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 Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 27 settembre 2007 (dep. 11 ottobre 2007), n. 37539

Reato permanente: valenza della formula “sino alla data odierna” contenuta nel capo di imputazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Magistrati:
Dott. AMBROSINI Giangiulio - Presidente
Dott. AGRO' Antonio - Consigliere
Dott. SERPICO Francesco - Consigliere
Dott. MILO Nicola - Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere
 
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da C.S.A., C.M.G. e R.S., contro la sentenza 23 giugno 2006 della Corte d'Appello di Messina;
Udita la relazione del Consigliere Dott. Antonio Agrò;
Udito il P.G. Febbraro Giuseppe, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla statuizioni civili verso la "Federazione Antiracket Italiana" ed il rigetto nel resto dei ricorsi.
Udito per la "Federazione Antiracket Italiana" l'avvocato P.F.V.;
Uditi per i ricorrenti gli avvocati C.F, G.F., C.O., A.G. e M.R.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'Appello di Messina, in parziale riforma della decisione del Tribunale, ha ritenuto C.A., C.M.G. e R.S., responsabili di associazione per delinquere di stampo mafioso ed il C.M. anche di due episodi di estorsione.
 
2. Contro tale pronunzia ricorre C.A. che, con un primo motivo, lamenta la violazione dell'art. 649 c.p.p., in quanto, benchè fosse stato riconosciuto in sede di merito che la sentenza del 15 febbraio 2003 del Tribunale di Patti, divenuta irrevocabile, l'aveva assolto dal medesimo reato associativo di cui oggi è stato ritenuto responsabile, non si è ritenuto che tale assoluzione comprendesse tutte le condotte tenute tra l'autunno - inverno del 1996 e il 15 febbraio 2003 e si è invece stabilito che l'efficacia del giudicato fosse circoscritta al periodo che va dal gennaio 1997 al 14 settembre 1998.
Si duole poi del fatto che la dichiarazione della sua responsabilità si basi su intercettazioni inutilizzabili perche' non eseguite presso gli impianti istallati nella Procura, senza che i decreti esecutivi del p.m. fornissero un'adeguata motivazione della deroga.
Nel merito deduce che non v'è alcun elemento probatorio che possa suffragare la sua appartenenza ad associazione mafiosa per i periodi non coperti dal precedente giudicato assolutorio (6 giugno 1994 - estate 1996, 15 febbraio - 9 aprile 2003). Infatti tra il 94 e il 96 il C.A. si trovava in carcere o agli arresti domiciliari, sicchè non era concepibile alcun suo contributo all'associazione mafiosa e d'altronde nessuna indagine era stata esperita in questo processo per i periodi antecedenti al 1995, per i quali non soccorrevano nemmeno le dichiarazioni del collaborante L. che si riferisce a quanto e' avvenuto dopo tale anno. Nessun elemento vi sarebbe poi per l'epoca successiva al maggio 2002, data ultima delle accuse del    L..
Ma, anche a considerare tutto il periodo esaminato nella sentenza impugnata, non vi sarebbe alcun riscontro alle dichiarazioni, di per sè inverosimili, del nominato collaborante, non potendosi
considerare le intercettazioni delle conversazioni tenute dal collaborante stesso ed essendo   comunque inutilizzabili le intercettazioni per le ragioni gia' ricordate.
Come ultimo motivo deduce il difetto di motivazione in ordine alla determinazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche.
 
3. Ricorre M.C.G. che in primo luogo deduce la nullità della sentenza in quanto non ha a sua volta riconosciuto la nullita' della decisione di primo grado, resa senza che fosse stata dichiarata la chiusura del dibattimento e che si fosse data al codifensore del ricorrente la possibilità di pronunziare l'arringa conclusiva.
In relazione ad uno dei due episodi di estorsione (quella ai danni di M.C.) censura il difetto di motivazione sul punto della sussistenza delle ritenute aggravanti di cui alla L. 203 del 1991, art. 7 e dell'art. 628 c.p., comma 3, richiamato quest'ultimo - dell'art. 629 c.p., comma 2. La Corte d'Appello si e' limitata ad un rinvio a quanto gia' osservato in diritto a proposito dell'altro episodio estorsivo, senza accertare in fatto gli elementi costituenti le circostanze in parola.
Ma, sempre con riferimento all'estorsione M., vi sarebbe un vizio di motivazione in ordine allo stesso accertamento del fatto, operato senza tener conto che l'ipotesi piu' ragionevole era quella di un prestito da parte della ritenuta vittima.
Ancora vizio di motivazione dovrebbe riscontrasi nell'accertamento del concorso nell'estorsione ai danni di V.G., per la quale la condotta del ricorrente, limitata all'anno 1999 in una vicenda che va dal 1991 al 2003, dovrebbe invece qualificarsi come ipotesi di favoreggiamento reale.
Violazione   di   legge dovrebbe riscontrarsi nel diniego delle attenuanti generiche, basato su elementi che si riferiscono al reato satellite e non al reato considerato piu' grave tra quelli uniti in
continuazione e cio' senza considerare gli elementi che militavano a favore della concessione.
Ulteriore violazione dovrebbe rilevarsi nel fatto che al reato estorsivo e' stata applicata l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, pur essendo stata contestato e accertato il reato di cui all'art. 416 bis c.p., comma 3, nel quale la circostanza e' assorbita. L'aggravante in parola sarebbe poi incompatibile con quella prevista dell'art. 628 c.p., comma 3, a parte la gia' rilevata omissione di   un accertamento in fatto della ricorrenza dell'aggravate.
Infine non vi sarebbe un'adeguata motivazione a base della condanna per partecipazione ad associazione mafiosa.
 
