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 Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 26 giugno 2008 (dep. 23 settembre 2008), n. 36359

Intercettazioni telefoniche. Legittimo l'ascolo "remotizzato", presso i locali della Polizia Giudiziaria, dei materiali acquisiti in Procura mediante impianti ivi esistenti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 - Il Tribunale di Bologna con ordinanza del 19 settembre 2007 rigettava l’appello ex art. 310 cod. proc. pen. presentato da C. M. avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca degli arresti domiciliari, emesso in data 9 luglio 2007 dal G.i.p. del Tribunale di Ferrara.

Come risulta dagli atti trasmessi, l’originaria istanza di revoca della misura cautelare era stata presentata sul rilievo dell’asserita insussistenza di gravi indizi di colpevolezza a sostegno delle contestazioni cautelari, muovendo dalla prospettata inutilizzabilità degli esiti delle operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale che costituivano l’esclusivo corredo probatorio del provvedimento restrittivo. In proposito la difesa dell’indagato aveva infatti eccepito la violazione dell’art. 268, commi primo e terzo, cod. proc. pen., evidenziando come la registrazione dei colloqui e la verbalizzazione delle operazioni esecutive fossero state compiute non già presso la Procura della Repubblica, bensì nei locali dell’ufficio dei Carabinieri delegati alle indagini, senza la preventiva autorizzazione da parte del pubblico ministero.

Il G.i.p. aveva rigettato l’istanza, rilevando la piena utilizzabilità delle intercettazioni, posto che le stesse erano state eseguite con il metodo della “remotizzazione”, da ritenersi compatibile con le modalità indicate nelle disposizioni richiamate dall’istante. Ciò posto, il giudice aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora nel comune di Comacchio con divieto di uscita notturna

Avverso il provvedimento del G.i.p. l’indagato aveva proposto appello ex art. 310 cod. proc. pen., ribadendo i motivi devoluti all’esame del primo giudice e deducendo, in aggiunta, la lacunosità della motivazione del provvedimento impugnato quanto alla persistenza delle esigenze cautelari.

Il Tribunale di Bologna, come detto, confermava il provvedimento del G.i.p., rilevando innanzi tutto la non veridicità dell’asserzione difensiva secondo cui la registrazione delle intercettazioni si sarebbe svolta negli uffici della polizia giudiziaria siti in Comacchio, anziché nei locali della Procura della Repubblica di Ferrara, ed evidenziando come risultasse agli atti che le postazioni presenti negli uffici di Procura, sulle quali era stata operata la deviazione del flusso delle comunicazioni, erano «talvolta indicate con il relativo numero identificativo, talaltra con quello telefonico preceduto dal prefisso di Ferrara», il quale, risultando diverso da quello di Comacchio, costituiva un dato idoneo a dimostrare l’assunto.

Il Tribunale evidenziava altresì che nel corso della discussione dell’appello il difensore aveva ulteriormente eccepito come le conversazioni intercettate fossero state scaricate dai server della Procura su supporti informatici. Al riguardo, il Tribunale negava rilevanza a questo argomento, poichè l’eventuale trasposizione in CD-ROM delle registrazioni effettuate sul server della Procura, costituendo mera riproduzione di dati già acquisiti nei locali del medesimo uficio nel pieno rispetto delle garanzie di legge, non integra alcuna violazione del disposto di cui all’art. 268, commi primo e terzo, del codice di rito.

Il provvedimento dei giudici dell’appello concludeva sottolineando come in definitiva nel caso in esame si trattasse di una mera “remotizzazione” del solo ascolto presso uffici di polizia esterni a quelli della Procura della Repubblica dove era stata regolarmente svolta la registrazione delle conversazioni intercettate; attività, quella di “remotizzazione” dell’ascolto, da considerarsi compatibile con il dettato delle norme processuali in materia (ed a sostegno dell’affermazione il Tribunale evocava la massima di Sez. IV 28 febbraio 2005, n. 20140, Littera, rv 231369).

Il Tribunale precisava altresì, in risposta ad ulteriore contestazione difensiva, che alcuna norma imporrebbe, pena l’inutilizzabilità, la redazione all’interno degli uffici di Procura dei verbali relativi alle operazioni di intercettazione, dovendo intendersi il richiamo dell’art. 271, co 1°, all’art. 268, co 1°, c.p.p., “effettuato in riferimento alla necessità della redazione del verbale delle operazioni e non anche in riferimento al luogo in cui detta verbalizzazione debba eseguirsi”.

2 - Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione il difensore del C., chiedendo l’annullamento con o senza rinvio del provvedimento.

Il ricorrente lamenta l’erronea applicazione, ex art. 606, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., del combinato disposto di cui ai commi primo e terzo dell’art. 268 cod. proc. pen., nonchè la carenza, contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) del codice di rito.

Con il ricorso si ribadisce l’inutilizzabilità, ex art. 271 cod. proc. pen., delle intercettazioni poste a fondamento del provvedimento cautelare di cui era stata originariamente richiesta la revoca, contestando non già l’illegittimità della “remotizzazione” dell’ascolto (la cui praticabilità si afferma anzi non essere stata mai messa in discussione), bensì l’illegittimità dell’esecuzione della registrazione. Al riguardo, il ricorrente sostiene che negli uffici della polizia giudiziaria sarebbe avvenuta l’effettiva registrazione delle conversazioni, attraverso la diretta trasposizione dei flussi vocali intercettati su supporti informatici poi trasmessi a corredo dei verbali, e, contestando quanto affermato nel provvedimento impugnato, sottolinea come soltanto l’esecuzione di questa operazione all’interno della Procura sarebbe idonea a garantire la corrispondenza all’originale registrazione dei flussi vocali eventualmente effettuata anche nel server della medesima, evitando possibili manipolazioni del materiale processuale in sintonia con la ratio delle norme che disciplinano la materia: a sostegno del proprio assunto, il ricorrente sottolinea che, nella concreta fattispecie, se i CD-ROM contenessero la mera riproduzione di dati informatici “scaricati” dal server della Procura (come affermato dal Tribunale) di tale operazione sarebbe stata fatta menzione nei verbali.

