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 Margherita Massa, La natura del criterio di imputazione soggettiva nell’omicido preterintenzionale

Permane il contrasto interpretativo tra la prima e la quinta sezione della Suprema Corte.

Commento a Corte di Cassazione, Sez. I penale, 22 settembre 2006, n. 37385, a cura dell'avv. Margherita Massa
 

Sommario: 1. L’elemento soggettivo nell’omicidio preterintenzionale: i riferimenti normativi. - 2. Indirizzi dottrinali ed orientamenti giurisprudenziali. - 2.1. La teoria del dolo misto a responsabilità oggettiva. - 2.2. La teoria del dolo misto a colpa e la soluzione accolta dalla sentenza in epigrafe. - 2.3. La preterintenzione come elemento soggettivo unitario e la sentenza Sez. V, n. 13673/2006. - 3. Conclusioni. - 4. De iure condendo.

1. L’elemento soggettivo nell’omicidio preterintenzionale: i riferimenti normativi.

Con la pronuncia del 22 settembre 2006 la Suprema Corte torna ancora una volta ad interrogarsi sulla natura giuridica dell’elemento soggettivo nel delitto preterintenzionale, la cui esegesi e collocazione sistematica rappresentano una delle questioni più dibattute e controverse del diritto penale, nonché campo privilegiato di indagine con riferimento, più in generale, ai principi fondanti il diritto penale moderno, primo fra tutti il principio costituzionale della responsabilità penale personale sancito dall’art. 27 Cost.(1).

La sentenza in epigrafe, peraltro, si inserisce in un panorama giurisprudenziale che ha visto recentemente insorgere all’interno della Suprema Corte, tra la Sezione V penale (con la sentenza n. 19611/2006(2)) e la Sezione I penale (con la sentenza n. 13673/2006(3)), uno scontro esegetico derivante da una differente interpretazione della preterintenzione e che offre un interessante spunto di riflessione in merito alle contrapposte teorie elaborate, in letteratura e giurisprudenza, intorno all’elemento psicologico nell’illecito preterintenzionale.

La sentenza in commento aderisce alla teoria della preterintenzione come dolo misto a colpa(4), in contrapposizione alla tradizionale e prevalente ricostruzione come dolo misto a responsabilità oggettiva(5), ed ha il pregio di riaffermare la necessità – alla luce del principio di colpevolezza nella sua rilettura garantista e personalistica – di una lettura dell’istituto dell’omicidio preterintenzionale costituzionalmente orientata, nell’ottica di espellere dall’ordinamento le ipotesi di imputazione a titolo di responsabilità oggettiva.

Al fine di comprendere la soluzione offerta dalla Sezione I, è necessario premettere una breve disamina circa i profili costitutivi del modello delittuoso dell’illecito preterintenzionale.

La definizione di preterintenzione è contenuta nell’art. 43, primo comma, secondo alinea, c.p., laddove il legislatore ha previsto che il delitto «è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente»(6).

Tale formulazione legislativa ha suscitato non pochi dubbi interpretativi e ha reso difficile fornire una definizione dommatica della preterintenzione(7), tanto più che, da un lato, il legislatore ne delinea i caratteri trattando dell’«elemento psicologico del reato»(8), dall’altro, la relazione ministeriale al codice vigente si limita ad evidenziare che trattasi di «una forma di reato autonomo»(9).

Concorre a tracciare i contorni dell’istituto l’art. 42 c.p., che identifica il delitto preterintenzionale, come sopra definito, quale autonomo coefficiente soggettivo, strutturalmente distinto dal dolo e dalla colpa (secondo comma: «nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge»), ma altresì dalle ipotesi di responsabilità oggettiva (terzo comma: «la legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente come conseguenza della sua azione od omissione»).

La norma da ultimo citata pare delineare un criterio tripartito di imputazione, secondo tre distinte forme di colpevolezza, in ordine decrescente (dolo, preterintenzione e colpa)(10), e stabilisce che l’elemento soggettivo della preterintenzione è configurabile con esclusivo riferimento alla categoria dei delitti e che la punibilità a titolo di preterintenzione – così come a titolo di colpa – è limitata ai soli reati tipizzati dalla legge come punibili in presenza di tale coefficiente soggettivo(11).

Tuttavia, contrariamente al dato letterale, la dottrina maggioritaria ritiene che i coefficienti soggettivi fondamentali siano unicamente due, il dolo e la colpa; la preterintenzione, infatti, non potrebbe godere di autonomia e ritenersi terzo ed autonomo criterio di imputazione soggettiva, in quanto non sarebbe ontologicamente configurabile una forma di colpevolezza intermedia tra il dolo (la volontà) e la colpa (la non-volontà), ovvero, sul piano psicologico-soggettivo, tra dolo e colpa tertium non datur(12). Ne discende che, con riferimento all’omicidio preterintenzionale, ci si dovrebbe limitare a ritenere che l’elemento psicologico consiste «nell’animo di nuocere e nell’assoluta mancanza dell’animo di uccidere»(13).

Alla luce delle citate disposizioni, emerge come il sistema positivo delinei l’illecito preterintenzionale quale forma a sé stante di responsabilità(14) e fattispecie complessa, caratterizzata da due requisiti strutturali: sotto il profilo oggettivo, l’omogeneità di lesione e, più precisamente, la progressione lineare fra l’evento meno grave voluto e l’evento più grave non voluto (l’agente realizza una condotta oggettivamente rivolta alla produzione di un determinato evento che sfocia invece nella causazione di un evento più grave)(15); sotto il profilo soggettivo, l’unitarietà e l’autonomia del delitto, con l’evento più grave non voluto come elemento costitutivo del reato e non come mera circostanza aggravante, che ne fanno un reato semplice (non circostanziato) e nuovo rispetto a quello voluto dall’agente (mentre la condotta e l’evento meno grave eventualmente conseguente rientrano nella piena previsione e volontà dell’agente, l’evento più grave è «preterintenzionale» o «oltre l’intenzione»)(16).

La preterintenzione è pertanto volizione di un fatto di reato meno grave, cui fa seguito, sul piano causale rispetto alla condotta criminosa, la realizzazione di un evento più grave, necessariamente non voluto dall’agente (neppure a titolo di dolo eventuale o indiretto(17)), e con essa, in base al codice vigente, «si ha l’imputazione legislativa di un evento più grave non voluto sulla base della rappresentazione-e-volizione di un evento meno grave»(18).

Tuttavia, mentre si ritiene pacificamente che nel delitto preterintenzionale il meno grave reato di percosse o lesioni sia attribuibile al soggetto agente a titolo di dolo e che l’evento morte debba trovarsi in rapporto di assoluta estraneità all’oggetto del dolo, è ancora oggi ampiamente controversa la natura del titolo di responsabilità in base al quale l’evento aggravante deve essere attribuito all’agente, alternativamente individuato da dottrina e giurisprudenza nella responsabilità oggettiva e nella colpa.

2. Indirizzi dottrinali ed orientamenti giurisprudenziali.
Il dibattito sul punto di diritto del titolo di imputazione dell’evento ulteriore nella fattispecie di cui all’art. 584 c.p.(19) si risolve, in realtà, nella più vasta problematica del contenuto soggettivo del delitto verificatosi “oltre l’intenzione”(20).

Allo stato attuale, in merito al criterio dell’attribuibilità dell’evento preterintenzionale, sono state fornite due soluzioni dicotomiche accomunate dal ritenere la preterintenzione una fattispecie soggettiva di natura complessa, risultante dalla combinazione di due diversi titoli di imputazione (dolo misto a colpa e dolo misto a responsabilità oggettiva), ed una terza ricostruzione (cd. terza via), di recente elaborazione giurisprudenziale, che muove invece dall’asserita unicità dell’elemento soggettivo nel delitto preterintenzionale.

2.1. La teoria del dolo misto a responsabilità oggettiva.

Secondo l’indirizzo dottrinale e l’orientamento giurisprudenziale dominanti, la perifrasi «oltre l’intenzione» utilizzata dal legislatore nell’art. 43 c.p. si limiterebbe a richiedere che, nel delitto preterintenzionale, sul piano soggettivo, difetti in modo assoluto in capo all’agente la volontà della conseguenza ulteriore, da ascriversi al reo in ragione del mero nesso di causalità materiale(21) e pur essendo insussistente un rapporto di causalità psichica diretta tra la condotta e l’evento maggiore(22).

In tale prospettiva, la preterintenzione, ricostruita come forma di responsabilità complessa in cui si combinano dolo e responsabilità oggettiva, si differenzierebbe dalle ipotesi di responsabilità oggettiva considerate nel comma 3 dell’art. 42 c.p. in ragione del necessario accertamento, di tipo soggettivo, circa la non volizione dell’evento preterintenzionale, accertamento altrimenti del tutto irrilevante(23).

La ratio dell’imputazione dell’evento preterintenzionale a titolo di responsabilità oggettiva risiede invero nella necessità di approntare una speciale forma di tutela rafforzata del bene giuridico della vita, sanzionando il rischio determinato dalle condotte di percosse o lesioni (anche solo tentate(24)), ed è tradizionalmente espressione di un’esigenza di repressione particolarmente severa, in quanto postula la possibilità di attribuire a colui che volontariamente pone in essere un’azione illecita, in ragione dell’iniziale volontà criminosa, anche tutte le conseguenze ulteriori che discendono da tale azione, pur se dovute al caso, e pertanto del tutto imprevedibili. Trattasi, in sostanza, di un caso di applicazione dell’antico canone del «qui in re illicita versari tenetur etiam pro casu».

Da tale assunto discende che il criterio della prevedibilità dell’evento morte sarebbe estraneo alla nozione di delitto preterintenzionale, non rappresentando un elemento tipicizzante della struttura soggettiva di tale tipologia di illecito, attesa la carenza, nel dettato normativo dell’art. 584 c.p., di un richiamo a criteri soggettivi di collegamento dell’evento morte alla condotta posta in essere dall’autore del reato base(25). Conseguentemente, ricorrendo la fattispecie dell’omicidio preterintenzionale, il giudice non sarebbe tenuto a procedere ad una valutazione della prevedibilità dell’evento aggravante, in quanto la presenza dell’iniziale volontà criminosa di tenere la condotta di aggressione legittimerebbe l’imputazione di tale evento quale fatto «proprio» del reo del delitto di percosse o lesioni(26).

Gli argomenti che fanno propendere parte della dottrina e della giurisprudenza per l’impossibilità di attribuire – nel delitto di omicidio preteritenzionale – l’evento aggravante ad altro titolo che non sia la responsabilità oggettiva(27), e ritenere di poter agevolmente confutare la diversa ricostruzione della preterintenzione come dolo misto a colpa, sono molteplici.

In primis, i fautori della teoria del dolo misto a responsabilità oggettiva affermano che nell’omicidio preterintenzionale non sarebbe possibile ricorrere ai criteri di imputazione colposa, posto che gli artt. 43 e 584 c.p. non fanno alcun riferimento alla colpa, mentre, ai sensi dell’art. 42, comma 2, c.p., la colpa può essere accertata solo nei casi in cui la legge richiama espressamente la necessità della sua presenza(28).

In secondo luogo, la concezione in esame risulterebbe la sola aderente alla realtà giuridica positiva ed all’idea di pena fortemente retributiva e non rieducativa propria dell’impostazione del Codice Rocco(29). La scelta di politica criminale attuata dal legislatore nella configurazione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 584 c.p. sarebbe stata dettata dall’oggetto giuridico della norma, rappresentato dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della sicurezza dell’individuo e, in particolare, del bene della vita umana, rispetto al quale si imporrebbe la necessità di approntare una tutela completa avverso fatti che – sebbene intenzionalmente diretti ad integrare i delitti di cui agli artt. 581 e 582 c.p. e quindi ad aggredire il bene dell’integrità fisica – cagionino la morte della persona offesa.

Alcuni Autori, inoltre, sostengono la non configurabilità della colpa concepita come violazione di regole cautelari con riferimento ad eventi ulteriori causati nel contesto di un’attività già di per sé illecita, posto che non si potrebbe concepire che una medesima attività sia vietata in modo assoluto, in quanto illecita, e, al contempo, subordinata a modalità di svolgimento improntate a criteri di prudenza o diligenza(30).

