LAVORO SUBORDINATO - PREVENZIONE INFORTUNI - OMICIDIO COLPOSO - RESPONSABILITA’ DEL SUBAPPALTANTE E DEL DIRETTORE DEI LAVORI - SUSSISTENZA - ASSUNZIONE DA PARTE DEL LAVORATORE DI BEVANDE ALCOLICHE DURANTE IL PASTO - COMPORTAMENTO ANOMALO DEL LAVORATORE TALE DA COSTITUIRE VALORE DI CAUSA SOPRAVVENUTA DA SOLA SUFFICIENTE A CAGIONARE L’EVENTO - ESCLUSIONE. ( d.p.r. 164/56; c.p. art. 41; c.p. art. 589).
Va riconosciuta la responsabilità per l’infortunio occorso al dipendente di ditta subappaltatrice -cui segue il decesso per le gravissime lesioni riportate- in capo al legale rappresentante della ditta aggiudicataria di un appalto pubblico, in quanto quale egli è titolare della posizione di garanzia di ogni lavoratore comunque operante nel cantiere; va altresì riconosciuta la responsabilità in capo al direttore dei lavori del medesimo appalto, poiché costui, dal momento della sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori e della notifica del preliminare di inizio, è titolare di analoga posizione di garanzia.
Va esclusa la natura di comportamento anomalo, tale da costituire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, l’assunzione durante il pasto, da parte del lavoratore infortunato e poi deceduto per le gravissime lesioni riportate, di una quantità di vino appena superiore al livello di riferimento per l’idoneità alla guida, poiché la stessa non è tale da comportare uno stato di ubriachezza, ed, in ogni caso, non costituisce una evenienza rara ed impensabile in soggetti dediti ad attività abbastanza pesanti e soliti consumare del vino ai pasti.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI PERUGIA
SEZIONE PENALE
Composta dai Magistrati:
Dott. Emanuele Salvatore MEDORO Presidente
Dott.ssa Maria Giuseppina FODARONI Consigliere relatore
Dott. Silvio MAGRINI ALUNNO Consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Pubblicata mediante lettura del dispositivo
Nella causa
Contro
1. S.C., nato a (omissis) in qualità di legale rappresentante della E.C. Sas avente sede legale in (omissis)-
2. O.G., nato a Città della Pieve (PG) il 26.7.1945 e elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. P.M. del foro di Perugia (fgl. 15 G.I.P.) -
IMPUTATI del reato p. e p. dagli artt. 110, 589 co. 2° C.P. (omicidio colposo), perché - nel corso della installazione del ponteggio realizzato intorno alla torre piezometrica dell'acquedotto comunale del Comune di Bastia Umbra, Via San Costanzo, per la successiva esecuzione dei lavori di risanamento conservativo e miglioramento sismico della torre stessa, in concorso tra loro, S.C. quale legale rappresentante della ditta "E.C." (aggiudicataria dell'appalto messo a concorso dal comune di Bastia Umbra), Bianconi quale legale rappresentante della "BM.P." (ditta sub-appaltatrice della ditta "E.C."), O.G. quale Direttore dei Lavori e Coordinatore responsabile in materia di "antiinfortunistica, causavano al lavoratore M.F. (dipendente della "BM.P." impiegato al montaggio in quota del Ponteggio) delle lesioni personali gravissime che lo conducevano a morte dopo essere stato ricoverato in prognosi riservata prima all'ospedale di Assisi (referto a 10474 del 29.9.1999), poi trasferito nell'immediatezza all'ospedale "R. Silvestrini" di Perugia; lesioni riportate a seguito di precipitazione dall'impalcato privo delle protezioni anti-infortunistiche indicate e conseguente quindi alla violazione delle norma che disciplinano la prevenzione degli infortuni sul lavoro, e in particolare:
- il ponteggio presenta sulla quasi totalità dei piani realizzati la mancanza di scale per l'accesso ai vari piani del ponteggio stesso (art. 8 D.P.R. n. 164/56);ù
- i piani di lavoro del ponteggio realizzato non risultano essere adeguatamente accostati alla struttura circolare della torre in riparazione; sugli stessi sono presenti delle aperture lasciate nei piani di lavoro del ponteggio e tra questi e la struttura dell'opera non sempre protette da intavolato e parapetti supplementari, contro il rischio di caduta accidentale di persone e cose (artt. 23-68 D.P.R. n. 164/56);
- l'impalcato in alcuni punti presenta la mancanza di idonei parapetti per l'assenza di correnti paralleli all'intavolato e di tavole fermapiedi, lasciando delle luci in senso verticale, tali da non garantire una idonea protezione contro la caduta nel vuoto di persone cose sia dalla parte esterna che dalla parte interna (art. 24 D.P.R. n. 164/56).
Infortunio in Bastia Umbra (PG) il 29.9.1999.
Decesso in Perugia il 2.10.1999.
APPELLANTI
il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, nonché le parti civili, avverso la sentenza emessa in data 24.1.2005 da Giudice monocratico del Tribunale di Perugia -Sezione distaccata di Assisi con la quale gli imputati furono assolti dal reato loro in concorso ascritto, per non aver commesso il fatto.
Con costituzione di PP.CC.:
1) M.B., nato a (omissis);
2) V.L., nata a (omissis);
3) M.G., nato a (omissis);
4) M.T., nata a (omissis)‑
CONCLUSIONI
IL PROCURATORE GENERALE: si riporta alle conclusioni già rese all'udienza dell'1.4.2008 e cioè la condanna degli imputati alla pena di anni 1 ciascuno.
IL DIFENSORE DI PARTE CIVILE: si riporta alle già rassegnate conclusioni chiedendo: l'accoglimento del gravame del P.M. e per l'effetto la condanna degli imputati S.C. e O.G. alla pena di giustizia; l' accoglimento del gravame delle parti civili e la condanna degli imputati, in solido, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, con provvisionale non inferiore ad E. 30.000,00 per ciascuna parte civile, oltre che al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, come da atto e nota scritti, depositati.
LA DIFESA DEL S.C.: chiede il rigetto degli appelli proposti dal RG. e dalle PP.CC., con conferma della sentenza di primo grado.
LA DIFESA DELL'O.G.: chiede, la conferma della sentenza di primo grado; la declaratoria di inammissibilità degli appelli proposti, e, comunque la declaratoria di nullità del capo di imputazione; in estremo subordine il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1) Con sentenza in data 24/1/2005 il Tribunale di Perugia-Sezione Distaccata di Assisi, assolveva S.C., legale rappresentante della E.C., e O.G., direttore dei lavori e coordinatore responsabile in materia antinfortunistica, dal delitto di omicidio colposo del lavoratore M.F., il quale, precipitando il 29/9/1999 da un impalcato privo di protezioni, riportava gravissime lesioni, in conseguenza delle quali decedeva presso l'Ospedale Silvestrini di Perugia il 2/10/1999.
