniti è discrezionale)[8].
L’executive order sancisce inderogabilmente il principio per cui i detenuti di Guantanamo devono essere trattati umanamente. In specie, la sezione 6 stabilisce che nelle more della chiusura tutti i detenuti, senza eccezioni, godono della protezione dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949[9], ed ordina al segretario alla difesa di accertare immediatamente che le concrete condizioni di detenzione siano conformi alle nuove regole[10].
Questa norma sortisce un duplice effetto. Da un lato determina il definitivo superamento del lezioso distinguo tra prisoners of war ed unlawful combatants: l’amministrazione Bush, infatti, aveva in un primo tempo preteso di riservare al presidente stesso il potere di distinguere – caso per caso – i lawful combatants (gli unici che, dopo la cattura, ottengono lo status di prigionieri di guerra) dai combattenti illegittimi e, quindi, di determinare a quali soggetti dovesse essere applicato il diritto umanitario della III Convenzione di Ginevra. Nella prassi – malgrado la tardiva istituzione del Combatant Status Review Tribunal[11] – i detenuti di Guantanamo, al di là delle teoriche possibilità di ottenere lo status di prigioniero di guerra e, dunque, di conseguire un trattamento più favorevole, in passato sono stati dall’amministrazione ritenuti en bloc combattenti illegittimi e, come tali, sono stati privati delle tutele del diritto umanitario. Diversamente, l’ordine esecutivo del presidente Obama con evidente pragmatismoevita la dicotomia teorica (e le correlate difficoltà di accertamento pratico) tra combattenti legittimi e non, disponendo che ciascun detenuto sia trattato in conformità all’art. 3 delle Convenzioni di Ginevra.
L’executive order sortisce un secondo effetto. Sancisce il tramonto della tortura come tecnica di interrogatorio e, quindi, come mezzo di ricerca della prova. La disciplina previgente, introdotta con ordine esecutivo presidenziale del 13 novembre 2001, stabiliva che al detenuto dovessero essere provvisti vitto, vestiario, riparo adeguati, possibilità di professare il proprio credo religioso compatibilmente con le esigenze della detenzione, specificando che il detenuto non dovesse subire discriminazioni per razza, sesso, sull’età, sulla religione: taceva, tuttavia, sulle modalità di interrogatorio[12]. Questa lacuna normativa – fermo restando il divieto costituzionale, previsto dall’ottavo emendamento, di cruel and unusual punishments[13] - ha reso possibile l’espressa approvazione da parte di Donald Rumsfeld - segretario alla difesa dell’amministrazione Bush – di precise tecniche da usare nei confronti degli enemy combatants, privi dello status di prigionieri di guerra,  tese a favorire la propensione alla collaborazione del detenuto[14]. Si trattava di ventiquattro metodi di trattamento e di interrogatorio: dalle minacce alla dietary manipulation, dall’alterazione dei ritmi veglia-sonno all’isolamento.
Se, dunque, secondo la dottrina Obama tutti i detenuti sono equiparati sotto il profilo del trattamento – senza che possa assumere alcun rilievo pratico la distinzione tra lawful ed unlawful combatants -, diventano illegali gli specifici trattamenti e le tecniche di interrogatorio autorizzate dall’amministrazione Bush per i combattenti illegittimi. A questa conclusione conduce già la disciplina contenuta nel primo ordine esecutivo (Review and Disposition of Individuals Detained at the Guantanamo Bay Naval Base and Closure of Detention Facilities); ma il nuovo presidente ha voluto ribadire il concetto in un separato executive order – anch’esso del 22 gennaio – intitolato “Ensuring Lawful Interrogations[15]. Quest’ordine esecutivo rompe con il passato: abroga, con effetto immediato, un provvedimento del presidente Bush del 20 luglio 2007 che – dopo cinque anni di dinieghi – da un lato aveva finalmente concesso ai detenuti, in linea di principio, un trattamento corrispondente al diritto umanitario di Ginevra ma, dall’altro, aveva dato un’interpretazione notevolmente restrittiva dell’articolo 3 comune alle convenzioni del 1949. Per Obama, invece, le lawful interrogations  non possono mai derogare al diritto internazionale umanitario.
