Il ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile contro la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. č previsto, dopo le modifiche introdotte dalla legge 46/2006 (c.d. "Pecorella-bis") all’art. 428 c.p.p., esclusivamente agli effetti penali. Ne consegue che la Suprema Corte, in caso di annullamento con rinvio, dispone la trasmissione degli atti al Tribunale cui appartiene il G.U.P. che ha emesso la sentenza impugnata
RITENUTO IN FATTO
- Con sentenza del 16/2/2007, il G.u.p. del Tribunale di Avezzano dichiarava non luogo a procedere "perché il fatto non sussiste" nei confronti di A. D., imputata del reato di calunnia per avere, con denunce presentate al Commissariato di P.S. di Avezzano il 4/2 - 9/2 - 20/2/2002, accusato M. I. B., sapendolo innocente, dei reati di ingiurie e molestie, affermando che lo stesso le aveva inviato numerosi sms e fax, in particolare a mezzo del telefono avente numero 348XXXXXXX, che non risultava invece mai utilizzato a tale scopo.
Osservava il giudice che le risultanze probatorie, ed in particolare il contenuto della documentazione acquisita all'esito delle indagini integrative, smentivano il presupposto di fatto dell'imputazione, poiché dalla verifica dei tabulati telefonici era emerso che: - erano stati inviati, dal numero di utenza 348XXXXXXX del B. verso l'utenza mobile
della D., n. 20 sms tra il 3/11/2001 e 1'8/2/2002; - nello stesso periodo, risultavano inviati n. 27 sms dal numero di utenza mobile svizzera +41XXXXXXXXX nella disponibilità del B. verso l'utenza cellulare della D.; - erano state registrate, in date 27/1/ e 3/2/2002, n. 2 chiamate dall'utenza mobile del B. verso l'utenza fissa della D.; - dalla verifica dei tabulati Tim era emerso che sul cellulare della D. erano pervenute n. 15 chiamate con numero non identificato, corrispondenti per giorno ed ora a telefonate partite dall'utenza del B. o da quella con gestore svizzero; - dall'utenza mobile 348 del B. erano stati inviati al cellulare della D. n. 7 messaggi tra il 26/12/01 e 1'8/2/02.
In definitiva, il dato obiettivo della rilevante frequenza delle intervenute comunicazioni telefoniche tra le parti, nel periodo indicato dall'imputata nei suoi esposti, escludeva la sussistenza del fatto addebitato.
- Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della parte civile, deducendo mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sull'assunto che dai tabulati acquisiti era emerso che dalle utenze a lui riferibili non erano state effettuate verso le utenze in uso alla D. le telefonate da questa indicate, mentre le frequenti comunicazioni intercorse tra le parti si riducevano a 47 sms e a 2 tentativi abortiti di chiamata. Il. G.u.p., assimilando impropriamente gli sms alle telefonate, aveva errato nel costruire il ragionamento conducente all'esito assolutorio e negato illegittimamente, in violazione dell'art. 425 c.p.p., l'approfondimento dibattimentale dell'ipotesi accusatoria.
Il difensore dell'imputata ha chiesto che il ricorso della parte civile venisse dichiarato inammissibile, sul duplice rilievo che il ricorso non conteneva alcun riferimento specifico e diretto agli effetti di carattere civile che intendeva conseguire e, per altro verso, erano comunque inibiti alla Corte di cassazione il riesame critico e la lettura alternativa delle risultanze probatorie poste a fondamento del convincimento del giudice di merito.
3. - La Sesta Sezione, con ordinanza del 13/2 - 2/4/2008, rilevato che sulla portata del novellato art. 428 c.p.p., che, nel rendere inappellabile la sentenza di non luogo a procedere, ha nel contempo attribuito alla persona offesa, costituita parte civile, il potere di proporre ricorso per cassazione, si registrava un netto contrasto nella giurisprudenza di legittimità (ritenendosi, secondo un primo indirizzo, che il ricorso avesse natura di impugnazione ai soli effetti civili e, secondo un diverso indirizzo, che il ricorso fosse preposto alla tutela degli interessi penali della persona offesa) e che entrambe le soluzioni prestavano il fianco a possibili obiezioni di compatibilità costituzionale, con riguardo ai principi di cui agli artt. 3 e 112 Cost., ne ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite, cui il ricorso è stato assegnato dal Primo Presidente per l'odierna udienza in camera di consiglio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - La parte civile ha chiesto l'annullamento dell'impugnata sentenza di non luogo a procedere, prospettando l'utilità del dibattimento per una più approfondita verifica delle risultanze probatorie e dell'ipotesi accusatoria, senza fare alcun riferimento agli effetti civili che col ricorso intendeva perseguire.
