La rimessione del processo e le recenti modifiche apportate all'istituto dalla c.d. "legge Cirami" in tema di "legittimo sospetto".
I -“Legittimo sospetto” e profili funzionali della rimessione
Quando si parla di “legittimo sospetto” ci si riferisce ad un presupposto applicativo dell’istituto giuridico della rimessione dei processi.
Quest’ultimo, attualmente contemplato dall’art. 45 c.p.p., concretando una deroga a previsioni ordinarie in materia di competenza, comporta, come noto, il trasferimento del processo da una ad altra sede giudiziaria. Ratio ispiratrice del rimedio è la necessità di assicurare l’imparzialità della decisione finale rispetto a fattori di turbativa ambientale, capaci di incidere, dall’esterno, sulla regolarità processuale, intaccando così la genuinità del verdetto definitivo.
Obiettivo del legislatore non è però quello di rendere insensibile agli interessi di parte il giudice persona, essendo a ciò predisposto l’istituto della ricusazione. Si tratta qui di garantire l’imparzialità del giudice-organo o, meglio, dell’intero ufficio giudiziario cui il giudice organo appartiene. Il bene protetto, in breve, è la regolarità dei giudizi connessi a quello stesso ufficio, che potrebbe risultare pregiudicata non necessariamente da parzialità del singolo o dei singoli giudici, ma per effetto della lesione, provocata dai suddetti fattori di turbativa, alla libertà morale di qualsiasi soggetto che nel processo intervenga. Ulteriore elemento di diversità rispetto alla ricusazione risiede - secondo la ricostruzione più accreditata - nella natura delle ragioni determinanti l’esigenza del trasferimento: esulando da rapporti personali intercorrenti fra le parti e il giudice persona, esse devono sostanziarsi, come accennato, in situazioni o fattori ambientali abnormi ed esterni all’ufficio giudiziario.
Così come appena illustrate, le caratteristiche strutturali della rimessione si presentano idonee a fare della stessa uno strumento di carattere eccezionale. Per l’attuale disciplina, che solo in parte, come si vedrà, sembra capace di riprodurre, sul piano applicativo, lo schema strutturale dell’istituto ora riferito, il trasferimento di sede giudiziaria va disposto qualora “gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l’incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto”.
Anche nell’odierno testo, licenziato dal legislatore del 2002, il “legittimo sospetto” ( rectius: i “motivi di legittimo sospetto”) compare, tra le fattispecie applicative della rimessione. Esso, per la verità, rappresenta una formula giuridica di antica tradizione. Inserito, in termini di “legittima sospezione”, fra i casi di trasferimento processuale già nell’art. 766 c.p.p. del 1865, attraversa anche le successive esperienze codicistiche costituendo causa di translatio iudicii nel codice di procedura del 1913 nonché in quello del 1930: in quest’ultimo, in particolare, risultava contemplato dall’art. 55 c.p.p. abr. assieme ai “gravi motivi di ordine pubblico”, ulteriore fattispecie rimessiva prevista dalla disciplina previgente [1]. Con l’ingresso del nuovo codice di procedura penale del 1989 viene invece soppresso: l’originaria versione dell’attuale art. 45 c.p.p., prima dell’ultimo intervento (legge Cirami, 5 novembre 2002), aveva infatti sostituito il “legittimo sospetto” con altra formula di cui nel prosieguo si darà conto. L’ultima riforma ha infine sancito, come detto, la reintroduzione dei “motivi di legittimo sospetto” tra le condizioni operative della rimessione.
Dato singolare, in materia, è il peculiare e storico parallelismo tra la costante presenza del “legittimo sospetto”, nella disciplina della rimessione, e dominanti indirizzi interpretativi, dottrinali e giurisprudenziali, sfavorevoli al suo ingresso o alla sua conservazione nella fattispecie ordinaria. Non si spiegherebbe, dunque, proprio a fronte di opinioni di segno contrario, la sua permanenza all’interno delle varie esperienze codicistiche. La perplessità, peraltro, si dissolve ove si tenga conto dell’alto tasso di politicità che caratterizza l’istituto della rimessione. La storia dello stesso si è sempre contraddistinta per i relativi impieghi strumentali, rapportabili alle più varie ragioni di parte, avallati da formule, come appunto il “legittimo sospetto”, che, agevolando l’ingresso di valutazioni discrezionali nei meccanismi di accertamento delle cause di modificazione della competenza, hanno consentito utilizzazioni dell’istituto dirette a soddisfare esigenze estranee al processo. Non è certo questa la sede per un’analisi politica della questione, ma nella trattazione tecnico-normativa della rimessione e dei rapporti fra questa e il “legittimo sospetto” è bene dunque tenere sempre presente le ragioni di carattere extragiuridico sottese alle varie opzioni normative. Fra gli autori, del resto, si sottolinea ormai da tempo la necessità di un approccio sociologico e politico nello studio delle norme, segnatamente di quelle del processo penale [2].
II - Rimessione del processo e garanzie costituzionali
La rimessione, come accennato, rientra nel sistema delle competenze giurisdizionali in qualità di deroga a previsioni ordinarie fissate dal legislatore. Al pari di tutte le norme dettate in materia, anche quelle relative alla disciplina dell’istituto devono tuttavia uniformarsi al precetto costituzionale dell’art. 25 comma 1 Cost., che rappresenta - secondo consolidato orientamento - il parametro di legittimità di tutta la normativa dettata in punto di competenza.
Secondo tale norma “nessuno può essere distolto dal suo giudice naturale precostituito per legge”. Ora, la rimessione in quanto tale, non si pone certo in contrasto con tale previsione, non comportando, di per sé, alcuna distrazione dal giudice fissato per legge. Il legislatore è infatti libero, in materia di competenza, di contemplare discrezionalmente eccezioni alle regole ordinarie [3]. Tanto più quando si tratta di assicurare, come succede per la rimessione, lo svolgimento imparziale dei giudizi. Il contrasto col precetto costituzionale suddetto discende, semmai, dalla eventuale difformità della disciplina dell’istituto, e in particolare delle modalità di concretizzazione della deroga, rispetto al fulcro centrale dell’art. 25 comma 1 Cost., rintracciabile, per opinione dominante, nel valore della precostituzione legale.