Il ricorrente eccepisce altresì l’illegittimità della verbalizzazione delle operazioni di intercettazione in quanto anch’essa avvenuta in luogo diverso dai locali della Procura della Repubblica: a supporto della propria tesi, il ricorrente evidenzia come tutti i verbali di chiusura delle operazioni di intercettazione e quelli relativi alle operazioni giornaliere di intercettazione, nonché tutti i registri di intercettazione presenti in atti, risultino inequivocabilmente redatti presso i locali degli uffici dei Carabinieri di Comacchio e non in quelli della Procura della Repubblica di Ferrara, dove pure erano formalmente radicate le operazioni di intercettazione. Sul punto, con il ricorso si contesta l’affermazione dei giudici di Bologna secondo cui sarebbe irrilevante il luogo di redazione dei verbali delle operazioni di intercettazione: ad avviso del ricorrente, invero, una corretta interpretazione del combinato disposto dei commi primo e terzo dell’art. 268 cod. proc. pen. porterebbe a concludere che il luogo indicato come quello di redazione del verbale deve consentire alla difesa di verificare se la registrazione sia stata effettuata negli uffici di Procura.

3 - Il procedimento è stato assegnato alla Sesta Sezione penale di questa Suprema Corte, la quale, con ordinanza n. 18151 del 19 febbraio 2008, ne ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 c.p.p.. Detto provvedimento, dopo aver ripercorso la motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna oggetto di impugnazione e i motivi del ricorso, ha posto l’accento sui termini di un contrasto che sarebbe ravvisabile nella giurisprudenza della Corte in ordine alle condizioni legittimanti (ai fini della successiva utilizzazione degli esiti dell’indagine tecnica) la prassi di “remotizzazione” negli uffici della polizia giudiziaria dell’ascolto delle intercettazioni eseguite presso i locali della Procura della Repubblica.

In proposito l’ordinanza rileva come per un primo orientamento (a testimonianza del quale viene richiamata la motivazione della decisione della Quarta Sezione penale del 28 febbraio 2005, n. 20140, Littera, rv. 231369) sarebbe possibile ricorrere a tale tecnica senza necessità di un provvedimento del pubblico ministero ai sensi dell’art. 268, comma terzo, cod. proc. pen., solo se la registrazione delle conversazioni intercettate venga effettivamente compiuta nei locali della Procura della Repubblica, risolvendosi l’instradamento del flusso di conversazioni nella mera possibilità di procedere al simultaneo ascolto delle medesime anche in altro luogo esterno ai suddetti locali. Osserva, poi, come la sentenza emessa dalla Seconda Sezione penale il 24 aprile 2007, n. 35299, Galasso, rv 237847, “considera legittimamente eseguite dalla P.G. con i propri impianti la registrazione e la redazione del verbale anche quando l’ascolto sia eseguito con gli impianti installati presso la Procura della Repubblica, senza che occorra autorizzazione” una volta deviato “in remoto” l’ascolto delle conversazioni.

I giudici della Sesta Sezione evidenziano pertanto che entrambe le sentenze citate si trovano d’accordo nel considerare legittima la “remotizzazione” dell’ascolto, non sottraendo la stessa alla Procura della Repubblica il controllo sull’attività di intercettazione, ma ritengono di ravvisare divergenze interpretative quanto al luogo in cui deve procedersi alla esecuzione delle operazioni di registrazione ed alla redazione del relativo verbale: con riferimento a tali profili interpretativi è stato quindi sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite.

Il Primo Presidente ha fissato l’odierna udienza di camera di consiglio per la discussione del ricorso.



MOTIVI DELLA DECISIONE




4 - Prima di affrontare la specifica questione sottoposta al vaglio di queste Sezioni Unite, è opportuno accennare, per completezza espositiva, agli arresti della giurisprudenza in materia di “remotizzazione” dell’ascolto, in tema di intercettazioni telefoniche.

Il fatto che solo nel recente passato l’evoluzione tecnologica abbia consentito la fisica separazione dell’ascolto dalla registrazione delle intercettazioni ha comportato che l’attenzione da parte della giurisprudenza verso la qualificazione delle tecniche di “remotizzazione” risalga a non più di qualche anno addietro.

Ciononostante, ha avuto modo di consolidarsi nella giurisprudenza di questa Corte un orientamento, ribadito anche da alcune recentissime pronunzie, secondo cui la tecnica dell’instradamento dei flussi sonori captati dagli impianti ritualmente collocati nei locali della Procura della Repubblica, verso punti d’ascolto siti negli uffici della polizia giudiziaria, costituisce una modalità di esecuzione dell’intercettazione pienamente compatibile con lo statuto normativo della medesima, con la conseguenza che gli esiti della stessa intercettazione devono considerarsi pienamente utilizzabili a fini di prova anche laddove la delocalizzazione dell’ascolto non sia stata autorizzata dal pubblico ministero nelle forme previste dall’art. 268, comma terzo, cod. proc. pen. per la realizzazione dell’indagine tecnica mediante impianti esterni a quelli in dotazione agli uffici giudiziari.