Di talché, al fine del preliminare vaglio di proponibilità del ricorso nei termini in cui esso è stato formulato, le Sezioni Unite sono chiamate a rispondere al quesito "se, dopo le modifiche introdotte dalla legge n 46 del 2006 all'art. 428 cp.p., p., il ricorso per cassazione della persona offesa costituita pane civile contro la sentenza di non luogo a procedere emessa all'esito dell'udienza preliminare, sia proposto agli effetti penali ovvero ai soli effetti civili ", quesito in ordine al quale si contrappongono due linee interpretative.
Secondo un primo orientamento (Cass., Sez. IV, 25/10/2006 n. 11960/07, P.C. in proc. Martinelli, rv. 236249; Sez. II, 12/4/2007 n. 16908, P.C. in proc. Moreschi, rv. 236661), decisamente minoritario, il ricorso esperibile dalla persona offesa costituita parte civile avverso la sentenza di non luogo a procedere, attesa la natura accessoria dell'azione civile, ha natura di impugnazione ai soli effetti civili: con il controverso corollario, quanto all'eventuale epilogo decisorio di annullamento, che la sentenza del G.u.p., in applicazione dell'art. 622 c.p.p., va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (Sez. IV, n. 11960/07) o, in alternativa, senza rinvio (Sez. II, n. 16908/07).
L'opposto, nettamente prevalente e argomentato, orientamento (Cass., Sez. V, 15/1/2007 n. 5698, Reggiani, rv. 235863; Sez. IV, 19/4/2007 n. 26410, Giganti, rv. 236801; Sez.V, 3/5/2007 n. 21876, P.0 in proc. Pappaianni, rv. 236250; Sez. II, 12/6/2007 n. 26550, Pica, rv. 237300; Sez. V, 5/6/2007 n. 34432, Blandini, rv. 237710; Sez. V, 26/6/2007 n. 35651, Cataluddi, rv. 237715; Sez. IV, 31/1/2008 n. 13163, Cascone; Sez. V, 22/2/2008 n. 12902, De Simone, rv. 239386; Sez. VI, 4/2/2008 n. 21735, Vitellaro), movendo dall'inquadramento sistematico e funzionale dell'udienza preliminare e della sentenza di non luogo a procedere, ravvisa, invece, nel ricorso della persona offesa, costituita parte civile, un'impugnazione diretta ad incidere sui contenuti decisori di carattere penale di tale sentenza, sicché, in caso di accoglimento del ricorso, il rinvio dev'essere disposto davanti al giudice dell'udienza preliminare.
Le Sezioni Unite ritengono di condividere le ragioni di ordine logico-giuridico che giustificano quest'ultimo indirizzo interpretativo.
2. - In ordine al quadro normativo di riferimento, va rilevato innanzi tutto che il testo originario dell'art. 428, comma 3 c.p.p., anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 46 del 2006, contemplava il potere della persona offesa dal reato di proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere solo nelle ipotesi di nullità previste dall'art. 419, comma 7, afferenti ad una irregolare o mancata instaurazione del contraddittorio nell'udienza preliminare.
