Omicidio preterintenzionale – Elemento soggettivo – Dolo misto a colpa.
L’elemento psicologico del delitto preterintenzionale deve essere individuato, coerentemente con il principio di colpevolezza e con le affermazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 368 del 1988, nel dolo misto a colpa, riferito il primo al reato meno grave e la seconda all’evento più grave in concreto realizzatosi, dovendosi verificare, di volta in volta, la concreta prevedibilità ed evitabilità dell’evento maggiore ai fini dell’imputazione (fattispecie di omicidio in cui la sussistenza della preterintenzione è stata negata, ricorrendo il dolo diretto omicidiario).
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. I – 22 settembre 2006, n. 37385 (dep. 10 novembre 2006)
Pres. Bardovagni - Rel. Cassano – P.G. De Sandro (conf.) – Ric. I.I.M.
(omissis)
Motivi della decisione. 1. – Con sentenza del 26 gennaio 2006 la Corte d’Assise d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza pronunziata in data 31 gennaio 2005 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano che, all’esito di giudizio abbreviato; aveva dichiarato V.M.B. alias I.J.M. responsabile del delitto di omicidio volontario pluriaggravato in danno di O.N.R., commesso in (OMISSIS) e lo aveva condannato alla pena di anni trenta di reclusione, escludeva l’aggravante della premeditazione, confermando nel resto la decisione del giudice di primo grado. Disponeva la correzione della sentenza di primo grado relativamente all’indicazione delle esatte generalità dell’imputato (I.I.M., nominativo indicato, nella sentenza del giudice per le indagini preliminari, come alias rispetto al nome di V.M.B.).
2. – Entrambe le sentenze così ricostruivano lo svolgimento del fatto.
Verso le ore 12,35 del (OMISSIS) perveniva alla Centrale Operativa dei Carabinieri una telefonata con la quale si segnalava che, dall’appartamento posto al secondo piano dell’edificio di via (OMISSIS) del Comune di San Donato Milanese, provenivano dei lamenti.
I Carabinieri, intervenuti sul posto, ottenuto l’ausilio dei Vigili del Fuoco, essendo la porta d’ingresso dell’appartamento chiusa a chiave, rinvenivano il corpo senza vita di O.N.R., in parte sotto il letto, in posizione prona, con i piedi, le mani, il collo legati tra loro dietro la schiena, mediante cavi elettrici.
La causa della morte era ascrivibile ad asfissia meccanica da mezzi di compressione estrinseca delle vie aeree che, impedendo il passaggio dell’aria introdotta dall’esterno all’apparato bronchiale, aveva determinato una interruzione della respirazione in tempi brevi.
In base alle lesioni riscontrate sul corpo della vittima era possibile affermare che l’aggressione mortale era stata preceduta da una violenta colluttazione, cui era conseguita la temporanea perdita di conoscenza della vittima, ovvero una riduzione temporanea della capacità di difesa della stessa.
Dalla consulenza medico-legale e dai rilievi fotografici emergeva che O. era stato “incaprettato”, in quanto le mani erano state bloccate dietro la schiena e gli arti inferiori erano stati legati flessi all’indietro e in trazione con un filo elettrico legato al collo, sicché il rilassamento degli arti inferiori avrebbe provocato una stretta al collo, con conseguente autostrangolamento.
Nell’appartamento veniva trovati numerosi effetti personali, tra cui la patente di guida, di V.M.B., convivente della vittima, dedita all’attività di prostituzione, e la somma di mille dollari in contanti riposta in un portafogli occultato sotto il divano letto.
Sottoposto a fermo di polizia giudiziaria, I. ammetteva di avere litigato, la mattina del (OMISSIS), con la vittima, contraria al suo viaggio in (OMISSIS) per motivi familiari, di avere avuto con essa una colluttazione e di avere stretto al collo il convivente finché non gli era sembrato svenuto. Quindi, l’aveva legato al collo, perchè non voleva che, svegliandosi, si facesse male e se ne era andato, senza peraltro udire lamenti del suo compagno.
3. – Avverso la sentenza della Corte d’assise d’appello di Milano ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore di fiducia, I., il quale lamenta:
a) violazione di legge, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto come omicidio volontario, piuttosto che come omicidio preterintenzionale, e alla configurabilità del dolo omicidiario;
b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta capacità di intendere e di volere dell’imputato;
c) violazione dell’art. 603 c.p.p., mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al mancato accoglimento della richiesta difensiva di riapertura dell’istruttoria dibattimentale al fine di disporre perizia psichiatrica;
d) violazione dell’art. 577 c.p., n. 4 in relazione all’art. 61 c.p., n. 4, per insussistenza dell’elemento psicologico;
e) violazione di legge, con riguardo alla omessa applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2;
f) mancanza o manifesta illogicità della motivazione per omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso è manifestamente infondato.
(Omissis) 3.3. Priva di fondamento è anche la censura difensiva riguardante il mancato inquadramento della fattispecie nell’ambito del delitto preterintenzionale. A norma dell’art. 42 c.p., comma 2 e art. 43 c.p., comma 1, il delitto è “preterintenzionale o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente”: elemento costitutivo della preterintenzione è dunque la volontà dolosa del fatto meno grave, cui faccia seguito, sul piano causale rispetto alla condotta criminosa, la realizzazione di un evento necessariamente non voluto (neppure nella forma del dolo eventuale o indiretto, perchè altrimenti si verserebbe in altra fattispecie più grave di reato), più grave di quello voluto. L’elemento psicologico del delitto preterintenzionale deve essere individuato, coerentemente con il principio di colpevolezza e con le affermazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 368 del 1988, nel dolo misto a colpa, riferito il primo al reato meno grave e la seconda all’evento più grave in concreto realizzatosi, dovendosi verificare, di volta in volta, la concreta prevedibilità ed evitabilità dell’evento maggiore ai fini dell’imputazione.
Deve necessariamente postularsi la colpa dell’agente almeno in relazione agli elementi più significativi della fattispecie, fra i quali il complessivo ultimo risultato vietato se non si vuole incorrere nel divieto ex art. 27 Cost., commi 1 e 3, della responsabilità oggettiva c.d. pura o propria.
Secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, nell’omicidio preterintenzionale, sotto il profilo soggettivo, concorrono un dato positivo ed uno negativo: la volontà di offendere con percosse o lesioni e la mancanza dell’intenzione di uccidere. Invece l’elemento psicologico che connota l’omicidio volontario è proprio l’intenzione di cagionare la morte della vittima. Quando il complesso delle circostanze non evidenzia ictu oculi l’animus necandi, per le difficoltà di riconoscere per via diretta il proposito dell’agente, sorreggono il ragionamento fatti certi che consentono di provare l’esistenza o meno di altri fatti ignoti attraverso un procedimento logico d’induzione: fatti tesi ad individuare la volontà omicida sono precipuamente i mezzi usati, la direzione, l’intensità e la reiterazione dei colpi, la distanza dal bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscono l’azione cruenta.
Nella fattispecie in esame il complesso degli elementi in precedenza indicati, in ordine ai quali la sentenza ha fornito una motivazione approfondita e logica, tenendo conto dei rilievi difensivi, riproposti pedissequamente in sede di legittimità, depone univocamente per la configurabilità del dolo omicidiario diretto e per l’esclusione dell’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale, tenuto conto anche del fatto che I., dopo avere posto in essere la condotta già sopra illustrata, ebbe ad allontanarsi dell’appartamento, chiudendolo a chiave e rendendo così oggettivamente impossibile qualsiasi forma di soccorso. (Omissis)
Si veda anche il commento alla sentenza in esame, a cura dell'avv. Margherita Massa
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