Il primo giudice riteneva provato che, nelle fasi di allestimento del cantiere per la ristrutturazione della torre piezometrica del Comune di Bastia Umbra, lavori nel corso dei quali si era verificato l'infortunio, fossero state commesse numerose violazioni della normativa antinfortunistica posto che:
- i piani del ponteggio erano stati realizzati senza scale di accesso;
- i piani di lavoro non erano, inoltre, stati adeguatamente accostati alla struttura circolare della torre e presentavano dei vuoti e delle aperture non protette;
- l'impalcato, in alcuni punti, era sprovvisto di idonei parapetti atti ad evitare la caduta di persone sia dalla parte esterna che dalla parte interna.
Sottolineava, ancora, il Tribunale, come l'infortunio fosse avvenuto proprio nel corso dei lavori di allestimento del ponteggio, che sarebbe dovuto servire per effettuare i lavori sulla torre piezometrica, e come il M.F., in quel momento, fosse intento al completamento dell'impalcato ed in particolare alla copertura degli anzidetti spazi vuoti.
Si interrogava su quali norme antinfortunistiche dovessero essere osservate nel corso della realizzazione dei ponteggi, se fossero le stesse, sia che si trattasse di ponteggio già realizzato sia in corso di allestimento.
Richiamava, in aggiunta alle violazioni alla normativa antinfortunistica indicate in imputazione (art. 8, 23-68 e 24 DPR 164/1956) anche l'art. 10 del medesimo D.P.R. sulla adozione di apposita cintura con bretelle per l'esecuzione di lavori che espongano a rischio di caduta, quando non sia possibile disporre di impalcati di protezione o parapetti, e, comunque, l'obbligo del casco di protezione.
Riconosceva la responsabilità, per la violazione della normativa antinfortunistica, in capo all'imputato S.C., rappresentante legale della E.C., che aveva tra l'altro illegittimamente subappaltato i lavori di approntamento dell'impalcatura ad una diversa società, la B.M. Ponteggi, della quale era legale rappresentante il Bianconi (separatamente giudicato) e della quale era dipendente il deceduto M.F..
Osservava come la responsabilità del S.C. dovesse ritenersi comunque sussistente anche qualora si fosse voluto configurare il rapporto intrattenuto con la B.M. Ponteggi quale prestazione di manodopera anziché subappalto.
Sottolineava come, nell'ambito di detto rapporto, la E.C. avesse fornito, tra l'altro non in un'unica soluzione, tutto il materiale occorrente per l'impalcatura medesima.
Riconosceva altresì la concorrente responsabilità, per le medesime violazioni della normativa antinfortunistica, dell'O.G., direttore e responsabile dei lavori, nel rilievo che egli "aveva predisposto e sottoscritto la notifica preliminare di inizio dei lavori in qualità di responsabile dei lavori", aveva predisposto il piano di sicurezza, era coordinatore per la progettazione, coordinatore per l'esecuzione dei lavori e per la sicurezza del cantiere
Del resto allorché ebbe a verificarsi l'infortunio i lavori erano iniziati almeno da tre giorni, senza che egli si fosse in alcun modo attivato per l'espletamento di quei compiti che gli competevano nella indicata veste.
Dunque aveva tenuto un comportamento colpevolmente omissivo in ordine al controllo dello svolgimento dei lavori e del rispetto della normativa antinfortunistica.
Tanto premesso riteneva peraltro, il primo giudice, non provato il rapporto di causalità tra le anzidette condotte colpose dei due imputati ed il verificarsi del sinistro, nel rilievo che non era stato possibile stabilire come l'infortunio si fosse verificato; in particolare da dove il M.F. fosse caduto e perché, dato che nessuno aveva direttamente assistito alla caduta; ed ancora se il medesimo indossasse, al momento della caduta, la cintura di sicurezza e se si fosse sganciato, ed eventualmente per quali ragioni, dalla fune di trattenuta (essendo comunque presenti in cantiere detti presidi antinfortunistici: cinture di sicurezza, funi, caschi).
Reputava di non poter escludere comportamenti abnormi del lavoratore, che magari versava in condizioni non ottimali, dato che aveva da poco finito di pranzare e che durante il pranzo aveva consumato anche del vino.
Sottolineava come non fosse stato fatto neppure l'esame autoptico e non fossero stati esibiti documenti medici atti a provare con certezza le cause della morte.
Riteneva pertanto non raggiunta la prova della responsabilità degli imputati per il contestato delitto, essendosi in presenza di indizi di reità gravi, ma non precisi né concordanti, pronunciando per tal ragione sentenza assolutoria, ex art. 530 co. 2. c.p.p.
1.2) Avverso la sentenza ha interposto appello il P.M. presso il Tribunale di Perugia chiedendo l'affermazione di responsabilità di entrambi gli imputati e la loro condanna alla pena richiesta dal P.G. di udienza.
Nella parte motiva si è doluto della mancata applicazione da parte del primo giudice dei principi enunciati dalla Suprema Corte con riferimento alla condotta del lavoratore atta a far venir meno il nesso di causalità, ravvisabile solo laddove il lavoratore medesimo tenga un comportamento eccezionale, imprevedibile, tale da non essere preventivamente immaginabile e non già quando l'irrazionale condotta del dipendente sia pensabile in anticipo e si risolva nel fare il contrario di quanto si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni.
Ha sottolineato come, parimenti in applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, il nesso di causalità sussista ogni qualvolta, immaginando come tenuta la condotta colpevolmente omessa, possa giungersi alla conclusione che l'evento lesivo non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in tempo significativamente posteriore o sarebbe stato di minore intensità.
Ha sostenuto che, in applicazione di detti principi, debba, nel caso di specie, essere esclusa la rilevanza causale della condotta imprudente del lavoratore, in quanto la mancata tenuta del casco di protezione e della fune di trattenuta non costituiscono di certo condotte anomale e l'abuso di sostanze alcoliche costituisce addebito del tutto apodittico.
Ha sostenuto, pur in assenza di testimoni oculari alla caduta, la ricostruibilità del fatto sulla base di quanto emerso a dibattimento e di quanto oggettivamente rilevabile.
1.3) Avverso la sentenza hanno interposto appello anche le costituite parti civili chiedendo che, accertata la penale responsabilità degli imputati, gli stessi vengano condannati alla pena ritenuta di giustizia, e, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore di esse parti civili, da liquidarsi in separata sede, con riconoscimento, in favore di ciascuna, di una provvisionale non inferiore ad € 30.000,00.
Nella parte motiva hanno sottolineato l'intrinseca contraddittorietà della sentenza di primo grado, che, dopo aver riconosciuto la sussistenza delle violazioni alla normativa antinfortunistica e la riferibilità delle medesime agli imputati, era tuttavia pervenuta alla loro assoluzione.