Con riguardo al "merito", la sentenza di non luogo a procedere era invece inoppugnabile:
dalla parte civile, per difetto d'interesse, giacché, a differenza delle sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, impugnabili "ai soli effetti della responsabilità civile" ex art. 576, comma 1, la pronuncia in esame, non contemplata tra quelle menzionate dall'art. 652, non dispiega effetti preclusivi o pregiudizialmente vincolanti nel giudizio civile o amministrativo di danno promosso dal danneggiato (Cass., Sez. V, 26/2/ 1992, P.C. in proc. Varano, rv. 189965; Sez. V, 11/11/1992, P.C. in proc. Beria d'Argentine, rv. 193507; Sez. III, 17/2/2000 n. 5196, P.C. in proc. Marra, rv. 216062; Sez. V, 25/3/2003 n. 22300, Meninno, rv. 225334);
dalla persona offesa, costituita parte civile nei peculiari processi per i reati di ingiuria e diffamazione, poiché la speciale previsione dell'art. 577, che ne consentiva eccezionalmente l'impugnazione "anche agli effetti penali", era circoscritta alle sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, scelta derogatoria, quest'ultima, ritenuta ragionevole dalla Corte costituzionale in considerazione della diversità della struttura cognitiva del giudizio di merito rispetto all'udienza preliminare (sent. n. 381 del 1992).
Risultava, peraltro, applicabile anche alla sentenza pronunciata all'esito dell'udienza preliminare la disposizione dell'art. 572, relativa alla possibilità concessa alla persona offesa e alla parte civile, pur prive di un autonomo potere di gravame, di richiedere motivatamente al pubblico ministero di proporre impugnazione "a ogni effetto penale".
Con l'art. 4 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 il regime delle impugnazioni della sentenza di non luogo a procedere è profondamente mutato, essendosi - oltre alla generale soppressione del potere di appello dell'imputato e del pubblico ministero - riconosciuta alla persona offesa, con la nuova formulazione dell'art. 428, comma 2 c.p.p., la legittimazione a proporre ricorso per cassazione non solo per violazione del contraddittorio ma anche, se costituita parte civile, per tutti i motivi previsti dall'art. 606.
E ciò all'interno di uno scenario che, a seguito della contestuale abrogazione dell'art. 577 c.p.p. ad opera dell'art. 9 della stessa legge n. 46 del 2006, non presenta più alcun esempio di impugnazioni di tale parte che, lungi da rimanere confinate all'interno delle questioni civili, siano volte ad incidere sugli aspetti penali della sentenza (fatta eccezione per la previsione, rimasta intatta, dell'art. 38, comma 1 d.lgs. n. 274 del 2000, per la quale il ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato a norma dell'art. 21, come naturale effetto del diritto di azione previamente esercitato, può proporre impugnazione, "anche agli effetti penali", contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace).
3. - Il punto di partenza del ragionamento svolto dalle più articolate sentenze che postulano la soluzione condivisa dalle Sezioni Unite (nel senso dell'estraneità dell'impugnazione de qua al perseguimento di effetti civili) muove dall'inquadramento sistematico degli epiloghi decisori dell'udienza preliminare.
Nel contesto delle sopravvenute novità normative e nel solco della coerente giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Un., 30/10/2002 n. 39915, Vottari) e costituzionale (C. cost., n. 224 del 2001 e n. 335 del 2002; cui adde, da ultimo, ord. n. 4 del 2008, circa la diversa natura della sentenza di non luogo a procedere e della sentenza di proscioglimento in senso stretto, quanto ad oggetto dell'accertamento, base decisionale, regime di stabilità ed efficacia extrapenale), la fondamentale regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere, nonostante l'obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell'orizzonte cognitivo del giudice, resta tuttavia qualificata da una delibazione, di tipo prognostico, di sostenibilità dell'accusa in giudizio, con riferimento al maggior grado di probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria ed all'effettiva utilità della fase dibattimentale, priva quindi di effetti irrevocabili sul merito della controversia circa l'accertamento della colpevolezza o dell'innocenza dell'imputato, essendo essa revocabile nei casi e alle condizioni stabilite dagli artt. 434 ss. c.p.p..