L’orientamento ha avuto origine con Sez. IV 28 febbraio 2005, n. 20140, Littera, rv. 231369, che ha sottolineato come la possibilità di contestuale ascolto dell’intercettazione anche negli uffici della polizia giudiziaria attraverso un apposito accorgimento tecnologico non compromette la conformità al modello legale della stessa intercettazione anche in assenza dell’autorizzazione di cui all’art. 268 comma terzo, cod. proc. pen., garantendo per converso l’opportuno immediato collegamento tra l’autorità di polizia delegata all’indagine e gli sviluppi dell’intercettazione in atto.

Né il ricorso alla tecnica dell’ascolto “in remoto”, sempre secondo la pronunzia in esame, può essere sussunto in una delle fattispecie di inutilizzabilità tassativamente descritte nell’art. 271 cod. proc. pen. e riferibili, oltre che alle intercettazioni oggettivamente e soggettivamente ineseguibili (ai sensi, rispettivamente, degli artt. 266 e 103 cod. proc. pen..), esclusivamente alle ipotesi di omessa registrazione del captato mediante gli impianti in dotazione alla Procura della Repubblica ovvero di omessa redazione del verbale.

La sentenza Littera sottolinea altresì come la valutazione sulla legittimità della “remotizzazione” dell’ascolto presupponga comunque che la registrazione delle conversazioni avvenga attraverso gli apparati collocati all’interno della Procura della Repubblica.

In sintonia con la sentenza Littera, la successiva giurisprudenza ha costantemente ribadito, con motivazioni via via sempre più succinte (e spesso richiamando espressamente la massima estratta proprio dalla sentenza citata), che la “remotizzazione” dell’ascolto presso gli uffici di polizia giudiziaria non richiede l’autorizzazione di cui all’art. 268 comma terzo cod. proc. pen., non incidendo dunque, in assenza di quest’ultima, sulla futura utilizzazione dei risultati dell’intercettazione.

In proposito le sentenze Sez. IV 12 luglio 2007, n. 30002, Valeri, rv 237051, Sez. IV 27 settembre 2007, n. 41253, Rizza, rv 237987 e da ultimo Sez. II 5 marzo 2008, n. 14030, Bruno, rv 239395, hanno affermato che l’art. 268 cod. proc. pen. non vieta in alcun modo che l’ascolto delle conversazioni venga effettuato, ove gli strumenti tecnici lo consentano, anche in un luogo diverso dai locali della Procura, risultando essenziale solamente che le operazioni di intercettazione siano compiute attraverso gli impianti situati nell’ufficio giudiziario al fine di garantirne la regolarità e la riservatezza. Ed ancora la sentenza Sez. III 20 novembre 2007, n. 4111, Musso, rv. 238534 e 238535, dopo aver riproposto nella sostanza i medesimi argomenti già svolti nella sentenza Littera, precisa che le “operazioni” di intercettazione si risolvono esclusivamente nella materiale registrazione delle conversazioni captate e non riguardano l’ascolto effettuato dalla polizia giudiziaria “nella sede remota” delle medesime.

5 – Ciò posto, talune preliminari puntualizzazioni appaiono opportune al fine di focalizzare la questione sollevata con il ricorso il cui esame è stato rimesso al vaglio di queste Sezioni Unite.

Anzitutto va sottolineato che, come evidenziato dalla stessa Sesta Sezione con l’ordinanza di rimessione, non risulta alcun contrasto in giurisprudenza circa la utilizzabilità di intercettazioni captate con tecnica di cosiddetta “remotizzazione”, cioè di ascolto, oltre che negli uffici di Procura, anche in quelli di polizia giudiziaria.

La questione concerne piuttosto la utilizzabilità o meno delle intercettazioni, nel caso in cui, oltre all’ascolto, anche talune operazioni tecniche siano state eseguite presso gli uffici della polizia giudiziaria delegata al materiale compimento dell’attività di intercettazione: nella concreta fattispecie il ricorrente, infatti, eccepisce la inutilizzabilità delle intercettazioni, non con riferimento all’ascolto remotizzato, bensì muovendo dall’asserito rilievo che la effettiva registrazione delle conversazioni intercettate sarebbe avvenuta, con l’utilizzo di CD-ROM, presso gli uffici di polizia giudiziaria in Comacchio, e non nei locali della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara; sostanzialmente il ricorrente sostiene che sarebbe stata violata la disposizione di cui al comma terzo dell’art. 268 c.p.p. – secondo cui le operazioni di registrazione delle intercettazioni devono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica (salvo decreto motivato, nel caso in esame non emesso, di autorizzazione all’uso di impianti esterni alla Procura, ove ne ricorrano le condizioni richieste) – con conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni ai sensi dell’art. 271, comma primo, del codice di rito.

A questo punto è bene precisare anche ciò che letteralmente si rileva dalle due decisioni di questa Corte, evocate nella stessa ordinanza di rimessione in quanto ritenute rivelatrici del segnalato contrasto interpretativo.

La Quarta Sezione penale, con la sentenza n. 20140/05, Littera, dopo aver premesso che nel caso di specie risultava che la registrazione e la verbalizzazione erano avvenute nei locali della Procura della Repubblica, ha testualmente affermato che particolare importanza assume la registrazione nei locali della Procura, “dal momento che è proprio attraverso la integrale registrazione delle conversazioni che viene evitato il rischio di possibili manipolazioni della prova, assicurando invece la piena corrispondenza tra quanto detto, quanto ascoltato e quanto verbalizzato”. Dunque, con detta decisione non è stato esplicitamente affermato il principio della necessità (anche) della redazione del verbale all’interno degli uffici di Procura, ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni, ma è stato posto l’accento sul fatto che, nel caso portato all’attenzione della Corte, nei suddetti locali era stata svolta anche tale attività.