E ciò sebbene fosse inconfutabilmente emerso che il M.F. non era legato e non aveva casco protettivo e che la sua morte, conseguente a caduta da impalcatura non protetta, era avvenuta per trauma cranico riportato nella caduta medesima, come documentato dal verbale a firma del sovr. Gugliata e della dr.ssa Martelletti, ove si legge che "sulla base dell'esame esterno effettuato sulla salma, la causa del decesso è da ascriversi a gravissime lesioni cranio-encefaliche".
Ed inoltre, il primo giudice era pervenuto alla assoluzione, supponendo non esplicitati e non provati comportamenti anomali da parte del M.F., esorbitanti dal processo di lavoro, sulla base delle inaffidabili dichiarazioni del Bianconi, corresponsabile del decesso, il quale aveva definito la propria posizione ex art. 444 c.p.p. e che, forse, non era neppure presente in cantiere: solo questi, infatti, aveva riferito che il M.F. si era messo a correre sul tavolato.
1.4) All'udienza dibattimentale del 23/5/2006, in relazione alla sopravvenuta disciplina dell'appello ed alle preclusioni introdotte alla possibilità di appello del P.M. avverso le sentenze di proscioglimento, è stata sollevata l'eccezione di incostituzionalità degli artt. 593 c.p.p. (come modificato dall'art. 1 L. 46/2006) e 10 L.46/2006, per violazione degli art. 3, 97,111,112 Cost, con sospensione del processo.
La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 383/2007 in data 5/11/2007, depositata il giorno 14/11/2007, ha poi disposto la restituzione degli atti a questa Corte per nuovo esame della rilevanza della questione, in quanto, nel frattempo, con sentenza n. 26/2007, era già stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 L. 46/2006, nella parte in cui escludeva che il P.M. potesse appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603 co. 2 c.p.p. in caso di nuova prova decisiva, e, altresì, della disciplina transitoria di cui all'art. 10 comma 2 stessa legge, nella parte in cui prevedeva che l'appello proposto dal P.M. contro una sentenza di proscioglimento, prima dell'entrata in vigore della L. 46/2006, venisse dichiarato inammissibile.
1.5) A seguito della sospensione del processo (per la sollevata eccezione di incostituzionalità del novellato art. 593 c.p.p. e dell'art. 10 L 46/2006) e della successiva restituzione degli atti, da parte della Corte Costituzionale, a questa Corte di Appello, sia le parti civili che gli imputati hanno depositato memorie.
In esse le parti civili sono tornate a contestare l'ascrivibilità al M.F. di un comportamento abnorme, tale non potendo ritenersi neppure quell'atteggiamento, forse un po' spericolato e un po' scanzonato, che gli era stato attribuito nello svolgimento dell'attività, in relazione al fatto che era solito muoversi velocemente per gli impalcati e che, forse, nell'occasione, non aveva saputo resistere ad un bisogno fisiologico.
La difesa del S.C. ha ribadito la non ricostruibilità del sinistro in assenza di dati certi in ordine: al luogo dove il M.F. si trovasse al momento della caduta, alle modalità di essa ed alla effettiva mancanza, in corrispondenza del luogo della caduta, dei debiti presidi antinfortunistici.
Ha addotto l'inesattezza e l'inapplicabilità al caso di specie della normativa antinfortunistica richiamata, anche perché l'impalcato era in fase di realizzazione e di montaggio, e, per di più, all'inizio del montaggio, per cui era del tutto normale che in alcuni punti mancassero i parapetti, tanto é vero che il M.F. stava completando proprio quelle parti.
Allo scopo il M.F. era dotato degli strumenti di prevenzione infortunistica specifici, dovendosi ritenere provato che indossasse la cintura di sicurezza e fosse agganciato alla fune di trattenuta ( del resto cinture, funi e caschi erano regolarmente presenti in cantiere).
Ha sostenuto il comportamento anomalo del lavoratore come causa dell'evento (per essersi il M.F. sganciato ed essersi diretto dietro la torre, tra l'altro dopo aver assunto una certa quantità, non modica, di alcool).
Ha altresì sottolineato come manchi un referto autoptico che indichi con certezza le cause della morte, avvenuta il 2/10/1999, a fronte di sinistro verificatosi il precedente 29/9/1999, e qualsiasi tipo di documentazione medica, essendo tra l'altro inutilizzabile il documento a firma della dr.ssa Martellotti, relativo ad accertamento irripetibile, fatto senza le debite formalità, atte ad assicurare i diritti della difesa.
La difesa dell'O.G. ha addotto altresì l'inammissibilità dell'appello del P.M. per genericità; dell'appello delle parti civili perché impropriamente effettuato agli effetti penali e comunque l'infondatezza di entrambi nel merito posto che:
- la sorveglianza in relazione ai lavori di allestimento dell'impalcatura sarebbe spettata all'imprenditore, a persona da lui delegata e al responsabile del cantiere geom. Velotti; - l'evento si verificò per la condotta gravemente anomala del lavoratore deceduto, dovendosi in essa ricomprendere l'assunzione di alcool, il non ancorare le cinture di sicurezza alla fune di trattenuta, il non indossare il casco di protezione;
- l'O.G. venne mantenuto all'oscuro dell'inizio dei lavori di montaggio del palco e del ponteggio, proprio perché il S.C. aveva dato detto lavoro in subappalto.
Ha addotto infine l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, per non aver la Corte di Appello dichiarato la sospensione del processo con l'ordinanza con cui veniva sollevata l'eccezione di incostituzionalità, e, comunque per essere maturato il termine massimo di prescrizione di sette anni e mezzo, pur tenendo conto della sospensione decorrente dalla pronuncia della ordinanza con cui veniva posta la questione di costituzionalità (23/5/2006) alla intervenuta declaratoria di incostituzionalità delle norme investite (6/2/2007).
1.6) Rifissato, dunque, il dibattimento di appello, per l'udienza del 10/4/2008, e proseguito il processo nella riconosciuta, sopravvenuta, irrilevanza della questione di costituzionalità a suo tempo proposta, questa Corte, come da ordinanza in atti, ha ritenuto la necessità della parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ed ha disposto l'acquisizione, presso gli ospedali di Perugia e di Assisi, della documentazione medica relativa al ricovero e decesso di M.F., l'audizione della dr.ssa Martellotti, che ebbe ad effettuare la visita esterna del cadavere, e l'acquisizione, altresì, della documentazione medica offerta dalle stesse parti civili.
All'udienza di rinvio del 13/5/2008 pervenuta la documentazione medica e sentita la dr.ssa Martellotti, è stata disposta perizia medico-legale, onde compiutamente accertare le cause della morte di M.F., con nomina, quale perito, del prof. Bacci e conferimento al medesimo dei quesiti alla udienza del 20/5/2008.