Inoltre, Obama mette fine alla politica del doppio binario negli interrogatori. Va precisato che le interrogations, regolate dall’ordine esecutivo, non hanno nulla a che vedere con l’assunzione di informazioni da parte degli organi di polizia giudiziaria nelle indagini riguardanti i reati comuni[16]. La novella introdotta da Obama riguarda, invece, gli interrogatori condotti dai servizi di intelligence e, quindi, anzitutto gli interrogatori dei sospetti terroristi internati a Guantanamo. L’ordinamento militare prevede precise procedure ed ammette solo diciannove tecniche di interrogatorio, dettagliatamente definite dall’Army Field Manual 2.22.3[17]. A questa disciplina ordinaria l’amministrazione Bush aveva affiancato un previsioni extra ordinem di metodi aggiuntivi, tra cui il noto waterboarding. Il nuovo presidente ha eliminato questo secondo binario, disponendo che tutti gli interrogatori devono rimanere nell’alveo del Field Manual. L’executive order stabilisce espressamente che cessano di avere vigore tutti i provvedimenti regolamentari in materia di interrogatori emanati dell’esecutivo nel lasso di tempo compreso tra l’11 settembre 2001 ed il 20 gennaio 2009[18]. Pratiche come l’annegamento simulato, la manipolazione della dieta, l’alterazione del ritmo veglia-sogno (sleep adjustment) e l’environmental manipulation (come, ad esempio, le esalazioni sgradevoli e l’aumento o la diminuzione della temperatura) sono quindi illegali. Più in generale, è divenuto illegale ogni mezzo di coartazione fisica e di alterazione del ritmo biologico, mentre è stata ribadita la legittimità dell’uso di certi limitati mezzi di pressione psicologica.
Subito dopo l’insediamento il nuovo presidente – data l’incisività e l’immediata efficacia dei provvedimenti adottati – ha, dunque, dato l’impressione di voler archiviare definitivamente i mezzi d’emergenza con cui negli ultimi anni è stata affrontata la war on terrorism[19].
Tuttavia, a distanza di alcuni mesi la portata innovatrice della nuova presidenza ha sùbito un notevole ridimensionamento. Il 15 maggio 2009, con una dichiarazione ufficiale[20], Obama ha affermato a sorpresa che le commissioni militari – i giudici straordinari creati da Bush il 13 novembre 2001 - sono “appropriate per processare i nemici che violano le leggi di guerra”. Nondimeno – continua la dichiarazione – da un lato le commissioni si sono rivelate finora poco efficienti e, per altro verso, non sono state ancora munite di un legal framework sufficientemente garantista. Occorre, dunque, riformarne i principi e le regole di procedura secondo cinque precise bisettrici. In particolare: le dichiarazioni ottenute usando “metodi di interrogatorio crudeli, inumani e degradanti” non possono essere utilizzate nei processi; la disciplina dell’utilizzo delle voci correnti nel pubblico (hearsay) deve soggiacere a limiti rigorosi e, più specificamente, la voce corrente nel pubblico non può essere ritenuta prova – come invece prevedeva la disciplina processuale vigente innanzi le commissioni militari - salvo che la difesa dell’imputato provi il contrario; l’imputato deve godere della massima libertà nella scelta del collegio difensivo e devono essere introdotte alcune basilari garanzie per chi rifiuti di rendere dichiarazioni[21].
Gli echi dell’approccio emergenziale e del “diritto penale del nemico” sembrano, dunque, ancora avvertibili nella new counter-terrorism policy obamiana: le commissioni militari, infatti, restano in funzione, sebbene con giurisdizione circoscritta ai crimini di guerra commessi dagli enemy combatants. Ne viene riveduta e corretta la procedura, la quale – ma si tratta di un’ipotesi ancora priva di conferme normative – dovrebbe informarsi ai paradigmi ed alle garanzie costituzionali.
