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 Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 28 novembre 2008 (dep. 23 dicembre 2008), n. 47803

Le Sezioni Unite risolvono il contrasto: niente spese alla parte civile in caso di patteggiamento in fase di indagini

 

(omissis)
Fatto
1. Con decreto in data 16 agosto 2005 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere fissava udienza camerale ai sensi dell’art. 447 c.p.p. per decidere sulla richiesta di applicazione della pena presentata da S. D. successivamente alla notifica al medesimo dell’avviso di conclusioni delle indagini nel procedimento in cui era indagato per i reati di omicidio colposo, lesioni colpose e omissione di soccorso alle vittime di incidente stradale.

Il Giudice avvisava della fissazione dell’udienza, oltre all’imputato e ai suoi difensori, anche le persone offese, le quali, comparse in udienza, presentavano atto di costituzione di parte civile nei confronti del D.

La difesa dell’imputato eccepiva l’irritualità della richiesta, osservando non essere consentita la costituzione di parte civile nella udienza ex art. 447 c.p.p., e chiedeva quindi l’esclusione delle suddette parti.

Il Giudice respingeva con ordinanza detta eccezione, ritenendo l’ammissibilità della costituzione di parte civile “nel procedimento di richiesta di applicazione della pena anche ai soli fini del riconoscimento delle spese”.

Quindi, con la sentenza in epigrafe, il Giudice applicava la pena concordata tra le parti, ponendo a carico dell’imputato “le spese sostenute per il giudizio dalle parti civili”, liquidate come da nota.

2. Avverso la sentenza e l’ordinanza di cui sopra i difensori dell’imputato, avvocati C. C. e S. D., hanno proposto appello, depositato il 6 marzo 2006.

In data 1° dicembre 2006, la Corte di appello di Napoli ha trasmesso gli atti alla Corte di cassazione, rilevando che la sentenza impugnata non era appellabile.

3. Con la impugnazione si chiede in via principale l’esclusione delle parti civili e, conseguentemente, l’annullamento della sentenza “nella parte in cui condanna l’imputato al pagamento delle spese legali sostenute, per la costituzione di parte civile, dalle persone danneggiate dal reato”; o, in subordine, la compensazione totale delle spese.

A sostegno delle proprie richieste il ricorrente denuncia l’illegittimità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di esclusione delle parti civili, ricordando come numerose pronunzie di legittimità abbiano affermato l’inammissibilità della costituzione di parte civile nell’udienza camerale fissata ex art. 447 c.p.p. per l’instaurazione del contraddittorio sulla richiesta di patteggiamento presentata nel corso delle indagini preliminari.

In proposito il ricorrente evidenzia che l’art. 447 c.p.p., diversamente da quanto prescritto dall’art. 419 c.p.p. per l’udienza preliminare, non prevede che sia dato avviso della fissazione dell’udienza camerale alla persona offesa dal reato, e che l’art. 79 del codice di rito consente la costituzione di parte civile per l’udienza preliminare, tale non potendo essere qualificata l’udienza ex art. 447 c.p.p., finalizzata esclusivamente alla decisione sulla richiesta di patteggiamento.

4. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta del 29 dicembre 2006, concludeva per l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni relative alle parti civili, rilevando che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la costituzione di parte civile non è consentita nell’udienza prevista dall’art. 447 c.p.p. in ragione del fatto che la stessa è destinata esclusivamente a una conclusione processuale incompatibile con l’esercizio dell’azione civile.

5. Per la trattazione del ricorso, assegnato alla Quarta Sezione penale, veniva fissata l’udienza in Camera di consiglio del 10 luglio 2008, previa nomina dell’avv. G. d. S. P. quale difensore d’ufficio dell’imputato, che risultava assistito da due difensori di fiducia (avvocati C. C. e S. D.) non iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione.

Successivamente alla notifica dell’avviso relativo a detta udienza, l’imputato faceva pervenire alla Cancelleria la nomina quale difensore di fiducia dell’avv. A. C., cassazionista.

6. Con ordinanza emessa all’esito della riferita udienza camerale, la Quarta sezione, rilevato un contrasto di giurisprudenza circa l’ammissibilità della costituzione di parte civile per la udienza fissata ex art. 447 c.p.p., ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite, a norma dell’art. 618 c.p.p.