Il significato precettivo di tale garanzia va rinvenuto nella necessità della costituzione previa della competenza giurisdizionale rispetto alla verificazione di una certa controversia: il giudice competente rispetto ad una vicenda processuale dovrà cioè risultare assegnato in una fase antecedente al suo insorgere, non invece a posteriori, successivamente alla verificazione della stessa. Ciò costituisce, secondo un indirizzo dottrinale, il contenuto della “norma sostanziale” dell’art. 25 comma 1 Cost. Ad esso si aggiunge una “norma formale”, pure individuata dagli interpreti fra i significati della disposizione, secondo cui il precetto costituzionale in esame detta una riserva di legge assoluta nei meccanismi di determinazione delle competenze. La costituzione previa delle stesse, in particolare, deve avvenire sulla base di soli criteri legali, non invece dipendere da provvedimenti discrezionali di qualsivoglia organo giurisdizionale. E ciò, come può intuirsi, e come verrà meglio detto, per ragioni attinenti al valore dell’imparzialità. Sarebbe pertanto incostituzionale una legge che, pur disponendo per il futuro, prevedesse un’alternativa fra competenze, risolubile a posteriori, a controversia già instaurata, per mezzo di provvedimento di un certo soggetto giurisdizionale. Il mancato rispetto, in tal modo, della norma formale, si tradurrebbe nel pregiudizio alla norma sostanziale suddetta [4].
L’adeguamento allo schema precettivo, così come descritto, insito nella precostituzione legale implica, in punto di rimessione, la necessità di una duplice operazione normativa da eseguirsi, da un lato, sul piano della individuazione del giudice del rinvio, il giudice cui, a seguito della decisione circa lo spostamento, sarà attribuita la competenza, dall’altro mediante una corretta redazione della disciplina dei presupposti della rimessione. Quanto al primo profilo, la legittimità costituzionale dell’istituto è legata alla previa fissazione legale, rispetto alla regiudicanda e al sopraggiungere delle cause di rimessione, dell’ufficio cui dovrà destinarsi la competenza nel caso di decisione positiva circa la translatio iudicii. Il ruolo del soggetto che disporrà il trasferimento processuale si ridurrà in tal modo all’esercizio di una funzione meramente esecutiva di precetti legislativi prefissati. Problema più serio, passando al secondo aspetto, è garantire tale figura del “giudice esecutore di criteri legali prefissati” nella fase di accertamento dei presupposti di rimessione. Anche qui sussiste l’obbligo per il legislatore di descrivere con espressioni puntuali le varie situazioni operative del rimedio. Lo scopo, in cui - come accennato - risiede la ratio della norma costituzionale in esame, che più avanti verrà esplicitata, è quello di evitare, proprio per ragioni di imparzialità, nella fase di accertamento di tali cause, l’ingresso di valutazioni discrezionali tali da far dipendere la transaltio iudicii, e dunque la determinazione della nuova competenza, da una decisione arbitraria, motivata in base alle più disparate ragioni e svincolata da ogni parametro legalmente precostituito.
La storia dell’istituto, invero, dimostra come spesso inadeguate, proprio in rapporto alla garanzia espressa dall’art. 25 comma 1 Cost., si siano rivelate la varie soluzioni normative adottate per descrivere i fattori determinanti lo spostamento processuale. Non a caso l’insoddisfazione per le scelte legislative di volta in volta adoperate hanno indotto vari giudici a sollevare questioni di legittimità costituzionale. Fin dagli albori, d’altronde, le stesse tecniche interpretative hanno sempre incontrato serie difficoltà nell’elaborare opzioni normative capaci di tipizzare compiutamente le fattispecie applicative della rimessione nel rispetto della garanzia del giudice precostituito per legge. Significativo, del resto, è che in dottrina si tenda a parlare, in rapporto alla stessa rimessione, come di un istituto a legalità di grado inferiore, e a concludere che la verifica di costituzionalità dei relativi presupposti - profilo più controverso di tutta la normativa - stante la difficoltà di rintracciare ipotesi tassative, sfuma, sostanzialmente, in un controllo di ragionevolezza [5].
II - Segue: divergenze interpretative sull’art. 25 comma 1 Cost. e ricadute in punto di rimessione. La precostituzione legale nella prospettiva del principio di imparzialità.
Palesemente irragionevole, a tutto concedere, appariva - di fronte al valore della precostituzione legale - il dettato ordinario dell’art. 55 c.p.p. abr. Suo tramite, la rimessione del procedimento poteva essere disposta per “gravi motivi di ordine pubblico” o per “legittimo sospetto”con conseguente designazione del giudice del rinvio affidata a provvedimento discrezionale della Corte di Cassazione. L’incostituzionalità della norma, sotto il profilo dei presupposti operativi del rimedio, più volte sottolineata in dottrina e fra gli stessi giudici, discendeva dall’eccessiva vaghezza delle formule adottate. Il “legittimo sospetto”, in particolare, implicando il richiamo ad un generico dubbio circa l’imparzialità del giudice, era (ed è) locuzione inidonea a fornire parametri oggettivi capaci di ridurre la discrezionalità dell’organo chiamato a decidere sulla richiesta di trasferimento processuale. Per via di tale ambiguità normativa la decisione circa la nuova competenza risultava individuata - in contrasto con l’art. 25 comma 1 Cost. - in base ad una scelta arbitraria, compiuta a posteriori rispetto all’insorgere della controversia. Sintomatico, del resto, di simile difficoltà interpretativa, generata dal “legittimo sospetto”, era il ricorrente fenomeno di sovrapposizioni con l’istituto della ricusazione [6].
Applicazioni distorte potevano registrarsi anche in rapporto all’ulteriore caso di rimessione, facente capo ai “gravi motivi di ordine pubblico”. Tramite simile presupposto, si giungeva spesso ad aberranti attuazioni della disciplina della rimessione rispetto al profilo teleologico della stessa. Non di rado si attribuiva rilevanza a disordini ambientali a prescindere dalla circostanza che essi si ripercuotessero sulla sfera processuale. Tanto che la competenza veniva spesso trasferita non in quanto il disordine pubblico pregiudicasse la regolarità processuale ma, all'opposto, perché lo svolgimento in loco di un certo processo comportava agitazioni pregiudizievoli per l’ordine pubblico senza riverbero alcuno sull’imparzialità del giudizio. Tale impiego della rimessione, quale rimedio diretto a salvaguardare beni di carattere extraprocessuale, era rafforzato dalla circostanza che la fattispecie dei “motivi gravi di ordine pubblico” non richiedeva l’incidenza di simile causa sulla regolarità del processo [7]. Ma anche nella più corretta delle interpretazioni, rivolta cioè ad intendere il presupposto in esame operante solo se lesivo dell’imparzialità del giudizio, rimaneva il carattere estremamente vago e omnicomprensivo dello stesso, inidoneo a rendere percettibile l’elemento valutativo nel giudizio sulla necessità o meno della rimessione. Il codice del 1930, al riguardo, aveva infatti fatto registrare un regresso, in punto di tassatività, rispetto alla previsione contemplata nel codice del 1913, che si riferiva alla “pubblica sicurezza” - intesa come ordre dan la rue - rappresentante senza dubbio un parametro più determinato.
