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 Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 26 giugno 2007 (dep. 28 settembre 2007) n. 35703

In tema di indulto e art. 80 d.P.R. 309/90 in fase cautelare

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo G. - Presidente
Dott. ZECCCA Gaetanino - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere
 
ha pronunciato la seguente:
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Q.S., nato il ..., avverso l’ordinanza del 16/11/2006 del Tribunale della Libertà di Bologna;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Adelaide Amendola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario Fraticelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
1.1 Con ordinanza del 16 novembre 2006 il Tribunale di Bologna, sezione impugnazioni cautelari penali, rigettava l'appello proposto da Q.S. avverso l'ordinanza della Corte d'appello in data 13 ottobre 2006, che aveva respinto la richiesta di sostituzione con gli arresti domiciliari della misura custodiale in carcere.
 
In motivazione così ricostruiva il Giudice di merito la complessa vicenda processuale dell'indagato.
Questi era stato attinto da provvedimento restrittivo emesso il 7 dicembre 2004 dal GIP del Tribunale di Bologna mentre già si trovava in carcere per altro titolo dal 29 novembre 2002: con l'ordinanza gli erano state contestate molteplici violazioni della disciplina sugli stupefacenti, tra le quali il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, noncheè un'ipotesi di violazione dell'art.   73 aggravata dall'ingente quantità.
Con sentenza del 9 marzo 2005, pronunciata all'esito di giudizio abbreviato, il GUP lo aveva assolto dal delitto associativo, ma lo aveva ritenuto responsabile di tutti gli altri reati e, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, riconosciuto il vincolo della continuazione, lo aveva condannato alla pena di anni dieci di reclusione.
 
A seguito di vari interventi del Giudice cautelare la misura custodiale era peraltro venuta a cadere per tutti i reati contestati, ma l'indagato era rimasto in carcere perche' il GUP, su richiesta del
P.M., aveva disposto la sua riapplicazione, ai sensi dell'art. 307 cod. proc. pen., comma 2, lett. b), ravvisando cioè il pericolo di fuga. Il provvedimento era poi stato confermato dal Tribunale della
libertà, con ordinanza divenuta definitiva all'esito del rigetto del ricorso per cassazione contro la stessa proposto.
 
Con sentenza del 17 marzo 2006, emessa ai sensi dell'art. 599 cod. proc. pen., comma 4, la Corte d'appello aveva ridotto la pena ad anni 8 e mesi 8 di reclusione.
 
Avanzata dalla difesa richiesta di sostituzione della misura cautelare estrema con la cattività domestica, la Corte d'appello aveva rigettato l'istanza.
 
Il Tribunale della libertà in data del 1 agosto 2006 aveva confermato tale decisione con ordinanza avverso la quale pendeva ricorso per Cassazione.
 
In tale contesto la difesa aveva nuovamente chiesto la revoca o la sostituzione in forma domiciliare della custodia carceraria, richiesta valutata negativamente dalla Corte d'appello in data 13 ottobre 2006 con il provvedimento impugnato innanzi al Tribunale di Bologna.
 
Nel rigettare nuovamente l'appello, il decidente osservava:
a) che non poteva condividersi l'assunto secondo cui il patteggiamento concluso in secondo grado escludesse l'aggravante "dell'ingente quantita'", posto che, tra l'altro, la motivazione del giudice d'appello si esprimeva nel senso che la pena base veniva ridotta in conseguenza del riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti;
b) che la pretesa applicabilità dell'indulto in conseguenza della ritenuta prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante, non era condivisibile, atteso che la L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 2, lett. b), nell'elencare i delitti esclusi dal beneficio, ricomprendeva espressamente quelli "aggravati ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. a), e comma 2", così stabilendo una esclusione quoad titulum, che prescindeva dai profili del giudizio di merito in punto di comparazione ex art. 69 cod. pen.;
c) che, effettuati gli opportuni calcoli sull'entitaà del debito espiativo, persino nella contestata prospettiva di applicabilità del condono, ne emergeva una situazione niente affatto ridotta in limiti
tali da neutralizzare il pericolo di fuga, pericolo che doveva ritenersi attuale, rilevando il contegno processuale parzialmente collaborativo tenuto dall'imputato solo in punto di prognosi di recidiva;
e) che la presenza di un nucleo familiare anche in Italia era stata valutata con l'ordinanza in data 8-13 aprile 2005, munita di giudicato cautelare, mentre il decesso della genitrice dell'appellante e il divorzio dalla prima moglie, costituenti sopravvenienze conoscitive rispetto a quella decisione, erano state scrutinate con la successiva ordinanza del 1-4 agosto 2006, allo stato impugnata con ricorso per Cassazione;
g) che, fino a quando la pena residua restava significativa, il protrarsi del presofferto non attenuava, ma acuiva, il pericolo di fuga.
 
