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 Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 6 giugno 2008 (dep. 12 agosto 2008), n. 33353

E’ legittimo criticare l’operato delle forze dell’ordine in sede di perquisizione del proprio giornale

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NARDI Domenico - Presidente
Dott. CARROZZA Arturo - Consigliere
Dott. SCALERA Vito - Consigliere
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) F.A. nato il ...;
2) B.C nato il ...;
avverso la sentenza del 18/04/2007 della Corte d’Appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Maurizio Fumo;
udito il PG in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. G. Febbraro, che ha chiesto
rigettarsi i ricorsi;
udito il difensore della PC, avv. G.F.F. che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi e ha presentato nota spese;
udito il difensore degli imputati avv.M. G.C., che, illustrando i ricorsi, ne ha chiesto l'accoglimento.
OSSERVA

La Corte di appello di Milano, con sentenza del 18.4.2007, in riforma della pronunzia di primo grado, accogliendo le impugnazioni del PM e della PC (m.llo CC A.F.), ha dichiarato F.A. e B.C., il primo giornalista, il secondo direttore del giornale telematico (...), colpevoli (il secondo anche quale autore di un articolo) del delitto di diffamazione aggravata in danno, appunto, dell' A. con riferimento ad alcuni "servizi" pubblicati sul sito dal (...).
Ha ritenuto in particolare la Corte essere diffamatori due "passaggi" contenuti, il primo nell'articolo (...), a firma di F., e il secondo nell'articolo (...), a firma del B., atteso che, nel primo, si esprimeva il sospetto che l'A. avesse preavvisato della esecuzione di una operazione di pg (perquisizione nella sede di (...) una giornalista di altra testata; nel secondo, si esprimevano, con parole offensive, giudizi severi sulle modalità di esecuzione della perquisizione e sulla professionalità degli operanti.

Ricorre per cassazione il difensore dei due imputati e deduce inosservanza ed erronea applicazione di legge (art. 21 Cost., artt. 595, 596, 596 bis, 51 c.p., art. 192 c.p.p., commi 1 e 2), atteso che gli articoli in questione sono riferibili a soggetti distinti e, ciò nonostante, sono stati considerati arbitrariamente un unicum dalla Corte territoriale, che, solo valutandoli nel loro complesso, ha ravvisato contenuti e finalità diffamatori.

Nè va dimenticato che, essendo stati i giornalisti - a un tempo - soggetti passivi della perquisizione e cronisti della stessa, essi hanno certamente esercitato il diritto di cronaca e di critica, ma anche quello di libera manifestazione del pensiero.

Il diritto di critica poi si è, in particolar modo, appuntato sulle modalità dell'esercizio di un potere (coercitivo e ablativo) da parte di PPUU, con la conseguenza di essere, oltretutto, assistito dalla facoltà di opporre la exceptio veritatis.

La Corte di appello poi arbitrariamente interpreta quella che è una censura di carattere generale contro l'operato dei CC come un'azione di denigrazione centrata sull' A..
Per quanto specificamente attiene alla pretesa insinuazione di condotte della PC ispirate a favoritismo nei confronti di una giornalista della "concorrenza", è poi da osservare che questa è una deduzione che opera lo stesso A., deduzione che tuttavia non ha alcun "appiglio" nell'articolo in questione, posto che non si fa il nome del maresciallo, nè della giornalista, nè si forniscono al lettore elementi per collegare i due soggetti.

Inoltre, poichè la perquisizione non fu certo pianificata dal sottufficiale, ma dal capitano, suo superiore, è quest'ultimo che, a tutto voler concedere, dovrebbe sentirsi raggiunto dalla pretesa insinuazione.

Lo stesso può dirsi per quel che riguarda le modalità della perquisizione (articolo ...) atto di pg che A. attribuisce arbitrariamente a se stesso e che comunque ha avuto, come ovvio, per protagonisti numerosi PPUU, nei cui confronti il diritto di critica può essere esercitato nell'ambito di confini molto ampi.

In tale articolo poi si affermano, come le stessa Corte milanese riconosce, fatti veri, mentre le lievi imprecisioni che inevitabilmente contiene, non sono certamente in grado di snaturare la portata critica delle osservazioni legittimamente formulate.

In ogni caso, aver definito la perquisizione presso la sede di un giornale un atto di intimidazione non può essere letto come un attacco personale ad A., posto che il provvedimento fu ovviamente deciso dalla AG.

Deducono poi i ricorrenti violazione dell'art. 530 c.p.p., comma 3, posto che l'ipotesi che essi abbiano voluto insinuare nel lettore il dubbio del comportamento scorretto e parziale della PG (per avere egli avvisato la giornalista-fidanzata della imminenza di una perquisizione nella sede della testata "avversaria" ...) non può esser sostenuta al di là di ogni ragionevole dubbio.

La prima censura è fondata.

Innanzitutto, va rilevato come, sulla base del capo di imputazione, che non contesta nè formalmente, nè in fatto, il concorso nel reato, ciascun giornalista deve essere chiamato a rispondere della condotta a lui specificamente ascritta e dunque il F. con riferimento all'articolo dal titolo (...), il B. con riferimento all'articolo (...): nè a quest'ultimo risulta contestato, nella sua qualità di direttore, il delitto di omesso controllo ex art. 57 c.p., certamente in astratto ipotizzarle anche con riferimento a un giornale telematico, trattandosi comunque di mezzo di comunicazione diffuso (o comunque passibile di diffusione) anche tramite stampa.