L’incompatibilità costituzionale dell’art. 55 c.p.p. abr. poteva desumersi, oltretutto, dal profilo riguardante l’individuazione del giudice di rinvio. A seguito dell’esito positivo del giudizio concernente l’accertamento delle condizioni operative della rimessione, la nuova autorità competente veniva infatti individuata con provvedimento discrezionale della Corte di Cassazione. Essendo tale aspetto della disciplina completamente svincolato da parametri oggettivi predeterminati, da solo sarebbe bastato a fondare una declaratoria di incostituzionalità della norma in questione, per macroscopico contrasto con l’art. 25 comma 1 Cost. Non può certo ravvisarsi, al riguardo, nella qualità o autorevolezza di qualsivoglia organo giurisdizionale un qualche limite surroganeo al valore della precostituzione legale.
I forti dubbi sulla legittimità dell’art. 55 c.p.p. abr., che indussero vari giudici ad investire la Consulta della questione, non portarono all’estromissione di tale disciplina ordinaria dall’ordinamento [8]. A parere degli autori, le ragioni di fondo che condussero, in quella occasione, la Corte Costituzionale a “salvare” la disposizione in esame vanno rintracciate in esigenze di carattere burocratico: l’ingresso di elementi discrezionali, agevolato dalla formulazione della fattispecie, consentiva alla Corte di cassazione, a fronte delle frequenti richieste di rimessione, fenomeno anch’esso facilitato dalle larghe maglie della norma, di perseguire una migliore organizzazione e distribuzione del lavoro giurisdizionale. Non ci si può tuttavia esimere dall’analisi degli altri rilievi, pertinenti stavolta alla discussione tecnica, formulati dal Giudice delle leggi, proprio in quella vicenda, a sostegno della scelta circa la compatibilità costituzionale dell’art. 55 c.p.p. abr. Tanto più che quelle stesse argomentazioni verranno recepite da successivi indirizzi dottrinali volti a sostenere la perfetta legittimità di quella disciplina e di altre soluzioni normative non necessariamente conformi alla precostituzione legale. Come detto, quest’ultima è considerata dall’indirizzo ormai prevalente l’unico valore contemplato dall’art. 25 comma 1 Cost. La conclusione si giustifica considerando precostituzione e naturalità, anch’essa prevista dalla norma, come termini perfettamente sovrapponibili. Si tratterebbe, in sostanza, di un’endiadi: il riferimento alla naturalità non altera il significato della disposizione, rinvenibile nella sola precostituzione legale. E l’adeguamento a tale valore, nella disciplina della rimessione, si traduce nella necessità, come visto, di redigere una fattispecie imperniata sul rispetto del principio di tassatività, sia in ordine ai presupposti applicativi sia sul piano concernente l’individuazione del giudice del rinvio [9].
Sulla base di una lettura disgiuntiva del precetto in esame, diffusa per lo più in passato ed inaugurata dalla Consulta nella suddetta vicenda, si giunge invece a considerare la “naturalità” come termine diverso ed indipendente rispetto alla precostituzione. Il giudice naturale è stato via via identificato, in particolare, nel giudice indipendente, imparziale, nel giudice di fronte al quale trovano piena attuazione tutte le garanzie per lo svolgimento del giusto processo. E l’art. 25 comma 1 Cost., affermando che nessuno possa essere distolto dal proprio giudice naturale, inteso nel senso ora descritto, sancisce, si dice, proprio il diritto di ciascuno di essere giudicato da un giudice imparziale, indipendente, naturale [10]. Appare chiaro dunque come la dimostrazione della compatibilità costituzionale della rimessione, in una simile ricostruzione, risulti compito assai agevole. Essendo infatti, quest’ultima, rimedio diretto a salvaguardare le garanzie sottese proprio al concetto di naturalità, è ipso facto perfettamente legittima. L’identità di ratio fra la norma costituzionale e la disciplina della rimessione costituisce, in sostanza, per simili indirizzi, l’argomento fondante la compatibilità della stessa con la Carta fondamentale. E ciò, per di più, anche quando la disciplina ordinaria dell’istituto non risulti conforme al valore della precostituzione, quando cioè la decisione circa il trasferimento processuale e l’individuazione del giudice del rinvio dipenda da una scelta dell’organo giurisdizionale: la preminenza da accordarsi alle garanzie espresse dalla naturalità, perseguite dalla rimessione, rende infatti tollerabile il mancato rispetto della precostituzione, che nulla può pretendere dalla normativa ordinaria in quanto mirante, questa, a dare attuazione alla naturalità, cioè dire a quelle (presunte) superiori garanzie. Da tali rilievi si sarebbe dovuto, quindi, desumere la legittimità dell’art. 55 c.p.p. abr., in tanto costituzionalmente compatibile in quanto orientato a realizzare le garanzie insite nel concetto di naturalità.
Assai criticabile appare peraltro il percorso ermeneutico seguito nell’interpretazione dell’art. 25 comma 1 Cost. da parte della riferita impostazione. Essa non sembra cogliere il vero significato della disposizione costituzionale in esame. Arbitraria, intanto, come ormai rileva la dottrina maggioritaria, appare l’operazione con cui si tende a ricondurre alla naturalità l’insieme delle garanzie processuali suddette: non si specificano infatti i criteri in base ai quali tale nozione viene, per così dire, riempita da simili principi costituzionali. In un quid vacui, elusivo della verifica di costituzionalità della rimessione, si risolve poi l’operazione diretta ad inferire la perfetta legittimità della stessa dalla mera considerazione circa la finalità perseguita dall’istituto. Forviante, al riguardo, è l’istituzione di una sorta di contrapposizione fra naturalità e precostituzione, con abdicazione della seconda per la prima, quasi che la seconda esprimesse valori contrastanti con quelli contenuti - secondo tale indirizzo - nella naturalità.