Altri rilevano che la previsione della preterintenzione quale forma autonoma e distinta di imputazione colpevole non potrebbe che implicare la necessità di una sua diversificazione strutturale rispetto alle ipotesi di concorso formale tra il dolo del reato base e la colpa per la causazione non voluta dell’evento ulteriore(31).

Altri ancora affermano invece che il dolo e la colpa sarebbero atteggiamenti psicologici ontologicamente incompatibili e che pertanto non potrebbero coesistere nella medesima fattispecie(32).

Tuttavia, pare evidente che l’orientamento in esame crea insuperabili problemi di coerenza costituzionale e sistematica.

La tesi interpretativa in esame porta ad addebitare all’agente l’evento aggravante anche quando in concreto imprevedibile ed inevitabile al momento della commissione del fatto, traducendosi, in sostanza, in un’applicazione del principio del versari in re illicita, principio incompatibile con l’insegnamento offerto dalla Corte costituzionale in tema di colpevolezza nelle pronunce della Consulta nn. 364 e 1085 del 1988 e con una interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 584 c.p.(33).

Un secondo profilo problematico è rappresentato dalla circostanza che la teoria del dolo misto a responsabilità oggettiva, venendo a configurare – in assenza di qualsiasi coefficiente di prevedibilità – un’ipotesi di imputazione a titolo di responsabilità oggettiva dell’evento preterintenzionale, risulterebbe incoerente con il regime di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti di cui all’art. 59, comma 2, c.p. come modificato dall’art. 1 della Legge 7 febbraio 1990, n. 19, che prevede l’imputazione almeno per colpa dei suddetti elementi circostanziali(34).

2.2. La teoria del dolo misto a colpa e la soluzione accolta dalla sentenza in epigrafe.

Con la pronuncia in epigrafe(35), conforme alla di poco precedente sentenza n. 19611/2006(36), la Sezione I della Suprema Corte, venendo a trattare della doglianza sollevata dal ricorrente in merito all’erronea qualificazione del fatto come omicidio volontario anziché come omicidio preterintenzionale(37), ribadisce espressamente la propria adesione alla teoria della preterintenzione come combinazione di dolo e colpa: «l’elemento psicologico del delitto preterintenzionale deve essere individuato, coerentemente con il principio di colpevolezza e con le affermazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988, nel dolo misto a colpa, riferito il primo al reato meno grave e la seconda all’evento più grave in concreto realizzatosi, dovendosi verificare, di volta in volta, la concreta prevedibilità(38) ed evitabilità dell’evento maggiore ai fini dell’imputazione»(39).

La Sezione I si discosta così espressamente dall’orientamento interpretativo tradizionalmente prevalente che qualifica la preterintenzione come ipotesi di dolo misto a responsabilità oggettiva, e smentisce altresì la pronuncia n. 13673/2006 della Sezione V che ha offerto invece una rilettura – molto poco convincente – della preterintenzione come elemento soggettivo unico ed autonomo criterio di ascrizione della responsabilità penale(40).

I fautori della teoria del dolo misto a colpa ritengono che la tradizionale ricostruzione della preterintenzione come dolo misto a responsabilità oggettiva sia incompatibile con il dettato costituzionale e con una interpretazione costituzionalmente orientata della norma di cui all’art. 584 c.p., posto che l’art. 27 Cost. richiedere, in definitiva, che il dolo o la colpa coprano tutti gli elementi della fattispecie fondanti rispetto all’offesa ed alla misura della pena(41), e pertanto anche l’evento preterintenzionale, elemento descrittivo centrale della fattispecie tipica. Soluzione questa obbligata a seguito della sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, che ha individuato nel principio di colpevolezza uno dei capisaldi del nostro sistema penale, cui dare pieno riconoscimento anche nella lettura del diritto positivo e quindi nell’interpretazione delle fattispecie incriminatrici. Peraltro, già precedentemente alla citata pronuncia della Consulta, si era andato progressivamente affermando presso la migliore dottrina un indirizzo interpretativo teso a fissare un momento di prevedibilità – quanto meno in astratto – nelle ipotesi legislative di imputazione dell’evento in forza del mero nesso causale, con l’obiettivo di giungere ad espellere dall’ordinamento giuridico italiano i casi di responsabilità oggettiva, espressa od occulta(42). Né si può tacere che, de iure condito, sull’opportunità di abolire la responsabilità oggettiva è concorde, quantomeno in linea di principio, la maggioranza della dottrina italiana, sia per ragioni di politica criminale, sia per motivi di adeguamento della legislazione ordinaria alla Costituzione(43).

Tuttavia, se tra coloro che sostengono la tesi della natura colposa dell’evento preterintenzionale è comune il convincimento che debba essere richiesto l’accertamento della prevedibilità dell’evento ulteriore, sussistono invece opinioni divergenti in merito alla complessità del giudizio di colpevolezza richiesto: alcuni ritengono sufficiente l’accertamento della sola prevedibilità(44), altri invece reputano di dover preventivamente individuare la regola cautelare operante nel caso di specie e che si assume violata, postulando la necessità di una verifica circa la probabilità ed evitabilità in concreto dell’evento più grave non voluto dall’agente secondo un giudizio ex ante(45).

Secondo una risalente ma autorevole ricostruzione, la preterintenzione rappresenterebbe un’ipotesi di dolo misto a colpa «specifica» per inosservanza della norma penale incriminatrice del reato meno grave, di percosse o lesioni(46). Tale interpretazione si presta ad obiezioni difficilmente superabili. In primo luogo, essa finisce per tradurre l’omicidio preterintenzionale in un’ipotesi di responsabilità oggettiva «occulta», in quanto, fondando la colpa sulla semplice violazione della legge penale, determina l’attribuzione all’agente dell’evento lesivo non voluto in forza del mero accertamento dell’esistenza del nesso di causalità tra tale evento e la condotta posta in essere in violazione della norma incriminatrice(47). Inoltre, ne discende in realtà un’applicazione del principio del versari in re illecita, poiché, non essendo richiesta una valutazione in concreto circa la prevedibilità da parte del reo dell’evento preterintenzionale quale effetto della condotta illecita tenuta, si ricade in un’ipotesi di colpa «presunta»(48).

Secondo la teoria del dolo misto a colpa «generica oggettiva», invece, la preterintenzione rappresenterebbe una categoria normativa autonoma, derivante dalla combinazione del dolo del reato base con la «misura oggettiva» della colpa riferita all’evento ulteriore(49). Il delitto preterintenzionale, posto che il meno grave reato di percosse o lesioni concreta un’aggressione al bene giuridico della vita, tipizzerebbe una situazione di rischio nella quale la verificazione dell’evento aggravante sarebbe oggettivamente prevedibile secondo le massime della comune esperienza, sulla base del parametro dell’uomo mediamente avveduto, e, pertanto, la realizzazione del reato base verrebbe ad integrare la violazione di obblighi di cautela finalizzati appunto a prevenire rischi obiettivamente riconoscibili. La colpa rispetto all’evento preterintenzionale è definita come «generica» ed «oggettivata». Generica, in quanto le norme cautelari che si generano nella situazione di rischio illecito presenterebbero caratteri differenti rispetto a quelli della norma incriminatrice del reato base e non sarebbero suscettibili di codificazione, attesa l’impossibilità di dettare una disciplina normativa con riferimento all’esercizio di attività vietate rispetto alle quali vige un dovere assoluto di astensione. Oggettivata, in considerazione della circostanza che il processo di edificazione della regola cautelare si fonderebbe sul requisito della «oggettiva rappresentabilità» dell’evento in capo al reo secondo il parametro dell’uomo mediamente avveduto, parametro dotato di un alto grado di generalizzazione. Anche tale teoria evidenzia, nella pratica, limiti oggettivi: in primis, l’incoerenza di edificare una regola cautelare asseritamente oggettiva ed impersonale, prevedendo, al contempo, che il suo rispetto sia valutato in base al parametro delle conoscenze dell’uomo medio, anziché secondo quello della miglior scienza ed esperienza; e, in secondo luogo, l’esito pratico di accogliere una soluzione prossima alla colpa in re ipsa, in contrasto con il principio di colpevolezza nella misura in cui finisce per identificare l’accertamento della sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa con il giudizio circa l’idoneità causale della condotta a provocare l’evento morte.

Tra le diverse ricostruzioni, deve oggi ritenersi prevalente l’opinione secondo la quale la colpa deve essere intesa come «generica ed in concreto»(50), con conseguente necessità di verificare la sussistenza, caso per caso, della concreta prevedibilità ed evitabilità dell’evento non voluto in capo all’autore della condotta dolosa, secondo il parametro della miglior scienza ed esperienza specifiche(51).

Nella sentenza in epigrafe, la Sezione I della Suprema Corte sposa tale orientamento, che intende collegare inscindibilmente la dimensione personale dell’imputazione penale alla colpevolezza dell’agente e si sforza di non vanificare gli insegnamenti contenuti nelle storiche sentenze della Consulta nn. 364 e 1085 del 1988(52).

In particolare, il Collegio argomenta che, di fronte al disposto di incerto significato dell’art. 43 c.p., l’unica interpretazione della fattispecie di cui all’art. 584 c.p. pienamente rispettosa dei dettami costituzionali è quella che richiede, ai fini dell’imputazione a titolo di preterintenzione, che l’evento aggravante possa dirsi soggettivamente collegato all’agente. Infatti, posto che, in forza del principio della responsabilità penale personale e colpevole «deve necessariamente postularsi la colpa dell’agente almeno in relazione agli elementi più significativi della fattispecie, fra i quali il complessivo ultimo risultato vietato se non si vuole incorrere nel divieto ex art. 27 Cost., commi 1 e 3, della responsabilità oggettiva c.d. pura o propria»(53), solo in presenza dei requisiti subiettivi del dolo o della colpa è consentito pervenire all’addebito di accadimenti controllabili – e quindi, e solo in tale misura, rimproverabili – all’agente, ed alla conseguente formulazione di un giudizio di responsabilità in relazione ad un fatto autenticamente «proprio» del reo(54).

In merito, la miglior dottrina ha sottolineato che, nonostante la fattispecie dell’omicidio preterintenzionale sia stata in origine caratterizzata dal legislatore per l’imputazione oggettiva dell’evento ulteriore, l’evoluzione del diritto penale moderno impone di rileggerla in conformità ai principi costituzionali, e pertanto il giudice dovrà essere chiamato ad applicarla come se contenesse il «limite della colpa», verificando se, nel caso sottoposto al suo giudizio, l’evento morte costituisca sviluppo prevedibile in concreto della condotta dolosa di percosse o lesioni voluta dall’agente(55).

Peraltro, la tesi interpretativa in esame evita l’incongruenza sistematica (con conseguente violazione dell’art. 3, Cost.) tra la norma di cui all’art. 59 c.p., che consente l’imputazione degli elementi circostanziali solo se coperti almeno dalla colpa, e l’art. 584 c.p., che comporterebbe altrimenti l’imputazione obiettiva – in assenza di qualsivoglia coefficiente di prevedibilità – degli eventi preterintenzionali (elementi essenziali, e non accidentali, del reato), di significato offensivo spesso superiore(56).

A favore della tesi accolta dalla pronuncia in commento depone, inoltre, la collocazione sistematica della preterintenzione negli artt. 42 e 43 c.p. come figura intermedia tra il dolo e la colpa ed in contrapposizione alle ipotesi di responsabilità oggettiva. Ed è proprio tale collocazione che rende del tutto superflua un’esplicita previsione, nelle fattispecie preterintenzionali previste nel nostro ordinamento, della colpa come titolo di ascrizione dell’evento aggravante(57).

