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 Alberto Cianfarini, Appalto e subappalto di prestazioni di lavoro: le vecchie condotte ancora reato, nonostante il decreto 10 settembre 2003, n. 276 cd. Biagi

Com’è noto l’articolo 1 della legge 1369 del 1960 recitava: “ è vietato all'imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono.
E' altresì vietato all'imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari.
E' considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all'appaltante.
Le disposizioni dei precedenti commi si applicano altresì alle aziende dello Stato ed agli enti pubblici, anche se gestiti in forma autonoma, salvo quanto disposto dal successivo art. 8.
I prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.
La sanzione avverso tale comportamento era prevista dall’art.2 il quale comminava all'imprenditore e all'appaltatore o altro intermediario l'ammenda di lire 10.000 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione, ferma restando l'applicabilità delle sanzioni penali previste per la violazione della legge 29 aprile 1949, n. 264[1] e delle altre leggi in materia.
La giurisprudenza evidenziava come l'interposizione illecita di manodopera fosse sussistente qualora l'organizzazione imprenditoriale dell'appaltatore si esaurisse nella mera gestione del personale, senza fornire autonomo risultato produttivo, quindi nella  messa a disposizione di manodopera all’appaltante. (Cass. 30/10/2002, n. 15337, Pres. Mileo, Est. Toffoli, in Foro it. 2003 parte prima, 815; Cass. 10/10/2002, n. 15337, Pres. Mileo, Est. Toffoli, in Riv. it. dir. lav. 2003, 254, con nota di Anna Valentina D'Oronzo, Sulla distinzione tra interposizione ed appalto di servizi a carattere continuativo; Cass. 22/8/2003 n. 12363, Pres. Trezza Est. Balletti, in Foro it. 2003, parte prima, 2942)[2].
Il decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276[3] all’art.85 recita:
dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogati:
a) l'articolo 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264;
b) l'articolo 2, comma 2, e l'articolo 3 della legge 19 gennaio 1955, n. 25;
c) la legge 23 ottobre 1960, n. 1369;
d) l'articolo 21, comma 3 della legge 28 febbraio 1987, n. 56;
e) gli articoli 9-bis, comma 3 e 9-quater, commi 4 e 18, quest'ultimo limitatamente alla violazione degli obblighi di comunicazione, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608;
f) gli articoli da 1 a 11 della legge 24 giugno 1997, n. 196;
g) l'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 72;
h) l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442;
i) tutte le disposizioni legislative e regolamentari incompatibili con il presente decreto.
Per quanto sopra si è posto, quindi, il problema di verificare se il reato di cui all’art. 1 della legge 1369 del 1960 fosse, effettivamente, abrogato o se esso sussistesse ancora nella veste di qualche altra disposizione del decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
A tale proposito l’art.18 del decreto, alla rubrica sanzioni penali,  recita:
“L'esercizio non autorizzato delle attività di cui all'articolo 4, comma 1, e' punito con la sanzione dell'ammenda di Euro 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. L'esercizio abusivo della attività di intermediazione e' punito con la pena dell'arresto fino a sei mesi e l'ammenda da Euro 1.500 a Euro 7.500. Se non vi e' scopo di lucro la pena e' della ammenda da Euro 500 a Euro 2.500. Se vi e' sfruttamento dei minori, la pena e' dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda e' aumentata fino al sestuplo. Nel caso di condanna, e' disposta in ogni caso la confisca del mezzo di trasporto eventualmente adoperato per l'esercizio delle attività di cui al presente comma.
 Nei confronti dell'utilizzatore che ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), ovvero da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), o comunque al di fuori dei limiti ivi previsti, si applica la pena dell'ammenda di Euro 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi e' sfruttamento dei minori, la pena e' dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda e' aumentata fino al sestuplo.
La violazione degli obblighi e dei divieti di cui agli articoli 20, commi 1, 3, 4 e 5, e 21, commi 1, 2, nonché per il solo somministratore, la violazione del disposto di cui al comma 3 del medesimo articolo 21 e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 250 a Euro 1.250.
Fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 11, comma 2, chi esiga o comunque percepisca compensi da parte del lavoratore per avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione e' punito con la pena alternativa dell'arresto non superiore ad un anno o dell'ammenda da Euro 2.500 a Euro 6.000. In aggiunta alla sanzione penale e' disposta la cancellazione dall'albo………………
La Suprema Corte, con la sentenza n. 3714 ud. 10/12/2004[4], ha chiarito che  il decreto cd. Biagi, pur avendo espressamente abrogato le disposizioni precedenti, non ha depenalizzato le condotte contravvenzionali di cui alla legge 23 ottobre 1960, n. 1369 realizzandosi, piuttosto, una   “abrogatio sine abrogatione”.
Il decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 non ha, quindi, introdotto una totale deregolamentazione della materia ma ha, unicamente,  aumentato le deroghe alle attività di intermediazione del lavoro le quali,  senza le autorizzazioni di legge, rimangono comunque attività illecite anche per la nuova normativa[5].
Il pregio della sentenza è anche quello di aver posto in evidenza un pregevole aspetto della recente normativa la quale, recependo i consolidati approdi giurisprudenziali[6], ha chiarito, all’art.29 comma 1°, la ontologica differenza tra l’intermediazione vietata e il contratto d’appalto: “il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché  per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa”.
Tornando agli aspetti più propriamente penalistici per il quantum di pena si applicherà il disposto di cui all’art. 2 comma 3° del c.p., il quale prevede che si applichi, oggi, la sanzione di euro 5[7] piuttosto della vecchia e più severa sanzione di lire 10.000.
Anche recentemente la Suprema Corte[8] è tornata di nuovo sul punto, precisando che la normativa del decreto cd. Biagi si pone in continuità normativa con la legge 1369\60 cosicché è reato sia chi, in vigore della precedente normativa, esercitava attività di somministrazione non autorizzata di lavoro, sia colui il quale compie -  oggi - le condotte previste dall’art.18 legge  comma 1, primo periodo, e comma 2 primo periodo, D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, in quanto solo alcuni fatti[9] puniti dalla legge abrogata non costituiscono più reato secondo la legge sopravvenuta (Cass. 26/1/2004 n. 2583, Pres. Raimondi Est. Onorato, in Dir. e prat. lav. 2004, 713).
La legge cd. Biagi, inoltre, prevede altre fattispecie penali: l’art.18, infatti, prevede addirittura pene detentive qualora l’attività di intermediazione non sia solo non autorizzata ma “abusiva[10]”: in questo caso l’attività di intermediazione e' punita con la pena dell'arresto fino a sei mesi e con  l'ammenda da Euro 1.500 a Euro 7.500.
Se non sussiste lo scopo di lucro la pena e'  ridotta alla sola ammenda da Euro 500 a Euro 2.500[11].
Se vi e' sfruttamento dei minori, la pena e' dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda e' aumentata fino al sestuplo[12].
Speculari pene sono previste per l’utilizzatore dei lavoratori.
Molto utile ed incisa (nonché ampiamente sperimentata in altre materie ad es. la normativa sugli stupefacenti) la pena accessoria, nel caso di condanna, della confisca obbligatoria del mezzo di trasporto, eventualmente adoperato per l'esercizio delle attività di intermediazione vietata[13]. Si tratta del triste e diffuso fenomeno del caporalato svolto con mezzi di trasporto, solitamente di proprietà dell’intermediatore: quest’ultimo – con tale pena accessoria – perderà la proprietà del mezzo in caso di condanna.
Per non tediare il lettore poche riflessioni finali in ordine alla capacità della norma a svolgere la sua funzione generalpreventiva; la fattispecie del reato base è sanzionata con la sola ammenda e, quindi,  la prescrizione ex art. 157 c.p. 1°c. n.6 è di anni due. Sebbene la condanna, alla sola ammenda, non sia appellabile ex art.593 c.p.p. riuscirà il nostro sistema processuale a svolgere la sua funzione cognitiva-repressiva in quelle zone del Paese ove è più frequente tale genere di reato?.
- dott. Alberto Cianfarini - Pubblico ministero in Palmi (giugno 2005)
(riproduzione riservata)