La precostituzione rappresenta invero un valore che si pone in stretto rapporto di continuità col principio di imparzialità e con tutti quei principi di volta in volta assegnati alla naturalità. Richiedendo, come visto, che sia la sola legge a presiedere la fase di fissazione delle competenze giurisdizionali affida ad un criterio oggettivo l’assolvimento di tale funzione, preoccupandosi di garantire l’assenza di scelte discrezionali. Il meccanismo da essa implicato non è altro che una manifestazione del principio di imparzialità, perché chi cerca il giusto cerca l’imparziale e l’imparziale è nella legge, nell’affermazione di una volontà generale ed astratta in quanto scevra dell’elemento passionale [11]. Quest’ultimo, per riportare il discorso sulla rimessione, getta dubbi proprio sull’imparzialità delle modalità di individuazione della nuova sede giudiziaria. Insinuandosi, per via di formule indeterminate, nella fase di accertamento dei presupposti applicativi e in quella relativa alla designazione del giudice di rinvio, potrebbe risultare preordinato a perseguire esigenze di interesse particolaristico, estranee alla regolarità del processo. E quand’anche così non fosse, la sola possibilità di decisioni discrezionali sarebbe comunque idonea a generare dubbi sull’apparenza di imparzialità, altro valore pertinente alla giurisdizione che un ordinamento come il nostro ha il compito di garantire [12]. L’esigenza di evitare simili risultati costituisce la ratio sottesa alla garanzia della precostituzione legale. Lungi dall’essere dunque cristallizzato nel concetto di naturalità, il principio di imparzialità si pone come canone informatore di tutto l’ordinamento costituzionale. E altre garanzie, racchiuse nel tessuto della Carta fondamentale, fra cui, per esempio, il diritto di difesa, la presunzione di innocenza, concorrono ad affermarlo. Fra esse compare anche la precostituzione legale, che si preoccupa di attuarlo già “in partenza”, al momento cioè di fissazione della competenza del giudice. L’art. 25 comma 1 Cost., in buona sostanza, contempla una garanzia che rappresenta una specie del più ampio genere dell’imparzialità.
IV - Disciplina ordinaria della rimessione: la soluzione normativa del 1989.
La progressiva valorizzazione della precostituzione legale ha senza dubbio esercitato notevole influenza sulla scelta normativa compiuta dal legislatore del 1989, che ha abbandonato la soluzione del codice abrogato. Nella vigenza di quest’ultimo, la giurisprudenza aveva infatti elaborato criteri interpretativi volti a razionalizzare le fattispecie del “legittimo sospetto” e dei “gravi motivi di ordine pubblico” nella prospettiva di uniformare la disciplina ordinaria al dettato costituzionale. Trattasi di criteri che il nuovo codice di rito, in punto di rimessione, sembra recepire appieno [13].
Con formulazione radicalmente diversa dalla vecchia disciplina, l’art. 45 c.p.p., nella versione originaria, prevedeva, infatti, che la rimessione si sarebbe potuta disporre “in ogni stato e grado del processo di merito, quando la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la libertà delle persone che partecipano al processo sono pregiudicate da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili”. Il nuovo dettato positivo aveva invero suscitato più di un consenso in dottrina. Si è autorevolmente sottolineato, al riguardo, come il legislatore meglio non avrebbe potuto esprimere le nuove fattispecie di rimessione [14]. Apprezzabile, in effetti, risultava la soluzione sia sul piano delle condizioni legittimanti sia in punto di individuazione del giudice del rinvio. Per quanto riguarda quest’ultimo profilo, dopo una serie di riforme, per vero introdotte sotto la vigenza del vecchio codice, si è giunti a prevedere, con disposizione tra l’altro attuale, che il nuovo giudice cui va attribuita la competenza deve risultare (pre)assegnato sulla base dei meccanismi di cui all’art. 11 c.p.p [15]. Non meno soddisfazioni si erano registrate anche con riferimento all’aspetto dei presupposti applicativi del rimedio. E ciò sia in ordine al parametro causale sia rispetto a quello effettuale, momenti, entrambi, in cui si articola, anche attualmente, lo schema di accertamento implicato dalla norma. Il primo, più in particolare, è espresso dalle “gravi situazioni locali”, cioè da quei fattori causali costituenti l’indefettibile presupposto per l’esistenza della turbativa processuale ( prius); il secondo dal “pregiudizio alla sicurezza o pubblica incolumità” o dalla “libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo”, elementi la cui sussistenza soltanto, in presenza del fattore causale, produce, per l’appunto, l’effetto dello spostamento di competenza ( posterius).
Quest’ultima locuzione (“libertà delle persone che partecipano al processo”) è quella che ha esplicitato la fattispecie del “legittimo sospetto”, segnando un indubbio progresso sul piano costituzionale. Dovendo, infatti, la decisione circa il trasferimento di sede giudiziaria passare per la verifica del pregiudizio alla libertà morale di autodeterminazione di ciascun soggetto, maggiormente percettibile di quanto non fosse il richiamo al dubbio generico circa l’imparzialità del giudice, evocato dal “legittimo sospetto”, risulta il parametro di valutazione in ordine a tale scelta [16].
Lo stesso è a dirsi per l’altro caso di rimessione, vale a dire i “gravi motivi di ordine pubblico”. La formula è stata tradotta in una nozione, anch’essa, più circoscritta e maggiormente percepibile: tale infatti è la “sicurezza o pubblica incolumità” rispetto al poliedrico concetto di ordine pubblico. Ciò che va maggiormente evidenziato, sotto questo aspetto, è l’avvenuto dissolvimento di ogni dubbio circa la natura della rimessione, istituto recuperato, con la formula originaria, fra gli strumenti di tutela di interessi esclusivamente processuali. Come si è visto, il cambio di sede giudiziaria veniva talora disposto - nella disciplina previgente - anche in ragione di disordini, esterni al processo, che sullo stesso non si ripercuotevano; la rimessione finiva spesso per soddisfare interessi estranei alla salvaguardia della serenità processuale. Tali applicazioni si giustificavano, come rilevato, per l’ambiguità della disciplina previgente che, per l’appunto, consentiva la rimessione per motivi di ordine pubblico senza specificare la necessità circa la relativa incidenza sul processo. A ciò si aggiungeva la circostanza per cui lo spostamento di sede, per tale causa, rientrava nelle sole prerogative della parte pubblica, essendo, si diceva, la tutela di tali esigenze, quelle di ordine pubblico, estranea all’interesse delle parti private, autorizzate solo ad avanzare richiesta di rimessione per “legittimo sospetto”. Da tale ulteriore profilo ci si poteva in effetti rendere conto dell’equivoco, anche legislativo, attorno alla natura e funzione di un istituto giuridico che invece, secondo l’opinione comune, doveva intendersi come uno strumento di tutela esclusivamente processuale. Il legislatore del 1989 recepisce simile indirizzo fugando al riguardo ogni perplessità. Il pregiudizio alla “sicurezza o alla incolumità pubblica” acquistava infatti rilevanza, per la previsione iniziale, a condizione che esso si traducesse in un’alterazione del processo: esprimeva simile necessità la formula di chiusura della fattispecie “tali da turbare lo svolgimento del processo”, da riferirsi evidentemente al solo pregiudizio della sicurezza o incolumità suddette, attesane la relativa superfluità ove rapportata alla lesione della libertà di determinazione degli altri soggetti partecipanti, la cui sussistenza implica ipso facto la lesione al principio di imparzialità. Ristabilita ogni chiarezza sul piano teleologico restava peraltro qualche dubbio sull’idoneità della suddetta locuzione (“tali da turbare lo svolgimento del processo”) ad offrire al giudicante parametri altrettanto certi, in fase effettuale, per l’accertamento dell’effettiva alterazione della regolarità processuale. La genericità della stessa non forniva infatti al giudice un preciso elemento di valutazione. Ciò avveniva invece - ed avviene - per la “libertà di determinazione delle persone che al processo partecipano”, altro parametro effettuale capace, come visto, di orientare, condizionandola, la scelta dell’organo giurisdizionale su elementi ben determinati [17].