In particolare nella ordinanza si osserva come, secondo un primo orientamento, non può riconoscersi il diritto alla costituzione di parte civile in tale udienza dato che un siffatto diritto sorge solo con l’udienza preliminare, mentre quella di cui all’art. 447 c.p.p. è una udienza che si colloca nella fase delle indagini preliminari, tanto è vero che non è previsto che di essa sia dato avviso alla persona offesa.

La riprova di tale impostazione deriverebbe, su un piano sostanziale, dalla incompatibilità dell’esercizio dell’azione civile in una udienza destinata a una conclusione processuale comunque non idonea al soddisfacimento della pretesa civilistica.

Secondo altro orientamento, invece, non sussisterebbero ragioni per discriminare la partecipazione della parte civile al rito speciale a seconda che lo stesso si instauri nel corso delle indagini preliminari piuttosto che nella fase processuale in senso stretto, trattandosi di diverse modalità di celebrazione dello stesso rito.

Giustificherebbe quest’ultimo indirizzo il rilievo, ritenuto preminente, per cui il diritto della parte civile a vedersi rimborsate le spese di costituzione anche nell’ipotesi in cui l’imputato abbia patteggiato la pena è stato affermato da Corte Cost. con sent. n. 443 del 1990; e la considerazione, inoltre, che la parte civile vanterebbe comunque un interesse ad interloquire sulle questioni rimesse al giudice nel rito speciale, da cui potrebbe derivare un pregiudizio del proprio diritto.

7. Nell’imminenza della udienza odierna, il Procuratore generale ha rassegnato ulteriori considerazioni a sostegno delle richieste precedentemente formulate.

Diritto
1. Va preliminarmente osservato che l’atto di impugnazione, denominato “appello”, ed esattamente qualificato come ricorso per cassazione dalla Corte di appello di Napoli a norma dell’art. 568 comma 5 c.p.p., rivolgendosi contro un provvedimento inappellabile (art. 448 comma 2 c.p.p.), deve ritenersi proposto personalmente dall’imputato, in virtù della sottoscrizione apposta da questo alla nomina a difensori, vergata in calce all’atto, degli avvocati C.C. e S.D., non iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, i quali figurano formalmente come estensori del ricorso, solo da essi firmato.

Infatti, la dichiarazione di nomina, che segue immediatamente sullo stesso foglio la firma di detti avvocati, con sottoscrizione da loro autenticata, ha un implicito ma evidente valore di condivisione della dichiarazione e dei motivi di ricorso, che quindi devono giuridicamente ritenersi essere stati fatti propri dall’imputato, il quale in tal modo se ne è assunto la paternità.

Non possono dunque essere condivise le decisioni di questa Corte (cfr. Sez. III, 8 aprile 1999, Legina; Sez. I, 21 novembre 1997, Berardi) che, dando rilievo preminente alla forma espressiva, hanno affermato che una simile dichiarazione di nomina in calce all’atto ha valore autonomo e non può essere considerata anche come esercizio della facoltà di impugnazione personale (ex art. 571 c.p.p.).

Invero, l’esigenza del rigido rispetto delle forme che ragionevolmente ispira la disciplina delle impugnazioni non può costituire un ostacolo alla interpretazione della reale intenzione della parte, ove questa sia, come nella specie, individuabile in base a scopo e contesto della comunicazione; altrimenti venendosi a mortificare senza ragione il favor impugnationis, che, nelle situazioni obbiettivamente incerte, rappresenta un criterio-guida altrettanto ineludibile per l’interprete, come più volte affermato da questa Corte (per tutte, Sez. un., 12 ottobre 1993, Balestriere; Sez. VI, 1° marzo 1995, Marino).

Il caso in esame risponde d’altro canto alla stessa ratio correttamente posta a base della sentenza Sez. III, 16 ottobre 1998, Sturaro, secondo cui, quando il ricorso sia stato sottoscritto da un avvocato non cassazionista, ma esso rechi anche la firma dell’imputato, deve ritenersi che in tal modo quest’ultimo ne abbia fatto propri i motivi.

Con ciò viene dunque a superarsi il profilo di inammissibilità del ricorso che deriverebbe, ex art. 613 comma 1 c.p.p., se esso (pur quando erroneamente proposto come appello: v. Sez. un., 28 aprile 2004, Terkuci) fosse riconducibile esclusivamente ad avvocati non iscritti nell’albo speciale.