Iniziando, per comodità espositiva, dalla posizione proprio del B., si deve subito rilevare che erroneamente la Corte di appello non ha ravvisato nel contenuto dell'articolo (...) gli estremi del legittimo esercizio del diritto di critica.

A parere dei giudici di secondo grado, invero, il B., nel dare conto delle modalità della perquisizione subita nella sede del giornale da lui diretto, avrebbe, da un lato, riferito fatti non veri (quando afferma di essere stato costretto con la forza ad assistere impotente all'atto di pg), dall'altro, espresso giudizi al di là del limite della continenza (quando scrive di essere rimasto intimorito dalla tracotanza di chi esercita il potere non perchè sia migliore degli altri, per cultura o levatura morale, ma solo perchè veste una divisa).

L'assunto è erroneo.
Nel primo caso, perchè l'espressione è stata dal giudicante arbitrariamente decontestaulizzata (sulla base di ciò che dalle stesse sentenze di merito si intende) e, dunque, non correttamente intesa; nel secondo caso, perchè, date le modalità di espressione della critica in campo politico-sociale (così deve intendersi la censura dell'operato delle FFOO, della Magistratura, della PA e, in genere di tutti i detentori di pubblici poteri), il limite della continenza - che deve ritenersi molto ampio - non può dirsi superato.

E invero: quanto alla prima espressione, non è chi non veda come l'accento cada sullo stato di impotenza di chi è costretto ad assistere a una perquisizione in suo danno, perquisizione che viene percepita (a torto o a ragione, non ha importanza) come particolarmente odiosa perchè volta, secondo l'angolo visuale del "perquisito", a comprimere il diritto di informazione.

E' evidente (dall'intero contesto della frase riportata in sentenza) che B. non fu costretto "con la forza" (cioè mediante l'impiego di energia fisica) ad assistere alla perquisizione della sede del giornale da lui diretto, ma che le contingenze lo obbligarono a trattenersi in loco e a subire la perquisizione reale (oltre che ad assistere alla perquisizione personale in danno della sua compagna, che dovette vuotare la sua borsa).

L'espressione è figurata e va interpretata (come ognuno dovrebbe bene intendere) alla luce del complessivo "discorso" fatto dal giornalista (desumibile dalla stessa sentenza), che, parlando di un comportamento tracotante tenuto da chi riveste un'uniforme, vuole, con ogni evidenza, protestare contro un uso (ritenuto) particolarmente violento dei pubblici poteri nei confronti del cittadino, in genere, e di coloro che esercitano il diritto di informazione in particolare.

Errata o esatta che fosse l'opinione del giornalista, fatto sta che egli aveva tutto il diritto di esprimerla e trattandosi di critica -lato sensu – politica (perchè attinente ai rapporti tra potere coercitivo e inquisitorio, da un lato, e diritti di libertà costituzionalmente tutelati, dall'altro), i toni potevano essere (come di fatto furono) particolarmente polemici e pungenti (cfr. da ASN 199211746 - RV 192585 in poi).

Affermare che il potere (un certo potere) viene esercitato solo perchè si riveste una divisa (o si indossa una toga) e non perchè si sia obiettivamente migliori dei comuni cittadini, costituisce una critica aspra, radicale e corrosiva (che evidentemente attiene ai meccanismi di selezione, reclutamento, formazione e controllo dei PPUU), ma certamente una critica lecita in uno stato democratico, nel quale chi esercita pubblici poteri è naturalmente esposto al vaglio, al giudizio e - quindi - alle censure di coloro in nome dei quali quei poteri esercita.

Con riferimento al B., dunque, la sentenza è da annullare senza rinvio per essere stato il fatto commesso in presenza della causa di giustificazione ex art. 51 c.p..

Per quanto riguarda il ricorrente F. (...) l'aspetto diffamatorio viene colto dal giudice di appello in quella che viene ritenuta una insinuazione che il giornalista avrebbe fatto, alludendo, così si sostiene, alla fidanzata del m.llo A. (presente in loco perchè preavvertita, secondo tesi di accusa, proprio dal militare della imminente perquisizione).

La sentenza tuttavia non chiarisce (evidenziando una riconoscibile carenza motivazionale) sulla base di quali dati i giudici di appello siano giunti alla conclusione: a) della esistenza di un legame sentimentale tra A. e la giornalista, b) del fatto che il F. ne fosse a conoscenza e quindi c) del fatto che il predetto imputato avesse inteso addebitare proprio al maresciallo la sospetta presenza della giornalista nella piazza dove è sito l'edificio che ospita (...).

Al proposito, invero la sentenza si affida al notorio, quasi che al gossip strapaesano o al pettegolezzo localistico possano conferirsi efficacia e dignità di prova o quantomeno di indizio; e tanto ciò è vero che ne ricerca conferma nella successiva lettera di un lettore indirizzata il 5.8.2002 al giornale telematico, lettera nella quale si parla di "qualcuno" che "ha provveduto ad avvisare la concorrenza, visto che ci (sic!) lavora una persona a lui particolarmente cara affettivamente".

Che tutto cio' possa ragionevolmente riferirsi alla PC e alla sua fidanzata, la sentenza di appello lo dà per certo ma non lo dimostra e non lo argomenta.

Mancando fondamento a tale presunzione, è di tutta evidenza che anche per il F. va riconosciuta la operativita' della scriminante ex art. 51 c.p..
Anche confronti di questo ricorrente, pertanto, la sentenza va annullata senza
rinvio.
P.Q.M.

la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere stati i fatti commessi in presenza di una causa di giustificazione.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2008
 
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