Proprio di recente la Corte di Cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 10739 del 27/01/2009 Cc. (dep. 11/03/2009 ) Rv. 242882) ha chiarito i limiti applicativi di una disposizione normativa posta nel libro X dell’esecuzione, invero severa quanto chiara nella sua formulazione. Si tratta del comma 2 bis dell’art. 677 c.p.p. secondo il quale:
“ Il condannato, non detenuto, ha l'obbligo, a pena di inammissibilità, di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza. Il condannato, non detenuto, ha altresì l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previsti dall'articolo 161 c.p.p.”.
Il ricorrente, nel caso di specie, aveva correttamente adempiuto all'obbligo di indicare il domicilio al momento della presentazione dell'istanza ma, avendo mutato la propria residenza, si era visto dichiarare inammissibile la propria istanza dal Tribunale di Sorveglianza, con le conseguenze applicative a tutti note in ordine all’immediata esecutività dell’ordine di carcerazione.
Basta solo ricordare, infatti, che il procedimento innanzi al magistrato di sorveglianza previsto dall’art. 678 c.p.p. è modulato su quanto prevede l’art. 666 c.p.p. in merito al procedimento di esecuzione e, pertanto, sulla classica camera di consiglio ex art. 127 c.p.p. soprattutto nei suoi commi 7° e 8°.
Pertanto anche una pena detentiva ridotta e per reato non particolarmente grave, sicuramente sospendibile con la contestuale concessione di una misura alternativa ex art. 656 c.p.p., diventa una sicura revoca del decreto relativo alla sospensione della esecuzione (con inevitabile contestuale ordine di carcerazione ex art. 656 comma 8°) nel momento in cui l’Ufficio di Procura viene a conoscenza del decreto motivato della Sorveglianza, contenente la declaratoria della causa di inammissibilità.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la norma di cui sopra, consenta letteralmente di dichiarare inammissibile l’istanza contenente una richiesta di misura alternativa, solo nel caso di omessa dichiarazione od elezione di domicilio da parte del condannato non detenuto: tale circostanza, sempre secondo la Corte di legittimità, non è egualmente prevista nel caso di omessa comunicazione della successiva variazione del domicilio stesso.
Secondo il giudice di legittimità vi sarebbe in questo caso un’indebita applicazione estensiva in malam partem, del disposto dell'art. 677 c.p.p., comma 2 bis prima parte, con la seconda parte stesso comma.
L’approdo ermeneutico non era invero scontato: in effetti la disposizione in esame segue nello stesso 2°c. bis quella relativa all’obbligo di dichiarare o eleggere domicilio ed inoltre il termine utilizzato dal legislatore “ha altresì l’obbligo di” sembrava far propendere per la soluzione più radicale.
Ne discende che la “sanzione” dell’inammissibilità sussisterà solo in caso di mancanza in toto della dichiarazione o elezione del domicilio, non già di modifica successiva non portata a conoscenza alla magistratura di sorveglianza.
Tranne che nel citato caso di variazione di domicilio o di imputato detenuto (di cui si dirà avanti) la norma mantiene “comunque” un’estesa efficacia applicativa (statisticamente apprezzabile) che non sempre sembra oggetto di quel necessario approfondimento scientifico, soprattutto alla luce delle conseguenze non certo secondarie sul condannato.
Questa disattenzione può derivare forse dal contenuto positivo della stessa norma. Ed infatti il richiamo fatto dalla stessa disposizione all’applicazione dell’art. 161 c.p.p. - in quanto compatibile - può condurre l’interprete “fuori da una corretta esegesi”.
Potrebbe infatti ritenersi, sbagliando, che l’elezione di domicilio prodotta precedentemente, in qualunque fase, mantenga una sua validità anche in epoche successive ex art. 161 comma 2° c.p.p..
La giurisprudenza (Sez. 1, Sentenza n. 23907 del 16/03/2004 Cc. , dep. 25/05/2004, Rv. 229251), invece, è stata sempre perentoria e coesa[1] nell’applicazione del disposto normativo di cui trattasi, nella finalità ultima di assicurare ab origine (questa è la motivazione testuale) lo stretto rapporto tra condannato e organi giurisdizionali del procedimento di sorveglianza, il quale, per la sua peculiare natura e funzione, impone specifiche esigenze di interconnessione ai fini della costante verifica dell'andamento e dell'esito delle misure alternative.
Più volte è stato ribadito come in tema di benefici penitenziari sia irrilevante, ai fini dell'osservanza della norma citata, la precedente dichiarazione o elezione di domicilio fatta nel giudizio, cioè in una vicenda processuale conclusa ed ontologicamente distinta dal procedimento di sorveglianza. E’ ben vero che quando il condannato abbia eletto domicilio nel procedimento di cognizione, detta elezione vale per ogni stato e grado del giudizio, tuttavia - dopo la sua conclusione - con la pronuncia della sentenza irrevocabile, cessa di avere efficacia ed essa non è più utilizzabile per la fase esecutiva e di sorveglianza. (Cass., Sez. 1, 16.3/25.5.2004, richiamata da ultimo da conf. Sez. 1, Sentenza n. 46265 del 2007).