Passando all’esame dell’orientamento espresso dalla sentenza della Seconda Sezione penale 24 aprile 2007, n. 35299, Galasso, indicata nell’ordinanza di rimessione come la fonte del contrasto interpretativo sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite, va subito sottolineato che detta decisione è stata massimata come segue: ”L'ascolto cosiddetto "remotizzato", ovvero da luogo diverso rispetto a quello nel quale siano legittimamente eseguite le operazioni captative di conversazioni o comunicazioni, e' del tutto legittimo e non richiede l'autorizzazione del pubblico ministero. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che l'immediato ascolto da parte della P.G. di conversazioni intercettate nei locali della Procura, mediante istradamento dei flussi sonori nei propri locali, non interferisce con la corretta esecuzione delle operazioni captative, ed anzi ne assicura l'efficacia, attesa l'evidente opportunita' del collegamento diretto ed immediato tra la P.G. che esegue l'indagine e gli sviluppi delle intercettazioni in atto)”.

Come già accennato, secondo l’ordinanza di rimessione, la sentenza Galasso affermerebbe, in contrasto con la sentenza Littera n. 20140/05, che in sede remota potrebbe procedersi non solo all’ascolto, ma altresì alla registrazione e alla redazione del verbale di intercettazione.

Nel caso sottoposto all’esame della Seconda Sezione il ricorrente sosteneva che la registrazione delle intercettazioni sarebbe stata effettuata negli uffici di polizia, evincendo in realtà tale conclusione dal fatto che ivi erano stati pacificamente redatti i verbali delle operazioni compiute, i quali erano stati trasmessi al pubblico ministero con allegati i supporti (nella fattispecie dei Cd-Rom) contenenti i risultati dell’attività di intercettazione.

In proposito la sentenza Galasso, dopo aver ribadito la legittimità dell’ascolto remotizzato in costanza di esecuzione delle “operazioni captative” presso la Procura della Repubblica, ha effettivamente sostenuto che alla redazione del verbale con contestuale sommaria trascrizione del contenuto delle conversazioni intercettate può provvedersi presso gli uffici dove si è svolto l’ascolto remoto. Principio questo che, pervero, non è stato contraddetto dalla sentenza Littera, che, come si è visto, si è limitata a rilevare come nel caso rimesso al suo giudizio la verbalizzazione era stata eseguita nei locali della Procura della Repubblica.

Nemmeno implicitamente la pronunzia in esame (Galasso) lascia invece intendere che anche la registrazione possa avvenire al di fuori della Procura della Repubblica, limitandosi sul punto a rilevare (richiamando quanto affermato nel provvedimento impugnato) come nel caso di specie tale attività risultava essere stata svolta correttamente nei locali della medesima e che non poteva dedursi il contrario dall’allegazione dei Cd-Rom ai verbali redatti presso gli uffici della polizia giudiziaria, nè dal riferimento nominativo ad un determinato reparto dell’Arma dei Carabinieri stampigliato sui fogli apposti sui plichi contenenti il materiale relativo alle intercettazioni: tale riferimento era evidentemente derivato dal fatto che “…della esecuzione captativa erano stati delegati, appunto, i CC. che avevano poi, ad operazione effettuata, proceduto alla collazione ed alla sistemazione nei plichi sigillati dei supporti destinati alla Procura su cui le conversazioni erano state incise”. La sentenza ha dunque respinto la stessa ipotesi che tali supporti fossero stati confezionati al di fuori dell’ufficio giudiziario (e pertanto non ha affrontato il profilo sul quale si è dilungata di recente la sentenza Sinesi di cui appresso si dirà), ma nel fare ciò non ha affermato che, anche nel caso tale ipotesi fosse risultata provata, la circostanza non avrebbe avuto rilievo sul presupposto della legittimità di una registrazione “remotizzata”.

Non pare dunque possa revocarsi in dubbio che entrambe le sentenze Littera e Galasso abbiano inteso affermare la necessità che la registrazione delle conversazioni, ai fini della utilizzabilità di telefonate nel caso di ascolto “remotizzato”, sia avvenuta nei locali della Procura della Repubblica a ciò destinati.

Con specifico riferimento al luogo in cui deve avvenire la registrazione delle intercettazioni, assume poi particolare rilievo la sentenza della Sesta Sezione penale di questa Corte n. 20058/08 del 16 gennaio 2008 (imp. Sinesi, RV. 239356), secondo cui la procedura di remotizzazione deve comunque prevedere che “tutte le operazioni di registrazione avvengano in procura, comprese quelle realizzate alla fine dell’intercettazione, che solitamente consistono nello scarico dei dati contenuti nell’apparecchio di registrazione in un supporto magnetico (CD o DVD)”.




6 - A questo punto appare ben delineato il quadro giurisprudenziale in ordine alla questione concernente la registrazione delle intercettazioni.

Concordi risultano le sentenze Littera e Galasso sulla necessità che, ai fini della utilizzabilità di intercettazioni caratterizzate da ascolto “in remoto”, la registrazione sia avvenuta negli uffici della Procura; potrebbe parlarsi eventualmente di divergenza interpretativa, tra le due pronunce, limitatamente al luogo in cui deve essere effettuata la verbalizzazione, ove si volesse ritenere che la sentenza Littera, nel dare atto che (anche) la verbalizzazione era avvenuta nei locali della Procura, abbia inteso implicitamente attribuire rilevanza, ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni, alla redazione del verbale nei locali della Procura.