All'odierna udienza, nella permanente contumacia del S.C. ed alla presenza dell'O.G., è stato sentito il perito nel contraddittorio delle parti ed è stata formalmente acquista, all'esito, la relazione dal medesimo redatta; infine, il P.G. le parti civili ed i difensori degli imputati, hanno discusso e concluso come da verbale in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1) Giova preliminarmente rilevare come, l'intervenuta declaratoria di incostituzionalità, nei termini anzidetti, della normativa sull'appello, che si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, privi di rilevanza la questione di costituzionalità a suo tempo sollevata con riferimento all'appello del P.M., che è tornato ad essere ammissibile; mentre, per quanto concerne l'appello delle parti civili avverso le sentenze di proscioglimento, i dubbi interpretativi, sollevati nella imminenza della entrata in vigore della L. 46/2006, sono stati ormai definitivamente risolti nel senso di riconoscerne la persistente ammissibilità (cfr. Cass. Sez. 1, 19/12/2007, Di Pasquale ed altro).
Né per altro verso può essere riconosciuta l'inammissibilità dei gravami del P.M. e delle parti civili, per le diverse ragioni addotte ed esposte dalla difesa degli imputati.
Quanto alla pretesa genericità dell'appello del P.M., con particolare riferimento alla posizione dell'O.G., la doglianza risulta infondata, perché sono ben individuabili le censure sollevate dall'appellante avverso la sentenza di assoluzione, nella parte in cui sono stati supposti comportamenti anomali del lavoratore, e, soprattutto, nella parte in cui è stata esclusa la prova del nesso di causalità tra le condotte oggetto di addebito a carico degli imputati e il verificarsi dell'infortunio mortale.
Trattasi di censure afferenti la prova del nesso di causalità, ritenuta non raggiunta dal primo giudice, che, all'evidenza, investono la posizione di entrambi gli imputati, proprio in relazione al ruolo da loro ricoperto ed esplicitato nel capo di imputazione, per cui non rileva il fatto che il P.M., nel formularle, non abbia fatto specifico riferimento all'uno o all'altro ed in particolare all'O.G..
Quanto poi alla dedotta inammissibilità degli appelli delle parti civili perché volti a chiedere l'affermazione della responsabilità penale degli imputati è agevole il rilievo che, il riferimento contenuto negli atti di appello all'accertamento della responsabilità penale degli imputati, è evidentemente strumentale e prodromico rispetto alla conseguente richiesta di risarcimento dei danni da reato, che ne costituisce l'oggetto e che risulta correttamente formulata; nelle successive conclusioni dibattimentali, poi, la richiesta di condanna anche penale degli imputati, oltre che di loro condanna al risarcimento dei danni, non risulta fuor di luogo, in presenza di contestuale gravame del P.M. sulla responsabilità penale.
2.2) Ancora in via preliminare ed in rito rileva la Corte l'infondatezza delle censure sollevate con riferimento al capo di imputazione ed alla sua asserita genericità, tale da comportarne plurimi rimaneggiamenti e da pregiudicare, comunque, le facoltà difensive, con conseguente nullità degli atti.
Ed invero il capo di imputazione, nella attuale formulazione, ben lungi dall'essere generico, contiene una dettagliata descrizione del fatto e dei profili di colpa, anche specifici, oggetto di addebito agli imputati, in ragione del loro ruolo, anch'esso dettagliato, con riferimento al cantiere ed ai lavori in corso di esecuzione, così da renderne evidente e chiaro il rispettivo e concomitante coinvolgimento, nel verificarsi dell'infortunio mortale.
Né può fondatamente sostenersi che un qualche pregiudizio delle facoltà difensive potesse essersi verificato per effetto di quello che, sostanzialmente, era un mero errore materiale, presente nel capo di imputazione, errore che, peraltro, è stato rettificato alla udienza del giorno 2/2/2004 (ordinanza a f.57).
In detta udienza la modifica si è esaurita nella eliminazione del riferimento: "indicate ai capi a), b), c)", dopo l'espressione: "protezioni antinfortunistiche", riferimento costituente mero refuso di pregresse problematiche dell'imputazione, conseguenti ad un impreciso richiamo da uno all'altro degli originari due capi oltre che allo stralcio della posizione di uno dei tre imputati (il Bianconi).
E' il caso di sottolineare come tali pregresse problematiche risultino ormai prive di attualità e del tutto superate dalla declaratoria di nullità del primo decreto che disponeva il giudizio, pronunciata in data 22/10/2002 dal Tribunale, con restituzione degli atti al P.M.
Dopo la declaratoria di nullità con rinvio degli atti, è intervenuta nuova richiesta di rinvio a giudizio, e, all'esito dell'udienza preliminare, nuovo decreto di rinvio a giudizio, emesso il 18/9/2003, e notificato agli imputati con il capo di imputazione nella attuale formulazione, compreso l'anzidetto refuso (ff. 16-18; ff.19-22), peraltro insuscettibile di creare problemi di comprensione; infatti, nonostante il richiamo ai capi a), b), c) per il dettaglio delle protezioni antinfortunistiche mancanti, in realtà queste risultano di seguito specificate, sia con il riferimento normativo sia con l'enunciazione degli elementi di fatto rilevanti, così da rendere estremamente chiari i singoli addebiti di colpa specifica.
E' appena il caso di sottolineare come, alla successiva udienza del giorno 11/10/2004, nonostante l'apparenza di un ulteriore più cospicuo rimaneggiamento del capo di imputazione, in realtà esso rimase esattamente lo stesso contenuto nel decreto di rinvio a giudizio emesso il 18/9/2003 e corretto il precedente 2/2/2004 (l'apparente rimaneggiamento sembra scaturito da un equivoco del P.M., consistito nel ritenere incompleta e da integrare una contestazione che tale invece non era, forse per aver visionato il primitivo capo di imputazione dichiarato nullo ed ormai superato).
Resta, innegabilmente, presente, nell'attuale formulazione del capo di imputazione, un ulteriore errore materiale costituito dal riferimento normativo all'art. 110 c.p. ( prima dell'art. 589 co. 2 c.p.) ed al concorso di persone, anziché all'art. 113 c.p. ed alla cooperazione nel delitto colposo, come invece sarebbe stato rispondente al tenore complessivo della contestazione. Trattasi, peraltro, di errore del tutto insuscettibile di incidere sulla comprensione dell'addebito e sulle facoltà difensive, essendo, detto improprio richiamo, immediatamente seguito dalla enunciazione di rispettive e concomitanti condotte colpose degli imputati, nei vari ruoli da essi rivestiti, riflettentesi nella realizzazione del ponteggio in violazione della normativa antinfortunistica e, come tali, incidenti sull'evento letale derivatone a carico del lavoratore M.F., impiegato nel montaggio del ponteggio e precipitato dall'alto, proprio per la mancanza delle protezioni antinfortunistiche; con conseguente piena comprensibilità dell'addebito nella sua effettiva consistenza.