L’altro caso cui si accennava è quello del detenuto: secondo la Corte (Sez. 1, Sentenza n. 43462 del 01/10/2004 Cc. (dep. 05/11/2004 ) Rv. 230344) la persona detenuta per altro titolo, al momento della presentazione della domanda di applicazione di una misura alternativa, non è tenuta ad effettuare la dichiarazione o l'elezione di domicilio, prescritta dall'art. 677, comma secondo-bis, c.p.p. ai fini dell'ammissibilità della domanda, proprio perché la norma “letteralmente” esclude la obbligatorietà dell’adempimento
Attenzione: il caso non concerne colui il quale si trova agli arresti domiciliari ma, unicamente, il detenuto in carcere.
Secondo la Corte ( Sez. 1, Sentenza n. 46556 del 2005) il termine "non detenuto" delinea lo status di colui il quale non si trovi in ambito carcerario, anche per altro titolo, con esclusione di altre situazioni ad esso assimilabili, come, ad esempio, la detenzione domiciliare.
La Corte questa volta, quasi disapplicando il disposto di cui all’art. 284 comma 5 c.p.p. (tipico però della cognizione), motiva la distinzione di trattamento, con la necessità di svolgere celermente indagini volte ad accertare il luogo ove si trova il condannato che, nel caso di detenuto in carcere, sarebbero di pronta realizzazione a mezzo del sistema informatico, mentre - nel caso di detenzione domiciliare - esse comporterebbero maggiori ricerche. Da qui l’individuazione della ratio, secondo la giurisprudenza di legittimità, non irragionevole della norma.
L’inammissibilità permane anche in caso di semplice indicazione di una residenza, anche effettiva e se utilizzata, come detto, nel precedente processo di cognizione.
Ed infatti secondo Corte di legittimità ( Sez. 1, Sentenza n. 23510 del 22/04/2004 Cc. ,dep. 19/05/2004, Rv. 228135), la dichiarazione di domicilio prescritta, in alternativa all'elezione, dall'art. 677, 2°c. bis c.p.p. per il condannato non detenuto che avanzi domanda di applicazione di una misura alternativa alla detenzione, non può consistere nella semplice indicazione, fra i dati che identificano la persona del richiedente, della semplice residenza anagrafica[2]. Il condannato deve sempre esprimere la chiara volontà di indicare il luogo nel quale egli desidera siano effettuate le comunicazioni o notificazioni a lui destinate.
Occorre solo ricordare che, sebbene i moduli ministeriali informatici sovente utilizzati dagli uffici di Procura riportino (all’interno del provvedimento ex art. 656, 5°c. c.p.p.) l’espressa indicazione dell’obbligo sanzionato a pena di inammissibilità, la norma - nel dettare l’obbligo, per il condannato non detenuto che intenda chiedere una misura alternativa alla detenzione, di fare la dichiarazione o l’ elezione di domicilio - non presuppone affatto che un invito in tal senso debba essere contenuto nell’ordine di esecuzione della pena sospesa (Sez. 1, n. 9678 del 10/02/2004 Cc. , dep. 02/03/2004, Rv. 227233).
Questa giurisprudenza non sembra appieno condivisibile proprio perché il legislatore, sebbene non formalmente, ha positivamente indicato la necessità di un provvedimento (art. 656 5°c. c.p.p.) contenente l’avviso della possibilità di presentare, entro 30 gg, una istanza corredata con le indicazioni e dalla documentazione necessaria, volta ad ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione.
E non pare negabile – a questo punto della presente nota - che per “indicazione necessaria”, vada normativamente ricompressa, sicuramente, la dichiarazione o elezione di domicilio.
Appare evidente come il legislatore imponga un obbligo di diligenza che, nella materia dell’esecuzione penale, sta sempre più assumendo le forme di un tecnicismo tipico della specializzazione sub processuale: l’esecuzione penale sta divenendo, soprattutto a seguito delle riforme degli ultimi anni (in particolare tutte le novelle che riguardano l’art. 656 c.p.p.), sempre più una materia complessa che richiede conoscenze diverse da quelle tipiche del difensore, nell’ambito del processo di cognizione penale.
Alberto Cianfarini, Sostituto Procuratore della Repubblica - giugno 2009
(riproduzione riservata)
[1] Sussiste una nota di commento “Art. 677 comma 2 bis c.p.p. e notifiche del procedimento di sorveglianza” (Cass. I sezione Penale 30 aprile 2003, con nota di Fabio Fiorentin) a “sentenza difforme” al seguente indirizzo: http://www.diritto.it/osservatori/esecuzione_penale/fiorentin17.html
[2] Si veda tuttavia la nota 1 nella quale è indicato un “isolato” precedente difforme.
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