La ricostruzione de qua consente peraltro di preservare l’autonomia della categoria della preterintenzione rispetto a quella della responsabilità oggettiva, distinzione che trova il proprio fondamento nell’art. 42 c.p., senza che si debba giungere ad una interpretatio abrogans dell’art. 43, primo comma, secondo alinea, c.p., ed impedisce altresì che la disposizione di cui all’art. 584 c.p. possa essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 27 Cost.. A tal proposito, basti ricordare che l’eccezione di incostituzionalità sollevata in relazione alla fattispecie dell’omicidio preterintenzionale è stata ritenuta manifestamente infondata proprio con la motivazione che il titolo di responsabilità di cui all’art. 584 c.p. è interpretato dalla giurisprudenza come dolo misto a colpa(58).

I sostenitori della teoria in commento respingono anche l’obiezione che non potrebbe aversi autentica colpa generica fondata sulla violazione di norme cautelari quando si versi in un contesto di attività illecita. Il suddetto rilievo critico, infatti, è fuorviante. In realtà, non vi sono ostacoli giuridici alla configurazione della colpa nell’ambito di attività rischiose non giuridicamente autorizzate, in quanto, rispetto a quest’ultime, la funzione preventiva è svolta dalla norma incriminatrice di tali attività, mentre, per aversi colpa, occorre un quid pluris, ovverosia «la prevedibilità (violando tale norma) e l’evitabilità (non violandola) dell’evento più grave (es. della morte)»(59). Peraltro, l’obiezione risulta smentita testualmente dagli artt. 83, secondo comma, e 586 c.p., che dimostrano proprio la configurabilità anche in un contesto illecito di una colpa generica rispetto ad un evento ulteriore(60).

2.3. La preterintenzione come elemento soggettivo unico e la sentenza Sez. V, n. 13673/2006.

Recentemente – e da ultimo con la sentenza Sez. V, n. 13673/2006(61), precedente solo di alcuni mesi a quella in epigrafe – è andato affermandosi, accanto alle dicotomiche teorie sopra illustrate, un terzo orientamento giurisprudenziale(62), che ha offerto una diversa soluzione del problema giuridico dell’inquadramento dogmatico dell’elemento soggettivo nella fattispecie di cui all’art. 584 c.p..

Tale tesi interpretativa si richiama in certa misura ad argomentazioni già enucleate dalle cd. concezioni «unitarie» sulla natura soggettiva del reato preterintenzionale(63) – oggi abbandonate – che, nel tentativo di superare l’empasse derivante dall’impossibilità di ricostruire la preterintenzione come autonoma forma di colpevolezza, avevano cercato di ricondurre il delitto preterintenzionale nell’ambito del delitto doloso o di quello colposo.

Il primo orientamento riconduceva l’omicidio preterintenzionale al delitto doloso, sul presupposto che l’evento ulteriore non voluto sarebbe stato – secondo la comune esperienza – oggetto di previsione da parte dell’agente e quindi non «disvoluto»; secondo tale prospettazione, la preterintenzione era pertanto individuata da alcuni nel dolo diretto(64), da altri nel dolo indiretto(65) e da altri ancora nella cd. «volontà lambente»(66).

Tale interpretazione, tuttavia, era apparsa prima facie incompatibile con la definizione stessa di preterintenzione, che esclude che l’evento ulteriore possa ricadere in qualche modo nel raggio della volontà colpevole dell’agente, vertendosi altrimenti nell’ambito di applicazione dell’art. 575 c.p.; inoltre, o si scontrava con lo schema tipico del dolo, finendo per qualificare come doloso un fatto non integralmente voluto, ovvero, richiamandosi all’ambiguo concetto della cd. volontà «lambente», risultava difficilmente accettabile sul piano giuridico (atteso che la volontà possiede o non possiede un determinato contenuto, non potendosi logicamente concepire ipotesi intermedie), oltre che inidonea a spiegare il contenuto di illiceità peculiare tipizzato nell’art. 584 c.p..

La seconda tesi interpretativa, invece, ricostruiva il delitto preterintenzionale come delitto colposo per inosservanza di leggi, dando rilievo alla violazione delle norme incriminatrici dei reati di percosse e lesioni, ed argomentando che tale inosservanza avrebbe determinato la causazione involontaria dell’evento aggravante dalla quale discendeva il nomen juris del fatto tipico(67).

Anche questa seconda ricostruzione era apparsa quantomeno discutibile. In primo luogo, essa finiva per considerare colposa la responsabilità conseguente alla violazione di ogni norma penale, anziché quella delle sole norme che prescrivono regole cautelari di condotta. Inoltre, identificando il delitto preterintenzionale con quello colposo per inosservanza di leggi, sopravvalutava l’aspetto non volitivo dell’illecito preterintenzionale, trascurando del tutto l’indispensabile momento doloso. Infine, non consentiva di identificare alcuna differenza tra l’illecito colposo di cui al comma 1 dell’art. 43 c.p., primo comma, terzo alinea, ed il delitto preterintenzionale, di cui al secondo alinea, negando qualsiasi autonoma rilevanza all’istituto della preterintenzione come titolo di imputazione ed annullando i termini di una distinzione che trova invece un preciso fondamento positivo nel dettato normativo del Codice Rocco.

Le concezioni unitarie, ritenute superate a vantaggio di una ricostruzione della preterintenzione come elemento soggettivo complesso(68), sembrano essere recentemente tornate di una qualche attualità, alla luce delle argomentazioni contenute in alcune recenti pronunce della Suprema Corte, le quali – seppur per altra via – asseriscono l’unicità dell’elemento soggettivo nell’omicidio preterintenzionale.

Infatti, nella sentenza n. 13673/2006, la Sezione V afferma che «il delitto di cui all’art. 584 c.p. ha un titolo proprio ed esclusivo di responsabilità», la preterintenzione, che consisterebbe unicamente nel dolo del reato base, il quale assorbirebbe anche la prevedibilità dell’evento preterintenzionale, in ragione dell’omogeneità dell’evento morte rispetto a quello meno grave del delitto sussidiario di percosse o lesioni(69).

In particolare, il Collegio ricostruisce la preterintenzione quale forma autonoma di imputazione soggettiva, diversa dal dolo e dalla colpa, e dichiara espressamente di respingere entrambe le tesi del cd. «doppio elemento psicologico».

Onde confutare la teoria del dolo misto a responsabilità oggettiva, la Corte richiama l’art. 42 c.p., che escluderebbe testualmente che la punibilità dell’omicidio preterintenzionale a titolo di dolo misto a responsabilità oggettiva.

Nonostante questo argomento sia comune ai sostenitori della teoria del dolo misto a colpa, in realtà, l’orientamento in esame si discosta sostanzialmente anche da tale seconda tesi interpretativa.

Al fine di respingere anche la teoria della preterintenzione come dolo misto a colpa, il Collegio muovedalla lettera della norma incriminatrice dell’art. 584 c.p. («con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582»), ritenendo che ne discenda logicamente che «l’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale è costituito unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni». Inoltre, sulla base dell’art. 43 c.p., che delinea il rapporto di «causalità morale» tra l’intenzione (volontà e previsione) del risultato della condotta posta in essere dall’agente e l’evento, pericoloso o dannoso, conseguente alla condotta, afferma che tale rapporto si atteggia diversamente nel delitto doloso (nel quale c’è corrispondenza dell’evento con l’intenzione dell’agente), nel delitto colposo (che richiede al contrario un contrasto tra l’intenzione dall’agente e l’evento), e, infine, nel delitto preterintenzionale (caratterizzato – come il delitto doloso – dalla corrispondenza tra voluto e realizzato, pur se «superata» dalla maggior gravità dell’evento ulteriore).

Il portato di tale ragionamento è duplice: da un lato, vi è una forte assimilazione del delitto preterintenzionale a quello doloso, dall’altro, un’asserita inconciliabilità con quello colposo. La prevedibilità dell’evento, infatti, caratterizzerebbe esclusivamente i delitti colposi (nei quali l’evento si verifica contro l’intenzione e si rende pertanto necessario, al fine verificare in concreto la prevedibilità dell’evento non voluto in capo al reo, accertare la sussistenza di uno dei parametri di causalità morale), mentre, in base al dettato normativo, risulterebbe estranea alla nozione sia di delitto doloso sia di delitto preterintenzionale(70).

Mediante tali argomentazioni, la Sezione V ritiene di aver dimostrato l’incoerenza della teoria del dolo misto a colpa, che cadrebbe nell’equivoco di ammettere implicitamente che nel delitto preterintenzionale non si è in presenza dei criteri di causalità morale dettati dall’art. 43 c.p. con riferimento al delitto colposo al fine di consentire l’individuazione di un’intenzione contro l’evento, senza tuttavia trarne «l’implicazione realistica che la prevedibilità dell’evento più grave è in caso di delitto preterintenzionale categoria irrilevante per la struttura dell’elemento psicologico, assorbita nel dolo di percosse o lesioni».

La scelta ermeneutica della Corte nella pronuncia in commento è ritenere che «l’art. 584 c.p. non richiede un ulteriore elemento psicologico oltre il dolo del delitto sussidiario, perché l’evento da cui dipende l’esistenza del reato progressivo è unico», poiché «chi agisce con dolo di delitto di percosse o lesioni per definizione può prevedere l’evento più grave del risultato voluto, indipendentemente dai parametri che servono a qualificare la colpa. Il rischio del verificarsi della morte è implicito nell’offesa dell’incolumità personale, tant’è che se l’agente prevede l’evento morte, il delitto è secondo l’intenzione, e va qualificato omicidio volontario»(71). Il Collegio afferma, infatti, che la prevedibilità dell’evento morte, insita nel dolo del reato sussidiario, non può assurgere a carattere distintivo dell’omicidio preterintenzionale, la cui peculiare specificità (desumibile dal combinato disposto degli artt. 43 e 584 c.p.) sarebbe da ravvisare proprio nell’addebito all’agente dell’evento ulteriore anche nel caso in cui tale evento non fosse in concreto prevedibile in relazione alle specifiche modalità di aggressione dell’altrui incolumità poste in essere. Quale diretta conseguenza di tali argomentazioni, la Sezione V giunge a sostenere che «il giudice non deve verificare se l’evento morte fosse prevedibile secondo un parametro legale, dettato per la colpa, ma solo se l’agente ha agito con il dolo di cui all’art. 581 o 582 c.p.»(721).

Il riscontro della fondatezza di tali argomentazioni deriverebbe direttamente dalla realtà fenomenica: «l’esperienza dimostra come il rischio del verificarsi di un evento omogeneo più grave è insito nel danno o nel pericolo che si arreca alla persona fisica» nei confronti della quale si infliggono percosse o lesioni, cosicché di deve ritenere che chi usa violenza fisica ad una persona non possa a priori escludere il sopravvenire di cause indipendenti dalla condotta posta in essere (anche ignote al momento dell’agire) che concorrano a cagionare la morte dell’offeso. E il legislatore, proprio al fine di approntare una tutela rafforzata dei beni essenziali della persona dalle condotte di aggressione sopra menzionate, avrebbe introdotto una specifica ed autonoma forma di responsabilità morale, la preterintenzione di cui all’art. 43 c.p., che imporrebbe di fare riferimento alla categoria dell’inevitabilità dell’evento più grave lesivo del bene giuridico della vita, anziché a quella della prevedibilità.

Il Collegio ritiene altresì che l’illustrata interpretazione della norma incriminatrice di cui all’art. 584 c.p consentirebbe di ricondurre la fattispecie dell’omicidio preterintenzionale nell’alveo del principio di responsabilità penale personale sancito dall’art. 27 Cost., considerato che la responsabilità dell’agente per l’evento preterintenzionale verrebbe a fondarsi «sul rapporto dell’elemento psicologico di un delitto preveduto e voluto contro l’incolumità, con l’evento morte come conseguenza per ciò stesso prevedibile della condotta», senza che si ponga pertanto questione di imputazione dell’evento più grave a titolo di responsabilità oggettiva(73).

La cd. terza via interpretativa dell’elemento soggettivo nel delitto preterintenzionale prova troppo e non può essere condivisa.

Senza dubbio, la presa di posizione della Sezione V nella pronuncia n. 13673/2006 appare “seducente”, poiché sembra sia essere formalmente conforme al dettato legislativo, sia cogliere la portata normativa dell’art. 584 c.p. ed il giudizio di prevedibilità dell’evento morte che il legislatore ha in essa costruito, conciliando peraltro le caratteristiche della fattispecie incriminatrice con la necessità del rispetto del principio nullum crimen sine culpa.