L'errore, come già detto, è immediatamente rilevabile dalla stessa lettura del capo di imputazione.
2.3.a) Passando all'esame del merito, rileva la Corte come sia palesemente da riformare la sentenza di primo grado, che, dopo aver correttamente individuato ruoli ed addebiti di colpa degli imputati, è pervenuta alla assoluzione dei medesimi sulla base di approssimative prospettazioni circa possibili comportamenti anomali del lavoratore e circa la non raggiunta prova di un nesso causale tra le condotte degli imputati e l'evento morte, per non essere state ben acclarate le modalità del fatto e le cause della morte del M.F..
In realtà il fatto risulta adeguatamente ricostruibile, sulla base delle risultanze probatorie in atti (documenti, foto relative allo stato dei luoghi, deposizioni testimoniali e dichiarazioni del coimputato Bianconi, documentazione medica, perizia) nei termini di seguito esposti.
Può ritenersi acclarato che l'allestimento del ponteggio per l'esecuzione dei lavori di risanamento della torre piezometrica fosse in corso da alcuni giorni allorché ebbe a verificarsi l'infortunio a carico di M.F., avendo il teste Artemi, compagno di lavoro del deceduto, riferito che essi avevano iniziato il montaggio del ponteggio da circa una settimana e comunque da alcuni giorni ed avendo lo stesso coimputato Bianconi, separatamente giudicato, dichiarato che, almeno di norma, in un giorno, si potevano fare 2 o 3 piani di impalcatura.
Dato che, come ben visibile dalle foto in atti, la struttura aveva raggiunto i nove piani di altezza, risulta confermato che il montaggio del ponteggio fosse iniziato da non meno di tre giorni.
E di certo, a quel punto, trattavasi di una struttura di servizio rispetto all'opera da risanare, che, anziché costituire un sicurezza per gli addetti ai lavori, finiva per essere, essa stessa, situazione di evidente pericolo per quanti vi lavorassero, in particolare per il M.F., che era l'addetto al suo montaggio e completamento.
Infatti, essendo mancata ogni corretta direttiva e debito controllo da parte dei soggetti che vi sarebbero stati demandati, ed essendo stati posti a disposizione per il ponteggio, dall'E.C., investita della realizzazione dei lavori di risanamento della torre, materiali inadeguati rispetto all'opera sulla quale doveva essere fatto l'intervento, il montaggio del ponteggio era avvenuto in violazione di ogni corretta regola tecnica e soprattutto nella smaccata inosservanza della normativa antinfortunistica in materia.
Giova premettere che, in conformità ai consolidati dettami della giurisprudenza, la disposizione di cui all'art. 16 DPR 166156, secondo cui, nei lavori concernenti le costruzioni, che sono eseguiti ad un'altezza superiore ai 2 metri, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo di essi, adeguate impalcature, o ponteggi o opere provvisionali, o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e cose, non riguarda solo i lavori murali, ma anche quelli relativi alla costruzione degli indicati ponteggi o impalcature (cfr. Cass. Sez.4, 1511111983, Broggini).
E detto addebito di colpa, pur non enunciato in termini specifici e con il riferimento normativo, può ritenersi comunque compreso nell'imputazione, quanto meno in termini descrittivi del fatto e per il tramite dell'ampio richiamo alla violazione della normativa antinfortunistica.
E comunque, quanto agli addebiti di colpa specifica oggetto di esplicita contestazione, deve rammentarsi che, ai sensi dell'art. 24 DPR 164/56, le impalcature ed i ponteggi di servizio debbono essere provvisti, su tutti i lati verso il vuoto, di un robusto parapetto costituito da uno o più correnti, che siano paralleli all'intavolato ed il cui margine superiore non disti da questo più di un metro e di una tavola fermapiede aderente al tavolato stesso ( cfr. anche Cass. Sez. 3, 6/4/2004, Riva).
Si impone inoltre il rispetto di tutte le altre disposizioni in materia antinfortunistica, richiamate in imputazione e nella specie sistematicamente ed ampiamente violate.
Si consideri che, come riconosciuto anche dal primo giudice, in relazione a lavori di risanamento di una torre piezometrica circolare, per la costruzione del ponteggio era stato adottato, anziché il sistema con il giunto-tubo, che avrebbe consentito l'aderenza della struttura di servizio alla torre stessa, il sistema a cavalletti, che, non essendo in grado di curvare, come invece necessario, aveva comportato, nella parte interna, la non aderenza della struttura di servizio alla torre; si erano così creati dei vuoti sia a livello del tavolato sia lateralmente, in corrispondenza della parte interna del ponteggio, nella specie tanto più pericolosi, in quanto la torre non era piena, ma sorretta da colonne che lasciavano, tra l'una e l'altra, intere aree vuote verso l'interno.
Per di più, non essendo stato fornito dalla ditta appaltatrice dei lavori tutto il materiale che sarebbe stato necessario per ovviare a detti inconvenienti, quali tavole particolari per la copertura dei vuoti nel tavolato, parapetti in numero sufficiente per la protezione da cadute, oltre che verso l'esterno anche verso l'interno, fermapiedi o battitacchi, il M.F. e l'Artemi erano andati avanti nel lavoro, continuando a montare i cavalletti sino a realizzare nove piani di ponteggio, lasciando scoperti quei vuoti e praticamente sprovvista di parapetti tutta la parte che dava verso l'interno della torre.
L'unico piano che avevano dotato di parapetti interni era il primo piano del ponteggio.
Non può dunque nutrirsi dubbio circa la gravissima e sistematica violazione della normativa antinfortunistica in materia, in particolare di quella specificamente richiamata in imputazione.
2.3.b) Parimenti può ritenersi accertato, nonostante le incertezze addotte dalle difese, che il M.F. ebbe a precipitare, verso l'interno vuoto della torre piezometrica, proprio dal terzo piano del ponteggio; e ciò sia per la presenza di una maglietta appoggiata sul tavolato di quel piano sia perché lo stesso Bianconi ha riferito che il M.F. era salito e lavorava al terzo piano del ponteggio.
Che la maglia rinvenuta fosse del M.F. è conclusione necessitata, qualora si consideri che l'indumento non è risultato riferibile ad altri, che a lavorare sui piani del ponteggio era intento il solo M.F. (coadiuvato dall'Artemi rimasto a terra, il quale, gli preparava e gli inviava il materiale, facendolo salire mediante carrucola) e che, evidentemente, il M.F., trovandosi esposto al sole, se la era tolta perché quel giorno faceva caldo.