A sostegno della tesi che configura nel ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile uno strumento preordinato all'esclusiva tutela degli interessi penali, mediante il perseguimento dell'obiettivo del rinvio a giudizio dell'imputato, si sottolinea inoltre che:
- non è possibile individuare, in capo alla parte civile ricorrente, il perseguimento di un interesse civilistico, atteso che la sentenza di non luogo a procedere non pregiudica in alcun modo, come si rileva dal testo dell'art. 652 comma 1, le prospettive risarcitorie della stessa;
- il fatto che il ricorso sia previsto non nell'interesse del mero "danneggiato" che si sia costituito parte civile, ma solo del danneggiato che rivesta anche la qualità di "persona offesa" dal reato starebbe a dimostrare che la norma, nell'ottica dell'azione penale, ha inteso riferirsi alla tutela degli interessi del titolare dell'interesse protetto dalla disposizione incriminatrice, la vittima del reato che subisce il "danno criminale" costituito dall'offesa di questo bene (v., in tal senso, la lucida disamina svolta da Cass., Sez. V, n. 5698 del 2007, cit.), sicché l'impugnazione non può che essere rivolta alla tutela degli interessi legati a tale danno, mentre il danneggiato che non sia anche persona offesa dal reato e che eserciti l'azione civile in sede non propria mira a tutelare esclusivamente il "danno civile" a lui cagionato dal reato;
- a differenza di quanto stabilito dall'art. 576, comma 1, con riguardo alla sentenza di proscioglimento emessa nel giudizio, l'art. 428, comma 2 non pone un'analoga limitazione - "ai soli effetti della responsabilità civile" - all'impugnazione proposta dalla persona offesa costituita parte civile contro la sentenza di non luogo a procedere;
- per altro verso, qualora dovesse accogliersi l'opposta tesi, l'eventuale annullamento con rinvio al giudice civile competente in grado d'appello ex art. 622, giustificabile nell'ipotesi di avvenuto svolgimento di un giudizio di primo grado, comporterebbe l'inaccettabile privazione per l'imputato, la cui posizione sarebbe stata vagliata solo "processualmente", di un grado di giudizio di merito, con l'ulteriore difficoltà, per il giudice civile d'appello, di compiere una valutazione di merito in ordine ad un aspetto, quello civilistico, neppure sfiorato dal giudice dell'udienza preliminare.
Va quindi decisamente escluso ogni possibile effetto civile ricollegabile al mezzo di impugnazione de quo: la persona offesa costituita parte civile, senza dover necessariamente sollecitare a tal fine il pubblico ministero ex art. 572, é legittimata, in forza della nuova disposizione, a criticare direttamente la decisione di non luogo a procedere per gli aspetti ed i fini propriamente penali ed a chiederne l'annullamento, venendo così ad assumere, nei gradi ulteriori, la titolarità di un'azione penale privata, complementare e concorrente rispetto a quella del pubblico ministero, cui è sottratto, in quest'ambito, il monopolio dell'impugnazione penale in malam partem.
4. - Certamente condivisibili, ad avviso del Collegio, sono i rilievi critici e le perplessità espressi dalla dottrina in ordine alla "difficoltà di senso" della riforma.
Se si considera, infatti, che l'introduzione della norma è avvenuta nell'ambito di un intervento caratterizzato, contestualmente e in termini non conciliabili con il novellato art. 428, comma 2, dall'abrogazione dell'art. 577, ovvero dell'unica norma che, sino a quel momento, riconosceva, sia pure per una particolare tipologia di reati, un analogo potere impugnatorio alla persona offesa dal reato costituita parte civile avverso le sentenze di proscioglimento, mentre é rimasto intatto l'art. 38 del d.lgs. n. 274 del 2000, che riconosce al ricorrente in via immediata il potere di impugnazione "anche agli effetti penali" contro le sentenze di proscioglimento, si stenta a cogliere la ragione dell'attribuzione di un si ampio potere di ricorso per cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere alla persona offesa che abbia riportato il "danno criminale", costituitasi parte civile.