Per converso, sembra definitivamente abbandonata l’altra opzione: ricondurre la repressione del fenomeno terroristico al diritto penale “del fatto”[22], nel contesto del sistema processuale ordinario delle federal district courts. Si è scelto di curare la patologia piuttosto che ripristinare la fisiologia.
Marco Rebecca
 

 


[1] Gli executive orders sono atti normativi emanati da organi dell’Esecutivo (per lo più i singoli ministri), sulla base di un potere loro specificamente riconosciuto dalla Costituzione o da statuti del Congresso. Non sono dunque “legge”, ma hanno forza di legge. Per quanto nello specifico concerne gli ordini esecutivi presidenziali (con i quali, stante la potenziale flessibilità del loro contenuto, possono essere impartiti, tra l’altro, ordini militari), essi acquistano forza di legge solo con la pubblicazione nel Federal Register (alter ego della nostra Gazzetta Ufficiale). Sugli executive orders presidenziali v. A.L. WARBER, Executive Orders and the Modern Presidency: Legislating from the Oval Office, Boulder, 2006; W.G. HOWELL, Power without Persuasion: the Politics of Direct Presidetial Action, Princeton, 2003; K.R. MAYER, With the Stroke of a Pen: Executive Orders and Presidential Power, Princeton, 2002. Il testo degli executive orders è pubblicato in www.whitehouse.gov.
[2] S. ISSEMBERG – F. STOCKMAN, McCain blasts ruling on Guantanamo, in The Boston Globe, 14 giugno 2008, 14.: E. FIDELL, The National Institute of Military Justice and the Bush Military Commissions, 23 gennaio 2009, 2, in www.nimj.org.
[3] In senso critico, e sulla dicotomia (riproposta in G. JAKOBS – M. CANCIO MELIA, Derecho penal del enemigo, Madrid, 2003) tra “diritto penale dell’amico” e “del nemico” v. S. RIONDATO, Uno sguardo dall’Europa al nuovo diritto penale di guerra statunitense contro il terrorismo, in S. CANESTRARI – L. FOFFANI (a cura di), Il diritto penale nella prospettiva europea. Quali politiche criminali per quale Europa?, Milano, 2005, 295; M. DONINI, Il diritto penale di fronte al nemico, in Cass. pen., 2006, 735, 760 ss.; F. MANTOVANI, Il diritto penale del nemico, il diritto penale dell’amico, il nemico del diritto penale e l’amico del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 470; F. VIGANO’, Terrorismo, guerra e sistema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 648 e, soprattutto, 669 ss.; G. INSOLERA, Terrorismo internazionale tra delitto politico e diritto penale del nemico, in Dir. pen. proc., 2006, 895. J.A.E. VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo negli Stati Uniti: inter arma silent leges?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 2, 739: l’autore, con riferimento alla disciplina introdotta durante dal prima amministrazione Bush, parla di “diritto eccezionale presidenziale” (v., in specie, 764 ss.). V. anche P. BONETTI, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, passim. Sullo stato di eccezione come spazio sostanzialmente estraneo al diritto v. G. AGAMBEN, Lo stato di eccezione. Homo sacer, II, Torino, 2003, 9 ss., 44 ss.Sulla relazione tra lo “stato di eccezione” e la potenziale involuzione democratica v. S. MOCCIA, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel diritto penale, Napoli, 1997, passim; L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari, 1989, 858 ss. Per un confronto critico tra la disciplina dell’emergenza statunitense e quella israeliana v. F. STELLA, I diritti fondamentali nei periodi di crisi, di guerra e di terrorismo: il modello Barak, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 938.