La sentenza Sinesi, sostiene che, nel caso di “remotizzazione”, la utilizzabilità delle intercettazioni presuppone che anche lo scarico dei dati contenuti nell’apparecchio di registrazione, in un supporto magnetico – operazione questa quindi successiva alla (avvenuta) registrazione dei dati - sia avvenuto all’interno dei locali della Procura.

Ciò premesso, ritiene il Collegio che ai fini della soluzione della questione sollevata con il ricorso del Carli debba essere necessariamente precisato il concetto tecnico di registrazione, posto che – avvenendo la captazione delle telefonate (che costituisce la prima operazione dell’attività di intercettazione) ancora oggi presso l’operatore telefonico e non negli ambienti della Procura - l’art. 268 c.p.p. attribuisce specifica ed assoluta rilevanza proprio alla registrazione laddove stabilisce che: a) “le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale” (intendendo chiaramente riferirsi, data la collocazione dei termini, alle “operazioni” di “registrazione”; in sostanza detta formulazione deve essere interpretata nel seguente senso: le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni, relative alla registrazione, è redatto verbale); b) “le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica” (con riferimento, per quanto appena detto, alle operazioni di registrazione).




7 - Dunque, nella disciplina attualmente in vigore il momento decisivo è quello della registrazione, ed è a tale segmento – della più complessa attività di intercettazione – che il legislatore ha inteso riferirsi laddove ha stabilito che le operazioni possono compiersi esclusivamente “per mezzo” degli impianti installati nella procura della Repubblica.

7.1 - Al fine di meglio ponderare l’esatta portata dei primi tre commi dell’art. 268 cod. proc. pen., che costituiscono, con l’art. 271 dello stesso codice, il nucleo normativo di riferimento per la soluzione della questione in argomento, appare altresì opportuno ripercorrere in estrema sintesi l’iter storico che ha portato alla loro elaborazione e che in qualche modo ne illumina la “ratio”.

In proposito è necessario ricordare come la disciplina originaria del codice del 1930 (contenuta negli artt. 226 ultimo comma e 339) prevedeva che le intercettazioni venissero effettuate «presso impianti telefonici di pubblico servizio». In sintonia con il dato normativo allora vigente fino agli inizi degli anni ’70 le operazioni di captazione, registrazione ed ascolto delle conversazioni intercettate venivano perciò svolte in unità di tempo e di luogo attraverso registratori collocati presso l’operatore telefonico e presidiati da personale di polizia giudiziaria.

Questa metodologia si prestava ad evidenti abusi, consentendo agevolmente la realizzazione di ascolti illeciti, sottratti al controllo dell’autorità giudiziaria.

In tale contesto intervenne l’autorevole monito della Corte Costituzionale (Corte Cost. 6 aprile 1973, n. 34), la quale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 226 ultimo comma, dettò però le condizioni di compatibilità delle intercettazioni con i princìpi della carta fondamentale in materia di riservatezza delle comunicazioni, evidenziando come le stesse dovessero essere subordinate al rigoroso rispetto di precise garanzie, non soltanto di ordine giuridico, ma anche di ordine “tecnico”, finalizzate alla possibilità che l’autorità giudiziaria esercitasse il controllo necessario ad assicurare che si procedesse soltanto alle intercettazioni autorizzate.

A breve distanza di tempo è poi sopravvenuto l’intervento del legislatore, che ha significativamente riformato la disciplina delle intercettazioni. La legge 8 aprile 1974, n. 98 ha così introdotto nel codice abrogato, all’art. 226 quater, l’obbligo di concentrare le operazioni di intercettazione esclusivamente presso gli impianti installati nelle Procure, proprio al fine di evitare il rischio dei segnalati abusi, instaurando un diretto controllo del pubblico ministero sull’esecuzione delle medesime (il secondo comma dell’art. 226 quater, come sostituito dal d. l. n. 59 del 1978 convertito nella l. n. 191 del 1978 consentiva peraltro il ricorso agli impianti in dotazione alla polizia giudiziaria “per ragioni d’urgenza”).

La modifica legislativa ha avuto una immediata ricaduta sulla tecnica di intercettazione. Ed invero, dovendo collocare gli impianti di registrazione non più presso la centrale dell’operatore telefonico, bensì presso gli uffici della Procura della Repubblica, si è reso necessario utilizzare un dispositivo (il c.d. “traslatore”) in grado di deviare la comunicazione anche ad un punto d’ascolto e di registrazione ivi istituito, posto che necessariamente la captazione in senso proprio delle conversazioni non poteva (e come si è già precedentemente detto, allo stato non può) che avvenire presso lo stesso operatore.

Il codice del 1988 ha recepito questo assetto in un contesto tecnologico sostanzialmente immutato, se non per la raggiunta maggiore sofisticazione dei traslatori. Ma nella sua essenza la tecnica di intercettazione era, al momento dell’entrata in vigore della nuova legge processuale, la stessa assunta a paradigma della normativa previgente.

In tal senso, dunque, l’art. 268 ha ribadito i contenuti del precedente art. 226 quater, se si eccettua la previsione nel secondo comma dell’obbligo di trascrizione sommaria nel verbale del contenuto delle intercettazioni, nonchè per lo “spostamento” nell’art. 89 disp. att. della descrizione degli ulteriori contenuti dello stesso verbale, che l’art. 226 quater citato invece illustrava direttamente, anche ricorrendo all’espressione di sintesi «descrizione delle modalità di registrazione».