[1] Legge 29 aprile 1949, n. 264 . Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati .
[2] si veda per il riferimento bibliografico www.di-elle.it rivista telematica di diritto del lavoro, alla voce appalto di mano d’opera
[3] "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 235 del 9 ottobre 2003 - Supplemento Ordinario n. 159
 [4] Sentenza n. 3714 del 10 dicembre 2004 - depositata il 3 febbraio 2005
(Sezione Terza Penale -  Presidente G. Savignano, Relatore A. Fiale)
 [6] negli appalti che richiedono uno scarso apporto di mezzi produttivi, è l'elemento della preposizione all'organizzazione del lavoro (direzione del personale, scelta delle modalità e dei tempi di lavoro) a tracciare la linea di demarcazione tra appalto genuino ed interposizione vietata. (Corte d'appello Firenze 24/9/2003, Pres. Drago Est. Amato, in D&L 2004, con nota di Lisa Giometti, "L'interposizione vietata secondo la L. 1369/1960: coordinate essenziali della contrapposizione tra appalti leciti ed illeciti". Per il riferimento bibliografico www.di-elle.it rivista telematica di diritto del lavoro, alla voce appalto di mano d’opera già indicata alla nota 2
[7] per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro.
[8] Sentenza n. 15579 del 1° febbraio 2005 - depositata il 26 aprile 2005 Sezione Prima Penale, Presidente M. Sossi, Relatore G. De Nardo.
[9] le somministrazioni di lavoro da parte di agenzie private abilitate e nei casi consentiti
[10] senza autorizzazione deve intendersi – a norma delle definizioni di cui all’art-2 della legge – la mancanza di quel  provvedimento amministrativo mediante il quale lo Stato abilita operatori, pubblici e privati, le cd. agenzie per il lavoro, allo svolgimento delle attività di intermediazione: a contrario, se non si è in presenza degli elementi costitutivi di un’agenzia, l’attività eventualmente svolta è comunque non autorizzabile e ,quindi, abusiva e sottoposta alla pena detentiva (arresto).
[11] interessante notare, per quanto concerne la tecnica di scritturazione delle norme penali, come la ipotesi attenuata  sia posta in successione alla fattispecie più grave: tale tecnica impedisce al giudice di concedere le generiche equivalenti ex art. 62 bis c.p., con la, quasi sempre, conseguenza della  costante applicazione della ipotesi attenuata risultante dal bilanciamento delle generiche e dell’aggravante: ipotesi contraria classica è l’art.349 c.p. con la fattispecie aggravata del reato commesso dal custode.
[12] Si veda la nota 11: in questo caso (lo sfruttamento dei minori è un’aggravante dell’ipotesi base) ritorniamo alla formulazione classica dell’aggravante, sempre bilanciabile, ritengo  dallo scarso effetto generalpreventivo.
[13] Tale confisca del mezzo consente, com’è noto, la richiesta del sequestro preventivo nel corso delle indagini.
 
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