[4] G.F. FERRARI(La Corte Suprema degli Stati Uniti nei terms 2005/2006 e 2006/2007, in Giur. cost., 2007, 3797) rileva come dalla pronunzia Hamdan v. Rumsfeld (548 U.S. 557) emerga che le commissioni militari violano sia il diritto penale militare statunitense (e, in specie, lo Uniform Code of Military Justice) sia l’articolo 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949. V. anche M. MIRAGLIA, Una nuova normalità: metamorfosi della giustizia penale statunitense dopo l’11 settembre, in Cass. pen., 2005, 2820 ss.; M. REBECCA, Diritti dei prigionieri di Guantanamo: revirement favorevole delle Corti USA, in Dir. pen. proc., 2004, 644; E. SCISO, La condizione dei detenuti di Guantanamo tra diritto umanitario e garanzie dei diritti fondamentali, in Riv. dir. internaz., 2003, 111. Sulla ripercussione delle misure antiterrorismo sulla sfera della privacy sia nell’ordinamento statunitense sia in ambito europeo v. A. MANNA, Erosione delle garanzie individuali in nome dell'efficienza dell'azione di contrasto al terrorismo: la privacy, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 1022; con specifico riferimento agli USA, M. REBECCA, Intelligence e controllo delle comunicazioni telematiche nella legislazione statunitense antiterrorismo, in Dir. pen. proc., 2003, 1292.
[5] E’ lo stesso presidente statunitense a rilevarlo: v. Statement of Presidente Barack Obama on Military Commissions, 15 maggio 2009, in www.whitehouse.gov.
[6] Sez. 3.
[7] Sez. 4 (a) (b). Con il terzo ordine esecutivo – “Review of Detention Policy Options” - il presidente ha istituito la Special Interagency Task Force on Detainee Disposition, con lo scopo di operare una dettagliata ricognizione delle lawful options in ordine alla cattura, alla detenzione, al processo, al trasferimento ed al rilascio dei sospetti terroristi. La commissione redige una relazione da trasmettere al presidente: v., in specie, sez. 1 (e), sez. 1 (g).
[8] Sez. 4 (c).
[9] I Convenzione di Ginevra, per il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna; II Convenzione di Ginevra, per il miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate sul mare; III Convenzione di Ginevra per il trattamento dei prigionieri di guerra; IV Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempo di guerra (12 agosto 1949).
[10] L’art. 3, comune alle quattro convenzioni di Ginevra, stabilisce che “nel caso in cui un conflitto armato privo di carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti belligeranti è tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti: 1. Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo. A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate: le violenze contro la vita e l’integrità corporale, specialmente l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi; b. la cattura di ostaggi; c. gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti; d. le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che offra le garanzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai popoli civili. 2. I feriti e i malati saranno raccolti e curati”. Per il testo delle Convenzioni v. R. BARBERINI – G.R. BELLELLI, Codice delle convenzioni internazionali e della legislazione italiana sul terrorismo, Napoli, 2003, 287 ss. Sul divieto di tortura nel diritto internazionale umanitario v. T. SCOVAZZI, Tortura e formalismi giuridici di basso profilo, in Riv. dir. internaz., 2006, 905; L. MAGI, Il commercio di beni utilizzabili per praticare la pena di morte, la tortura e altri trattamenti disumani e recenti misure comunitarie di contrasto, in Riv. dir. internaz., 2007, 387.
[11] Il Combatant Status Review Tribunal è stato istituito il 7 luglio 2004 con provvedimento del vice-segretario alla difesa Paul Wolfowitz. Il testo del provvedimento è rinvenibile sul sito del National Institute of Military Justice www.nimj.org.
[12] Per un agile compendio del contenuto dell’ordine v. D.A. MUNDIS, The use of military commissions to prosecute individuals accused of terrorist acts, American Journal of International Law, Vol. 96, 2002, 321 s. Il testo integrale dell’ordine è riportato da AMERICAN SOCIETY OF INTERNATIONAL LAW, U.S.: Presidential Military Order on the Detention, Treatment, and Trial of Certain non-Citizens in the War against Terrorism, in International Legal Materials, vol. 41, 2002, 252 ss.