2. Va dunque esaminata la questione di diritto devoluta alle Sezioni unite, che può essere riassunta nei seguenti termini: “se sia ammessa la costituzione di parte civile nell’udienza fissata a seguito di presentazione, nel corso delle indagini preliminari, della richiesta di applicazione della pena, con conseguente potere del giudice di provvedere sulle spese della relativa costituzione”.

3. Come osservato dalla ordinanza di rimessione, sul punto si registrano due contrastanti orientamenti nell’ambito della giurisprudenza di legittimità.

3.1. A sostegno del primo orientamento, maggioritario, si osserva generalmente che non è consentita la costituzione di parte civile nella udienza fissata nel corso delle indagini dal g.i.p., ex art. 447 c.p.p., ai fini della decisione sulla richiesta di applicazione della pena, dato che la costituzione di parte civile può avvenire solo per l’udienza preliminare o, al più tardi, in limine al dibattimento (art. 79 comma 1 c.p.p.), tanto che l’art. 447 c.p.p. non contempla l’avviso alla persona offesa di detta udienza, in cui del resto la presenza del pubblico ministero e del difensore dell’imputato è facoltativa; e che le aspettative della parte civile non potrebbero mai essere pregiudicate in tale contesto, in cui il thema decidendum riguarda solo l’accoglibilità della richiesta di pena patteggiata, prospettiva che, comunque risoltasi, non interferisce con le ragioni del danneggiato dal reato, che le può coltivare in sede civile (artt. 444 comma 2, ultimo periodo, 651, 652 c.p.p.) ovvero nel prosieguo dello stesso procedimento penale, qualora la richiesta di applicazione di pena sia rigettata. Sicché non può trovare applicazione la previsione dell’art. 444 comma 2, penultimo periodo, c.p.p., che, nel recepire il portato della sentenza della Corte cost. n. 443 del 1990, si limita a stabilire il diritto della parte civile già costituitasi nell’udienza preliminare alla rifusione delle spese processuali sostenute nell’aspettativa di un rinvio a giudizio dell’imputato (v. Sez. V, 25 novembre 1993, Russo; Sez. V, 11 gennaio 2002, Donaer; Sez. V, 17 ottobre 2002, Rinaldi; Sez. III, 22 gennaio 2004, Martini; Sez. V, 5 aprile 2004, Schipilliti; Sez. IV, 15 aprile 2004, Caputo; Sez. V, 22 aprile 2005, Correnti; Sez. F, 6 settembre 2005, Lagnena; Sez. V, 13 giugno 2006, Verza; Sez. VI, 30 ottobre 2006, Motta; Sez. III, 15 novembre 2006, n. 40428; Sez. VI, 4 dicembre 2006, Chabbi Oualid; Sez. IV, 28 giugno 2007, Biagioli).

3.2. Le decisioni che si collocano sull’altro versante interpretativo (il quale, contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione, non trova alcun plausibile aggancio nella sentenza delle Sez. un. 19 maggio 1999, Pediconi), notano, con varie accentuazioni, che anche nel contesto delineato dall’art. 447 c.p.p. si verifica una forma di esercizio dell’azione penale, e dunque, data la generale previsione dell’art. 444 comma 2 c.p.p., che deriva storicamente dal portato della sentenza Corte cost. n. 443 del 1990, sarebbe arbitrario discriminare, quanto alle spese sostenute dalla parte civile, l’udienza fissata a norma di tale disposizione rispetto all’udienza preliminare, atteso che detta parte, a fronte di una richiesta di applicazione di pena, ha interesse a interloquire su ogni aspetto affidato alla valutazione giudiziale dal quale possa derivare un pregiudizio al diritto al risarcimento del danno, sia pure da fare valere in altra sede; essendo peraltro da ritenere legittima la costituzione di parte civile anche prima dell’udienza preliminare, come ricavabile proprio dalla lettera dell’art. 79 comma 1 c.p.p., che non individuerebbe affatto un termine ante quem la costituzione non sia consentita (Sez. V, 18 novembre 1992, Marani; Sez. II, 22 febbraio 1999, Volterra; Sez. V, 7 maggio 2004, Merighi; Sez. II, 28 settembre 2006, Romano; Sez. V, 8 maggio 2007, Albicini; Sez. II, 24 gennaio 2008, Morelli; Sez. III, 26 marzo 2008, Rosa; Sez. V, 28 maggio 2008, Donvito; Sez. V, 28 maggio 2008, Borrega).

