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 Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 5 giugno 2007 (dep. 12 luglio 2007), n. 12551

Penalmente illecita la realizzazione di materiali pedopornografici anche tra minori, a prescindere dal consenso

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO  Ernesto - Presidente
Dott. TARDINO  Vincenzo - Consigliere
Dott. SQUASSONI Claudia  - Consigliere
Dott. FRANCO  Amedeo  - Consigliere
Dott. MARINI  Luigi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.G., nato a (OMISSIS);
avverso  l'ordinanza emessa in data del 12 Marzo 2007  dal  Tribunale per  i  Minorenni  delle  Marche in Ancona, che,  quale  giudice  del riesame,  in  parziale riforma dell'ordinanza 15  febbraio  2007  del Giudice  per  le  indagini preliminari del  locale  Tribunale  per  i Minorenni, ha applicato al ricorrente misure cautelari prescrizionali in relazione ai reati previsti:
A)  dall'art.  609 - bis c.p., commi 1 e 2, n. 1, e art.  609  -  ter c.p., comma 1, n. 4.
B) Dall'art. 112, comma 1, n. 1, art. 609 - octies c.p., commi 2 e 3, in relazione ai reati contestati al capo A) e all'art. 61 c.p., n. 4.
C)  Dagli artt. 110, 112, art. 600 - ter c.p., comma 1, e art. 600-sexies c.p., commi 1 e 3.
D) Dagli artt. 112, 527 e art. 61 c.p., n. 2.
E)  Dagli artt. 110, 112, art. 81 cpv., art. 582 e 583 c.p., comma 2,
n. 1.
Fatti commessi fino al (OMISSIS).
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Dott. MARINI LUIGI.
Udito  il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dott. DI  POPOLO
ANGELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito  il  Difensore Avv. GRIMALDI FRANCESCO CAROLEO, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RILEVA IN FATTO
Le  indagini hanno preso avvio a seguito della trasmissione  su  più cellulari  di  un  video che ritraeva un rapporto  sessuale  tra  una giovanissima  studentessa  e una persona non  visibile  in  volto  ma presumibilmente di giovane età.
La  giovane  è  stata quindi identificata in  P.S.,  di poco  superiore  a  tredici  anni di  età. Il  Pubblico  Ministero, coadiuvato  da  ausiliari, ha dato corso ad una  vasta  attività  di indagine;  anche  attraverso  le  dichiarazioni  della  giovane, l'acquisizione  di materiale informatico (tra cui messaggi  via  e  - mail  e  mediante canali informatici di comunicazione) e di  traffico cellulare  (tra  cui  messaggi  "sms"),  nonché  l'assunzione  delle dichiarazioni di molte persone appartenenti all'ambiente  frequentato dalla stessa ragazza e persone incaricate di consulenza, si è giunti a  ricostruire una serie di rapporti sessuali che la ragazza  avrebbe avuto  con  un  numero non modesto di ragazzi e che  sarebbero  stati caratterizzati da forme di abuso e di vera e propria costrizione.
Sulla base del materiale probatorio raccolto il Pubblico Ministero ha richiesto  l'emissione di misure cautelari nei  confronti  di  dodici giovani  aventi minore età, tenendo presente che dagli atti  risulta anche l'esistenza di indizi di reità a carico di alcuni maggiorenni.
Con  provvedimento del 15 febbraio 2007 il Giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale per i Minorenni ha accolto parzialmente  le richieste  del  Pubblico Ministero, respingendole per nove  indagati, tra  cui  l'odierno ricorrente, disponendo nei confronti degli  altri tre indagati la permanenza domiciliare in un caso e differenti misure prescrizionali in due casi.
Con  atto  del 24 febbraio il Pubblico Ministero ha proposto  appello davanti al Tribunale per i Minorenni avverso tale ordinanza, ai sensi dell'art. 310 c.p.p..