Parimenti apprezzata, come detto, è stata la scelta normativa sul profilo causale della fattispecie. Esso è sintetizzato dall’espressione “gravi situazioni locali”. La locuzione sembra, in primo luogo, evocare il richiamo a fattori di turbativa ambientale esterni all’ufficio giudiziario, per poi chiarire la necessità della dimensione locale di tali situazioni: il carattere nazionale dell’elemento di turbativa vanificherebbe, si capisce, il cambio di sede giudiziaria. Il requisito di gravità, invece, esprime la necessità del carattere abnorme ed eccezionale delle stesse, cioè dire la notevole consistenza di simili fattori. Esso funge da filtro selettivo rispetto ai fattori da assumere come idonei a dar luogo a rimessione, implicando - al contempo - l’intuibile considerazione circa il carattere eccezionale del rimedio [18]. Altrettanto scontato poi è che, per via della stessa gravità, i suddetti fattori di turbativa non potranno interpretarsi se non in modo tale da incidere sulla regolarità processuale altrettanto gravemente.
V – Segue: reintroduzione del “legittimo sospetto” fra i casi di rimessione: riesumazione di una formula incostituzionale.
Fra le ragioni ispiratrici l’ultimo intervento di riforma della disciplina della rimessione, avvenuto con legge del 5 novembre 2002 (c.d. legge Cirami), compare proprio l’accennato rilievo del carattere eccezionale dell’istituto. Più precisamente, le rare applicazioni registratesi in materia - a partire dall’introduzione del nuovo codice di rito - si sarebbero dovute interpretare, secondo il nuovo legislatore, come un indice di assenza di imparzialità. Essendo cioè la rimessione strumento volto a perseguire tale valore, la sua scarsa applicazione rileverebbe come un sintomo di mancata attuazione dello stesso. E ciò stride all’interno di un contesto in cui l’esigenza di garantire il principio di imparzialità si pone, inderogabilmente, alla luce della recente proclamazione legislativa di tale fondamentale garanzia, avvenuta con legge costituzionale (art. 111 comma 2 Cost.) [19].
Tutt’altro che fondati, simili rilievi sembrano riecheggiare piuttosto quegli indirizzi, ormai superati, volti a valorizzare il requisito della naturalità, in termini di imparzialità, giusto processo et similia, a discapito della precostituzione. E ad inferire, dunque, la legittimità della rimessione dalla circostanza mera che questa è diretta a realizzare la tutela della imparzialità insita nel concetto di naturalità ex art. 25 comma 1 Cost. Interventi modificativi della disciplina in esame non possono perciò trovare giustificazione in tali argomenti: le ragioni interpretative invalidanti simile impostazione, da ogni indirizzo ormai abbandonate, sono state sopra illustrate, a proposito del rapporto di continuità fra precostituzione ed imparzialità. Né decisivo, al riguardo, attesane l’inconcludenza, appare il richiamo all’impiego eccezionale del rimedio: applicazioni poco frequenti dello stesso si pongono semmai in linea con le stesse caratteristiche strutturali che lo definiscono [20]. In realtà, il senso della nuova scelta normativa, che fra un momento verrà riferita, si comprende ove si tenga conto del reale - e neanche tanto celato [21] - intento legislativo, conforme del resto alla tradizione politica dell’istituto, di intervenire su una ben nota vicenda processuale.
A dire il vero, l’ iter legislativo di riforma si attiva a seguito di un dubbio di legittimità costituzionale sollevato dalle sezioni unite della Corte di cassazione proprio in punto di mancata riproduzione del “legittimo sospetto”, da parte del legislatore del 1989, nella disciplina dei casi di rimessione [22]. I giudici traevano argomento da una presunta lacuna normativa, derivante dalla discrepanza tra le previsioni della legge delega (art. 2 direttiva n. 17) e la soluzione adottata dal legislatore nell’art. 45 c.p.p. In effetti, secondo le disposizioni della legge delega la rimessione si sarebbe dovuta disporre ancora per “gravi ed oggettivi motivi di ordine pubblico” e per “legittimo sospetto”. La scelta del legislatore, come visto, risulta tuttavia difforme da tale previsione: in particolare, per quello che qui interessa, si era accantonato il “legittimo sospetto”, che a tanti equivoci aveva dato luogo, a favore della suddetta formula del “pregiudizio alla libertà delle persone che partecipano al processo” che, ad avviso della Corte, non riusciva a sintetizzare tutte le situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità, situazioni - peraltro non meglio individuate - rimaste fuori dal dato positivo.
Il rilievo dei supremi giudici è parso, a rigore, ineccepibile. La constatazione, peraltro, è sembrata tanto ovvia quanto poco significativa. L’opzione seguita dal legislatore si configurava infatti come il frutto di una scelta altamente ponderata, volta a recepire i criteri elaborati da dottrina e giurisprudenza all’interno di un secolare dibattito che, però, nell’occasione, la Corte trascura completamente; criteri, fra l’altro, perfettamente in linea col valore della precostituzione legale, che pure il legislatore avrebbe dovuto tenere in considerazione, attesa oltretutto, la previsione della legge delega stessa secondo cui, nella redazione del codice, si sarebbero comunque dovuti attuare i principi costituzionali [23]. Sta di fatto che la questione sollevata dalla Corte ha, per così dire, rafforzato gli intenti di modifica del legislatore che, per di più, interviene prima che la Consulta si pronunci sulla questione, modificando la disciplina della rimessione. A fronte di tale modifica, la nuova normativa, sul piano dei presupposti operativi, stabilisce che il trasferimento di sede processuale può essere disposto qualora “gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l’incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto”.