Tuttavia, in realtà, le riferite argomentazioni sono fragili e fuorvianti.

In primis, pare evidente che la prospettata ricostruzione, escludendo in assoluto la possibilità di svolgere un accertamento in concreto dell’imprevedibilità ed inevitabilità in concreto in capo all’agente dell’evento più grave, implica un sacrificio del principio del nullum crimen sine culpa non compatibile con lo status quo del sistema penale italiano, e non consente, peraltro, di pervenire ad una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 584 c.p.(74). Invero, essa finisce sostanzialmente per propugnare sotto mentite spoglie – e seppur attraverso un percorso argomentativo inedito, che ruota intorno al concetto di assorbimento ex art. 15 c.p. – un’interpretazione della fattispecie preterintenzionale ispirata alla logica del versari, che risulta superata esclusivamente sotto un profilo formale. Infatti, secondo il Collegio, l’atteggiamento psicologico del reo dovrebbe presumersi sussistente in relazione alla mera violazione del precetto che vieta di compiere atti aggressivi contro l’incolumità altrui, in considerazione della circostanza che, nell’offesa che si arreca alla persona con la commissione del delitto sussidiario, sarebbe insito – e dunque a priori prevedibile – il rischio di realizzazione dell’evento omogeneo più grave. Quale risvolto pratico aberrante, si avrebbe così una prevedibilità «in astratto» dell’evento aggravante, in forza della quale si dovrebbe sempre pervenire alla contestazione all’agente del delitto di omicidio preterintenzionale, posto che il giudice non sarebbe chiamato a verificare se l’evento ulteriore fosse prevedibile secondo i parametri legali dettati per la colpa, in sostanza «presunta», ma unicamente se il reo abbia agito con il dolo di cui agli artt. 581-582 c.p..

In secondo luogo, non convince il riscontro strutturale alla tesi prospettata che il Collegio ritiene di individuare nell’unicità dell’evento «progressivo» nella fattispecie preterintenzionale. La dottrina maggioritaria, infatti, pur evidenziando come il rapporto tra l’evento di percosse o lesioni e l’evento morte si caratterizzi per l’omogeneità e la progressione di offensività, ha sottolineato altresì come nel delitto di cui all’art. 584 c.p. non possano che individuarsi due distinti eventi, qualitativamente differenti: da un lato, le percosse o le lesioni conseguenti alla condotta dolosa, che offendono il bene dell’integrità fisica, dall’altro, la morte, che offende il bene della vita(75), bene supremo sulla cui tutela è imperniato l’intero sistema penale.

3. Conclusioni.
Delineato lo stato della questione, riteniamo di poter svolgere conclusivamente le seguenti considerazioni.

Circa l’inquadramento giuridico della preterintenzione sono state elaborate le più diverse teorie, e non vi è dubbio che ciascuna di esse reca l’individuazione di alcuni elementi caratterizzanti il titolo di imputazione soggettiva nell’illecito preterintenzionale.

Tuttavia, il dato incontrovertibile, in questa delicata quanto controversa materia, sembra essere rappresentato dal fatto che il legislatore, nel delineare nell’art. 43 c.p. l’istituto del delitto preterintenzionale e nel prevedere, nella parte speciale, la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 584 c.p., si è ispirato alla logica del versari, e che, pertanto, tale fattispecie, in assenza di una rimproverabilità a titolo di dolo o colpa, risulta oggi antitetica rispetto al principio della responsabilità penale personale e colpevole.

Ciò detto, alla luce dell’art. 27 Cost. e dell’evolversi del diritto penale moderno, si rende necessario – qualora non si intenda pervenire ad un’interpretatio abrogans dell’art. 43, primo comma, secondo alinea, c.p. – un ripensamento delle previsioni legali e degli istituti giuridico-penali che contrastano con il principio del nullum crimen sine culpa.

Tale chiave di lettura – l’unica costituzionalmente consentita – rende edotti che la presa di posizione della Sezione I della Suprema Corte nella sentenza in epigrafe e nella precedente pronuncia n. 19611/2006 ha il pregio di ribadire con forza, volendo spazzar via ogni diversa interpretazione che celi un’imputazione a titolo di responsabilità oggettiva dell’evento preterintenzionale, che la struttura del delitto preterintenzionale si caratterizza per la presenza di un elemento soggettivo risultante dalla combinazione di dolo e colpa, dovendosi accertare la sussistenza in capo al reo della volontà di un fatto-base minore (il dolo in rapporto alle percosse o alle lesioni, almeno tentate), nonché la mancanza di volontà dell’evento ulteriore unitamente alla prevedibilità ed evitabilità in concreto dello stesso.

In un sistema penale moderno, nel quale il presupposto della pena deve essere individuato nella colpevolezza di chi ha agito e un fatto di reato può dirsi «proprio» dell’agente solo se allo stesso riferibile, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto il profilo psicologico(76), quanto al delitto preterintenzionale non può ritenersi ammissibile il considerare irrilevante (in quanto presunta esistente) la prevedibilità in capo al reo degli ulteriori risultati antigiuridici non voluti che dalla condotta intenzionalmente tenuta possano derivare. Ed anzi, nell’ottica di percorrere la via dell’affrancamento dalla logica del versari in re illecita, proprio nella prevedibilità deve ravvisarsi il fondamento subiettivo dell’evento preterintenzionale, poiché, al di fuori di essa, non vi è spazio per un giudizio di rimproverabilità, e quindi di colpevolezza(77). Colpevolezza che, anche alla luce delle citate pronunce nn. 364 e 1085 della Consulta, «non costituisce elemento tale da poter essere, a discrezione del legislatore, condizionato, scambiato, sostituito con altri o paradossalmente eliminato» e deve pertanto essere richiesta in modo indefettibile nella configurazione di ogni illecito penale.

4. De iure condendo.
Quanto alle prospettive de iure condendo, vi sono orientamenti di pensiero che si muovono in direzioni diametralmente opposte.
Vi è chi dubita dell’opportunità di mantenere in vita la fattispecie del delitto preterintenzionale, negandole in sostanza legittimazione costituzionale e politico-criminale, sul presupposto che la stessa, oltre ad essere priva di autonome basi ontologiche(78), incontrerebbe tutti i limiti connessi alla controversa responsabilità oggettiva(79), contrapponendosi ad una piena attuazione del principio nullum crimen sine culpa.

In tale direzione sembra muoversi anche il legislatore, considerato che i diversi progetti di riforma del codice penale finora elaborati non contemplano la preterintenzione, ed anzi si propongono di sopprimere ogni fattispecie che non sia rimproverabile a titolo di dolo o colpa, e pertanto anche l’omicidio preterintenzionale e le diverse fattispecie di delitti dolosi aggravati da un evento necessariamente non voluto(80). Da ultimo, anche la prima bozza dello Schema di disegno di legge recante delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione della parte generale di un nuovo codice penale predisposta dalla commissione ministeriale per la riforma del codice penale, costituita lo scorso anno e presieduta dall’avv. Giuliano Pisapia – di cui si è discusso al Convegno dei professori di diritto penale “Esame e valutazione dello schema di legge delega della Commissione Pisapia”, ISISC, Siracusa, 21-23 giugno 2007 – prevede, all’art. 3 (Esclusione della responsabilità oggettiva), di «escludere qualsiasi forma di responsabilità oggettiva, prevedendo come sole forme di imputazione il dolo e la colpa»(81).

Altri ritengono, al contrario, che la categoria del delitto preterintenzionale sia imprescindibile, essendo approntata dall’ordinamento per colmare un vuoto di tutela, ed auspicano che il legislatore che intervenga in materia al fine di assicurare la conformità della stessa al principio di responsabilità penale personale e colpevole, si limiti a prevedere positivamente l’imputazione per colpa dell’esito aggravante nell’ambito di una nuova definizione di parte generale della preterintenzione e a riformare le fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 584 e 586 c.p.(82) contemplando espressamente il requisito della prevedibilità dell’evento ulteriore(83).

Altri ancora auspicano un intervento della Corte costituzionale nel senso di una «declaratoria di parziale illegittimità dell’art. 584 c.p. nella parte in cui non prevede che la responsabilità dell’evento morte sia subordinata all’accertamento della colpa in capo al soggetto autore degli atti diretti a cagionare lesioni o percosse»(84).

Allo stato attuale, l’annoso nodo interpretativo circa la natura giuridica della responsabilità preterintenzionale rimane ancora irrisolto, ed anzi, i recenti sviluppi giurisprudenziali hanno contribuito ad aumentare l’incertezza del diritto, con riferimento ad un istituto, l’illecito preterintenzionale, che ha nella pratica un’ampia diffusione. Peraltro, in attesa di un intervento del legislatore (da più parti auspicato, e quanto mai urgente, affinché in questa materia non si debba continuare a procedere per via ermeneutica e senza la possibilità di individuare una giurisprudenza prevalente di legittimità), si ritiene auspicabile una pronuncia delle Sezioni Unite, che dirima l’ormai palese contrasto tra la Sezione I e la Sezione V, assicurando la certezza del diritto in un ambito così delicato quale quello dell’applicazione ai casi concreti dell’art. 584 c.p..

Certo è che la forte potenzialità innovativa dell’art. 27 Cost. non può essere ridotta ad un significato minimo, ma deve, al contrario, rappresentare la chiave di lettura ed interpretazione delle fattispecie incriminatrici. In particolare, se non si vuole dover prendere atto di una generalizzata incostituzionalità delle fattispecie aggravate dall’evento, tali fattispecie, coerentemente con le tendenze evolutive del diritto penale moderno, dovrebbero essere reinterpretate, laddove possibile, in modo conforme al principio di colpevolezza(85). Pertanto, se in forza di tale principio può dirsi autenticamente «personale» solo la responsabilità per «fatto proprio colpevole», con riferimento al delitto di omicidio preterintenzionale di cui all’art. 584 c.p., sarà imprescindibile richiedere, ai fini dell’imputazione dell’evento preterintenzionale – elemento «significativo» che concorre a contrassegnarne il disvalore della condotta incriminata – che tale evento sia anche soggettivamente riconducibile al reo.

avv. Margherita Massa (Padova) - luglio 2008
(riproduzione riservata)
 

[1] Si sono pronunciate per l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 584 c.p. in rapporto all’art. 27 Cost.: Sez. V, 8 marzo 2006, Haile, in Cass. pen., 2007, 2383; Sez. V, 11 dicembre 1992, Bonalda, in Cass. pen., 1993, II, 2529.

[2] Sez. I, 26 aprile 2006, Grillo, in Dir. e giust., 2006, 27, 41 ss..

[3] Sez. V, 8 marzo 2006, Haile, cit..