Quanto poi all'esatto punto della caduta del lavoratore, terminata con l'impatto del suo corpo sul solaio interno, di cemento, della torre, è agevole la ricostruzione ed individuazione rapportandola alle tracce di sangue copiosamente lasciate, nell'impatto, sul cemento, non essendo stato, il M.F., successivamente spostato, se non per posarlo sulla barella (come precisato dal teste Artemi).
E' infine anche il caso di sottolineare come, l'espletata perizia medico-legale abbia rilevato, sulla persona del M.F., la presenza di lesioni indicative di una caduta dall'alto, ma da non rilevante altezza, quale appunto quella di alcuni metri, che separava il terzo tavolato del ponteggio dal solaio interno della torre piezometrica.
E su tale base è anche agevole ricostruire che, proprio in corrispondenza del punto di caduta, mancavano del tutto i parapetti interni e sussisteva quella situazione di pericoloso vuoto verso la parte cava della torre, di cui si è sopra detto.
Date le argomentazioni sviluppate dalla difesa circa quanto avrebbe riferito, invece, il teste Bisogno, in ordine alla presenza in quel punto dei parapetti, conviene chiarire subito l'equivoco.
11 teste ha dichiarato, in chiari termini, che in corrispondenza di quello individuato come il punto di caduta mancavano i parapetti, come da trascrizione a f. 176, solo che, nel tornare di nuovo sull'argomento e ribadire il concetto, per un evidente errore nella trascrizione e/o nella pronuncia (f.178), immediatamente apprezzabile dal contesto della frase, che infatti perde di senso logico, è stato riportato il termine "provvisto" anziché il termine "sprovvisto" di parapetti.
Sennonché, come già detto, il senso di quanto riferito dal teste è inequivoco in termini di mancanza dei parapetti, nel punto individuato come quello di caduta del M.F..
E comunque, in aggiunta alle dichiarazioni del teste Bisogno e dello stesso Bianconi, il quale ha parimenti riferito della mancanza dei parapetti interni in corrispondenza del punto di caduta (f. 379), detta situazione di oggettiva mancanza delle protezioni interne si impone in termini di immediata visibilità, sulla base del materiale fotografico in atti (foto nn. 3, 4 e 5).
2.3.c) Pur essendo innegabile, in relazione alle risultanze istruttorie, che il M.F. cadde dal ponteggio, il primo giudice ha ritenuto non pienamente accertate le cause della sua morte , sopravvenuta a distanza di tre giorni dalla caduta medesima.
Ed ancora, la difesa degli imputati, ha diffusamente argomentato circa l'assenza, al fascicolo processuale, di atti utilizzabili ai fini della decisione, che consentissero di ritenere acclarate le cause del decesso del M.F., contestualmente tacciando di inutilizzabilità il verbale relativo alla visita esterna del cadavere ed accertamento delle cause della morte, riferibile alla dr.ssa Martellotti, perché, pur trattandosi di atto connotato da irripetibilità, esso era stato effettuato in forma non garantita, senza il previo avviso alle parti.
Rileva la Corte come, ogni possibile dubbio in proposito, sia ora abbondantemente colmato dalla documentazione medica acquisita nel corso della rinnovazione parziale dell'istruttoria dibattimentale (non era stata originariamente acquisita neppure la cartella clinica), e, soprattutto, dalla perizia medico-legale espletata dal prof. Bacci. Questi, infatti è giunto, sulla base di accertamenti accurati ed argomentazioni rigorose sotto il profilo logico, oltre che scientificamente corrette, alla conclusione, pienamente condivisibile, che il decesso del M.F. (i cui organi furono donati a seguito dell'accertamento di morte cerebrale) fu determinato da arresto cardio-circolatorio di tipo centrale, conseguito a grave danno encefalico post-traumatico. E ciò, in soggetto che presentava un quadro lesivo indicativo di un politraumatismo di tipo contusivo compatibile con una caduta dall'alto, segnatamente da media-bassa altezza, stato di corna secondario a focolai lacero-contusivi cerebrali, ferita lacero-contusa frontale, frattura fronto-parietale sinistra e parietale destra, frattura dell'omero e dell'ulna sinistra, frattura della VI e VII costa destra, ferita lacera alla gamba destra).
Da sottolineare come il perito abbia ribadito, a dibattimento, che trattasi di conclusioni cui è pervenuto a prescindere dal verbale di visita esterna del cadavere ed accertamento cause della morte redatto dalla dr.ssa Martellotti e tacciato di inutilizzabilità e dalle stesse dichiarazioni dibattimentali della medesima, fondandosi, le sue conclusioni, sulla restante e copiosa documentazione medica ora in atti.
2.3.d) In presenza di un accertamento delle cause della morte del M.F. compiuto a dibattimento, nel contraddittorio delle parti e sulla base di materiale pienamente utilizzabile, che ha ricondotto il decesso del lavoratore ad una caduta da media-bassa altezza, quale perfettamente attagliantesi alla distanza esistente tra il terzo piano del ponteggio ed il solaio interno della torre piezometrica, le censure delle difese si sono ora accentrate sullo stato di alterazione alcoolica interessante il M.F..
Detto stato viene addotto come imprevedibile comportamento anomalo del lavoratore, che avrebbe portato il medesimo ad agire in modo impensabilmente imprudente, mettendosi a correre sul tavolato del ponteggio, e, soprattutto, che Io avrebbe condotto, nell'intorpidirsi delle capacità di reazione, a precipitare rovinosamente dall'impalcatura; così ponendosi come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento.
Giova rammentare che, per quanto riferito dall'Artemi, egli ed il M.F. avevano bevuto, quel giorno, a pranzo, un litro di Tavernello, essendone stato consumatore in misura prevalente quest'ultimo.
A fronte di ciò veniva rilevato sul M.F., al momento del suo ricovero presso il reparto di rianimazione dell'Ospedale Silvestrini, un tasso di alcolemia di 86 gr/l, superiore a quello all'epoca previsto per l'idoneità alla guida, che era di 80 gr/l.
Il perito, tenuto anche conto del tempo trascorso dal pranzo e del fatto che il soggetto era a stomaco pieno, ha approssimativamente stimato l'acolemia al momento dell'evento ( di poco successivo al pranzo) in valori tra 1,1 e 1,2 gr/I, che potevano implicare una attenuazione della vigilanza e dei tempi di reazione.
Al di là della inevitabile approssimazione di ogni stima, ritiene la Corte che il dato non sia comunque significativo, nel senso conferitogli dalla difesa, e che il fatto che il M.F. avesse bevuto qualche bicchiere di vino al pasto non può certo porsi come causa sopravvenuta di per sé idonea a determinare la sua caduta all'interno della torre.
Deve tra l'altro considerarsi che l'unico a riferire, ed in termini non del tutto convincenti, che il M.F. si mise a correre sul tavolato del terzo piano, per raggiungere il retro della torre ed ivi soddisfare un proprio bisogno fisiologico, è il Bianconi; l'Artemi, che lo coadiuvava da terra e stava preparando i fermapiedi da installare, per inviarglieli poi tramite l'apposita carrucola, nulla ha riferito di ciò, avendo precisato che, dal punto in cui era, neanche vedeva il M.F..