In mancanza di salienti indicazioni dei lavori parlamentari (secondo il resoconto stenografico della seduta del 13/12/2005 della Commissione Giustizia del Senato, gli interventi del Sen. Bobbio e del relatore Sen. Centaro convergono nel senso che l'intervento normativo "si inserirebbe in modo coerente nell'impianto del codice di procedura penale" e sarebbe "da ritenersi pienamente in linea con l'impostazione seguita nel predetto codice quanto al ruolo da attribuire alla parte civile"), si é, per vero, cercata una spiegazione imputando il mantenimento della disposizione de qua a un difetto di coordinamento legislativo, dovuto all'eliminazione dal testo finale, dopo il messaggio presidenziale di rinvio della legge alle Camere, delle radici della modifica che, contenute nell'art. 8 dell'originaria proposta di legge, investivano l'art. 652, comma 1 c.p.p., nell'intento di escludere effetti preclusivi extrapenali ad ogni sentenza che non fosse di condanna, anche se revocabile, quindi anche a quella di non luogo a procedere, sempre che la parte civile non si fosse costituita nel processo penale.
Siffatta spiegazione non impedisce tuttavia di formulare una complessiva diagnosi di incoerenza sistematica della inedita previsione normativa, per avere attribuito ad una parte privata un potere di impugnazione agli effetti penali della sentenza di non luogo a procedere, omologo e concorrente rispetto a quello del pubblico ministero, non solo non contemplato per le pronunce di proscioglimento emesse nel giudizio che investono il merito della regiudicanda, impugnabili ai soli effetti della responsabilità civile, ma addirittura consapevolmente soppresso relativamente alle sentenze pronunziate per i reati di ingiuria e diffamazione.
5. - E però, nonostante tali rilievi, non sembrano fondati i dubbi di compatibilità della novellata disposizione dell'art. 428, comma 2 c.p.p. con gli artt. 3 e 112 della Costituzione, prospettati dalla Sezione rimettente sul duplice assunto che, da un lato, il riconoscimento di un potere di impugnazione così ampio risulterebbe irragionevole, ove confrontato con la limitata facoltà tuttora riconosciuta relativamente alle sentenze di proscioglimento pronunciate in giudizio, nei confronti delle quali la parte civile può dolersi ex art. 576 c.p.p. ai soli effetti della responsabilità civile, e, dall'altro, l'illimitata facoltà di impugnazione agli effetti penali potrebbe collidere con la previsione costituzionale dell'azione penale come pubblica e obbligatoria.
Con riguardo al primo parametro, mette conto di osservare che l'apprezzamento largamente condiviso di aporia sistematica non comporta automaticamente un giudizio di difetto di ragionevolezza della nuova disciplina, in considerazione soprattutto del privilegio che fonti interne e internazionali tendono a riconoscere alla persona offesa con riguardo al "danno criminale", per cui la vittima del reato diventa portatrice di un interesse squisitamente penale finalizzato alla repressione del fatto criminoso.
Ed invero, il panorama legislativo registra una sempre più marcata attenzione verso i diritti e gli interessi processuali propri di coloro che subiscono il crimine, nell'acquisita consapevolezza di una netta differenziazione tra la figura del titolare del bene giuridico protetto e leso dal reato e quella del soggetto cui la condotta illecita abbia cagionato un danno risarcibile, con il riconoscimento (anche topografico) nel nuovo codice di rito di distinti poteri in relazione alle diverse fasi processuali, ed anzi con la massima esaltazione dei poteri del primo nel microsistema del processo penale del giudice di pace (artt. 21, 34 comma 3 e 38 comma 1 digs. n. 274 del 2000).
In proposito, va menzionata la Decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea 15 marzo 2001, n. 2001/220/GAI, che, relativamente alla posizione della vittima nel procedimento penale, stabilisce, tra l'altro, all'art. 2 che "Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale".
In tale ordito normativo, dunque, parrebbe iscriversi, disorganicamente ma non irragionevolmente, il singolare potere riconosciuto alla persona offesa dall'art. 428, comma 2 c.p.p..
Per altro verso, l'art. 112 Cost., attribuendo al pubblico ministero il dovere di esercitare l'azione penale, non impone che questa sia esercitata solo dall'organo della pubblica accusa in una sorta di monopolio pubblico dell'azione penale.
