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 Corte di Cassazione, Sezione VI penale, Sentenza 20 febbraio 2007 (dep. 12 settembre 2007), n. 34460

Integra il reato di maltrattamenti in famiglia impedire alla propria figlia di uscire di casa o di frequentare ragazzi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DI VIRGINIO Adolfo Presidente del 20/02/2007
Dott. OLIVA Bruno Consigliere SENTENZA
Dott. ROSSI Agnello Consigliere N. 288
Dott. SERPICO Francesco Consigliere REGISTRO GENERALE
Dott. DI CASOLA Carlo Consigliere N. 15552/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ca.Gi.;
contro la sentenza in data 7 dicembre 2004 della Corte di appello di Torino.
Letti gli atti e la sentenza impugnata;
Udita la relazione del Cons. Dott. Bruno Oliva.
Udito il Procuratore Generale, Dott. G. Viglietta, che ha chiesto la dichiarazione d'inammissibilita' del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe la Corte di Appello di Torino ha confermato il giudizio di responsabilita' penale formulato dal Tribunale della stessa citta' nei confronti di Ca. G. in ordine ai delitti di cui agli artt. 572, 581, 594, 612 e 582 c.p.. I reati anzidetti erano stati commessi in danno di C. C., figlia dell'imputato, e, per quanto concerne le ingiurie e minacce, anche nei confronti di J.A.M..
L'accusa riguarda gli atteggiamenti violenti tenuti per futili motivi dal Ca. nei confronti della propria figliuola C., nata nel (OMISSIS), fin da quando aveva quattro o cinque anni, alla quale, tra l'altro, era stato impedito di frequentare persone di sesso maschile e di uscire di casa se non per andare a scuola o a fare la spesa, e si fonda sulle dichiarazioni rese da costei il (OMISSIS) con specifico riferimento all'intollerabile regime di vita e a quanto avvenuto nella stessa giornata, avallate da quanto riferito dalla cugina J.A.M., anch'essa persona offesa rispetto alle ingiurie e lesioni personali.
Ha proposto ricorso per cassazione il Ca., lamentando sia la mancata assunzione di una prova decisiva, nella specie la deposizione di una persona in grado di riferire circa il consiglio dato alla propria figliuola dal suo difensore perche' sottolineasse la continuita' nel tempo dei comportamenti violenti da essa addebitati al genitore, sia il giudizio di attendibilita' formulato in ordine alle dichiarazioni accusatorie ancorche' fossero prive di riscontri, sia la mancata qualificazione dell'accaduto come abuso dei mezzi di correzione.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto affidato a doglianze manifestamente infondate.
Cosi' e' per quanto concerne la mancata assunzione di una prova decisiva, avendo la Corte territoriale giustificato in maniera quanto mai esauriente la determinazione assunta al riguardo con il riferimento, per un verso, all'omessa specifica indicazione delle circostanze sulle quali i singoli testimoni erano chiamati a riferire, e, per altro verso, alla completezza del materiale probatorio acquisto, che consentiva di decidere allo stato degli atti.
Ad eguali conclusioni si deve pervenire per quanto concerne il giudizio di attendibilita' formulato nei riguardi della deposizione della persona offesa, desumendosi dalla sentenza impugnata che la stessa e' stata assunta come fonte di prova previa esauriente indagine positiva circa la sua credibilita', accompagnata dalla doverosa valutazione dei riscontri oggettivi desumibili dalle dichiarazioni della teste J.A.M. e in fondo dalle stesse ammissioni dell'imputato.
Inaccettabile e' l'ultima critica riguardante la qualificazione dell'accusa contestata, poiche' il regime di prevaricazione e violenza cui e' stata sottoposta la persona offesa, tale da rendere intollerabili le condizioni di vita, non si concilia con le caratteristiche del delitto di abuso dei mezzi di correzione e disciplina, che presuppone un uso consentito e legittimo dei mezzi correttivi, che, senza attingere a forme di violenza, trasmodi in abuso a cagione dell'eccesso, arbitrarieta' o intempestivita' della misura.
All'inammissibilita' del ricorso segue a norma di legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa stante il tenore dell'impugnazione, di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Cosi' deciso in Roma, il 20 febbraio 2007.
Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2007
 
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