Ma, anche a voler dare per assodato, che M.F. si fosse velocemente spostato sul tavolato, per raggiungere la parte retrostante e rivolgersi verso l'interno della torre, onde soddisfare, non visto, il proprio bisogno di mingere, la sostanza delle cose non cambia, trattandosi comunque di uno spostamento sul tavolato, che, sia pur veloce, non ha nulla di particolare e di imprevedibile.
E non lo ha sia che il lavoratore volesse scendere (ma nessuno dice ciò, asseverando anzi, anche l'Artemi, il contrario, posto che il giovane era da poco salito) sia che volesse semplicemente soddisfare la propria esigenza fisiologica, sia ancora che avesse compiuto quello spostamento in relazione ad una incombenza lavorativa.
In ogni caso la sua caduta fu dovuta al micidiale assetto del piano del ponteggio, del tutto privo di protezione verso l'interno vuoto della torre (oltre che privo della debita scala di collegamento con il piano sottostante).
Il grado di alcolemia, peraltro non tale da comportare un grave stato di ubriachezza, e comunque non costituente una evenienza rara ed impensabile in soggetti dediti ad attività materiali abbastanza pesanti e soliti consumare vino ai pasti, se certamente non ebbe a favorire la prontezza delle reazioni del M.F., non fu comunque la causa della sua caduta.
Questa, infatti, sarebbe stata necessariamente scongiurata dalla presenza degli appositi parapetti e fermapiedi, i quali vi sarebbero dovuti essere se il lavoro fosse stato compiuto a regola d'arte, mettendo in sicurezza ogni piano prima di passare all'altro, come sarebbe dovuto accadere se i due lavoratori fossero stati seguiti da persone vigili e competenti, anziché essere completamente abbandonati a se stessi ed alla esperienza sul campo maturata dal M.F. negli anni precedenti, come dato evincere dalle dichiarazioni dell'Artemi,compagno di lavoro del M.F., ma impiegato in attività di minor impegno e complessità (provvedeva al M.F. il materiale che questi, più esperto, poi montava).
Il fatto che il M.F. non indossasse il casco, di cui, pur essendo stata constatata la presenza nel cantiere, non consta che fosse imposto e preteso l'utilizzo, fu una situazione ulteriormente predisponente al danno.
Va dunque riconosciuta la sussistenza del nesso di causalità.
2.4) Passando alla disamina delle posizioni degli imputati rispetto all'evento risulta di manifesta evidenza la responsabilità del S.C., legale rappresentante della E.C., aggiudicataria dell'appalto, al quale, investito della posizione di garanzia, va ricondotta la responsabilità in relazione ai lavoratori comunque operanti nel cantiere, anche se in esecuzione di un contratto di prestazione di opera, o, come in realtà avvenuto nella specie, di un contratto di subappalto non consentito, in quanto stipulato in assenza della specifica riserva e previsione.
E la sua responsabilità risulta ancor più manifesta qualora si consideri che il materiale per la costruzione del ponteggio, inadatto rispetto all'opera di cui doveva effettuarsi la manutenzione e mancante di parti essenziali per la copertura e protezione dei vuoti (in particolare quelli verso l'interno, cavo, della torre) era stato fornito proprio dalla E.C., che aveva posto a disposizione solo in un secondo momento, tardivamente rispetto alla realizzazione dei piani, gli ulteriori materiali per il completamento e la messa in sicurezza dei medesimi, giunti sino al nono.
E tutto ciò in una situazione in cui i due unici lavoratori addetti al montaggio del ponteggio (M.F. ed Artemi) erano praticamente abbandonati a sé stessi, senza effettive direttive e controlli.
Deve pertanto essere riconosciuta la sua responsabilità per l'omicidio colposo del M.F..
2.5) Parimenti deve riconoscersi sussistente la responsabilità dell'O.G..
La veste del medesimo di direttore dei lavori, rispetto all'opera di risanamento della torre piezometrica, di responsabile dei lavori, di progettista, di coordinatore per la progettazione, di coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di coordinatore responsabile in materia antinfortunistica, è già stata correttamente ricostruita dal giudice di primo grado, con motivazione sul punto precisa e aderente alla documentazione in atti, oltre che al restante materiale probatorio acquisito, e che può quindi richiamarsi.
Giova comunque ribadire come, nella indicata veste di direttore dei lavori, egli avesse sottoscritto, unitamente al legale rappresentante della E.C. ed al responsabile del settore lavori pubblici del Comune di Bastia Umbra, il verbale in data 28/7/1999, di consegna dei lavori, oltre che, quale responsabile dei lavori, la notifica preliminare di inizio.
Di conseguenza, a partire da quel momento, la sua veste di direttore dei lavori, aveva acquisito concretezza ed attualità di contenuti, anche con riferimento alla correlata posizione di garanzia.
Quanto, poi, alla realizzazione del ponteggio a servizio dei lavori di manutenzione della torre, il piano di sicurezza e di coordinamento da lui redatto conteneva il riferimento ad un progetto per opere più alte di 20 metri, che si sarebbe dovuto tenere in cantiere.
A fronte di siffatta situazione, la linea difensiva, è volta a sostenere che, dopo il verbale di consegna dei lavori, la E.C., che aveva contemporaneamente preso in appalto anche i lavori del cimitero, si sarebbe dedicata a quest'ultima opera, subappaltando poi, sebbene non previsto dal contratto e dunque non consentito, alla BM.P., il montaggio del ponteggio nel cantiere relativo alla torre ed omettendo di informare dell'effettivo inizio dei lavori l'O.G., anche perché questi era rappresentante del Comune di Bastia Umbra, committente dei lavori, che si voleva mantenere all'oscuro dell'avvenuto subappalto.
Sennonché risulta di immediata evidenza l'inconsistenza della tesi difensiva, sol che si consideri, come già detto, che l'attualizzarsi della veste e dell'obbligo di vigilanza e direzione dei lavori in capo all'O.G. si era già avuto con il verbale di formale consegna dei lavori.
Emerge inoltre dagli atti che movimenti sul cantiere erano in corso da diversi giorni, allorché ebbe a verificarsi l'infortunio in cui perse la vita il M.F..
Infatti, per quanto riportato dal Bianconi, era iniziato l'allestimento del cantiere almeno una quindicina di giorni prima, e, alla data del 24/9/1999, erano certamente presenti la recinzione e il materiale per la realizzazione del ponteggio, che era stato accatastato sul posto, dove venne visto anche dal teste Tintori.