La giurisprudenza costituzionale (C. cost., n. 61 del 1967; n. 177 del 1971; n. 84 del 1979; n. 114 del 1982; n. 474 del 1993) ha in più occasioni precisato, infatti, che la titolarità dell'esercizio dell'azione penale può essere conferita dal legislatore, sulla base di una "scelta pluralistica", anche a soggetti diversi dal pubblico ministero, purché rimanga fermo l'obbligo di quest'ultimo di esercitarla, sicché, così delimitata, l'azione penale privata è ammessa quando riveste natura sussidiaria o concorrente, non alternativa, con quella del pubblico ministero.
Caratteristiche, queste, che si riscontrano per l'impugnazione de qua, dal momento che il potere di ricorrere in cassazione conferito alla persona offesa presuppone il già avvenuto esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, mentre questo non é affatto escluso dall'autonomo esercizio del potere impugnatorio della sentenza di non luogo a procedere (Cass., Sez. VI, n. 21735 del 2008, cit.).
Né tantomeno all'obbligo di esercizio dell'azione penale dev'essere in ogni caso riportato anche il potere di impugnazione del pubblico ministero, "come se di tale obbligo esso fosse una proiezione necessaria e ineludibile" (C. cost., n. 280 del 1995, n. 26 del 2007 e n. 85 del 2008).
- Le precedenti riflessioni convergono dunque univocamente nel senso che "il ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile contro la sentenza di non luogo a procedere, emessa all'esito dell'udienza preliminare, è proposta dopo le modifiche introdotte dalla legge n 46 del 2006 all'art. 428 cp.p., esclusivamente e agli effetti penali, sicché la Corte, in caso di annullamento con rinvio, dispone la trasmissione degli atti al Tribunale cui appartiene il G.u.p. che ha emesso la sentenza impugnata".
- E però, mette conto di osservare, quanto alla portata della modifica legislativa che ha statuito la soppressione dell'appello e, per contro, la previsione del ricorso per cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere, che dall'esame dei lavori parlamentari della legge di riforma si ricava la netta impressione che la trattazione dedicata all'art. 428 risulti pressoché interamente assorbita dall'aspetto dell'impugnazione spettante al pubblico ministero; sicché l'introduzione del ricorso per cassazione, in luogo dell'appello, sembra essere stata effetto di una sorta di "trascinamento" della regolamentazione preclusiva del potere di appello del pubblico ministero avverso pronunce comunque favorevoli all'imputato.
Nel testo della relazione dell'On. Bartolini, seguita al messaggio presidenziale di rinvio alle Camere, si legge infatti: "Circa la modifica dell'articolo 428, che disciplina i casi di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, si è intervenuti per coordinare la disciplina vigente al principio di inappellabilità sancito dall'articolo 1, per cui si è soppressa la previsione dell'appello e si é previsto che possa essere presentato ricorso per cassazione. Tale ricorso non può che essere quello la cui disciplina è prevista in via generale dall'articolo 606. Non si tratta di una sostituzione nel giudizio di merito di secondo grado della Corte di cassazione al giudice di appello. È stato piuttosto eliminato il giudizio di merito di secondo grado, residuando quello di legittimità". E nella relazione del Sen. Centaro in Commissione Giustizia del Senato nella seduta del 28/9/2005 si afferma che "L'articolo 4 modifica l'articolo 428 del codice anche qui effettuando una serie di interventi di coordinamento con la riscrittura dell'articolo 593 del codice di procedura penale".
Risulta perciò evidente la distonia dello strumento del ricorso per cassazione, previsto dal novellato art. 428 c.p.p., rispetto al quadro generale del sistema impugnatorio, oggi identificabile all'esito dei plurimi interventi demolitori dell'originario impianto della legge n. 46 del 2006, in particolare per quanto riguardava la preclusione per il pubblico ministero e per l'imputato di proporre "appello" avverso le sentenze di proscioglimento, ad opera della Corte costituzionale (sentt. n. 26 e n. 320 del 2007, n. 85 del 2008; cui adde, per la riconosciuta appellabilità della sentenza di proscioglimento in capo alla parte civile, ord. n. 3 del 2008, nonché Cass., Sez. Un., 29/3/2007 n. 27614, P.C. in proc. Lista).