Con  ordinanza  del  12  marzo  2007 il Tribunale  per  i  Minorenni, decidendo  sull'appello  del  Pubblico  Ministero,  ha  applicato  a A.G. alcune prescrizioni consistenti, tra l'altro,  in limiti  di  permanenza fuori dell'abitazione, nel divieto di  portare telefoni  cellulari  fuori  di essa, nel  divieto  di  avvicinare  la persona  offesa,  nell'obbligo  di  partecipare  ad  attività  di volontariato nel giorno di domenica.
Il  Tribunale  sembra  fondare la misura sulla sussistenza  di  gravi indizi  del  solo  reato previsto dall'art. 600  -  ter  c.p.,  e  di esigenze cautelari ancora attuali.
La  difesa di A.G. ha presentato ricorso per cassazione avverso  l'ordinanza  di  applicazione  delle  misure,  lamentando "Manifesta  illogicità  della  ordinanza,  erronea  applicazione dell'art. 600  - ter c.p., e art. 98 c.p., inosservanza  ed  erronea applicazione dell'art. 273 c.p.p.".
In particolare si lamenta:
a)  violazione  dell'art. 98 c.p., per essere del  tutto  carente  la motivazione  circa  l'esistenza  in  A. della  capacità  di intendere  e  volere, venendo, anzi, rappresentati  nel  corso  della motivazione elementi di dubbio che il Tribunale non scioglie;
b) errata applicazione dell'art. 600 - ter c.p., posto che la ripresa sul  telefono  cellulare  e la diffusione tra  amici  del  video  che riprendeva il rapporto sessuale cui partecipava la persona offesa non integra  gli estremi né della "utilizzazione" del minore  né  della "induzione di minore a partecipare". Osserva, altresì, il ricorrente che  la  videoripresa  di  un  rapporto  sessuale  tra  minorenni consenzienti  esula  dal campo di applicazione dell'art. 600  -  ter c.p.,  reato  che  ha  per oggetto la repressione  della  pornografia minorile  e  che  risponde  ad  una  ratio  ben  diversa  da  quella prospettata  dalla  pubblica accusa ed accolta dal  Tribunale  per  i minorenni in danno di A.G..
OSSERVA IN DIRITTO
1. La Corte avverte l'esigenza, in via preliminare, di ricordare  il costante  indirizzo  giurisprudenziale  secondo  cui  l'iniziale  o parziale  consenso della persona in favore di rapporti  sessuali  non legittima  condotte che vadano oltre, per modalità o intensità,  il consenso prestato, così che in campo sessuale non può invocarsi  la presunzione  del  consenso ed assumono carattere  illecito  gli  atti compiuti  al di fuori della sfera di reciproca accettazione  (tra  le altre, si vedano Sezione Terza Penale, sentenza n. 16292 del 7  marzo -  12  maggio  2006, RV. 234171, e sentenza n. 25727  del  24 febbraio - 9 giugno 2004, RV. 228687).
Tale  principio, connaturato alla tutela della, dignità  e  libertà della persona, trova applicazione anche con riferimento alle condotte poste in essere da persone minori di età, ovviamente con riferimento ai  limiti di età previsti per la persona offesa e nei casi  in  cui venga accertata la capacità dell'autore del reato di comprendere  il disvalore del fatto (art. 98 c.p.).
L'esigenza  per la Corte di richiamare questo fondamentale  principio si  pone  in  relazione,  considerata l'età  della  persona  offesa, infraquattordicenne, ad alcuni passaggi motivazionali  dell'ordinanza impugnata  e,  più ancora dell'ordinanza emessa il 15 febbraio  2007 dal  Giudice per le indagini preliminari sulla iniziale richiesta del Pubblico ministero.
2. Sarà compito del giudizio di merito accertare il percorso emotivo e  volitivo che ha portato la persona offesa, dopo il primo  rapporto sessuale con M., ad avere nuovi e ripetuti rapporti con un numero  elevato  di giovani, ma non può la Corte  non  prender  atto della  circostanza  che  lo  stesso  G.I.P. ebbe  ad  applicare  a M. la misura della custodia domiciliare in relazione  alla ipotesi  di  reato  prevista  dall'art. 609  -  bis  c.p.,  così riconducendo  il  primo  rapporto  di  una  ragazzina  di  neppure quattordici anni all'interno di un episodio di violenza sessuale.