[4] Nel senso della ricostruzione della preterintenzione come dolo misto a colpa, anche se con sostanziali divergenze in merito al contenuto della colpa, cfr. in dottrina: Bettiol, Diritto penale, parte generale, Padova, 1982, 48; Nuvolone, Il sistema del diritto penale, Padova, 1982, 347; Mantovani, Diritto penale, parte generale, Padova, 2007, 347 ss.; De Asua, Il delitto preterintenzionale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1962, 9 ss.; Donini, Illecito e colpevolezza nell’imputazione del reato, Milano, 1991, 477; Canestrari, L’illecito penale preterintenzionale, Padova, 1989, 204 ss.; Fiorella, Responsabilità penale, in Enc. dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, 1321; Leone, Il reato aberrante, Napoli, 1964, 123; Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2004, 214; Giuliani, Dei delitti considerati nel solo effetto ed attentati (Istituzioni di diritto criminale, vol. 4, Macerata, 1833-36), il quale ha sostenuto che «è assolutamente necessario che fra l’azione illecita e l’effetto succeduto vi fosse una relazione di possibilità prossima e facilmente prevedibile»; Carrara, Programma del corso di diritto criminale, parte speciale, vol. I, Lucca, 1881, 109: l’Autore, avendo in un primo tempo ritenuto applicabile il broccardo che chi versa in cosa illecita risponde anche del caso, modificò successivamente il proprio convincimento, ritenendo che occorra sempre, per una responsabilità penale, la prevedibilità dell’evento cagionato. In giurisprudenza, seppur con sfumature differenti, v.: Sez. I, 06/19611, Grillo cit.: «l’elemento psicologico del delitto preterintenzionale deve essere ravvisato nel dolo misto a colpa, riferito il primo al reato meno grave e la seconda all’evento più grave in concreto realizzatosi, e, ai fini dell’imputazione, si deve verificare, di volta in volta, la concreta prevedibilità ed evitabilità dell’evento maggiore (Sez. I, 19 ottobre 1998, n. 11055, ric. D’Agata, rv. 211611). Questo indirizzo, ad avviso del Collegio, appare maggiormente coerente con il principio di colpevolezza e con i principi fissati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, secondo cui deve necessariamente postularsi la colpa dell’agente almeno in relazione agli “elementi più significativi della fattispecie”, fra i quali il “complessivo ultimo risultato vietato”, se non si vuole incorrere nel divieto ex art. 27 Cost., commi 1 e 3, della responsabilità oggettiva cd. pura o propria»; Corte d’Assise di Milano, 6 giugno 2003, in Cass. pen. 2005, 598; Sez. V, 6, marzo 2003, Sarcina, in Riv. pen., 2003, 723; Sez. I, 20 gennaio 2003, Solazzo, in Riv. pen., 2003, 397; Sez. V, 3 dicembre 2002, Belquacem, in Cass. pen., 2004, 36; Sez. I, 11 luglio 1994, Bilardo, in Riv. pen., 1995, 601; Sez. V, 11 dicembre 1992, Bonalda cit.; Sez. I, 1° aprile 1985, Antonacci, in Cass. pen., 1986, 1777; Sez. I, 24 ottobre 1984, Scarpiello, in Giust. pen., 1985, II, 346; Sez. I, 8 novembre 1983, Galletti, in C.E.D. Cass., 161038; Sez. V, 30 settembre 1981, Albanese, in Cass. pen., 1983, 304; Sez. I, 24 gennaio 1979, Donzelli, in Cass. pen., 1980, 736.

[5] Nel senso della ricostruzione della preterintenzione come dolo misto a responsabilità oggettiva, cfr. in dottrina:Grosso, Preterintenzione, in Enc. giur., XXIV, Milano, 1991, 1 ss.; Frosali, Sistema penale italiano, vol. II, Torino, 1958, 518 ss.; Zuccalà, Il delitto preterintenzionale, Palermo, 1952, 42 ss.; Spasari, Osservazioni sulla natura giuridica del cd. delitto preterintenzionale, in Arch. pen., 1957, I, 232 ss.; Calvi, Reato aberrante e omicidio preterintenzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1962, 1137 ss.; Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2003, 391 e parte speciale, I, Milano, 1994, 68; Marini, Omicidio, in Dig. Disc. Pen., VIII, Torino, 1994, 520 ss.; Fiandaca-musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2007, 636 ss.; Padovani, Diritto penale, Milano, 2006, 213 ss.; Romano, sub art. 43, in Commentario sistematico del codice penale, I, artt. 1-84, Milano, 2004, 452; Sabatini, Istituzioni di diritto penale, vol. I, Catania, 1946, 320 ss.; Riccio, Il reato colposo, Milano, 1952, 244; Patalano, Preterintenzione, in Enc. dir., vol. XXXV, Milano, 1986, 351; Pettoello-Mantovani, Il concetto ontologico di reato. La colpa, Milano, 1954, 231; Altavilla, Preterintenzionalità, in Nss. Dig. It., XIII, Torino, 1966, 801 ss.; Tagliarini, I reati aggravati dall’evento, Padova, 1979, 198; Insolera, Riflessioni sulla natura soggettiva della preterintenzione, in Ind. pen., 1981, 762; Regina, L’omicidio preterintenzionale (una rilettura dell’art. 584 c.p.), in Indice pen., 1991, 517 ss.; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, vol. I, Torino, 1948, n. 254. In giurisprudenza, ex multis: Sez. V, 22 marzo 2005, n. 17394, in Foro it., 2005, II, 581; Sez. V, 2 marzo 2004, Zacchia, in Cass. pen., 2005, 10, 2989; Sez. V, 21 gennaio 2004, Calabrese, in Foro it., 2004, II, 825; Sez. V, 6 febbraio 2004, Morrone, in Riv. pen., 2005, IV, 504; Sez. V., 13 febbraio 2002, Izzo, in Cass. pen., 2003, 1561; Sez. V, 13 maggio 2004, n. 43524, in Cass. pen. 2006, 7-8, 2434: «ai fini della sussistenza dell’ipotesi criminosa dell’omicidio preterintenzionale, prevista dall’art. 584 c.p., è necessario e sufficiente che l’autore dell’aggressione abbia realizzato una condotta dolosa diretta a ledere o percuotere e che sussista un rapporto di causa ed effetto tra gli atti compiuti e la morte della vittima. Si prescinde pertanto da ogni indagine sulla prevedibilità dell’evento più grave cagionato»; Sez. V, 6 febbraio 2004, n. 15004, in Foro it., 2004, II, 541; Sez. I, 20 maggio 2001, Milici, in Cass. pen., 2002, 3104; Sez. V, 3 dicembre 1996, Paoletti, in Dir. pen. e. proc., 1997, 327: «la corretta interpretazione dell’art. 584 c.p. impone di ritenere che per integrare in tutti i suoi estremi il delitto di omicidio preterintenzionale è sufficiente il rapporto di causalità tra la condotta di aggressione (atti diretti a percuotere o ledere) e l’evento morte non essendo necessaria la prevedibilità di quest’ultimo, e che quindi l’art. 584 c.p. prevede un caso di dolo misto a responsabilità oggettiva»; Sez. I, 3 novembre 1994, Turisini, in Foro it., 1996, II, 33; Sez. I, 3 marzo 1994, Mannarino, in Cass. pen., 1995, 1218; Sez. V, 20 novembre 1988, Zeni, in Riv. pen., 1988, 1064; Sez. I, 5 maggio 1987, Virgadaula, in Giust. pen., 1989, II, 599; Sez. I, 3 ottobre 1986, Smorgon, in Cass. pen. 1988, 1436; Sez. V, 18 dicembre 1987, Beretta, in Cass. pen., 1989, 598; Sez. I, 30 giugno 1986, De Nunzio, in Giust. pen., 1987, II, 720: «l’omicidio preterintenzionale richiede che l’autore della aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ad effetto tra i predetti atti e l’evento letale senza la necessità che la serie causale che ha prodotto la morte, rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o lesioni volute dall’agente. E ciò senza prescindere, tuttavia, dall’elemento psicologico che si concreta nella volontà e previsione di un evento meno grave di quello verificatosi in concreto poiché si tratta, pur sempre, di un reato doloso in cui si introduce una componente fortuita che prescinde da ogni indagine di volontarietà, colpa o di prevedibilità dell’evento più grave»; Sez. I, 20 gennaio 1986, Barletta, in C.E.D. Cass., 173746; Sez. V, 17 maggio 1982, Corti, in Cass. pen. 1983, 1993; Sez. I, 1° aprile 1980, Casani, in Cass. pen. 1981, 2002; Sez. I, 5 giugno 1978, Negretti, in Cass. pen., 1980, 395; Sez. I, 13 dicembre 1974, Mendicino, in Cass. pen., 1976, 704.

[6] In dottrina si è discusso e si dibatte ancora oggi, in una prospettiva de iure condendo, in merito all’opportunità di attribuire ex art. 43, co. 1, primo comma, secondo alinea, c.p., uno spazio definitorio così ampio alla fattispecie del delitto preterintenzionale, considerato che il Codice Rocco contempla – almeno nominalmente – la sola fattispecie incriminatrice dell’omicidio preterintenzionale (cfr. per tutti, Romano, sub art. 43 cit., 450-451); l’altra fattispecie espressamente qualificata come “preterintenzionale” conosciuta nel nostro ordinamento giuridico, l’aborto preterintenzionale, è prevista e disciplinata dall’art. 18, comma 2, Legge 22 maggio 1978, n. 194. In merito alla configurabilità del tentativo con riferimento al delitto preterintenzionale, è pacifica l’incompatibilità ontologica tra il delitto preterintenzionale, che richiede che l’evento più grave non sia voluto dall’agente, ed il tentativo, che presuppone invece un evento voluto, non realizzatosi per circostanze indipendenti o, nei casi di desistenza, per resipiscenza dell’agente (in dottrina, cfr. per tutti, Mantovani, Diritto penale, parte generale cit., 438; in giurisprudenza, v. recentemente, Sez. I, 04/41095, Scavo, in Riv. pen., 2006, 1, 128).

[7] Vi è stato chi ha sostenuto che la preterintenzionalità è una «terza specie di colpevolezza» (Battaglini, Diritto penale, parte generale, Padova, 1949, 244-245; Galli, La responsabilità penale per le conseguenze non volute di una condotta dolosa, Milano, 1949, 73 ss.), una circostanza aggravante (Alimena, I limiti e i modificatori dell’imputabilità, Torino, 1894-1898, 481-482), una condizione obiettiva di punibilità del fatto per il delitto preterintenzionale», in quanto «non si tratta propriamente di responsabilità oggettiva, ma dell’applicazione del principio di causalità» (Manzini, Trattato di diritto penale italiano cit., n. 254), un caso di «influenza attenuante dell’intenzione» analogo a quello del tentativo (Carnelutti, Teoria generale del reato, Padova, 1933, 197) e, ancora, chi ha qualificato il delitto preterintenzionale come «figura tipica» sui generis (Pannain, Manuale di diritto penale, parte generale, Torino, 1950, 323 ss.) e chi ha affermato che non è possibile determinare a priori se, nelle fattispecie preterintenzionali, il dolo si combini alla colpa o al caso, potendo concorrere indifferentemente con entrambi gli elementi a seconda del singolo caso concreto (Vitale, La preterintenzione, Milano, 1959, 99).

[8] V. rubrica art. 43 c.p..

[9] Relazione al progetto definitivo del codice penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V2, II, Roma, 1929, 383-384. La Relazione, inoltre, individua la ratio del trattamento sanzionatorio più severo riservato alla fattispecie di cui all’art. 584 c.p. (rispetto agli artt. 83 e 586 c.p.) nell’opportunità «di una più vigorosa tutela in tema di delitti di sangue».

[10] Cfr. De Asua, Il delitto preterintenzionale cit., 10 ss., il quale scrive: «a nostro giudizio, anche se nell’art. 42 si fa riferimento alla responsabilità oggettiva, la cui ammissione od il cui ripudio è stato oggetto di tanti dibattiti, è certo che di quella si parla in un articolo precedente a quello che si occupa del delitto preterintenzionale, e l’art. 43 è preceduto dalla rubrica “elemento psicologico del reato”, definizione con la quale la maggioranza dei penalisti italiani tratta della colpevolezza. Ciò condurrebbe alla facile conclusione che le tre specie di questo elemento, definite nell’art. 43, sono gradi o forme della colpevolezza, il cui limite sta nella prevedibilità, oltre la quale vi è il caso fortuito e la responsabilità oggettiva, quando la si esiga. Inoltre, la sistemazione della preterintenzione tra il dolo e la colpa ci deve far pensare che quella sia una mescolanza dell’uno e dell’altra». Da ciò discende, secondo l’Autore, che la preterintenzione è «un elemento soggettivo misto di dolo e di colpa: dolo nell’atto iniziale, intenzionalmente antigiuridico quanto all’evento che si prevede e colpa nell’effetto più grave che da quello deriva, e che non si volle».

[11] V., per tutti, Romano, sub art. 43 cit., 418 ss..