Dopo l’entrata in vigore del nuovo codice, la rapida evoluzione delle tecnologie, riguardanti la telefonia (si pensi ad esempio all’affermazione della telefonia mobile) e la registrazione, ha però affidato all’interprete il delicato compito di coniugare le nuove tecniche operative con un dato normativo elaborato prima del loro avvento.

Va ribadito (richiamando quanto innanzi già detto) come l’art. 268 del vigente codice di rito sostanzialmente operi una segmentazione dell’attività di intercettazione in frammenti che assumono anche autonoma e diversa rilevanza sul piano giuridico: captazione, registrazione, ascolto, verbalizzazione. E’ necessario altresì sottolineare come il primo segmento, la captazione delle conversazioni (e cioè l’intercettazione in senso stretto), non può che essere effettuata presso l’operatore telefonico che “trasporta” la comunicazione, quale che sia la tecnica utilizzata. Anche se sono in corso di sperimentazione sistemi che consentono il comando di captazione in remoto, rendendo dunque le intercettazioni indipendenti dall’azione dell’operatore telefonico, allo stato tale soluzione non è ancora effettivamente disponibile e dunque non v’è dubbio che la materiale captazione delle comunicazioni avviene formalmente al di fuori degli uffici della Procura, dove il segnale sonoro viene semplicemente deviato per la registrazione e l’ascolto. Circostanza che consente anche alla dottrina di ritenere che le operazioni e gli impianti menzionati nel terzo comma dell’art. 268 cod. proc. pen. riguardino la sola attività di registrazione e non, per l’appunto, quella di captazione.

Con specifico riguardo all’attività di ascolto va invece precisato come all’epoca del varo del nuovo codice di procedura penale la stessa non poteva di fatto essere separata da quella di registrazione. Infatti, entrambe le operazioni venivano effettuate attraverso il medesimo apparato, un registratore monolinea a nastri magnetici, sui quali venivano impressi i flussi vocali captati (ed infatti l’art. 89 disp. att. tuttora fa riferimento, al secondo comma, ai «nastri contenenti le registrazioni», riferimento divenuto oramai del tutto anacronistico).

La rivoluzione che ha trasformato la telefonia nel recente passato ha segnato, in estrema sintesi, il progressivo passaggio dalla trasmissione di segnali in maniera analogica a quella di dati in forma digitale, trasformando il servizio telefonico (a partire da quello di telefonia mobile) in un sistema informatico o telematico. E’ dunque mutato lo stesso oggetto fisico della comunicazione telefonica e, quindi, della sua intercettazione. Di conseguenza è stato fatto progressivamente ricorso alla utilizzazione di sistemi di registrazione digitale computerizzata che hanno sostituito gli apparti “meccanici”.

In definitiva si è assistito ad una profonda trasformazione della realtà presupposta dal legislatore del 1988. Da qualche anno, infatti, per la registrazione vengono utilizzati apparati multilinea (collegati cioè ad un flusso di linee telefoniche) che registrano dati trasmessi in forma digitale e successivamente decodificati in file vocali immagazzinati in memorie informatiche centralizzate. I dati così memorizzati vengono poi di regola trasferiti su supporti informatici (essenzialmente Cd-Rom o DVD) per renderli fruibili all’interno dei singoli procedimenti. In pratica dunque i supporti costituiscono il corredo documentale in precedenza rappresentato dai nastri magnetici.

Insomma il trasferimento (o “scaricamento”) dei dati sui supporti costituisce uno dei segmenti dell’intercettazione, autonomo rispetto alla “registrazione” e tecnicamente diverso da questa.

Le operazioni di “registrazione”, che in forza del terzo comma, parte prima, dell’art. 268 c.p.p., debbono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, consistono dunque, come è agevole desumere da quanto fin qui detto, nella immissione dei dati (captati presso la centrale dell’operatore telefonico e trasmessi agli impianti in Procura) nella memoria informatica centralizzata (cd. server) che si trova nei locali della Procura della Repubblica a ciò destinati.

I menzionati apparati permettono altresì di “remotizzare” agevolmente (attraverso il sistema c.d. client–server) l’ascolto - nonché, volendo, anche una registrazione (ovviamente derivata da quella effettuata in Procura, e da non potersi a questa sostituire) deviando il flusso in entrata anche verso molteplici punti di ricezione, collocabili in qualsiasi luogo (e dunque anche all’esterno degli uffici di Procura) e collegati con il sistema centrale verso cui l’operatore telefonico ha trasmesso il flusso di dati captati.

Spinta più oltre, la tecnica in questione può poi trasformare l’impianto presente in Procura in una sorta di mero “ripetitore”, utilizzato esclusivamente per l’instradamento del flusso di dati dall’operatore telefonico a quello di polizia, senza l’inserimento e la “registrazione” di quei dati nel server (memoria informatica centralizzata) esistente nei locali della Procura; infatti, è sufficiente che presso la Procura venga occupata la linea telefonica verso cui avviene la trasmissione dei dati captati dall’operatore telefonico, immediatamente resi disponibili in remoto: un’intercettazione così effettuata sarebbe certamente illegittima, con sanzione di inutilizzabilità.

7.2 - Quanto detto consente di trarre le conclusioni per addivenire alla nozione di registrazione, ai fini che in questa sede rilevano con riferimento alle disposizioni di cui all’art. 268 c.p.p..

La “registrazione” dei dati captati nella centrale dell’operatore telefonico, e da lì trasmessi all’impianto esistente nei locali della Procura della Repubblica, si realizza con l’immissione di quei dati nel server di detto impianto. Ed è a tale specifico segmento della complessiva attività di intercettazione che l’art. 268 c.p.p. si riferisce laddove dispone che le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica.