Una prima considerazione attiene al fatto che la constatazione circa il suddetto difetto di delega non ha dato luogo alla riproduzione dell’intero contenuto dell’art. 55 c.p.p. abr. La reintroduzione del “legittimo sospetto” come autonoma causa di rimessione, pure prevista dal disegno originario della legge Cirami, avrebbe portato ad una grossolana violazione della precostituzione legale. La modifica si inserisce invece nella previsione normativa, in aggiunta ai casi di rimessione previsti dal dettato originario, licenziato dal legislatore del 1989.
Prima di ogni altro rilievo sul “legittimo sospetto”, profilo che qui maggiormente interessa, occorre sottolineare un dato, apparentemente innocuo ma, in realtà, tanto innovativo quanto problematico. Ci si riferisce alla diversa formulazione sintattica della fattispecie. Può notarsi, in particolare, come all’interno della stessa, l’elemento di chiusura non sia più rappresentato - a differenza della formula precedente - dall’espressione “tali da turbare lo svolgimento del processo”, significativa della necessità che il pregiudizio alla pubblica sicurezza dovesse ripercuotersi sulla tranquillità processuale, in ossequio alla natura del rimedio. Oggi, le gravi situazioni locali, già di per sé tali da turbare lo svolgimento processuale, rilevano, ai fini della translatio iudicii, ove pregiudichino “la libertà delle persone che partecipano al processo”, ovvero determinino “motivi di legittimo sospetto” ovvero ledano la “sicurezza e pubblica incolumità”. Quest’ultima rientra fra le previsioni conclusive, di chiusura della fattispecie, restando svincolata dal “tali da turbare lo svolgimento del processo”. Ciò potrebbe dare il via ad interpretazioni, tanto diffuse nella previgente disciplina, volte a favorire la rimessione anche a fronte di agitazioni esterne al processo e destinate a non ripercuotersi sullo stesso. Con espressione simbolica, al riguardo, si è detto che cambiando l’ordine dei fattori, nel processo penale, il risultato cambia: potrebbe infatti nuovamente essere rimessa in discussione, alla luce di tale modifica, la natura stessa dell’istituto quale strumento di tutela di interessi esclusivamente interni al processo [24].
I dubbi interpretativi che si presentano invece attorno alla locuzione “motivi di legittimo sospetto” sono gli stessi che si erano registrati nella vigenza delle trascorse esperienze codicistiche. L’eccessiva genericità della formula favorisce l’ingresso di valutazioni discrezionali in ordine al trasferimento processuale, dando luogo a decisioni arbitrarie contrastanti col valore della precostituzione. Le perplessità si acuiscono ove poi si consideri che il presupposto applicativo si aggiunge a quello relativo al “pregiudizio alla libertà delle persone che partecipano al processo”, formula, come detto, coniata dagli interpreti per esplicare proprio la vecchia fattispecie del “legittimo sospetto”. Sarebbe stato dunque meglio, paradossalmente, se il legislatore del 2002 avesse sostituito la suddetta formula con i “motivi di legittimo sospetto”: in tal modo, per via interpretativa, si sarebbe potuto forse continuare ad intendere tale ultima locuzione come esprimente i casi di pregiudizio alla libera determinazione delle persone partecipanti al processo. Per effetto della nuova disposizione, invece, il legislatore crea, tramite la riesumazione della screditata fattispecie, una lacuna normativa, questa sì, foriera di applicazioni arbitrarie, incompatibile con l’art. 25 comma 1 Cost. [25].
Le preoccupazioni ora esposte si giustificano anche alla luce dell’orientamento seguito dalla rara giurisprudenza che dopo la riforma si è delineata sul punto [26]. Pur avendo, nell’occasione, la Suprema Corte, ribadito in premessa la necessità dell’impiego eccezionale della rimessione, ha fornito un’interpretazione poco convincente del requisito dei “motivi di legittimo sospetto”. Per effetto di questi la rimessione deve essere disposta, secondo i giudici, quando le situazioni locali gravi siano tali da provocare un serio e “pericolo concreto circa l’imparzialità del giudice”. La soluzione non introduce elemento interpretativo alcuno capace di specificare meglio la fattispecie attraverso il riferimento a parametri più specifici. Il “pericolo concreto per l’imparzialità del giudice”, a ben guardare, è locuzione perfettamente sovrapponibile ai “motivi di legittimo sospetto” nulla aggiungendo e nulla togliendo a quest’ultima. Assai ardua, del resto, risulta come più volte ribadito, l’opera di individuazione di criteri capaci di razionalizzare una formula vaga, come quella in questione, insuperabilmente in contrasto con il principio del giudice precostituito per legge.
VI - La richiesta di rimessione: soggetti ed effetti.
Significative innovazioni in materia di rimessione, per via dell’ingresso del nuovo codice, si sono altresì registrate in punto di soggetti legittimati a proporre relativa istanza.
Si è detto che - nel sistema precedente - rispetto ai “gravi motivi di ordine pubblico”, legittimata, al riguardo, era la sola parte pubblica, in considerazione della estraneità del privato rispetto agli interessi sottesi a tale tipo di pregiudizio. Al di là dell’ambiguità legislativa, insita in simile previsione, circa la natura stessa dell’istituto, l’impossibilità per il privato di richiedere la rimessione in tali ipotesi concretava una lesione al principio della par condicio fra le parti processuali. Il pregiudizio all’ordine pubblico poteva infatti tradursi anche in una lesione della tranquillità processuale. Col nuovo codice, si pone fine a tale disparità. Sicché oggi la rimessione per lesione della “sicurezza o pubblica incolumità” può essere chiesta anche dal privato, atteso che la stessa è concepita come elemento rilevante, salvo i rilievi sopra compiuti a proposito del cambio di formulazione sintattica, in quanto diretto a ripercuotersi sulla sfera processuale, e ad intaccare dunque anche un interesse del privato. A dire il vero, la riforma del 1989, come quella del 2002, rappresenta un’occasione perduta per la mancata estensione della facoltà di chiedere la rimessione anche alle altre parti processuali. Se l’istituto mira infatti a garantire il bene della imparzialità del giudizio, tende a proteggere un oggetto giuridico rientrante in realtà nell’interesse di ogni soggetto partecipante al processo. Opportuna dunque sarebbe stata l’attribuzione anche a tali soggetti (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria) della possibilità di avanzare istanza di rimessione [27].