[12] Mantovani, op. cit., 347 ss.;Vannini, Omicidio preterintenzionale, in Quid iuris?, Milano, 1954, 357, che osserva come «la preterintenzionalità non può considerarsi come una particolare situazione soggettiva, come una specificazione della colpevolezza, distinta dal dolo e dalla colpa. Un evento o si vuole o non si vuole; non può ontologicamente assumere una qualifica soggettiva intermedia tra il “voluto” e il “non voluto” solo perché è più grave di quello voluto, solo perché è determinato da un comportamento doloso in riferimento ad altro diverso e meno grave reato»; Pagliaro, Principi di diritto penale cit., p. 335 ss.. Contra, De Marsico, Diritto penale, Napoli, 1937, 284, secondo il quale l’evento più grave non è voluto «ma neppure disvoluto ed è perciò agli antipodi del caso e al di fuori della colpa, ma sull’orlo della volontà»; Trapani, La divergenza tra voluto e realizzato, Milano, 1992, 397, 410 ss..

[13] Crivellari, Il codice penale per il Regno d’Italia approvato dal Regio Decreto 30 giugno 1889, Torino, 1892, 743.

[14] Romano, sub art. 43 cit., 451.

[15] Frosali, I reati preterintenzionali, in Giust. pen., 1947, II, 577. Nell’omicidio preterintenzionale, l’evento morte rappresenta un quid pluris rispetto all’evento effettivamente perseguito, che si pone al di fuori della sfera di volontà dell’agente che ha investito soltanto la condotta finalizzata alle percosse e lesioni (Sez. I, 20 gennaio 1986, Barletta, in Cass. pen., 1987, 2130).

[16] Cfr. Romano, sub art. 43 cit., 451.

[17] V. sul punto, in giurisprudenza, ex multis: Sez. I, 5 luglio 1988, Pagano, in Giust. pen., 1990, II, 28: «le percosse o le lesioni, che sono il presupposto per l’applicazione dell'art. 584 c.p., devono essere il frutto di un dolodiretto dall’agente e non di semplice dolo eventuale. Ne consegue l’impossibilità di ipotizzare un’affermazione di colpevolezza per omicidio preterintenzionale che si fondi su una condotta volta a conseguire risultati diversi e rispetto alla quale gli esiti lesivi siano considerati ipotetici, anche se previsti come possibili e non rifiutati»;e Sez. I, 15 marzo 1982, Catapano, in Giust. pen., 1983, II, 234: «l’omicidio preterintenzionale, concretato dal fatto dell’agente che nel percuotere o nel cagionare lesioni personali provochi senza volerlo la morte di una persona, costituisce un quid pluris rispetto all’evento effettivamente voluto dal colpevole. Allorquando, però, l’agente abbia agito con dolo alternativo, con la volontà cioè di ferire o uccidere indifferentemente, o con dolo eventuale, cioè con previsione o rappresentazione dell’evento in termini di probabilità e di accettazione, non ricorre l’ipotesi preterintenzionale».

[18] Romano, sub art. 43 cit., 449 ss.. Cfr. inoltre, Grosso, Preterintenzione cit., 1 ss.; Patalano, I delitti contro la vita, Padova, 1984, 247. In giurisprudenza v., recentemente, Sez. I, 20 maggio 2001, Milici cit..

[19] L’art. 584 c.p., rubricato «Omicidio preterintenzionale», dispone che «chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni».

[20] Parte della dottrina ritiene peraltro di ricondurre nel novero della preterintenzionalità anche taluni delitti rientranti nella categoria, di derivazione dogmatica, dei cd. «reati aggravati dall’evento». Cfr. sul punto, seppur con conclusioni differenti: Frosali, I reati preterintenzionali cit., 577; Zuccalà, op. cit., 73 ss.; Patalano, Preterintenzione cit., 357; Canestrari, L’illecito cit., 168 ss.; Grosso, Preterintenzione cit., 1; Garofoli, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2005, 521.

[21] V. Zuccalà, op. cit., 48 ss..

[22] Cfr. per tutti Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale cit., I, 71 ss.: «tale evento (nel nostro caso: la morte di una persona) viene posto a carico dell’agente sulla base del solo nesso di causalità, e cioè prescindendo da ogni indagine di carattere psicologico e, quindi, a nostro avviso, non è dubitabile che ci troviamo di fronte ad un caso di responsabilità oggettiva».

[23] V. Grosso, Preterintenzione cit., 4.

[24] V. sul punto, in giurisprudenza, ex multis, Sez. V, 10 giugno 1981, Coppola, in Cass. pen., 1983, 305: «per aversi omicidio preterintenzionale non è necessario che la volontà di percuotere o di ledere abbia avuto il suo esito materiale, essendo sufficiente che l’autore dell’aggressione abbia commesso atti diretti e percuotere o a ledere, incluso quindi anche il tentativo. Anzi l’ipotesi di cui all’art. 584 c.p. non è legata neppure al presupposto di un tipico tentativo di percosse o di lesioni, poiché nella formula “atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli artt. 581 e 582 c.p.” deve ritenersi compreso anche un semplice comportamento minaccioso ed aggressivo, sempre che sia tendente a ledere o a percuotere».

[25] Cfr. Sez. I, 06/19611, Grillo cit., parte motiva, sub punto 1.2, laddove la Sezione I rileva come l’essenza della teoria del dolo misto a responsabilità oggettiva sia da individuare proprio nell’opzione di prescindere «da ogni indagine di carattere psicologico sulla volontarietà, sulla colpa o sulla prevedibilità dell’evento» ulteriore, con conseguente addebito dello stesso sul presupposto dell’esistenza del mero nesso di causalità materiale tra la morte e gli atti diretti a percuotere o ledere.

[26] Ad analogo risultato pervengono quelle pronunce nelle quali la Suprema Corte configura la preterintenzione come ipotesi di dolo misto a colpa specifica, ovvero derivante dalla mera inosservanza del precetto relativo al reato base, finendo in sostanza per ridurne l’accertamento a quello della sussistenza del mero nesso causale (cfr. Sez. IV, 15 novembre 1989, Paradisi, in Riv. pen., 1990, 744).

[27] Cfr. per tutti, Padovani, Diritto penale cit., 216.

[28] Cfr. per tutti, Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale cit., 392.

[29] Cfr. per tutti, Romano, sub art. 43 cit., 452 ss..

[30] Padovani,op. cit., 215-216; Fiandaca-Musco, op. cit., 600; De Francesco, «Opus illicitum», tensioni innovatrici e pregiudizi dommatici in materia di delitti qualificati dall’evento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 994. Contra, nel senso che la colpa nel contesto di un’attività illecita ha la stessa fisionomia di quella nel contesto di un’attività lecita, cfr. Mantovani, op. cit., 349; Basile, La colpa in attività illecita. Un’indagine di diritto comparato sul superamento della responsabilità oggettiva, Milano, 2005, passim.

[31] In tal senso, Grosso, Preterintenzione cit., 3.

[32] In tal senso, Padovani, op. cit., 213 ss..

[33] V. Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, in Foro it., 1988, I, 2, 1385 ss. e in Foro amm., 1989, 3. Con la sentenza n. 364/1988, la Consulta afferma che «il principio della natura personale della responsabilità penale (art. 27 Cost.) equivale sia a preclusione di responsabilità per fatto altrui sia a configurabilità del fatto proprio sul presupposto della colpa in senso stretto» e ricollega la “personalità” della responsabilità al principio di colpevolezza, il quale «implica che la persona è penalmente responsabile solo per azioni da lei controllabili e mai per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze parzialmente vietate e comunque mai per comportamenti realizzati nella inevitabile ignoranza del precetto». Al fine di ritenere sussistente la responsabilità penale in capo all’agente, la Corte ritiene pertanto imprescindibile che si accerti l’esistenza di un elemento soggettivo che abbia investito tutti gli «elementi più significativi della fattispecie», ovverosia tutti quegli elementi “significativi rispetto all’offesa” dai quali dipende il carattere illecito del fatto. L’importanza della pronuncia de qua è epocale, in quanto essa viene a fondare la responsabilità penale su congrui coefficienti psichici, valorizzando il fondamentale principio di colpevolezza, configurato come il secondo aspetto del principio di legalità, vigente in ogni stato di diritto: l’autore della condotta penalmente illecita potrà essere chiamato a rispondere unicamente del fatto «proprio», che è tale solo quando risulti ad esso imputabile, sia in forza della sussistenza del nesso di causalità materiale, sia sulla base dell’esistenza del momento subiettivo (costituito almeno dalla colpa) in relazione agli aspetti più significativi della fattispecie tipica (cfr. Pulitanò, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, nota a Corte Cost., 24 marzo 1988, n. 364, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 703). Con un ampio obiter dictum, la Consulta tratta anche della questione della compatibilità della responsabilità oggettiva con il dettato costituzionale. In merito, si legge nella sentenza che, mentre con riferimento alle ipotesi di responsabilità oggettiva cd. «spuria o impropria» (che si hanno quando «anche un solo, magari accidentale, elemento del fatto, a differenza di altri elementi, non è coperto dal dolo o dalla colpa dell’agente»), il primo comma dell’art. 27 Cost. non contiene un divieto tassativo di responsabilità oggettiva, per quanto concerne le ipotesi di responsabilità oggettiva cd. «pura o propria» («nelle quali il risultato ultimo vietato dal legislatore non è sorretto da alcun coefficiente subiettivo»), «va, di volta in volta, a proposito delle diverse ipotesi criminose, stabilito quali sono gli elementi più significativi della fattispecie che non possono non essere “coperti” almeno dalla colpa dell’agente perché sia rispettato da parte del disposto di cui all’art. 27, primo comma, Cost. relativa al rapporto psichico tra soggetto e fatto». Cfr. inoltre Corte Cost., 13 dicembre 1988, n. 1085, in Cass. pen. 1990, I, 365 e in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 289, che sancisce espressamente il contrasto con l’art. 27 Cost. del principio del versari in re illicita: «perché l’art. 27 comma 1 Cost., sia pienamente rispettato e la responsabilità penale sia autenticamente personale, è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente (siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa) ed è altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovati». In dottrina, tra coloro che ritengono che la preterintenzione risulti incompatibile con il dettato costituzionale in quanto lesiva delle garanzie approntate dall’ordinamento con riferimento all’elemento soggettivo del reato espresse dal principio di personalità della responsabilità penale, v. Ferrajoli, Diritto e Ragione. Teoria del garantismo penale, Torino, 1997, 740.

[34] V. in tal senso, espressamente, Sez. I, 06/19611, Grillo cit., parte motiva, sub punto 1.2.

[35] La fattispecie pervenuta al vaglio della Suprema Corte è la seguente: a seguito di una violenta lite, la vittima, in uno stato di ridotta capacità di difesa, veniva legata dal convivente, mediante cavi elettrici, con le mani bloccate dietro la schiena e con gli arti inferiori flessi all’indietro e in trazione legati al collo, e, lasciata sola nell’appartamento chiuso a chiave,, moriva successivamente per autostrangolamento. La Cassazione conferma la condanna dell’imputato per omicidio volontario pluriaggravato contenuta nella sentenza del giudice di merito (Corte d’Assise d’Appello di Milano, 26 gennaio 2006), ritenuto che le modalità concrete di svolgimento del fatto fossero state correttamente valutate quali elementi indicativi del dolo omicidiario diretto del ricorrente e non lascino spazio ad una diversa qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale.

[36] Sez. I, 06/19611, Grillo cit.. Il casus decisus concerne morte di una donna, aggredita nel corso di una lite in parti vitali del corpo dal convivente, il quale, dopo ripetute percosse, la faceva precipitare giù dalle scale e simulava poi una caduta accidentale. La Suprema Corte conferma la qualificazione giuridica della fattispecie effettuata dal giudice di merito (Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, 16 giugno 2005) come omicidio volontario, rigettando la doglianza del ricorrente in merito all’erronea qualificazione del fatto come omicidio doloso anziché come omicidio preterintenzionale.