Spetterà ancora al giudizio di merito analizzare i singoli episodi e verificarne  approfonditamente le caratteristiche, ma  la  Corte  non può  fare  a  meno di rilevare che sembra fuori dubbio che  in  più occasioni  la  persona  offesa si trovò  (anche  prescindendo  dalle modalità con cui tale situazione fu determinata) in luoghi  pubblici appartati  avendo  attorno a sé un numero  consistente  di  giovani, tutti  di  sesso  maschile,  che  insistentemente  le  chiedevano  di praticare rapporti sessuali e che si erano dati appuntamento e quindi organizzati  per  evitare  il  sopraggiungere  di  estranei. E  tale constatazione ha evidenti riflessi anche sulla valutazione del  reato ex art. 600 - ter c.p., come contestato a A.G..
Spetterà  sempre al giudizio di merito verificare quali  livelli  di pressione  ambientale e quali margini di libera determinazione  abbia conosciuto una giovane di neppure quattordici anni all'interno di una realtà  socialmente  ristretta in cui  si  era  sparsa  (a  torto  o ragione)  la voce che fosse una ragazzina "disponibile", ma la  Corte non  può  fare  a meno di rilevare - con osservazione che  riverbera effetti  sui motivi di ricorso - che le azioni "collettive" poste  in essere  dagli  indagati  appaiono  oggettivamente  degradanti  nei confronti della persona offesa e dimostrano l'assoluta frattura fra i rapporti  sessuali  e qualsiasi coinvolgimento di  tipo  affettivo  - sentimentale, così riducendo la giovane a mero strumento di piacere, esibito e condiviso, con modalità di azione di cui qualunque giovane è  oggi  in  grado di apprezzare il significato sociale e personale, fatti salvi gli approfondimenti che il giudizio di merito effettuerà sui  singoli indagati. Sarà, dunque, compito del giudizio di  merito verificare  quale  apporto di consapevole  volontà  (alla  luce  del livello di maturità personale che sarà accertato) la giovane  abbia dato  al verificarsi di questa situazione nelle sue linee generali  e nei singoli episodi che la compongono.
3.  Ciò  detto in via preliminare, questa Corte è oggi  chiamata  a valutare se le prescrizioni applicate dal Tribunale per i minorenni a  A.G. trovino fondamento in esigenze cautelari  attuali con  riferimento  all'unico reato per il quale è stata  ritenuta  la sussistenza di gravi indizi (art. 600 - ter c.p.).
4. Con  riferimento al primo motivo di doglianza, e cioè al mancato accertamento  della sussistenza dei presupposti fissati dall'art. 98 c.p.,  la  Corte  rileva  che anche su questo punto  l'ordinanza  del Tribunale  appare  di  scarsa  chiarezza  espositiva. Premette, correttamente, il Tribunale (pag. 16) che l'assenza di  una  indagine psicologica  sull'indagato  costituisce un limite  dell'accertamento, aggiungendo  che le indagini svolte in questa direzione  dai  servizi sociali  dopo  l'applicazione delle prime misure hanno  avuto  durata troppo breve per dare risposte certe.
Quest'ultima considerazione, peraltro non adeguatamente approfondita, deve  essere  letta,  a parere della Corte, assieme  alla  successiva parte motivazionale, in cui il Tribunale da atto che per gli indagati non  si ravvisano "traumi fisici o psichici che ne abbiano rallentato o  addirittura fermato il processo di maturazione". Va considerato, a tale  proposito, che in sede di misure cautelari, fase che si connota per  urgenza di intervento, non può essere richiesto il  livello  di approfondimento  probatorio che è proprio del  giudizio  di  merito, essendo  sufficiente la presenza di indizi coerenti  e  significativi circa i presupposti anche soggettivi del reato.