Avverso detta decisione ha proposto ricorso per Cassazione, per mezzo del suo difensore, Q.S., chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
- violazione dell'art. 606 cod. proc. pen.274, 275 cod. proc. pen., art. 307 cod. proc. pen., comma 2, lett. b), L. n. 241 del 2006, art. 1 e segg., per avere il Giudice di merito affermato che il protrarsi del presofferto, nella fattispecie di poco inferiore ai quattro anni al momento della decisione oggetto di ricorso, acuirebbe, in considerazione della consistenza della pena residua, il pericolo di fuga "nella misura in cui la durezza della lunga esperienza cautelare avrebbe amplificato l'aspirazione a sottrarsi all'ulteriore cattivita'". In definitiva il Tribunale non aveva esplicitato le ragioni della ritenuta attualità del pericolo di fuga pure in presenza di circostanze di fatto dimostrative del suo stabile radicamento sul territorio, quali l'essere egli sposato e con figli iscritti alla scuola dell'obbligo; l'essere inoltre titolare di permesso di soggiorno, dedito a stabile e qualificata attività lavorativa, in possesso di un immobile concesso dall'Ente autonomo case polari., comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione agli artt.
Affatto illogicamente il giudicante non avrebbe poi considerato l'eventualità che la sottoposizione a cattività da quasi quattro anni potesse avere amplificato la sua aspirazione al rispetto delle regole del vivere civile; nè infine avrebbe chiarito come mai, per altro verso, egli era stato ritenuto meritevole del beneficio delle attenuanti prevalenti sulla contestata aggravante.
Infine erroneamente il Tribunale aveva affermato che la L. n. 241 del 2006, concessiva dell'indulto, non si applica ai delitti aggravati ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, posto che il giudizio di prevalenza non depriverebbe il reato dell'aggravante.
Segnala sul punto il ricorrente che il Giudice di legittimità, anche a sezioni unite, ha invece ripetutamente statuito che, quando un'attenuante sia ritenuta prevalente su un'aggravante, questa debba ritenersi tamquam non esset.
 
2.1 Ricorda preliminarmente il collegio che i limiti della cognizione del giudice di legittimità, anche in relazione ai provvedimenti riguardanti l'applicazione, la revoca o la sostituzione di misure cautelari, sono individuabili nell'ambito della specifica previsione normativa contenuta nell'art. 606 cod. proc. pen., di modo che, qualora venga denunciato il vizio di motivazione di un'ordinanza, tale vizio, per poter essere rilevato, deve assumere i connotati indicati nell'art. 606 cod. proc. pen., lett. e), e cioè riferirsi alla mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicità (Cass. Sez. Un. 12 dicembre 1994, n. 19). In particolare, allorchè venga denunciato il vizio di motivazione del provvedimento di rigetto della richiesta di revoca o di sostituzione di una misura coercitiva, segnatamente disciplinate dall'art. 299 cod. proc. pen., alla Corte di Cassazione spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la perdurante legittimità della restrizione e la permanenza delle esigenze cautelari, alla luce del principio, inequivocabilmente espresso dal secondo comma della norma processuale innanzi menzionata, della necessità di un costante adeguamento dello status   dell'imputato, in materia di libertaà personale,  alle condizioni legittimanti la coercizione: peraltro, alla stregua dei criteri di apprezzamento che presidiano in via generale il sindacato del Giudice di legittimità, (confr. Cass. pen., sez. 2^, 17 dicembre 2004, n. 3240; Cass. 23 novembre 1990, n. 3665), il controllo della congruenza della motivazione relativa alla valutazione della situazione di fatto e processuale esistente al momento della pronuncia giudiziale, rispetto ai canoni della logica, alle massime di comune esperienza e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie, deve rimanere all'interno del provvedimento impugnato, senza che sia possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
 
Orbene, lo scrutinio sulla motivazione dell'ordinanza impugnata, condotto in base alle regole innanzi enunciate, impone il rigetto del ricorso.
 