4. E’ il caso, innanzi tutto, di ricordare che, stando ai dati normativi, le ragioni risarcitorie del danneggiato dal reato non possono trovare ascolto nel giudizio di applicazione della pena su richiesta; e che l’art. 444 comma 2 c.p.p., nel recepire il portato della sentenza della Corte costituzionale n. 443 del 1990, si limita a stabilire il diritto della parte civile già costituitasi nell’udienza preliminare, e cioè in un momento processuale antecedente alla introduzione di questo speciale rito, alla rifusione delle spese processuali sostenute.

5. La Corte costituzionale era partita dalla constatazione dell’accentuato favore riservato dal codice del 1988 - improntato al sistema accusatorio e alla scelta di privilegiare le esigenze di speditezza del processo penale - alla separazione dell’azione civile spettante al danneggiato dal reato rispetto al processo penale a carico del soggetto che, con il reato, tale danno aveva in ipotesi provocato.

Aveva però considerato che la non censurabile scelta del legislatore di inibire al giudice che pronuncia sentenza di applicazione di pena su richiesta di decidere sulla domanda proposta dalla parte civile che si sia eventualmente costituita - con la conseguente via libera all’esperibilità dell’azione civile in sede propria, stante l’inapplicabilità in questo caso dell’ostacolo posto dall’art. 75 comma 3 c.p.p. (art. 444 comma 2 c.p.p.) - non implicava la ragionevolezza della preclusione a una pronuncia su un oggetto “non così strettamente collegato alla sentenza di condanna per la responsabilità civile”, quale quello sulle “spese processuali sostenute dalla parte civile”; ché anzi tale preclusione doveva considerarsi “priva di qualsiasi giustificazione”, posto che la mancata decisione sull’azione civile derivava, nella fattispecie qui considerata, da “una scelta tra le parti del rapporto processuale penale favorevolmente valutata dal giudice” che lasciava fuori il danneggiato dal reato, sino al “paradosso” di mantenere a carico di quest’ultimo “anche le spese incontrate per iniziative o attività rivelatesi decisive nell’indurre l’imputato a richiedere o consentire il rito speciale”.

6. La sentenza della Corte costituzionale non aveva mancato di sollevare perplessità in alcuni commentatori, i quali avevano osservato che essa, ponendo a carico dell’imputato patteggiante le spese sopportate dalla parte civile, postulava una “soccombenza virtuale” sulla responsabilità civile (suscettibile anche di essere ribaltata all’esito dell’eventuale giudizio di danno), che non poteva considerarsi neppure fondata su imprescindibili esigenze di giustizia sostanziale, posto che la stessa Corte, intervenendo successivamente su analoga questione, relativa alla mancata previsione della condanna dell’imputato nei cui confronti fosse stata pronunciata sentenza di estinzione del reato per intervenuta oblazione al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, aveva affermato che “in applicazione dei principi generali in materia, ben potrà il giudice civile, adito dal soggetto danneggiato dal reato, condannare il convenuto, nella sentenza che accoglie la domanda di risarcimento del danno, anche al rimborso delle spese sostenute da detto soggetto nel processo penale conclusosi con sentenza di non doversi procedere, e ciò in quanto le spese medesime rientrano nell’ambito del danno subito” (Corte cost., ord. n. 73 del 1993).

7. A prescindere da ciò, resta fermo che la sentenza n. 443 del 1990 si fondava sulla esigenza (meramente equitativa) di tenere indenne dalle spese già sostenute il danneggiato dal reato che avesse legittimamente esercitato l’azione civile nel processo penale in vista del risarcimento del danno, costituendosi “per l’udienza preliminare o successivamente”, e cioè in una situazione processuale che legittimasse la sua aspettativa a che il processo potesse concludersi, appunto, con la condanna dell’imputato al risarcimento del danno, dato che ciò la costituzione di parte civile necessariamente implica (art. 74 c.p.p.).

8. E’ il caso peraltro di precisare che con l’espressione “per l’udienza preliminare” (art. 79 comma 1 c.p.p.), si è inteso solo stabilire, come reso palese dal suo significato letterale, che “il danneggiato non debba necessariamente attendere l’inizio di tale udienza per costituirsi parte civile” (v., in questi termini, Relazione al Progetto preliminare, p. 37-38), essendo comunque tale costituzione finalizzata alla partecipazione all’udienza preliminare. Perciò detta espressione non autorizza a ritenere che la costituzione possa avvenire in una udienza di altra natura, a questa precedente.