Sembra, dunque, doversi ritenere che il Tribunale abbia valutato  che per A.G. sussista un sufficiente grado di  maturità, individualmente  valutato,  che non sembra  negato  dalle  successive considerazioni  di ordine generale e di natura sociologica  circa  la "tempesta tecnologica" che oggi si abbatterebbe sui giovani  e  circa il  permanere  di  dubbi di ordine generale sulla loro  capacità  di distinguere il lecito dall'illecito. Resta, peraltro, incomprensibile alla  Corte  quali conclusioni il Tribunale abbia inteso  raggiungere sul  punto con il secondo capoverso di pag. 17 (dalle parole  "Queste considerazioni" a "età evolutiva").
5. Per quanto concerne le censure mosse dal ricorrente all'ordinanza nella  parte  in  cui ritiene sussistere il fumus del reato  previsto dall'art. 600 - ter c.p., la Corte rileva che la motivazione  si  è concentrata  sulla gravità degli indizi e sulla ricostruzione  della condotta  di A.G. (pagine 13 e  14),  dedicando  alla qualificazione giuridica del fatto soltanto brevi passaggi.
Dopo  avere  premesso  che  il  Pubblico  Ministero  ha  fondatamente evidenziato nell'atto di appello l'errore in cui è incorso il G.I.P. allorché ha preso in esame il testo della disposizione ante  riforma del  2006 (L. 6 febbraio 2006, n. 38), l'ordinanza impugnata  osserva che  non vi è ragione per escludere i minori di età dal novero  dei possibili autori del reato dell'art. 600 - ter c.p..
Passando,  poi,  al  contenuto  ed alla  "ratio"  della  fattispecie, l'ordinanza rileva che la sostituzione del verbo "sfruttare"  con  il verbo "utilizzare" è segno inequivoco della volontà del legislatore di ampliare la sfera della tutela penale.
Entrambe le affermazioni possono, pur nella loro sinteticità, essere condivise,  mentre  assai più problematica è  la  comprensione  del periodo  successivo della motivazione, ove si afferma che "l'utilizzo è proprio dei beni inanimati e privi di qualsiasi facoltà di scelta e  discriminazione" e che, tuttavia, il reato può  essere  integrato anche  in  danno  di  persona in quanto "nella fattispecie  concreta, questa  pur  ridotta  capacità (del minore) può  essere  del  tutto annullata  per  ignoranza  di  ciò  che  avviene  o  incapacità  di determinarsi a contrastare il comportamento sanzionato". Si tratta di affermazione  cui  la Corte ritiene di attribuire il  significato  di identificare la condotta attiva del reato nel fare uso di una persona che  si  trova oppure è messa in condizioni di non dare  un  proprio apporto  volontario,  vuoi  per mancanza  di  comprensione  vuoi  per incapacità di resistere, così che essa diventa per l'agente un mero strumento  (privo  di  personalità autonoma) per  il  raggiungimento delle finalità che suo tramite intende soddisfare.
Così  intesa,  la  motivazione dell'ordinanza appare  meritevole  di apprezzamento, nei limiti che saranno di seguito precisati.
6. Osserva  il  ricorrente  che,  pur  all'interno  della  nuova formulazione della norma, la fattispecie prevista dall'art. 600 - ter c.p., non intende sottoporre a sanzione comportamenti sostanzialmente privati  (si  veda  il richiamo sotto tale profilo alla  sentenza  n. 13/2000  delle  Sezioni Unite Penali, P.M. in proc.),  e  cioè, sembra  di  capire,  comportamenti  riconducibili  a  videoriprese destinate  a rimanere confinate in una cerchia ristretta, tanto  più se si è in presenza di condotte commesse tra minori di età.
A parere della  Corte, tale impostazione non è condivisibile se esposta nei termini assoluti utilizzati dal ricorso: essa svuoterebbe di  significato la riforma del 2006 e riprodurrebbe presupposti  che, nei fatti, riconducono al concetto di sfruttamento.