4. Ricorre R.S. che, con un primo motivo, deduce vizio di motivazione e violazione di legge per aver ritenuto sussistente la sua responsabilita' nel reato di cui all'art. 416 bis c.p..
Osserva, con il secondo motivo, che la qualifica attribuitagli di dirigente ed organizzatore non si basa su elementi idonei e che, in particolare, non e' stata accertata alcuna condotta concreta dalla
quale inferire un ruolo dirigenziale o organizzativo, tale non potendosi ritenere il ruolo di "paciere",   attribuitogli da collaboranti, che puo' essere riconducibile a personali e peculiari doti di mediazione, piuttosto che a posizioni organiche nell'ambito sociale. Del resto gia' nel capo di imputazione, nel quale vengono puntualmente indicati i gruppi mafiosi riconducibili al territorio
della provincia di Messina e alla fascia compresa tra Milazzo e S. Agata di Militello, non si indica alcun gruppo facente capo al R. o nel quale costui venga compreso come partecipante, con la conseguenza che il ricorrente non si potrebbe ritenere ne' dirigente ne' organizzatore di tali gruppi, cariche e funzioni necessariamente riferibili alle singole unita' associative.
Con un terzo motivo si duole della determinazione della pena che, anche a seguire quanto ritenuto in ordine alla responsabilita', pur basata su precedenti penali del R., appare esorbitare ai criteri di ragionevolezza e proporzionalita' rispetto alla modalita' concreta della condotta accertata. Deduce infine violazione di legge nella ritenuta sussistenza di un'ipotesi di danno risarcibile in favore della Federazione Antiracket Italiana, cui non fanno capo diritti soggettivi patrimoniali o non patrimoniali, la cui lesione sia tutelabile attraverso il risarcimento.
 
5. In prossimita' dell'udienza tutti i ricorrenti hanno presentato memoria, ribadendo le conclusioni gia' prese.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il primo motivo del ricorso di C.S.A. è fondato.
La pronunzia in esame ha respinto la sua deduzione in ordine all'estensione temporale del precedente giudicato (costituito dalla sentenza 15 febbraio 2003 del Tribunale di Patti), ritenendo che questo copra solo il periodo gennaio 1997 - 14 settembre 1998. E cio' perche' con l'espressione "sino alla data odierna" (che appare nel capo di imputazione della sentenza del Tribunale, quale termine finale della contestazione del reato associativo) si deve intendere il momento in cui il p.m. ha formulato la richiesta di rinvio a giudizio: 14 settembre 1998, appunto.
Pare invece alla Corte che una simile conclusione non consideri la realta' costituita dalla condivisione e dall'autonoma adozione della contestazione da parte delle autorita' giudiziarie che si succedono fino all'accertamento del reato. Con il risultato che il riferimento temporale rapportato "alla data odierna", in ordine a delitti permanenti quale l'associazione mafiosa, si puntualizza in relazione all'atto in cui esso e' contenuto.
In altre parole l'indicazione "alla data odierna" per un fenomeno criminoso in atto, corrisponde sì al momento della formulazione della richiesta di giudizio, se si ha presente il documento del p.m., ma la stesso significante avanza temporalmente nel suo significato se è contenuto nel provvedimento di rinvio a giudizio, in cui tale capo di imputazione è trasfuso e fatto proprio dal GIP, ed avanza ancora temporalmente sino al termine del dibattimento di primo grado, se si fa   riferimento   alla   sentenza. Col risultato che in base all'espressione "sino alla data odierna" il GIP prima e il Tribunale dopo possono legittimamente prendere in esame fatti avvenuti anche successivamente alla richiesta di rinvio ed al rinvio a giudizio, senza la necessità di contestazioni suppletive perche' l'imputato è chiamato a difendersi anche per la condotta perdurante.
Cosa che, in ogni modo, e' proprio quella che si e' verificata nella specie, poiche' il giudice di Patti, ai fini della sussistenza del reato permanente, ha conosciuto di circostanze realizzatesi ben dopo il rinvio a giudizio, accertando le quali ha formulato le statuizioni finali.
 