[13] La giurisprudenza della Corte Suprema federale, già nel corso del XIX secolo è pervenuta alla conclusione che la tortura sia vietata dall’ottavo emendamento: si veda, sul punto, la pronunzia Wilkerson v. Utah, 99 U.S. 130,135 (1878). Questa sentenza specifica quali trattamenti debbano essere considerati “tortura”: stiratura, squartamento etc.; v. M. CHERIF BASSIOUNI, Diritto penale degli Stati Uniti d’America, Milano, 1985, 145. La casistica rinvenibile nella common law, tuttavia, è variegata e, a tratti, singolare: nella sentenza in re Kemmler, 136 U.S. 436 (1890), ad esempio, è stato escluso che l’elettrocuzione costituisca tortura. In letteratura, si sono levate voci a favore della tortura: v., per tutti, A. DERSHOWITZ, Why Terrorism Works, 2002, tr. it., Terrorismo, Roma, 2003, 132 ss., secondo cui la legalizzazione della tortura “leggera”, sotto stretto controllo giudiziario, consentirebbe di porre dei limiti ad un fenomeno che secondo l’autore, nella prassi, già esiste. La medesima tesi, ancor più nettamente, lo stesso autore ribadisce in The Torture Warrant: a Response to Professor Strass, in New York Law School Law Review, 2003, 275. Segnala la difficoltà, al di là del chiaro tenore letterale delle Convenzioni di Ginevra, di tracciare una chiara linea di demarcazione tra le tecniche ammesse e quelle vietate dal diritto internazionale J.T. PARRY, What is Torture, Are We Doing It, and What If We Are?, in University of Pittsburgh Law Review, 2003, 237 ss. In ogni caso, sembra in aumento il favore degli statunitensi nei confronti della tortura che – secondo uno studio pubblicato da Lancet - è passato dal 36% del 2006 al 44% del 2008: v. H.D. VENTERS, Who is Jack Bauer, in The Lancet, 29 novembre 2008, 1924 s.
[14] D. RUMSFELD, Memorandum of the Commander – U.S. Southern Command, 16 aprile 2003. Il memorandum sarebbe dovuto rimanere riservato (la “declassificazione” era originariamente prevista per il 2 aprile 2013), ma è stato pubblicato dopo lo scandalo di Abu Ghraib del maggio 2004. Inizialmente pubblicato sul sito del Dipartimento alla difesa (www.defenselink.mil), è stato ben presto rimosso. Oggi lo si trova su http://media.mcclatchydc.com/smedia/.../Tab-J.source.prod_affiliate.91.pdf.
[15] Già nel 2004, il Congressional Research Service (il centro studi del Congresso) aveva pubblicato una relazione in cui veniva valutata la legittimità, alla stregua del diritto internazionale, di ciascuna tecnica di interrogatorio autorizzata dal dipartimento alla difesa: J.K. ELSEA, Lawfulness of Interrogation Techniques under the Geneva Conventions, 8 settembre 2004, in www.crs.gov.
[16] F.E. INBAU – J.E. REID – J.P. BUCKLEY – B.C. JAYNE, Criminal interrogations and confessions, 4th ed., New York, 2002, 85 ss.
[17] Si tratta di uno dei tanti Army Field Manuals, “manuali” di condotta, suddivisi per materia, pubblicati dal dipartimento alla difesa. L’Army Field Manual 2-22.3, emanato il 6 settembre 2006, regola le Human Intelligence Collector Operations, cioè le attività di raccolta di informazioni - in primis attraverso gli interrogatori dei prigionieri di guerra e dei “combattenti illegittimi” - da parte del personale militare.
[18] Sez. 3 (c).
[19] W. GLABERSON, Obama Orders Halt to Prosecutions at Guantanamo, in The New York Times, 22 gennaio 2009, 3.
[20] Statement of President Obama on Military Commissions, cit.
[21] Sulla custodial interrogation ed il diritto al silenzio v. M. MIRAGLIA, Garanzie costituzionali nel processo penale statunitense, Torino, 2008.
[22] In contrapposizione al diritto penale “dell’autore”: v., sul punto, DONINI, Il diritto penale, cit., 760 s.

 

 
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