Ed  infatti,  mentre l'introduzione dell'art. 600 -  ter  c.p.,  nel Codice  Penale (L. 3 agosto 1998, n. 269), si caratterizzava  per  la lotta allo "sfruttamento" dei minori per finalità di pornografia, la L. n. 38 del 2006, (entrata in vigore prima dei fatti di causa)  ha inteso  eliminare le difficoltà ricostruttive e valutative  connesse alla  rigidità dell'originaria formulazione ed ampliare la sfera  di tutela,  e  lo ha fatto sostituendo al comma 1, il termine  "sfrutta" con  quello  di  "utilizza",  aggiungendo  al  comma  3,  il  verbo "diffonde",  modificando il comma 4, ed aggiungendo  il  comma  5,  e u.c.. Il  risultato  è  una norma che  nel  suo  complesso  mira  a sanzionare non soltanto le attività commerciali o comunque a  sfondo economico  che  si relazionano a condotte pornografiche  coinvolgenti minori,  ma anche le condotte che comunque danno origine a  materiale pornografico  in  cui sono utilizzate persone minori  di  età. Già sotto  la vigenza della L. n. 269 del 1998, le Sezioni Unite (Sezioni Unite  Penali, 31 maggio - 5 luglio 2000, n. 13, P.M. in proc., RV. 216337)  avevano chiarito che il concetto di "sfruttamento"  non può  essere  limitato a condotte aventi finalità imprenditoriale  o commerciale  e  ricomprende ogni ipotesi in cui  si  "trae  frutto  o utile",  come  dimostrerebbe  l'espressione  "sfruttamento  sessuale" prevista dal testo allora vigente del successivo comma 4. Non appare, dunque,  conferente  al  caso  in esame il  riferimento  operato  dal ricorrente alla citata decisione delle Sezioni Unite, che si  ricorda è  anteriore alla L. n. 38 del 2006, soprattutto nella parte in  cui essa  esamina  la  condotta  di chi si  limita  a  detenere  per  sé fotografie  di  contenuto  pornografico per ragioni  "affettive". Si consideri, a tale proposito, che la mera disponibilità di  materiale pornografico  era prevista e sanzionata dall'art. 600 - quater  c.p., nel  testo  introdotto  nel  1998,  e  che  tale  articolo  è  stato modificato dalla L. del 2006, con il nuovo riferimento alla  condotta di "detenzione".
La  citata  decisione  delle Sezioni Unite  deve,  piuttosto,  essere richiamata,  a  parere  della  Corte, per  un  diverso  e  importante principio, che conserva la sua validità anche dopo le modifiche  del 2006:  il reato previsto dall'art. 600 - ter c.p., è fattispecie  di pericolo concreto che predispone una "tutela penale anticipata  della libertà sessuale del minore".
7. Ritiene, in sostanza questa Corte che il reato previsto dall'art. 600  -  ter  c.p., intenda fissare per i minori una tutela anticipata rispetto  ai  rischi  connessi  a  documentazione  di  carattere pornografico, sanzionando, indipendentemente da finalità di lucro  o di  vantaggio, anche la mera "utilizzazione" e la mera "induzione"  a partecipare. Si tratta, infatti, di azioni di per sé  degradanti  e connotate  da  profondo  disvalore,  oltre  che  pericolose  per  la successiva  eventuale  diffusione che il materiale  cosi  prodotto  o raccolto può conoscere.
Ritiene,  poi,  che  il medesimo reato ricomprenda  anche  le  azioni compiute da minori e tra minori, allorché sussistano tutti gli altri elementi costitutivi della fattispecie.
Queste affermazioni meritano di essere ulteriormente approfondite.