2. Cio' dunque comporta che il giudicato del Tribunale di Patti in ordine alla sussistenza della partecipazione ad associazione mafiosa del C. si estende per l'arco temporale 1 gennaio 1997 –15 febbraio 2003 e che il ricorrente, limitando l'imputazione attuale in ossequio al principio ne bis in idem, va oggi giudicato per i periodi che vanno dal 6 giugno 1994 (data iniziale della contestazione) al 31 dicembre 1996 (data oltre la quale v'e' il precedente giudicato) e dal 16 febbraio 2003 (data di cessazione dell'efficacia del precedente giudicato) al 9 aprile 2003 (data determinata nella sentenza di primo grado).
 
3. L'accoglimento di questo motivo assorbe le ulteriori censure avanzate dal C., dato che questa Corte non puo' che demandare al giudice del rinvio di valutare la sussistenza di elementi probatori sufficienti per affermare la responsabilita' del ricorrente per il periodo appena indicato e al riguardo, senza entrare nel merito, non puo' nemmeno accertare se la censura sull'utilizzabilita'
delle intercettazioni conservi o meno una perdurante rilevanza ai fini della provvista probatoria.
 
4. Il ricorso del C.M. e' privo di fondamento.
In primo luogo deve condividersi quanto afferma la Corte d'Appello circa l'insussistenza di nullita' nella vicenda riguardante la mancata arringa conclusiva del secondo difensore. Cio' in quanto non risulta dagli atti che a costui sia stata negata la facolta' di prendere la parola e non esistono formule sacramentali per annunciare la chiusura del dibattimento, sicche' correttamente il caso e' stato interpretato come una rinunzia alla facolta' di prendere la parola.
 
5. Dando poi un ordine alle ulteriori doglianze, devono ritenersi inammissibili quelle relative alla sussistenza dei reati addebitati e alla   loro   qualificazione perche' da un lato sono   generiche
(associazione   mafiosa) e dall'altro ripetono pedissequamente argomenti gia' respinti in appello, omettendo una confutazione ad essi (sussistenza dell'estorsione M.,  qualificazione di favoreggiamento dell'estorsione V.).
Inammissibili o prive di fondamento sono infine le censure afferenti al trattamento sanzionatorio, posto che la sussistenza di un accertamento in fatto degli elementi dell'aggravante del contesto
mafioso sta nella stessa ricostruzione della fattispecie operata in sede di merito. Va aggiunto che, come chiarito dalle Sezioni Unite con sentenza del 28 marzo 2001, tale aggravante ben puo' coesistere con quella prevista per la rapina (trattandosi per quest'ultima di appartenenza e per la prima di minaccia mafiosa in atto) e con la fattispecie criminosa dalla partecipazione (dato che i reati fine possono essere commessi anche senza avvalersi della violenza e della minaccia mafiosa).
Infine, non e' dato percepire alcun errore nell'applicazione della disciplina della continuazione e riguarda all'evidenza il merito la quantificazione della pena inflitta.
 
5. Fondato e' il secondo motivo del ricorso del R..
Infatti,   mentre   la   doglianza in ordine alla   partecipazione all'associazione mafiosa e' affetta da genericita', non puo' non rilevarsi un vizio di motivazione nell'accertamento dell'aggravante
della qualita' dirigenziale attribuita al ricorrente.
Questa qualita' sembra essere stata ricavata essenzialmente dalla circostanza che il R., fratello di      P. membro di altissimo livello nel sodalizio, era stato invitato ed aveva partecipato ad un summit, in cui aveva svolto la funzione di paciere tra i massimi esponenti delle cosche interessate e ancora
dall'osservazione che in alcune conversazioni gli interlocutori attribuivano al nostro una posizione apicale.
Tali elementi non sono tuttavia bastevoli all'attribuzione della qualifica di dirigente.
Posto infatti che l'aggravante in parola non si riferisce ad una posizione di prestigio o carismatica, ma vuole che il soggetto svolga un ruolo definito nell'ambito di un'organizzazione determinata, da un lato le espressioni di rispetto rammentate nulla evidenziano se non che S.R. era un "uomo potente" e per la sua consanguineita' con P. e per il suo ascendente psicologico.
Dall'altro e' proprio la funzione di paciere svolta dal nostro nella riunione in esame a conferirgli un ruolo imparziale, certo di notabile, ma come tale staccato dalla conduzione di singole cosche e dalla   rappresentanza degli interessi di qualcuna   di   queste.
Considerazioni alle quali deve aggiungersi che, come sottolinea la difesa, "nell'organico" dei clan, illustrato nel capo di imputazione, il R. non risulta collocato in nessuna delle entita' territoriali ivi menzionate.
Il   giudice del rinvio dovra' pertanto effettuare una nuova valutazione.
 
6. Alla reiezione del ricorso del C.M. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.S.A. e rinvia alla Corte d'Appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio; annulla la medesima sentenza nei confronti di                R.S. limitatamente all'aggravante dell'art. 416 bis c.p., comma 2, e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte d'Appello di Reggio Calabria.
Rigetta nel resto il ricorso del R..
Rigetta il ricorso di C.M.G. che condanna al pagamento delle spese processuali.
 
Cosi' deciso in Roma, il 27 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2007
 
 
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