Si è già detto, inoltre, come, dalle deposizioni testimoniali e dallo stadio raggiunto dall'opera, risulti che il montaggio del ponteggio (sviluppatosi per nove piani e giunto l'altezza massima preventivata), fosse iniziato da non meno di tre giorni.
Anche a voler ritenere non attendibile quanto riferito dal direttore tecnico di cantiere geom. Velotti (prima che la sua deposizione venisse sospesa per il ritenuto emergere di profili di possibile responsabilità penale), il quale ha sostenuto che il progetto del ponteggio venne redatto e formalmente comunicato al direttore dei lavori prima dell'inizio del montaggio, emerge comunque la responsabilità dell'O.G., direttore dei lavori, per la colpevole omissione di quella direzione e di quel controllo che, specificamente, gli competeva, rispetto ai lavori svolgentisi nel cantiere.
Infatti, se egli avesse minimamente seguito l'andamento del cantiere si sarebbe necessariamente accorto di quanto stava accadendo e del fatto che il M.F. e l'Artemi, in pratica abbandonati a sé stessi, stavano realizzando il ponteggio in violazione delle plurime disposizioni antinfortunistiche, in epigrafe richiamate, ed in maniera tale da costruire una struttura divenuta essa stessa, per la sua altezza in assenza delle debite protezioni, fonte di grave pericolo per chiunque vi lavorasse.
E non vale certo a dimostrare il contrario il teste Fruganti, titolare di uno studio tecnico professionale sito vicino alla torre piezometrica, il quale ha riferito che, qualche giorno prima del fatto occorso al M.F., l'O.G. gli disse: "Se ti capita di passare lì e vedi del movimento fammi sapere", ed ha aggiunto: "no io non l'ho avvisato perché non ho visto movimenti" (f 234).
Detta testimonianza, fornisce, al contrario, ulteriore conferma della condotta gravemente colposa dell'O.G., il quale, perfettamente consapevole dell'avvenuta consegna dei lavori e del fatto che questi potevano in ogni momento svolgersi, se ne disinteressò del tutto, al più limitandosi a chiedere a persona, che non aveva alcun rapporto con quel cantiere, una ipotetica segnalazione, se le fosse capitato di passare lì e se avesse visto "del movimento".
Trattasi di mancato adempimento degli obblighi connessi alla direzione dei lavori ed alla sua posizione di garanzia che rende anche a lui riferibili tutte le violazioni alla normativa antinfortunistica realizzatesi e soprattutto il verificarsi dell'evento mortale, che, all'evidenza, egli avrebbe avuto il dovere prima ancora che il potere di evitare, vigilando sul cantiere, dirigendo adeguatamente i lavori ed esigendone l'esecuzione in conformità alla legge.
2.6) Entrambi gli imputati vanno dunque dichiarati responsabili, nelle rispettive qualità, dell'omicidio colposo di M.F..
Ai medesimi possono concedersi le circostanze attenuanti generiche, avuto anche riguardo all' incensuratezza dell'O.G. ed al fatto che i precedenti del S.C. sono assai risalenti nel tempo.
Dette circostanze, nel giudizio di comparazione con l'aggravante, costituita dalle specifiche violazioni della normativa antinfortunistiche contestate, possono essere riconosciute equivalenti, risultando impensabile ed incongrua, data anche la particolare significatività dell'aggravante, la sollecitata valutazione in termini di prevalenza.
Il reato, punito con pena edittale non inferiore nel massimo a 5 anni, non è prescritto, nonostante le opposte argomentazioni della difesa; infatti, in relazione alla pregressa disciplina sulla prescrizione, applicabile nella specie (a fronte di fascicolo pervenuto alla Corte di Appello ed iscritto il 16/9/2005) deve aversi riguardo al termine di prescrizione ordinaria di 10 anni e massima di 15 anni, cui deve aggiungersi il periodo di sospensione necessariamente correlato alla proposta eccezione di incostituzionalità (anni 1 mesi 5 gg. 22).
Pur essendo il fatto risalente nel tempo la prescrizione è, dunque, ancora lontana dal maturare.
Passando alla quantificazione della pena, in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p. e tenuto conto, in particolare, della entità della lesione arrecata al bene protetto dalla norma incriminatrice e del diverso ruolo dei due imputati come sopra ricostruito, si stima equo condannare S.C. alla pena di anni uno di reclusione e O.G. alla pena di mesi 9 di reclusione.
All'O.G., in considerazione dell'incensuratezza e della positiva prognosi formulabile sulla sua condotta futura, può concedersi il beneficio della sospensione condizionale.
In favore del S.C., in relazione alla pena irrogata, può applicarsi, dato il titolo ed il tempo del commesso reato, l'indulto concesso con L. 241/2006.
Gli imputati debbono essere condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali dei due gradi di giudizio.
Il S.C. e l'O.G. vanno altresì condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, non disponendosi di tutti i dati che necessiterebbero alla relativa quantificazione.
Ricorrono peraltro gli estremi, in relazione alla parte di danno che può ritenersi già provata, per riconoscere, ponendola a carico solidale degli imputati, una provvisionale esecutiva ex lege di 30.000,00 ciascuno, in favore di M.B. e V.L., genitori del deceduto M.F., e di € 15.000,00 ciascuno, in favore di M.G. e M.T., fratelli del medesimo.
Gli imputati vanno infine condannati alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalle costituite parti civili per i due gradi di giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 605 e 592 c.p.p.,
in riforma della sentenza emessa in data 24/1/2005 dal Tribunale di Perugia-Sezione Distaccata di Assisi nei confronti di S.C. ed O.G., appellata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia e dalle costituite parti civili,
DICHIARA
S.C. ed O.G. colpevoli del reato loro ascritto, e, concesse ad entrambi le circostanze attenuanti generiche equivalenti,
CONDANNA
S.C. alla pena di anni uno di reclusione ed O.G. alla pena di mesi nove di reclusione, oltre che entrambi in solido al pagamento delle spese processuali dei due gradi di giudizio;
pena sospesa per l'O.G.;
pena condonata ex L. 241/2006 per il S.C.;
visti gli artt. 598, 538 e ss c.p.p.,
CONDANNA
altresì gli imputati, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, danni da liquidarsi in separata sede;
ASSEGNA
in favore delle medesime parti civili ed a carico solidale degli imputati una provvisionale, esecutiva ex art. 605 co. 2 c.p.p., di E 30.000,00 ciascuno quanto a M.B. e V.L. e di 15.000,00 ciascuno quanto a M.G. e M.T.;
CONDANNA
infine il S.C. e l'O.G., in solido, alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalle parti civili, che liquida, per entrambi i gradi di giudizio, quanto a M.B. e V.L., in complessivi € 8.400,00, e, quanto a M.G. e M.T. in complessivi € 8.400,00, oltre rimborso forfetario, IVA e CNA come per legge.
Assegna il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione della sentenza.
Perugia, 30/9/2008
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