Per qualsiasi altra operazione, in quanto estranea alla nozione di registrazione così definita, non assume alcun rilievo, ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni, il luogo dove la stessa è avvenuta: discorso che vale, dunque, anche per quell’operazione che consiste nello scaricamento dei dati su supporti informatici quali CD-ROM o DVD (operazione sulla quale ha posto specificamente l’accento la sentenza Sinesi della Sesta Sezione sopra ricordata), e che, pertanto, ben può essere compiuta eventualmente presso uffici di P.G. nel caso di ascolto remotizzato, previa utilizzazione della registrazione derivata da quella (che deve essere necessariamente) eseguita in Procura.

D’altra parte il legislatore ha previsto specifici mezzi di tutela, per le ipotesi in cui possano sorgere dubbi circa la regolarità della “registrazione” o sospetti di manipolazione: ed invero, in forza del sesto comma dell’art. 268 c.p.p., “ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche”.




8 - Con specifico riferimento alla verbalizzazione delle operazioni (anch’essa oggetto di doglianza da parte del ricorrente nella concreta fattispecie), per quel che riguarda il convincimento espresso dalle due sentenze evocate nell’ordinanza di rimessione, vi è da dire che la sentenza Littera non ha precisato se, oltre alla registrazione, anche la verbalizzazione debba obbligatoriamente avvenire negli uffici della Procura, ancorchè la stessa abbia posto l’accento sul fatto che nel caso portato all’attenzione della Corte nei suddetti locali si svolgeva anche tale attività; la sentenza Galasso ha sostenuto che alla redazione del verbale con contestuale sommaria trascrizione del contenuto delle conversazioni intercettate può procedersi presso gli uffici dove si è svolto l’ascolto remoto.

Ciò posto, mette conto sottolineare che sulla specifica questione del luogo in cui deve provvedersi alla verbalizzazione delle operazioni non può parlarsi di un effettivo contrasto in atto nella giurisprudenza di legittimità, registrandosi un indirizzo decisamente maggioritario (consolidatosi nel tempo) favorevole alla irrilevanza del luogo di verbalizzazione ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni, opzione interpretativa che queste Sezioni Unite ritengono di dover privilegiare condividendo pienamente le argomentazioni che la sorreggono, quali risultano da un breve “excursus” delle più significative sentenze che detto indirizzo esprimono.

Dall’esame di Sez. IV 28 febbraio 2005, n. 20130, Littera, rv 231368, emessa lo stesso giorno della pronunzia Littera precedentemente menzionata, ma con riguardo all’impugnazione di un diverso provvedimento ancorchè emesso nell’ambito del medesimo procedimento penale (sarà indicata come Littera bis), emerge che nella fattispecie la verbalizzazione di alcune intercettazioni era avvenuta anch’essa “in remoto” all’interno degli uffici di polizia. Il ricorrente (come nel caso posto all’attenzione delle Sezioni Unite) aveva in proposito invocato l’inutilizzabilità degli esiti dell’intercettazione, lamentando che le “operazioni” menzionate nell’art. 268 cod. proc. pen. riguarderebbero per l’appunto anche l’attività di redazione del verbale; la Corte ha respinto il ricorso, evidenziando, per un verso, come l’irregolare redazione del verbale (regolamentata dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., norma che, come osservano i giudici della quarta sezione, non fa peraltro menzione del luogo in cui dovrebbe essere effettuata la verbalizzazione) non sia assistita dalla sanzione di inutilizzabilità, prevista solo per i casi tassativamente previsti dall’art. 271 cod. proc. pen., e, per altro verso, che le “operazioni” di intercettazione, per cui l’art. 268 cod. proc. pen. impone l’esecuzione sotto il diretto controllo dell’autorità giudiziaria, non possono essere confuse con l’attività successiva di verbalizzazione. Tale ultimo assunto sarebbe tra l’altro dimostrato, secondo la sentenza Littera bis, dal fatto che nel verbale deve essere trascritto ai sensi del secondo comma dell’art. 268 cod. proc. pen., anche il contenuto delle comunicazioni intercettate, ma tale operazione ancora una volta non risulta inclusa nell’area dell’inutilizzabilità dei risultati dell’attività di captazione, atteso che l’art. 271 cod. proc. pen. fa in proposito esclusivo rinvio solamente al primo e terzo comma del citato art. 268.

La giurisprudenza coeva o successiva ha sostanzialmente ribadito questo orientamento, evidenziando come una volta stabilito che le operazioni di intercettazione debbano svolgersi all’interno degli uffici giudiziari, è irrilevante il luogo di esecuzione dei successivi adempimenti, compresa la verbalizzazione, atteso che a tali attività non è riferito il termine “operazioni” utilizzato nell’art. 268 cod. proc. pen.: in questo senso Sez. VI 14 gennaio 2005, n. 7245, Saardi, rv 231450; Sez. IV 12 luglio 2007, n. 30002, Valeri, rv 237051, cit..

Va peraltro evidenziato che nelle pronunzie menzionate la Corte ha enunciato il principio riferendosi all’attività di trascrizione sommaria nel verbale del contenuto delle intercettazioni, giacchè in definitiva questo era l’oggetto delle lamentele esposte nei ricorsi decisi. Più esplicitamente, di recente, quelle Sez. IV 27 settembre 2007, n. 41253, Rizza, rv 237987 cit. e Sez. III 20 novembre 2007, n. 4111, Musso, rv 238534 -238535 cit., hanno invece chiarito come lo stesso principio riguardi l’attività di verbalizzazione nella sua globalità, ben potendosi redigere negli uffici della polizia giudiziaria (in ciò agevolata proprio dalla “remotizzazione” dell’ascolto) in tutte le sue componenti il verbale di una intercettazione eseguita presso i locali della Procura della Repubblica.

