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 Alberto Cianfarini, L'applicazione del principio dell'immutabilità del Giudice penale nel diritto vivente: storia infinita o dilemma apparente?

Sebbene siano passati più di sei anni dalla famosa sentenza Iannasso (1) non sembra che le prassi applicative, attuate nei tribunali della Repubblica, possano definirsi sufficientemente omogenee e, soprattutto, per quanto concerne lo specifico interesse del difensore dell'imputato, certe nelle loro concrete linee applicative.

Senza voler ripercorrere tutte le sentenze precedenti alla citata Iannasso e, quindi, il substrato normativo e giurisprudenziale ad essa sotteso, occorre unicamente ricordare come essa si era riproposto l'ambizioso fine di risolvere l'annoso dilemma tra due norme del nostro codice di procedura, appunto l'art.511 e l'art.525 c.p.p., le quali sembrano enucleare principi,   apparentemente, inconciliabili.

L'art.511c.p.p. dopo aver stabilito nel comma 1 che "il giudice, anche di ufficio, dispone che sia data lettura, integrale o parziale, degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento", recita al comma 2: "La lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese, a meno che l'esame non abbia luogo".

L'art.525 c.p.p, invece, impone la regola, a pena di nullità assoluta, secondo la quale alla deliberazione della sentenza debbano partecipare gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.

Cosa accade, quindi, se muta la persona fisica del giudicante?; quale utilizzabilità per la prova dichiarativa assunta dal precedente giudice e, conseguentemente, come dovrà comportarsi il nuovo collegio?.

E' noto a tutti che la sentenza citata, cercò di risolvere il quesito posto dalla giurisprudenza sostenendo che: “ nel   caso   di   rinnovazione   del dibattimento a causa del mutamento della persona   del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la   testimonianza raccolta dal primo giudice non e' utilizzabile per la decisione   mediante   semplice   lettura,   senza   ripetere l'esame del dichiarante, quando   questo   possa   avere   luogo e sia stato richiesto da una delle parti. Nell'enunciare   il principio di cui in massima, la S.C. ha, peraltro, affermato   che allorquando, nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento   del giudice, nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della   prova   assunta   in   precedenza, il giudice può di ufficio disporre la lettura   delle   dichiarazioni   precedentemente   raccolte   nel contraddittorio delle   parti   e inserite legittimamente negli atti dibattimentali (2) .

Tale dictum giurisprudenziale ha cagionato nel tempo (credo grazie ad un'interpretazione non fedele del pensiero della Suprema Corte) un vero e proprio stallo processuale, forse determinato anche dalla non chiara formulazione operata dalla sentenza la quale, proprio perché resa a sezioni unite, avrebbe dovuto esplicarsi -   al vasto pubblico degli operatori -   con indicazioni più facilmente intelligibili. Cercherò di seguito di chiarire il perché.

Unica cosa certa e su cui tutti gli addetti erano (e sono) d'accordo, anche prima della sentenza Iannasso, concerne la rinnovazione del dibattimento quando appunto muti la composizione del giudice collegiale:   ciò che accade è una vera e propria riproposizione della sequenza processuale che si sostanzia in una nuova dichiarazione di apertura del dibattimento (art.492 c.p.p.), nuove richieste di prova ai sensi dell'art. 493 c.p.p., dichiarazioni spontanee dell'imputato e ordinanza del giudice in ordine all'ammissione delle prove (art. 495 c.p.p.).

Da tale incontestabile assunto molti giudici hanno ritenuto sussistente un vero e proprio diritto potestativo del difensore il quale avrebbe, secondo tale teorica, il potere di obbligare il giudice a esperire -   di nuovo -   la prova dichiarativa.

Chi frequenta le aule di giustizia sa bene che spessissimo si sente dire dal difensore, al mutamento di un componente di un collegio o comunque alla sostituzione di almeno un giudicante, “ non presto il consenso alla rinnovazione degli atti ” obbligando – in questo modo - molti collegi ad una defatigante attività che – molte volte – ha l'unico scopo di ottenere un rinvio del processo   e, quindi, allontanare la data della sentenza.