8. L'art. 600 - ter c.p., fin dalla sua formulazione originaria  ha come  oggetto la tutela e la protezione del minore in vista  del  suo "sviluppo  fisico,  psicologico, spirituale, morale  e  sociale". Si tratta  di  scelta del legislatore (si veda la citata L. n. 269  del 1998,  art. 1), che la giurisprudenza ha fatto propria,  chiaramente affermando  che la tutela si dirige alla difesa del minore  "da  ogni forma  di  sfruttamento sessuale in vista del suo  completo  sviluppo sotto  tutti  gli  aspetti" (il riferimento è alla  citata  sentenza delle  Sezioni Unite, e alla successiva decisione della  Sezione Terza Penale, 29 maggio 2002).
Depone  in tal senso anche la scelta del legislatore del 1998 di  non attribuire  rilievo  né  al  consenso eventualmente  prestato  della persona  minore  di età, né al limite di quattordici  anni previsto in materia di atti sessuali.
Il chiaro dettato normativo e la collocazione delle nuove fattispecie incriminatrici nell'ambito dei delitti contro la libertà individuale non  lasciano dubbi circa il fatto che il bene giuridico tutelato sia la  libertà della persona nella sua accezione più ampia, così  che vengono represse tutte le condotte e le situazioni che attentano allo stato  della persona e che rischiano di comportare, secondo un  acuto commento, "l'annientamento della stessa personalità dell'individuo". Va,  dunque,  escluso  che  la  finalità principale  dell'intervento normativo possa identificarsi nella tutela di beni quali la moralità pubblica o il buon costume.
In  questa prospettiva devono essere collocate la modifiche apportate alle  norme  codicistiche  dalla L. n. 38  del  2006,  legge  che  dà attuazione  alla Decisione Quadro n. 2004/68/GAI (G.U.C.E.  n.  13/44 del  20 gennaio 2006) e che mira a reprimere in maniera rafforzata  e coordinata le forme di pornografia minorile.
9. Nella chiarezza del suo testo e della sua "ratio", la legge impone all'interprete di assumere come prospettiva prioritaria la  posizione del  singolo minore oggetto di comportamenti che attentano  alla  sua libertà  ed  al libero sviluppo della sua personalità. Rispetto  a tale prospettiva vengono in luce due diverse situazioni di offesa.
La  prima è rappresentata dal solo fatto che il minore come  persona (e  questo  costituisce  elemento  che  differenzia  la  presente fattispecie  da  quella  che  si occupa  della  pornografia  minorile "virtuale", art. 600 - quater 1 c.p.), venga utilizzato o  indotto  a partecipare  alla  creazione  di  materiale  pornografico  ed  alla realizzazione  di  spettacoli  aventi  analoga  natura. Già  tali condotte,  con  il loro carattere di oscenità e, in molti  casi,  di vera  perversione,  comportano una offesa  gravissima  allo  sviluppo della  personalità del minore, tanto maggiore quanto più costui  è lontano  da  uno  stadio minimamente strutturato di  maturità  e  di sviluppo.
La  seconda, che può rappresentare uno sviluppo della precedente, è costituito  dalle  diverse  forme  di  diffusione  del  materiale pornografico ottenuto mediante la utilizzazione di persone minori  di età.
10.  L'art.  600 - ter c.p., nella sua attuale formulazione  contiene plurime  disposizioni  che risultano organizzate  secondo  un  ordine gradato di gravità dei fatti e di trattamento sanzionatorio.
Il  comma 1, contiene la disposizione relativa alle condotte  che  il legislatore  considera più gravi (e punisce  con  pena  fissata  nel minimo  in  sei  anni  di reclusione): la "produzione"  di  materiale pedopornografico  o di spettacoli aventi la stessa natura  effettuata coinvolgendo persone minori di età, che vengono "utilizzate"  oppure "indotte"  a  partecipare. Questa Corte ha  poco  sopra  espresso  la convinzione che il termine "utilizzare" comporti la degradazione  del minore  ad oggetto in sostanza manipolato, il cui eventuale  consenso non assume valore esimente proprio perché la persona minore di età, tanto  più  se  lontana  dal  limite dei diciotto  anni,  necessita, rispetto  a  fatti  di  questa natura, di  una  tutela  anticipata  e rafforzata. Analoga la logica sottesa al verbo "indurre".