9. Quello che però più conta osservare è che nella speciale udienza fissata nel corso delle indagini, a norma dell’art. 447 c.p.p., il danneggiato dal reato, conoscendo in partenza l’oggetto del giudizio, ristretto alla decisione circa l’accoglibilità della richiesta di applicazione di pena su cui è intervenuto il patteggiamento tra imputato e pubblico ministero, non ha ragioni giuridiche per costituirsi parte civile. E ciò a prescindere dal rilievo formale, ma significativo, di cui si è detto, per il quale la costituzione di parte civile è ammessa solo per l’udienza preliminare o, successivamente, per il giudizio di merito, tanto che l’art. 447 c.p.p., a differenza di quanto previsto per l’udienza preliminare (art. 419 comma 1 c.p.p.) non contempla la formalità dell’avviso di udienza alla persona offesa dal reato.

Del resto, in tale udienza la stessa presenza delle parti necessarie del rapporto processuale penale (difensore dell’imputato e pubblico ministero) è meramente eventuale (art. 447 comma 2 c.p.p.), diversamente, appunto, da quanto previsto per l’udienza preliminare (art. 420 comma 1 c.p.p.), sicché ammettendo in via di mera ipotesi la possibilità del danneggiato di costituirsi parte civile direttamente in udienza, la sua domanda potrebbe non essere nemmeno conoscibile dall’imputato, e cioè dal soggetto nei cui confronti essa unicamente si rivolge.

10. Non paiono idonei a contrastare l’assunto della incompatibilità logico-giuridica della costituzione di parte civile con l’udienza fissata ex art. 447 c.p.p. gli ulteriori argomenti addotti dall’opposto orientamento.

E’ irrilevante che anche con la fissazione della udienza in questione si abbia, come comunemente si ritiene, una forma di esercizio dell’azione penale, giacché, stando ai dati normativi, non vi è corrispondenza biunivoca tra esercizio dell’azione penale e possibilità di costituzione di parte civile; come impone logicamente, ancor prima che giuridicamente, la considerazione per cui l’esercizio dell’azione penale legittima l’azione civile in sede penale solo se uno almeno tra i prevedibili sviluppi processuali accrediti l’aspettativa del danneggiato a ottenere una condanna dell’imputato al risarcimento del danno a norma degli artt. 185 c.p. e 538 c.p.p.

L’argomento, poi, che si fonda sull’interesse della parte civile a contrastare la richiesta di pena patteggiata, posto che questa frustrerebbe l’aspettativa risarcitoria in sede penale, dà per dimostrato quello che dovrebbe dimostrarsi: e cioè che anche a tale limitato fine, di portata meramente inibitoria, sia consentita una costituzione di parte civile.

In ogni caso, si tratterebbe di interesse di mero fatto riconducibile al danneggiato dal reato in quanto tale, dato che la scelta del legislatore, improntata al favor separationis, di cui si è detto, rende impermeabile alle aspettative del danneggiato la scelta dell’imputato di optare per il rito speciale. E ciò avviene non solo a proposito dell’istituto del patteggiamento, ma anche in altri casi, come quando l’imputato non si opponga al decreto penale o solleciti il giudice ad ammetterlo alla oblazione ovvero richieda il giudizio abbreviato, dandosi in quest’ultimo caso facoltà alla parte civile di uscire dal processo (art. 441 comma 4 c.p.p.).

13. Va dunque affermato il principio di diritto secondo cui nella udienza avente ad oggetto la richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini, ex art. 447 c.p.p., non è ammessa la costituzione di parte civile, e pertanto è illegittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute dal danneggiato dal reato la cui costituzione quale parte civile sia stata ammessa dal giudice, nonostante tale divieto.

Un simile principio va esteso, per la stessa ratio, alle udienze fissate per l’applicazione della pena a norma dell’art. 464 c.p.p. (a seguito di opposizione a decreto penale) e degli artt. 446 comma 1, ult. periodo, e 458 comma 1 c.p.p. (a seguito di decreto di giudizio immediato).

14. Consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nel punto relativo alla condanna dell’imputato al rimborso delle spese in favore delle parti civili.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nel punto relativo alla condanna dell’imputato al rimborso delle spese in favore delle parti civili

 

 

 
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