[37] Sul criterio differenziale dell’omicidio preterintenzionale rispetto al dolo omicidiario tipico ex art. 575 c.p., il Collegio, uniformandosi ad un orientamento pacifico in giurisprudenza, rileva che: «nell’omicidio preterintenzionale, sotto il profilo soggettivo, concorrono un dato positivo ed uno negativo: la volontà di offendere con percosse o lesioni e la mancanza dell’intenzione di uccidere. Invece l’elemento psicologico che connota l’omicidio volontario è proprio l’intenzione di cagionare la morte della vittima. Quando il complesso delle circostanze non evidenzia ictu oculi l’animus necandi, per le difficoltà di riconoscere per via diretta il proposito dell’agente, sorreggono il ragionamento fatti certi che consentono di provare l’esistenza o meno di altri fatti ignoti attraverso un procedimento logico d’induzione: fatti tesi ad individuare la volontà omicida sono precipuamente i mezzi usati, la direzione, l’intensità e la reiterazione dei colpi, la distanza dal bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscono l’azione cruenta». Cfr. nello stesso senso, Sez. I, 06/19611, Grillo cit.; Sez. I, 01/25239, Milici cit.:«va precisato che l’elemento distintivo tra le figure dell’omicidio volontario e dell’omicidio preterintenzionale è costituito dal diverso atteggiarsi della componente soggettiva del delitto, nel senso che, mentre nell’ipotesi della preterintenzione la volontà dell’agente è diretta a percuotere e ferire la vittima e l’evento mortale resta del tutto estraneo alla proiezione dell’elemento volitivo, l’altra fattispecie è invece connotata dall’animus necandi, ossia dal dolo tipico del delitto di cui all’art. 575 c.p., in una delle gradazioni enucleate dall’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza in relazione ai vari livelli d’intensità della volontà dolosa (dolo intenzionale, diretto ed eventuale). La via più affidabile per il corretto accertamento del dolo, nella forma indiretta o eventuale, è costituita dalla valutazione, condotta con assoluto rigore logico, di inequivoci elementi probatori di natura oggettiva, desunti principalmente dalle concrete modalità della condotta: quali il tipo e la micidialità dell’arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la distanza di sparo, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta»; Sez. I, 25 novembre 1994, Piscopo, in Cass. pen. 1996, 816; Sez. I, 3 novembre 1994, Turisini, in Foro it., 1996, II, 33; Sez. I, 3 maggio 1994, Filosa, in Giust. pen., 1995, II, 257; Sez. I, 3 marzo 1994, Mannarino cit.; Sez. I, 14 dicembre 1992, Di Grande, in Cass. pen., 1994, 1815; Sez. I, 10 febbraio 1992, De Paquale, in Cass. pen., 1993, 1435; Sez. I, 1° aprile 1985, Antonacci cit.; Sez. I, 24 ottobre 1984, Scarpiello cit.; Sez. V, 30 settembre 1981, Albanese cit.. In dottrina, accanto a chi reputa che, ogniqualvolta sia riscontrabile in capo all’autore della condotta la volontà di agire al fine di ledere o percuotere nonostante la previsione dell’evento morte, l’agente debba essere ritenuto responsabile di omicidio volontario con dolo eventuale, e non di omicidio preterintenzionale, vi è anche chi, invece, sostiene che la preterintenzione sia compatibile con un atteggiamento psicologico di colpa cosciente rispetto all’evento ulteriore (cfr. per tutti, Canestrari, L’illecito cit., 204, il quale ritiene in tal caso applicabile l’aggravante di cui all’art. 61, n. 3, c.p.).

[38] In dottrina si sottolinea come il requisito della prevedibilità, che «tipicizza il comportamento colposo, caratterizzandolo rispetto all’accadimento causale», non deve essere confuso con quello della previsione dell’evento, che può ricorrere nel delitto colposo e che integra in tal caso l’aggravante di cui all’art. 61 n. 3, c.p. (cfr. per tutti, Patalano, Preterintenzione cit., 355; Id., Omicidio (dir. pen.), in Enc. Dir., XXIX, Milano,1979, 997).

[39] Così testualmente dalla sentenza, parte motiva, sub punto 3.3.

[40] V. Sez. V, 06/13673, Haile cit..

[41] Pulitanò, Una sentenza storica cit., 686.

[42] Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, 2499 (intervento di Bettiol).

[43] Cfr. per tutti, Grosso, Responsabilità penale, in Nss. Dig. It., vol. XV, Torino, 1968, 707 ss..

[44] Cfr. per tutti: Donini, Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1996, 378.

[45] V. Canestrari, Preterintenzione, in Dig. disc. pen., vol. IX, Torino, 1995, 709 ss.. Si discute, peraltro, se tale giudizio ex ante debba fondarsi sulle conoscenze della miglior scienza ed esperienza nel momento storico, su quelle dell’uomo mediamente avveduto, ovvero essere integrato dalle eventuali superiori conoscenze dell’agente in concreto.

[46] La teoria che ricostruisce la preterintenzione come dolo misto a colpa «presunta» fa riferimento ad una forma di colpa derivante dalla mancata osservanza della legge penale che vieta l’azione diretta a commettere il reato meno grave, sul presupposto che siano in concreto rinvenibili situazioni nelle quali sussiste necessariamente in capo al reo la prevedibilità di ulteriori eventi connotati da un maggior disvalore, prevedibilità che non sarebbe pertanto necessario accertare in quanto in re ipsa (Nuvolone, Il sistema del diritto penale cit., 312 ss., il quale, collocando l’art. 584 c.p. «su un piano concettualmente analogo [...] a quello dell’art. 586 c.p.», estende ad esso la considerazione per cui si tratterebbe di «una forma di colpa che può considerarsi rientrante nel quadro della colpa comune per inosservanza di leggi (penali)»; Bettiol, op. cit., 480; Leone, Il reato aberrante cit., 113; Giannelli, La figura del delitto preterintenzionale, Salerno, 1990, 21). In giurisprudenza: v. Sez. IV, 20 dicembre 1989, Paradisi cit.: «per l’integrazione della fattispecie di omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p. si richiede l’accertamento di una condotta dolosa (i.e. atti diretti a percuotere o ferire) e di un evento (morte) legato eziologicamente a tale condotta né l’idoneità degli atti diretti a percuotere o ferire, né la prevedibilità dell’evento (morte), è da escludersi che tali atti debbano necessariamente assurgere a dignità di tentativo e che l’agente debba aver potuto (ovvero, con l’ordinario discernimento, avrebbe potuto) percepire le conseguenze della sua condotta. Tuttavia, sotto quest’ultimo profilo, non può ravvisarsi, in detta fattispecie legale, una ipotesi di responsabilità oggettiva, poiché, pur non condizionata nella integrazione alla prevedibilità (e, a fortiori, alla previsione) dell’evento, l’elemento soggettivo (colpa) va ricercato nell’avere disatteso il precetto di non porre in essere atti diretti a percuotere o a ledere. Invero, è nella legge, la cui ratio sta nel porre una difesa avanzata al bene della vita dei consociati – nella considerazione che non raramente da atti diretti a ledere (percosse, lesioni) possa, naturalisticamente (ancorché involontariamente) sopravvenire la morte del soggetto passivo, data la delicatezza degli equilibri biologici delle varie componenti la condizione di generica (difficilmente ottimale) normalità nel funzionamento degli organismi viventi – la valutazione intorno alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto de quo».

[47] Mantovani, op. cit., 381.

[48] Cfr. Alimena, La colpa nella teoria generale del reato, Palermo, 1947, 192; Finzi, Il delitto preterintenzionale, Torino, 1925, 14 ss.; Canestrari, Preterintenzione cit., p. 701, secondo il quale «la nota versione della colpa presunta si risolverebbe sostanzialmente in un insidioso camouflage della responsabilità oggettiva».

[49] Canestrari, L’illecito cit., 148 ss.; Id., Preterintenzione cit., 710.

[50] In giurisprudenza, v. recentemente: Sez. I, 06/19611, Grillo cit.; Corte d’Assise, sentenza 6 giungo 2003, cit.. In dottrina, accanto alla concezione della preterintenzione come dolo misto a colpa «generica oggettivata», sono state elaborate anche altre teorie rifacentesi al concetto di colpa «generica». In particolare, alcuni Autori propendono per l’attribuzione dell’evento aggravante nel delitto preterintenzionale a titolo di colpa generica tout court, ovvero secondo i parametri ascrittivi dell’imprudenza, negligenza e imperizia di cui all’art. 43 c.p.: l’imputazione dell’evento morte si fonderebbe sulla trasgressione di regole di cautela finalizzate a contenere il rischio di verificazione dell’evento morte e discenderebbe dalla verifica della riconoscibilità e prevedibilità di tale rischio da parte di un homo eiusdem professionis et condicionis dell’agente storico (Fiorella, Responsabilità cit., 1321; Mantovani, op. cit., 348 ss.). Altri hanno sostenuto che la colpa generica dovrebbe essere intesa come prevedibilità in concreto dell’evento aggravante non voluto (fondata sulla riconoscibilità del rischio di causazione dell’evento aggravante, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit), senza attribuirsi rilevanza alcuna al requisito dell’evitabilità (Donini, Illecito cit., 414; Gallo, Delitti aggravati dall’evento e delitti di attentato, in Giur. it., 1990, 413-414; Marinucci-Dolcini, op. cit., 225; Dolcini, Responsabilità oggettiva e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 867 ss. e Id., Codice penale commentato, Milano, 2006, sub artt. 43 e 584; Pulitanò, Diritto penale cit., 423). Accanto a tali ricostruzioni, altra parte della dottrina ha affermato che la preterintenzione rappresenterebbe un’ipotesi di «responsabilità da rischio vietato» (Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale, Milano, 2003, 330 ss.; Militello, Rischio e responsabilità penale, Milano, 1988, 253 ss.; Ardizzone, I reati aggravati dall’evento. Profili di teoria generale, Milano, 1984, 117 ss.).

[51] Cfr. Mantovani, op. cit., 331.

[52] In senso analogo, v. Sez. I, 06/19611, Grillo cit..

[53] Così testualmente dalla sentenza, parte motiva, sub punto 3.3.

[54] Cfr. Grosso, Responsabilità cit., 713, il quale scrive che «il primo motivo che induce a considerare riconosciuto dalla Costituzione il principio della responsabilità colpevole si ravvisa nella constatazione che, nella sostanza, l’imputazione ad un soggetto di un fatto altrui, e quella di un evento prodotto, sì, dalla sua condotta, ma fuori dai confini del dolo e della colpa, esprimono allo stesso modo l’addebito di un accadimento che, non essendo controllato dal soggetto agente, né a lui rimproverabile, non può propriamente definirsi come suo personale; per cui, o l’ordinamento tace sul punto relativo alla “personalità”, ovvero, nel momento in cui dà rilievo a tale requisito, in mancanza di esplicite controindicazioni deve logicamente ritenersi bandita appunto ogni imputazione di eventi irriconducibili al dominio di chi è chiamato a rispondere penalmente».

[55] Cfr. per tutti, Mantovani, op. cit., 348.

[56] Mantovani, op. cit., 410 ss..

[57] Cfr. per tutti, Mantovani, op. cit., 348.

[58] Cfr. Sez. V, 92/2634, Bonalda cit.: «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 584 cod. pen., in quanto previsione normativa di un’ipotesi di responsabilità obiettiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto a fattispecie che presenterebbero identica connotazione (evento non voluto posto a carico dell’agente: artt. 83, 116, 586 cod. pen.) e con l’art. 27 Cost., in forza del quale l’imputazione dell’illecito penale si concreta nella rapportabilità (o riferibilità) psichica del fatto all’agente sotto il profilo minimale della prevedibilità, intesa quale capacità di prevedere le conseguenze della propria condotta e di esercitare su questa il dovuto controllo finalistico. Da un lato, infatti, non è invocabile il principio di uguaglianza quando si pongono in raffronto situazioni come quelle richiamate dagli art. 584, 83, 116 e 586 cod. pen., che sono sostanzialmente dissimili tra loro, al di là del dato formale comune dell’imputazione di un evento non voluto o non avuto di mira direttamente dall’agente. Dall’altro, poi, va considerato che la giurisprudenza configura la preterintenzione come dolo misto a colpa, i cui profili non configgono, ma sono in linea con le pronunce nn. 364 e 1085/88 della Corte costituzionale in tema di personalizzazione dell’illecito penale».