Parte della giurisprudenza di merito, purtroppo quantitativamente minoritaria, ha reagito a tale interpretazione ricordando gli insegnamenti del Giudice delle leggi il quale, nell'ordinanza 99 del 1996, aveva ricordato al giudice ordinario che già “ con la sentenza n. 17 del 1994 (premesso che il rispetto del principio di immutabilità del giudice di cui all'art. 525, comma 2, del codice di procedura penale impone che, in caso di mutamento del giudice stesso, si proceda all'integrale rinnovazione del dibattimento) aveva avuto modo di affermare che la disciplina relativa alla utilizzabilità dei verbali dei mezzi di prova assunti in una precedente fase dibattimentale da un diverso giudice va rinvenuta nell'impugnato art. 511 del codice, dato che detti verbali fanno parte del contenuto del fascicolo per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice . La Corte Costituzionale in questa sede affermava che la pregressa fase dibattimentale conserva carattere di attività legittimamente compiuta, per cui la medesima entra nel patrimonio conoscitivo del successivo giudice attraverso lo strumento della lettura (successivamente alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale).

Era questo un primo canone ermeneutico attraverso il quale leggere ed interpretare la sentenza Iannasso.

La giurisprudenza più attenta (3) ha evidenziato alcune evidenti incongruenze alla lettura della sentenza Iannasso, quale creatrice di un diritto potestativo della difesa; gli argomenti più frequentemente utilizzati sono i seguenti:

•  se la mancanza del "consenso delle parti" cagiona una nullità – assoluta ed insanabile a norma del comma 2 dell'art. 179 c.p.p. – essa non può essere ontologicamente superata dal semplice consenso delle parti;

•  il d.lg. 19/2/98 n. 51, all'art. 170 aveva introdotto una norma – art. 33 nonies – secondo la quale "l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina …l'inutilizzabilità delle prove già acquisite;

•  vi sarebbe un obbligo, incontestato, di riattivare la procedura di cui agli artt. 492\493\495c.p.p. senza che, inspiegabilmente, il giudice possa esercitare i suoi poteri di valutazione sulla ammissibilità della prova, riconosciutigli ed impostigli dagli artt. 190 e 190 bis c.p.p,

•  l'art. 190 bis c.p.p., introdotto dall'art. 3 della legge 1 marzo 2001, n. 63 recita : “ nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3 bis, quando è richiesto l'esame di un testimone o di una delle persone indicate nell'art. 210 e queste hanno già reso dichiarazioni… in dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate… l'esame è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze”. Il legislatore avrebbe introdotto una valutazione più   esigente, diversa dalla manifesta superfluità e irrilevanza di cui all'art.190 c.p.p. solo per le fattispecie più gravi mentre, per tutte le altre, lo stesso giudice sarebbe in uno stato di soggezione alle richieste defensionali (4);

•  la frase " a meno che l'esame non abbia luogo ", che chiude il capoverso dell'art. 525 c.p.p., non legittima l'unica accezione possibile del caso dell'obiettiva impossibilità della riassunzione, ben consentendo, invece, la considerazione del caso in cui, per qualunque motivo (tra cui l'esercizio dei poteri/doveri di cui agli artt. 190 e 190 bis c.p.p.) non abbia storicamente luogo.

 

Le insofferenze della giurisprudenza di merito (5) si sono, come è noto, tradotte in questioni di legittimità costituzionale.

La Corte Costituzionale, con l'ordinanza n.399\2001, ha fornito al giudice un altissimo insegnamento sottolineando quello che era sfuggito (e continua forse a sfuggire) ai giudici impegnati nella decifrazione della sentenza Iannasso.

Il Giudice delle leggi (6) nell'ordinanza 399\2001, in cui peraltro dichiarò la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale (7),   significativamente affermò che:

•  la disciplina sull'ammissione della prova va mantenuta distinta da quella sulle modalità di assunzione dei mezzi di prova;

•  la regola, contenuta nell'art. 511, comma 2, cod. proc. pen., che prescrive che sia data lettura di verbali di dichiarazioni solo dopo l'esame del dichiarante, non priva il giudice del potere di delibazione in ordine all'ammissione delle prove .

 

Il Giudice delle leggi era stato chiarissimo: solo ove il giudice abbia ammesso la prova richiesta, in quanto non manifestamente superflua o irrilevante, è tenuto poi, ovviamente,   ad assumerla.