Qualche considerazione, in ultimo, va fatta anche sul piano degli effetti connessi alla presentazione della richiesta. Per evitare impieghi strumentali del rimedio, il legislatore del 1989, nella versione originaria dell’art. 47 c.p.p., aveva previsto - al comma 1 - che la richiesta di rimessione non avrebbe prodotto alcuna sospensione automatica del processo. La norma si poneva in linea col valore della “efficienza processuale”, ulteriore principio informatore del nostro sistema, recentemente oggetto di esplicita proclamazione (art. 111 comma 2 Cost.). Nella prospettiva di contemperare tale esigenza con quella dell’imparzialità del giudizio, si era altresì introdotto un divieto, per il giudice procedente, di pronunciare sentenza fino al momento in cui non si fosse concluso l’incidente di rimessione. In caso contrario, ci si sarebbe trovati di fronte ad una pronuncia conclusiva della questione emessa proprio dallo iudex suspectus; a dispetto del principio di imparzialità. Lo sforzo di raggiungere un punto di equilibrio tra tali esigenze non ebbe tuttavia successo. L’obiettivo perseguito fu in particolare vanificato dalla previsione concernente il divieto di pronunciare sentenza, che poteva tradursi invero in uno strumento di pregiudizio al valore della ragionevole durata. La norma infatti avrebbe potuto favorire una reiterazione strumentale di richieste di rimessione volte a bloccare i processi, nell’intento di far implodere le vicende giudiziarie mediante la prescrizione del reato. Ben presto, dunque, la Consulta, pronunciandosi su tale profilo della disciplina, perviene, con sentenza n. 353 del 1996, a dichiarare incostituzionale la previsione introdotta dal legislatore del 1989.
Più di un dubbio circa il rispetto delle statuizioni compiute in quella occasione dalla Corte Costituzionale sorge oggi sulla nuova disciplina, nella parte in cui si occupa di tale aspetto. L’attuale art. 47 c.p.p. dispone che il giudice procedente sospende il processo in prossimità delle conclusioni o discussioni a seguito della comunicazione, da parte della Corte di cassazione, della assegnazione della richiesta alle sezioni unite o altra sezione, introducendo così un meccanismo normativo apparentemente razionale in ordine al contemperamento tra esigenze di efficienza processuale e di imparzialità. Si è fatto notare, infatti, come spesso la valutazione delle richieste di rimessione in seno all’attività del Primo presidente della Suprema Corte si risolva in una verifica superficiale rivolta soprattutto a soddisfare esigenze amministrative di organizzazione del lavoro. In sostanza, il vaglio in questione si limita ad un controllo poco approfondito, idoneo ad escludere le sole richieste ictu oculi inammissibili. E con la non meglio definibile locuzione dei “motivi di legittimo sospetto”, idonea ad autorizzare il richiamo a qualsivoglia generica perplessità sull’imparzialità del giudice, non risulterà certo arduo formulare richieste apparentemente fondate e diverse da altre identiche istanze prima presentate. Il combinato disposto delle norme relative agli effetti della richiesta e di quelle facenti capo ai casi di trasferimento processuale, segnatamente del “legittimo sospetto”, legittimerebbe pertanto una nuova declaratoria di incostituzionalità per contrasto col valore della ragionevole durata dei processi [28]. La soppressione dei “motivi di legittimo sospetto” si porrebbe, pertanto, come un passo obbligato non solo per il rispetto della precostituzione legale, e dunque della imparzialità del giudice. Risulterebbe maggiormente protetta, per via di un simile intervento, anche l’ulteriore garanzia dell’efficienza processuale, così come proclamata dall’art. 111 comma 2 Cost.
dott. Federico Martella, Foro di Bologna - marzo 2009
(riproduzione riservata)
[1] Per riferimenti storici della disciplina del rimedio v. G. Spangher , La rimessione dei procedimenti, vol. I , precedenti storici e profili di legittimità costituzionale, Giuffrè 1984,p. 57 ss.; nonché L. Giuliani , Rimessione del processo e valori costituzionali ,Giappichelli 2002, p. 30 ss.
[2] Cfr. M. Nobili, La procedura penale tra “dommatica” e sociologia: significato politico di una vecchia polemica, in La questione criminale, 1977, p. 51 ss .
[3] A. Pizzorusso, La competenza del giudice come materia ricoperta da riserva di legge, in Giur. it., 1963, I, c. 1313 ss.
[4] Corte Cost., 7 luglio 1962 n. 88 relativa all’incostituzionalità dell’art. 30 c.p.p. abr., in Giur. Cost.,1962 ., annotata da A. Micheli, In tema di illegittimità costituzionale della proroga della competenza in materia penale p. 960. Sui concetti di norma “formale” e “sostanziale” insiti nel precetto costituzionale in esame, cfr. A. Pizzorusso, La competenza del giudice, cit., p. 1313 ss.
[5] M. Nobili, in Commento all’art 25 comma 1° Cost., in Commentario della Costituzione. Rapporti civili (art 24-26), a cura di G. Branca, p. 203 ss.
[6] G. Spangher, La rimessione dei procedimenti,vol. I,cit., p. 169 ss., il quale osserva che “il generico riferimento al collettivo sospetto (legittimo) della rimessione sembrava suggerire il richiamo alla specificità del sospetto individuale della ricusazione, facendo confluire i confini tra i due istituti in una zona d’ombra dove finivano inevitabilmente per confondersi”. Per i casi più discussi di rimessione per “legittimo sospetto”, cfr., tra gli altri, Cass. Sez. I, 9 ottobre 1961, Durando, in Cass. pen., 1962, p. 45; Cass. Sez. I, 7 luglio 1961, Vasques, ivi, 1962, p. 44.
[7]Fra i casi di rimessione per ordine pubblico che hanno suscitato maggior clamore; cfr., fra gli altri, Cass., Sez. I, 30 giugno, 1966, Mattalia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1966, p. 1097 ss.; Cass., Sez. I, 13 ottobre 1972, Valpreda, in Foro. it., 1972, II, c. 489 (Processo per la strage di Piazza Fontana).