[59] In tal senso, Mantovani, op. cit., 349, che si chiede perché ad esempio «non dovrebbe ravvisarsi colpa di chi percuote persona sull’orlo del precipizio, con ivi caduta mortale, o con estrema violenza provocandone la morte». L’Autore spiega inoltre come l’obiezione della non configurabilità di un’autentica colpa generica nell’ambito di attività illecite e pertanto vietate prova troppo, in quanto precluderebbe, anche de iure condendo, la possibilità di riportare gli eventi preterintenzionali o aggravanti nell’ambito dell’autentica colpa; Basile, La colpa cit., passim.

[60] Mantovani, ibidem.

[61] Sez. V, 06/13673, Haile cit.. Il caso da cui ha tratto origine la pronuncia è il seguente. Una donna, vista un’altra donna, anziana, seduta su una panchina con delle amiche, si avvicinava dandole improvvisamente uno schiaffo, e l’afferrava poi per i capelli strattonandola ripetutamente. Seguiva una lite, e, nella confusione, la vittima cadeva a terra, mentre la donna che l’aveva aggredita continuava a colpirla con calci, uno dei quali attingeva la parte destra dell’inguine. Alla vittima, condotta in ospedale, era riscontrato un forte trauma che le immobilizza l’arto inferiore sinistro. Una volta dimessa, con una prognosi variabile da 30 a 35 giorni, la donna era trovata morta dopo 6 giorni. Il consulente tecnico, in sede di autopsia, concludeva per il nesso causale della tromboembolia polmonare massiva da frattura pelvica sinistra, tesi successivamente confermata anche dal perito nominato dal GIP. La Suprema Corte, all’esito del giudizio, ritiene corretta la qualificazione della vicenda come omicidio preterintenzionale effettuata dal giudice di merito (Corte d’Assise d’Appello di Milano, 25 ottobre 2004).

[62] V. precedentemente, nello stesso senso, Sez. V, 13 maggio 2004, Thienca, in Guida dir., 2004, 29, 83: «come di recente affermato, l’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale non è costituito dal dolo misto a colpa, ma unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni, a condizione che la morte dell’aggredito sia causalmente conseguente alla condotta dell’agente. Insomma, perché si configurino gli estremi del delitto di omicidio preterintenzionale, sul piano soggettivo deve sussistere l’intento di percuotere o ledere, mentre l’evento mortale deve essere non voluto e, su quello obiettivo, il nesso causale tra la condotta tipica di percosse o lesioni e l’evento mortale verificatosi non deve essere interrotto da sopravvenienze da sole sufficienti a cagionarlo»; Sez. V, 6 febbraio 2004, Morrone cit.: «ne deriva che la questione non può che essere risolta in modo conforme alla soluzione adottata dal giudice di merito, che ha avuto riguardo esclusivamente, come era suo onere, alla volontarietà della condotta posta in essere dall’imputato, ovviamente quella rivolta a percuotere o a ledere, prescindendo da ogni indagine di volontarietà e di prevedibilità dell’evento maggiore»; Sez. V, 02/13114, Izzo cit.: «l’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo misto a colpa, ma unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni, a condizione che la morte dell’aggredito sia causalmente conseguente alla condotta dell’agente, il quale dunque risponde per fatto proprio, sia pure in relazione ad un evento diverso da quello effettivamente voluto, che, per esplicita previsione legislativa, aggrava il trattamento sanzionatorio (v. C.cost., ord. n. 152/84 e n. 364/88)».

[63] Altavilla, Lineamenti di diritto criminale, Napoli, 1932, 211 ss.; De Marsico, op. cit., 180 ss.; Florian, Parte generale del diritto penale, in Trattato di diritto penale, coordinato da Florian, Milano, 1934, 465 ss.; Impallomeni, L’omicidio nel diritto penale, Torino, 1900, 64 ss.; Massari, Le dottrine generali del reato, Napoli, 1930, 116 ss..

[64] Impallomeni, op. cit., 64 ss.; Massari, op. cit., 116 ss..

[65] Altavilla, Lineamenti cit., 211; Florian,op. cit., 465 ss..

[66] De Marsico,op. cit., 209.

[67] Carrara, Lineamenti cit., 109; Vannini, Omicidio cit., 147, e Id., Delitti contro la vita, Milano, 1946, 143 ss..

[68] Cfr. per tutti, Trapani, La divergenza cit., 397, il quale identifica il difetto ed il limite fondamentale delle teorie cd. unitarie «nella loro unilateralità nell’elevare a elemento caratterizzante dell’intero delitto preterintenzionale, ai fini dell’individuazione del titolo di responsabilità, ora solo la parte del fatto voluta ora solo la parte non voluta; il che finisce con il lasciare in ombra, impedendo quindi di darvi il rilievo che merita, proprio ciò che contraddistingue questo modello di illecito rispetto alle figure tipiche del reato doloso e colposo delineate dall’art. 43».

[69] Sez. V, 06/13673, Haile cit., parte motiva, sub punto 1.1.

[70] Sez. V, 06/13673, Haile cit., parte motiva, sub punto 1.1: «Ciascun parametro si rapporta alla categoria logica di prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato, come conseguenza della condotta, e serve a dimostrare superabile dall’agente l’inconsapevolezza dell’esigenza di diverso comportamento. Tanto basta. Perciò, se nel delitto colposo si agisce nonostante la previsione dell’evento, l’art. 61 c.p., n. 3 prevede un’aggravante: la possibilità cognitiva è superata dalla consapevolezza. La tassativa limitazione dell’aggravante al delitto colposo conferma che la previsione dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato è componente necessaria e non circostanziale nel delitto preterintenzionale, come in quello doloso. Il sistema dunque significa che quanto al delitto preterintenzionale, la disposizione dell’art. 43 assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato, per il quale parametri di negligenza, imprudenza o imperizia, men che d’inosservanza di norme sono assolutamente irrilevanti».

[71] Cfr. Sez. V, 06/13673, Haile cit., parte motiva, sub punto 1.2. A riprova strutturale della ricostruzione dell’elemento psicologico come unico, il Collegio afferma che, nell’omicidio preterintenzionale, anche l’evento sarebbe unico. In forza del principio di cui all’art. 15 c.p., l’omogeneità degli eventi (voluto e realizzato), accomunati dall’unico elemento psicologico che caratterizzerebbe la fattispecie di cui all’art. 584 c.p., determinerebbe infatti l’esistenza di un solo evento, quello aggravante della morte, assorbente quello del delitto sussidiario di percosse o lesioni perseguito dall’agente (in contrapposizione a quanto previsto con riferimento ai casi riconducibili alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 586 c.p., che rinvia all’art. 83 c.p. e ricade nel campo di applicazione del concorso di reati, stante l’eterogeneità degli eventi, voluto e realizzato, i quali per ciò stesso implicano ciascuno un proprio ed autonomo elemento psicologico).

[72] Ibidem, sub punto 1.3.

[73] Sez. V, 06/13673, Haile cit., parte motiva, sub punto 2.

[74] La stessa sezione V, peraltro, ha in passato affermato che l’intento di ricondurre la preterintenzione nell’alveo della responsabilità penale personale non può che portare a ricostruire la preterintenzione come dolo misto a colpa, di modo che l’evento più grave fosse imputato all’agente, non in forza del mero nesso causale (responsabilità oggettiva), bensì in ragione di una «prevedibilità di minimo profilo» (v. Sez. V, 93/2634, rv. 194325).

[75] Cfr. per tutti, Romano, sub art. 43 cit., 452, il quale osserva come «a volte, la duplicità degli eventi sarà identificabile solo in termini astratti o logici, altre volte sarà osservabile anche in termini di successione cronologica».

[76] Corte costituzionale, sentenza n. 364/1988 cit., sub punto 12: «si risponde penalmente soltanto per il fatto proprio, purché si precisi che per “fatto proprio” non s’intende il fatto collegato al soggetto, all’azione dell’autore, dal mero nesso di causalità materiale (da notare che, anzi, nella fattispecie plurisoggettiva il fatto comune diviene anche “proprio” del singolo compartecipe in base al solo “favorire” l’impresa comune) ma anche, e soprattutto, dal momento subiettivo, costituito, in presenza della prevedibilità ed evitabilità del risultato vietato, almeno dalla “colpa” in senso stretto».

[77] Sul punto v. Mantovani, Responsabilità oggettiva e responsabilità oggettiva occulta, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 456.

[78] Cfr. per tutti, Mantovani, op. cit., 349: «il delitto preterintenzionale va soppresso, assieme a tali delitti (i delitti aggravati dall’evento, n.d.r.), perché privo di autonome basi ontologiche, non necessario, complicatorio»; Romano, sub art. 43 cit., 454: «per una sistematica più semplice e più coerente, comunque, e quale sviluppo costituzionalmente imposto di civiltà dell’ordinamento dopo la sent. C. cost. 1988/364 sul punto della responsabilità oggettiva e dopo l’avvento dell’imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti (v. art. 42/26; 59/8), è compito urgente del legislatore ripensare ex novo alle categorie del delitto preterintenzionale e dei delitti aggravati dall’evento in una prospettiva in linea di massima unificatrice, eliminando la responsabilità oggettiva, e prevedendo invece, mediante l’impiego di circostanze aggravanti, una espressa responsabilità colposa […], non senza però una contestuale revisione dei minimi e dei massimi degli attuali trattamenti sanzionatori».

[79] Fiandaca-Musco, op. cit., 639.

[80] V. art. 12, Schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo Codice penale, predisposto dalla commissione ministeriale per la riforma del codice penale nominata dal Ministro di Grazia e Giustizia prof. Vassalli nel febbraio 1988 e presieduta dal prof. Pagliaro, in Doc. Giust., 1992, 305 ss.; art. 39, Disegno di legge n. 2038, d’iniziativa dei senatori Riz e altri, presentato al Senato della Repubblica nel corso della XII Legislatura, comunicato alla Presidenza il 2 agosto 1995, riguardante la riforma del Libro I del codice penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 927 ss.; art. 25, Progetto preliminare di riforma del Codice penale. Parte generale, redatto dalla commissione ministeriale istituita dal Ministro di Grazia e Giustizia prof. Flick con d.m. 1° ottobre 1998, presieduta dal prof. Grosso, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 574 ss.; art. 18, Progetto di riforma del codice penale. Parte generale, redatto dalla commissione ministeriale istituita dal Ministro di Grazia e Giustizia Castelli con d.i. 23 novembre 2001, presieduta dal prof. Nordio, in Cass. pen., 2005, 251 ss..

[81] La commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta dal prof. Pisapia è stata istituita dal Ministro di Grazia e Giustizia Mastella con d.i. 27 luglio 2006. V. sul tema della colpa nello schema di disegno di legge delega elaborato dalla Commissione Pisapia, il contributo di Veneziani, La colpa, disponibile all’URL http://www.isisc.org.

[82] Canestrari, Preterintenzione cit., 725 e 726, sub, nota 185: «si ritiene necessaria, al fine di perfezionare l’opera di delimitazione della responsabilità preterintenzionale, l’introduzione dell’imputazione per colpa dell’esito aggravante – nell’ambito di una definizione di parte generale» oppure «una “definizione generale” di parte speciale, nell’ambito dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale» «che potrebbe anche modificare una terminologia giudicata “arcaica”, denominando diversamente tale forma di responsabilità (“aggravata”; “qualificata”; “mista”) – e urgente la riforma delle fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 586 e 584 del c.p.».

[83] Cfr. per tutti, Patalano, Preterintenzione cit., 359.

[84] Pisa, Responsabilità nell’omicidio preterintenzionale e per morte conseguente ad altro delitto doloso, in Dir. pen. proc., 1997, 325.

[85] V. Corte cost. n. 364/1988: «il principio di colpevolezza è, pertanto, indispensabile, appunto anche per garantire al privato la certezza di libere scelte d’azione: per garantirgli, cioè, che sarà chiamato a rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili e mai per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze penalmente vietate» (parte motiva, sub punto 8) e «comunque s’intenda la funzione rieducativa, essa postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la “rieducazione” di chi, non essendo almeno “in colpa” (rispetto al fatto) non ha, certo, “bisogno” di essere “rieducato”» (sub punto 11).

 
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