L'esclusiva ricorribilità per cassazione della sentenza di non luogo a procedere, a ben vedere, non appare neppure coerente con il principio di "ragionevole durata" del processo garantito dall'art. 111, comma secondo, della Costituzione (regola precettiva e interpretativa, ad un tempo): la Corte di cassazione, in caso di accoglimento del ricorso, non dispone infatti il rinvio a giudizio dell'imputato, bensì si limita ad annullare la decisione impugnata, ordinando, di regola, la trasmissione degli atti al G.u.p. perché rinnovi l'udienza preliminare e pervenga ad ulteriori epiloghi decisori, ancora una volta censurabili mediante un nuovo ricorso per cassazione (con il correlato aumento del carico di lavoro della Corte di legittimità, come già segnalato nel messaggio presidenziale di rinvio della legge alle Camere).
Viene quindi a determinarsi, in tal caso, la regressione del procedimento, con conseguente allungamento dei tempi di definizione della controversia, in contrasto con le esigenze di economia e di ragionevole durata del processo, le quali, pure nel corretto contemperamento fra il valore dell'efficienza e le garanzie del "giusto processo", pretendono comunque la razionalizzazione dei tempi e dell'organizzazione del processo e, con essa, l'effettività della giurisdizione penale a fronte delle legittime aspettative della vittima del reato e della collettività di fronte al delitto (Cass., Sez. Un., 20/12/2007 n. 5307/08, P.M. in proc. Battistella).
Non sembra infine superfluo rammentare che entrambi i più recenti progetti riformatori del codice di rito, "Dalia" del 2005 e "Riccio" del 2007 (per quest'ultimo v. la specifica direttiva 66.7), confermano invece, sul punto, la tradizionale "appellabilità" della sentenza di non luogo a procedere.
- La criticità della scelta legislativa del ricorso per cassazione come unico strumento impugnatorio della sentenza di non luogo a procedere emerge soprattutto laddove, come nella specie, oggetto di censura sia l'apparato argomentativo della decisione, per i profili della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) c.p.p..
E' infatti palese la differenza di scala fra la regola di giudizio dettata per l'epilogo decisorio della sentenza di non luogo a procedere, che prescrive valutazioni prognostiche di sostenibilità dell'accusa in giudizio sulla base degli acquisiti elementi investigativi e probatori, per ciò stesso intrise di "fatto" e di "merito", e le caratteristiche del ricorso per cassazione, attesa l'inadeguatezza del mero scrutinio di "legittimità" della decisione impugnata rispetto ai punti oggetto di critica da parte del ricorrente. Come avverte acutamente, in proposito, autorevole dottrina, "abortita l'imputazione l'appello costituisce rinvio naturale, quale non consta che sia il ricorso davanti alla Corte, è lavoro da operatori del merito dire se i materiali raccolti bastino ad accuse sostenibili nel dibattimento".
D'altra parte, l'eliminazione del potere d'appello neppure può ritenersi compensata dall'ampliamento dei motivi di ricorso per cassazione, parallelamente operato dall'art. 8 della stessa legge n. 46 del 2006 mediante la modificazione delle lettere d) ed e) dell'art. 606 c.p.p., perché "quale che sia l'effettiva portata dei nuovi e più ampi motivi di ricorso il rimedio non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito consentito all'appello" (C cost., n. 26 del 2007).
- Ciò posto e considerato che nel caso in esame il G.u.p. ha dato conto, con puntuale e adeguato apparato argomentativo cui si é fatto cenno, delle ragioni del giudizio negativo sulla sussistenza di significative probabilità di successo dell'ipotesi accusatoria nel giudizio dibattimentale, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine, la motivazione non appare sindacabile in sede di controllo di legittimità della sentenza impugnata, soprattutto quando il ricorrente si limiti sostanzialmente, come nella specie, a sollecitare un non consentito riesame del merito attraverso la rilettura del materiale investigativo.
Il ricorso della parte civile dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, a norma dell'art. 592 comma 1 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, non ravvisandosi tuttavia le condizioni per disporre il versamento di un'ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deliberato in Roma il 29 maggio 2008.
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