[8] Cfr. Corte Cost. 27 aprile 1963 n. 50, annotata da G. Conso, La costituzionalità dell’art. 55 c.p.p. alla luce di una sentenza provvidenziale, in Riv. it. dir e proc. pen. 1963, p. 624, con cui la Consulta dichiara la perfetta compatibilità dell’art. 55 c.p.p. abr.
[9] Per tutti, M. Nobili, in Commento all’art 25 comma 1° Cost. cit.
[10] Per simile ricostruzione, cfr. G. Ichino, Precostituzione e naturalità del giudice nello spostamento di competenza per materia previsto dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497. Nuove norme contro la criminalità, in Riv. it. dir e proc. pen, 1975, p. 574. A. A. Dalia, Sulla precostituzione del giudice naturale come fondamentale garanzia di certezza per l’imputato, con particolare riguardo ai rapporti tra la competenza penale dei consoli e dei comandanti di porto, in Riv. it. dir e proc. pen., 1965, p. 507; oppure da ultimo Id., L’imputato e suoi diritti, in Il giornale, 8 novembre 2002; E. Somma “ Naturalità” e Precostituzione” del giudice cit., p. 827.
[11] E. Zappalà, La ricusazione del giudice penale, Giuffrè, 1989, p. 10 ss.; G. Illuminati, La nuova disciplina della rimessione del processo, Francesco Caprioli ( a cura di), Giappichelli, 2004, p. 61 ss.
[12] L. Giuliani, Rimessione del processo, cit., p. 152 ss.
[13] In realtà, era stata la stessa Corte Costituzionale che, pur avendo dichiarato, nella vicenda suddetta (nota 8), la legittimità dell’art. 55 c.p.p abr. aveva fornito indicazioni interpretative sulle formule dei presupposti applicativi della rimessione, essendosi accorta dell’eccessiva vaghezza delle stesse. In quella stessa occasione, attraverso un’interpretazione restrittiva delle condizioni legittimanti la rimessione, la Consulta affermava che la rimessione per ordine pubblico si sarebbe dovuta disporre “per gravi perturbamenti della pubblica tranquillità e pacifica convivenza dei cittadini, con pericolo per la sicurezza delle persone”; mentre la rimessione per legittimo sospetto doveva concretarsi quando con “mezzi diretti o indiretti, non esclusa la violenza nei riguardi delle persone che partecipano al processo si tenta di influire sullo svolgimento dello stesso”. I criteri hanno senz’altro esercitato un’influenza decisiva nella formulazione della fattispecie da parte del legislatore del 1989.
[14] F. Cordero, Quando il sonno della ragione (giudiziaria) genera mostri, in Dir. giust., 2002, n. 30, p. 8, il quale afferma come il legislatore non avrebbe potuto esprimere meglio l’elemento di valutazione da cui far discendere eventualmente il trasferimento processuale: “la libertà di autodeterminarsi rappresenta l’ optimum”; perciò meritano lodi i compilatori dell’art. 45 c.p.p.; era il solo modo in cui fossero definibili i presupposti della rimessione”.
[15] In relazione a tale aspetto si dovette infatti registrare un progressivo cambiamento della disciplina originaria con conseguente adeguamento della stessa al dettato costituzionale. Una prima modifica, dovuta alla legge 15 dicembre 1972, n. 773, limitava la scelta ai giudici “compresi nel distretto della stessa Corte d’appello a cui appartiene il giudice competente, ovvero nel distretto di una Corte d’appello vicina”; infine la legge 22 dicembre 1980, n. 879, aveva previsto una regola analoga a quella attualmente vigente, mediante un rinvio al criterio automatico di attribuzione della competenza, in virtù del quale andava designato il giudice egualmente competente per materia del capoluogo del distretto della corte d’appello più vicina, tenuto conto “della distanza chilometrica ferroviaria e se del caso marittima”. Oggi, per la determinazione del giudice del rinvio, l’art. 45 c.p.p. rinvia all’art. 11c.p.p.
[16] N. Galantini, Commento agli artt. 45-49, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. Amodio-O. Dominioni, vol. I, Giuffrè, 1989, p. 270.
[17] L. Giuliani, Rimessione del processo, cit. p. 203.
[18] T. Rafaraci, La nuova disciplina della rimessione del processo, Giappichelli, 2004, p. 79 ss.
[19] Cfr., per es., il disegno di legge d’iniziativa dei senatori Pera, Centaro ed altri, recante “norme di attuazione del principio costituzionale dell’imparzialità dei magistrati”, in Atti Senato XIII leg., Documenti, Disegni di legge e relazioni, doc. n. 4621, nel quale, fra l’altro, comparivano proposte dirette ad apportare modifiche alla sfera applicativa dell’istituto al fine proprio di ottenere un maggior potenziamento del principio d’imparzialità così come sancito dalla nuova disposizione costituzionale contemplata dall’art. 111 comma 2 Cost. Su tale linea si colloca anche la legge Cirami.
[20] In questo senso, P. Ferrua, La rimessione per legittimo sospetto è legge, in Dir. giust., 2002 (40), p. 10.
[21] Cirami, “ Arrivare presto all’approvazione perché a Milano succedono cose strane”, in Corriere della Sera, 10 luglio 2002.
[22] Cass. Sez. Un., 29 maggio 2002, Berlusconi, in Guida dir., 2002, n. 29, p. 80, con nota di E. Marzaduri, L’approvazione di un testo diverso dalla delega implica solo la responsabilità politica del governo.
[23] V. Grevi, Un sorprendente dubbio delle Sezioni unite in tema di rimessione del processo: incostituzionale l’art. 45 c.p.p. per “difetto di delega” rispetto alla previsione del “legittimo sospetto”?, in Cass. pen., 2002, p. 3015 ss.
[24] V. Grevi, Gravità delle situazioni locali perturbatrici del processo e “legittimo sospetto”: le Sezioni unite si orientano per una stretta interpretazione dei presupposti della rimessione, in Cass. pen., 2003, p. 2237 ss.,
[25] G. Illuminati, La nuova disciplina della rimessione del processo, cit., p. 76.
[26] Ci si riferisce a Cass., Sez. Un., 27 gennaio 2003, Berlusconi, in Cass. pen., 2003, p. 2163, n. 627.
[27] L. Giuliani, Rimessione del processo, cit., p. 412 ss.
[28] M. Bargis, Richiesta di rimessione e vicende sospensive del processo, in La nuova disciplina della rimessione della rimessione, cit., p. 159.
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