Per completezza va comunque ricordato che già prima della sentenza Littera bis si era consolidato un orientamento secondo cui la violazione delle disposizioni sulla redazione del verbale poste dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen. non comporta l’inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazione, ostandovi, per l’appunto, il principio di tassatività che governa la sanzione processuale, e, dunque, l’assenza di riferimenti in tal senso nell’art. 271 cod. proc. pen.: in questi termini si sono ad esempio pronunziate Sez. VI 26 ottobre 1993, n. 11421, Carapucchi, rv 198560; Sez. I 6 dicembre 2000, n. 11241, Ammutinato, rv 218451; Sez. IV 14 gennaio 2004, n. 17574, Vatinno, rv 228173; Sez. IV 17 settembre 2004, n. 49306, Cao ed altri, rv 229922.



9 - Deve conclusivamente affermarsi, relativamente alla questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite - circa le condizioni per la utilizzabilità delle intercettazioni, con specifico e particolare riferimento al luogo in cui devono svolgersi le attività di registrazione e redazione del verbale, il seguente principio di diritto: “condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che la <> - che consiste nell’immissione nella memoria informatica centralizzata (server), dei dati captati nella centrale dell’operatore telefonico - sia avvenuta per mezzo degli impianti installati in Procura, anche se le operazioni di <>, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici di polizia giudiziaria”.




10 - Muovendo dal principio di diritto così enunciato, il ricorso del Carli risulta infondato e deve essere pertanto rigettato, sulla scorta delle considerazioni che seguono.

Quanto al luogo in cui è avvenuta la registrazione delle intercettazioni, si osserva innanzi tutto che non vi è alcun concreto elemento fattuale da cui poter inferire che i dati captati presso la centrale dell’operatore telefonico non furono poi “registrati” per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara (cioè immessi nel server della Procura), dovendo ritenersi in proposito richiamate le indicazioni e puntualizzazioni sulle quali ci si è in precedenza soffermati circa la nozione di “registrazione”. Anzi, giova sottolineare che il Tribunale del riesame, nella gravata ordinanza, ha dato atto che le postazioni della Procura, verso cui veniva deviato il flusso delle conversazioni captate dall’operatore telefonico, risultavano indicate a volte con il relativo numero identificativo ed altre volte con il numero telefonico preceduto dal prefisso di Ferrara (0532), diverso da quello di Comacchio (0533). Dalla stessa ordinanza si desume altresì che il difensore del Carli non aveva mostrato di dubitare che i dati fossero stati registrati nel server della Procura, ma aveva sostenuto la illegittimità della trasposizione dei dati stessi sui supporti informatici, come è agevole rilevare da quanto si legge a pag. 2 dell’ordinanza stessa: “l’eventuale trasposizione in CD-ROM delle registrazioni effettuate sui supporti informatici (server) della Procura, come accennato dal difensore in udienza camerale non costituisce violazione del disposto di cui all’art. 268 co 1° e 3° cpp, trattandosi di mera riproduzione di dati già acquisiti nei locali della Procura nel pieno rispetto delle garanzie di legge”. A ciò aggiungasi che il difensore del Carli ben avrebbe potuto avvalersi delle facoltà riconosciute dall’art. 268, comma sesto, c.p.p. (vedi sopra, sub 7.2), anche al fine di verificare che l’impianto presente in Procura non fosse stato utilizzato quale mero “ripetitore”, all’esclusivo fine dell’instradamento del flusso di dati dall’operatore telefonico a quello di polizia, senza l’inserimento e la “registrazione” degli stessi nel server esistente nei locali della Procura: operazione, questa, illegittima, che, se effettivamente avvenuta, avrebbe all’evidenza comportato – per quanto detto circa la nozione di “registrazione” – la inutilizzabilità delle intercettazioni.

Per quel che riguarda poi lo “scaricamento” dei file su CD-ROM (operazione di mera duplicazione dei dati, come detto, e, dunque, a nulla rilevando che i Carabinieri di Comacchio nei fogli di accompagnamento dei plichi contenenti i supporti informatici abbiano usato il termine registrazione), basta osservare che: a) “in primis”, non vi è prova che detta operazione sia avvenuta negli uffici dei Carabinieri e non nei locali della Procura: quella prospettata dal ricorrente – il quale ha ritenuto di poter trarre elemento di conforto alla sua tesi dall’intestazione dei fogli di accompagnamento dei plichi – è una mera congettura, come tale priva di qualsiasi significato probatorio; b) quand’anche l’operazione “de qua” (trasferimento dei dati su CD-ROM) fosse avvenuta nei locali dei Carabinieri - potendo costoro usufruire della trasmissione dei dati anche verso il loro impianto da quello della Procura, posto che l’ascolto era “remotizzato” - la circostanza non inciderebbe sulla utilizzabilità delle intercettazioni in forza del principio di diritto sopra enunciato.

Quanto, infine, al luogo della verbalizzazione delle operazioni, assolutamente irrilevante, ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni, deve ritenersi la redazione del verbale al di fuori dei locali della Procura: e ciò sulla scorta delle argomentazioni sopra svolte sul punto, e valendo anche in proposito il medesimo principio di diritto innanzi affermato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
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