La giurisprudenza di merito ha sostanzialmente disatteso il grande insegnamento del Giudice delle leggi, continuando – nella gran parte dei casi – a richiedere un fantomatico consenso alla rinnovazione degli atti al difensore (8).

Ma è davvero certo che la sentenza Iannasso aveva sostenuto questa modalità operativa?.

Andiamo a rileggere la sentenza nel suo brano saliente. Al punto 2 comma 8 della sentenza, testualmente, si legge (9) : “ è invero da escludere (all'infuori dell'ipotesi eccezionale di cui all'art. 190 bis c.p.p.) che quando l'ammissione della prova sia nuovamente richiesta, il giudice che la ammetta ai sensi degli artt.190 e 495 abbia il potere di disporre la lettura delle dichiarazioni raccolte nel dibattimento precedente, alla quale non consentano entrambe le parti, senza previo riesame del dichiarante ”.

E' evidente che la fantomatica prassi del “consenso necessario” è, a parere dello scrivente, del tutto inconferente essendo esso richiesto, unicamente (ovviamente), nel caso in cui il giudice ammetta la prova dichiarativa già espletata nel precedente giudizio, ai sensi dell'art. 190\495 cpp (ammissione che   rimane comunque facoltà del giudice, pienamente esercitatile e mai espropriata dal sistema positivo); appare chiaro, invece, che se il giudice ammette la prova nuovamente richiesta, non si potrà procedere alla lettura ex art. 511 c.p.p. questa volta sì senza il previo consenso della difesa.

Questo voleva significare la Consulta quando, con l'ordinanza n.399/2001, sottolineava che la disciplina sull'ammissione della prova va mantenuta distinta da quella sulle modalità di assunzione dei mezzi di prova: in pratica sia la Corte di legittimità sia il Giudice delle leggi – forse con insegnamenti di non immediata lettura (10)   – volevano ricordare che il giudice rimane sempre dominus circa l'ammissibilità della prova ex art. 190 c.p.p., anche nel caso (non si capisce perché dovrebbe perdere tale facoltà) in cui   si proceda alla integrale rinnovazione del dibattimento.

Veniamo ora alle possibili,   più frequenti, concrete prassi applicative. Può accadere che:

•  il p.m. richieda l'audizione di tutti i testi di lista (anche quelli già sentiti) e il difensore acceda alla semplice richiesta (come per legge) del controesame: in questo caso è il giudice a dover esercitare il suo dovere interdittivo ex art.190c.p.p. e a valutare, caso per caso, l'ammissibilità e la rilevanza, anche in relazione alle dichiarazioni già legittimamente agli atti del fascicolo del dibattimento;

•  il pm richieda “solo” l'esame dei testi non ancora sentiti e il difensore si opponga non fornendo il consenso alla rinnovazione mediante lettura: in questo caso il giudice non potrà che procedere oltre, disponendo la lettura ex art.511c.p.p.. Il   giudice non dovrà   neanche esercitare la sua facoltà ex art.190 c.p.p. in quanto il pm ha precedentemente richiesto solo i testi non ancora sentiti; il difensore non potrà, ovviamente, neanche richiedere l'esame o controesame se il teste, di cui non viene chiesta l'ammissione da parte del pm, non era stato inserito nella lista della difesa   ai sensi dell'art.468 c.p.p.;

•  il pm richieda solo i testi non ancora sentiti e il difensore chieda di sentire nuovamente un suo teste, non fornendo l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere il nuovo esame: il giudice, esercitando le sue prerogative ex art. 190\495c.p.p., potrà non ammettere l'esame del teste già sentito   utilizzando le precedenti dichiarazioni ex art.511c.p.p..

•  il pm richieda solo i testi non ancora sentiti e il difensore chieda di sentire nuovamente un suo teste, fornendo ampia indicazione delle circostanze su cui deve vertere il nuovo esame: il giudice – in questo caso -   potrà non ammettere la prova solo se manifestamente superflua e\o irrilevante, valutando tali parametri alla luce sia delle dichiarazioni già legittimamente acquisite, sia attraverso le indicazioni sulle quali dovrebbe vertere l'esame. In effetti se il difensore fornisce l'indicazione su cui deve vertere l'esame e, soprattutto, abilmente evidenzia che tale capitolo di prova era stato dimenticato, disatteso e\o non sufficientemente approfondito nella precedente audizione, ben difficilmente il giudice potrà disattendere la richiesta defensionale poiché il suo giudizio rimane ancorato alla non manifesta superfluità o irrilevanza della richiesta.