2.2 Al riguardo merita anzitutto evidenziare che, come esposto innanzi, la richiesta di revoca o di sostituzione della custodia carceraria con quella domiciliare, valutata negativamente dal giudice di merito con la decisione oggetto della presente impugnazione, costituiva reiterazione di altra già avanzata alla Corte d'appello e da questa rigettata con provvedimento ormai divenuto "definitivo" a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto contro l'ordinanza del tribunale della libertà che l'aveva confermato (sentenza n. 8978 del 2007). In tale contesto torna utile allora ribadire che, come ripetutamete statuito da questo Supremo Collegio, "in materia di misure cautelari personali, una preclusione processuale (il cosiddetto giudicato cautelare) è suscettibile di formarsi a seguito delle pronunzie emesse, all'esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte di Cassazione ovvero dal tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari", con la precisazione che trattasi di preclusione avente "una portata piu' modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata sia perche' e' limitata allo stato degli atti, sia perche' non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nei procedimenti  di impugnazione" e che essa va in ogni caso apprezzata alla luce di quanto previsto dall'art. 299 cod. proc. pen., commi 1 e 2, norma che, come evidenziato innanzi, attribuisce alle misure cautelari una precisa connotazione dinamica, in vista del costante adeguamento   dei   provvedimenti   de   liberiate   agli    sviluppi investigativi e alla persistenza delle esigenze cautelari (confr. Cass. pen., sez. 1^, 27 ottobre 2004, n. 45379).
 
2.3 L'applicazione degli esposti principi giurisprudenziali, ai quali il collegio intende aderire, consente di ritenere la sostanziale sovrapponibilità degli elementi di valutazione della   allegata
attenuazione delle esigenze cautelari, dedotti in questo procedimento, con quelli fatti valere nel precedente giudizio, ormai esaurito, ragione da sola sufficiente a giustificare il rigetto delle
censure volte a contestare la sussistenza del pericolo di fuga.
Non sembra peraltro inutile precisare che in ogni caso il giudizio di insufficienza del preteso radicamento sul territorio del ricorrente e della durata della carcerazione presofferta a scongiurare i pericoli di fuga, formulato dal giudice di merito, appare sorretto da considerazioni niente affatto implausibili sulla scarsa significanza di quegli elementi e sulla complessiva entità del debito espiativo, di modo che la relativa valutazione, in quanto congruamente motivata,
sfugge al sindacato del giudice di legittimita'.
 
2.4 Benche' l'apprezzamento di cui innanzi sia stato, ad abundantiam, espresso anche con riguardo all'ipotesi che il Q. possa fruire dell'indulto, la Corte ritiene di dover precisare che il motivo volto
a far valere l'applicabilità al ricorrente della L. n. 241 del 2006, e quindi la necessità di riparametrare il calcolo della pena residua sugli effetti del condono e' in ogni caso destituito di fondamento.
Al riguardo è sufficiente rilevare che l'art. 1, comma 2, lett. b) della predetta legge esclude l'applicabilita' dell'indulto "per i delitti riguardanti la produzione, il traffico e la detenzione
illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope ... di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 390 ... aggravati ai sensi dell'art. 80, comma 1, lett.   a) e comma 2, del medesimo testo unico", con formula
chiaramente volta a stabilire una esclusione quoad titulum, sganciata cioe' dagli esiti di un eventuale giudizio di comparazione. Convalida tale convincimento il raffronto con il diverso tenore del D.P.R. 22 dicembre   1990, n. 394, art. 3, che si limitava a sancire l'inapplicabilita' del beneficio alle pene per i delitti previsti dall'art.  71, commi 1, 2 e 3, "ove applicate le circostanze aggravanti specifiche di cui all'art. 74": espressione, questa, che col suo trasparente riferimento all'esito   del   giudizio   di comparazione, indusse il Supremo Collegio ad affermare, dopo qualche
incertezza (Cass. n. 2727 del 1991), che il beneficio poteva essere riconosciuto laddove le attenuanti soverchiassero, nel bilanciamento, ex art. 69 cod. pen., la aggravanti ostative (Cass. n. 2966 del 1991).
In tale contesto il rigetto del ricorso si impone dunque, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle   spese processuali.
 
P.Q.M.
 
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al Direttore dell'Istituto Penitenziario di competenza perche' provveda a quanto stabilito nella L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 23, comma 1 bis.
 
Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2007
 
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