 

La sentenza a Sezioni Unite   del 17/02/1999 cd Iannasso, così come l'ordinanza n.399\2001, era stata chiara: il giudice rimane in ogni modo dominus dell'ammissione ai sensi degli artt.190 e 495 c.p.p. anche nel dibattimento rinnovato, nel corso del quale non si capisce perché il giudice dovrebbe essere spogliato di tali determinanti prerogative che affondano le loro radici, tra le altre, nell'art.111.2 Cost. il quale, com'è noto, prescrive al legislatore tempi di ragionevole durata del processo.

La questione è stata nuovamente sollevata innanzi al Giudice delle leggi (11) per tutte le ragioni sopra riportate: la questione sarà decisa a breve e questa volta il Giudice delle leggi non potrà che dichiararla di nuovo inammissibile ma, si spera, chiarendo una volta per tutte l'interpretazione letterale (necessariamente costituzionalmente orientata) della sentenza Iannasso.

- dott. Alberto Cianfarini - Pubblico ministero in Palmi (ottobre 2005)

(riproduzione riservata)


(1) Sez. Unite, sent.2   del 17/02/1999   (ud.15/01/1999), rv.   212395,   Pres. Zucconi Galli Fonseca,   Rel. Papadia , imputato Iannasso ed altro.   PM. (Conf.) Toscani U  

(2) Massima tratta dal CED della Suprema Corte

(3) Tra le molte ricordiamo Tribunale di Asti, in composizione monocratica, Ordinanza 13 novembre 2000

(4) più che richieste defensionali mancata prestazione di consenso alla rinnovazione degli atti.

(5) Tra le molte ricordiamo il Tribunale di Foggia con ordinanza emessa il 16 novembre 2000, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2001.

(6) È simpatico notare che questa volta l'Avvocatura dello Stato   dimostrò di aver ben letto e compreso la sentenza Iannasso: nell'ordinanza, infatti, si legge che l'Avvocatura sostenne che: “……… l'integrale rinnovazione del dibattimento comporta che <<anche al "nuovo" Giudice sono restituiti quei poteri di controllo sulla legittimità, rilevanza e superfluità che sono propri dell'ordinario regime dell'ammissione della prova>>, rendendo la disciplina delle prove assunte in un diverso procedimento ed acquisite ex art. 238 cod. proc. pen. del tutto omogenea a quella relativa alle prove assunte nello stesso procedimento davanti a Giudice-persona fisica diversa”

(7) Insegnano, a volte, molto più le ordinanze di manifesta infondatezza delle sentenze.

(8) Poche le eccezioni illuminate tra cui occorre ricordare le o rdinanze dal Tribunale di Nola, Seconda Sezione, analoghe del Tribunale Palmi e di   Locri

(9) Si veda Cassazione Penale pagina 1431 anno 1999

(10) Prova della non immediata lettura è data dalla circostanza secondo la quale anche nell'autorevole commento al Codice di   Procedura Penale,   Lattanzi – Lupo,   Giuffre 2003, vol. VII, pagina 371, l'autore, Mario D'Andria, inserisca sia la sentenza Iannasso sia l'ordinanza 399\2001 della Consulta tra le decisioni che militano a sostegno dell'orientamento favorevole alla configurazione di una sorta di diritto potestativo della difesa alla prestazione del “famigerato” consenso. Letteralmente, invece, la sentenza Iannasso (si veda la nota 8) così come l'ordinanza 399\2001, non pregiudicano affatto (ma anzi ricordano) i sempre presenti poteri ammissivi del giudice ex art.190 c.p.p..

(11) Tra le molte Corte di Appello di Venezia, Sezione IV Penale, Ordinanza 26 aprile 2001 CORTE D'APPELLO di VENEZIA SEZIONE QUARTA PENALE sul sito penale.it

 
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