Del  tutto  simile la impostazione che caratterizza il comma  2,  che punisce con medesima sanzione le condotte di commercializzazione  del materiale descritto al comma che precede. Il comma 3, si concentra su condotte  ritenute  meritevoli di un trattamento  sanzionatorio  meno pesante  (reclusione da uno a cinque anni); si tratta di condotte  di divulgazione  di materiale pornografico compiute al di  fuori  de,  e quindi senza collegamento con, le ipotesi previste dai commi 1  e  2. Le  condotte punite consistono nel distribuire, divulgare, diffondere o  pubblicizzare il materiale pornografico. Una divulgazione  a  più soggetti,  dunque, che, senza essere di necessità  una  divulgazione indiscriminata,  si  dirige ad una platea  ampia  potenzialmente  non controllata  o  controllabile  di  destinatali. La  differenza terminologica  con  il comma successivo non lascia  dubbi  su  questo punto.
Ancora  più  lievi,  infatti, le sanzioni  previste  dal  successivo quarto  comma (pena della reclusione fino a tre anni) per la condotta di  chi,  senza concorrere nelle fattispecie precedenti, a  qualunque titolo  offre  o cede ad altri il materiale pornografico  di  cui  al comma  1. Si tratta con ogni evidenza di condotta meno pericolosa  e offensiva  di  quella prevista dal comma terzo, e ciò in  quanto  il trasferimento  (o  anche la mera offerta) del  materiale  avviene  in favore  di  persone determinate ed individuate, con ciò riducendo  i rischi di diffusione del materiale.
11. Il testo del comma 1, si compone di un insieme di vocaboli e  di espressioni che connotano la fattispecie di reato con caratteristiche di  non  occasionalità e di finalizzazione. Sembra, cioè,  che  non qualsiasi  condotta  consistente  nella  realizzazione  di  materiale avente carattere oggettivamente pornografico possa essere ricondotta, alla  ipotesi  qui  prevista  per  il  solo  fatto  che  vede  come protagonista una persona minore di età. I concetti di "produzione" e di  "esibizione",  infatti, pur non richiedendo  come  necessaria  la presenza  di  finalità  commerciali o lucrative,  sembrano  tuttavia richiedere  l'inserimento delle condotte in  un  contesto  di  almeno embrionale organizzazione e di destinazione alla successiva fruizione anche  potenziale da parte di terzi. Non altrimenti si comprenderebbe la  previsione di un identico trattamento sanzionatorio da parte  del comma  2,  per  l'ipotesi  di  commercializzazione  del  materiale pornografico.
Ciò  non significa affatto che la realizzazione di un unico prodotto o di un'unica esibizione non possa integrare la fattispecie criminosa quando,  per  modalità  e caratteristiche, la  condotta  presenti  i caratteri  di  pericolosità  e  di offensività  che  si  pongono  a fondamento dell'intervento sanzionatorio.
12. La  Corte  ritiene  opportuno osservare  che  l'assenza  di  una disposizione  che  preveda  la  riduzione  del  pesante  trattamento sanzionatorio previsto dai commi 1 e 2, in presenza di fatti  che  si presentano  in  concreto di contenuta gravità rispetto all'interesse tutelato  e, al contrario, la previsione di una specifica  aggravante collegata, per i commi 3 e 4, alla quantità del materiale  prodotto, appaiono  elementi  indicativi  della  volontà  del  legislatore  di concentrare  con  i  primi  due  commi  l'attenzione  sulle  condotte intrinsecamente non occasionali e potenzialmente diffuse e diffusive.
13. E,  tuttavia,  come  si  è  già sottolineato,  sarebbe  errato guardare  esclusivamente  ai  fenomeni di  utilizzazione  anche  solo potenzialmente  "industriale"  dei  minori  nel  settore  pedo- pornografico  dimenticando l'esigenza di tutela  del  singolo  minore rispetto  a condotte che assumono, per lui e indipendentemente  dalle scelte  e  dalle  finalità  del  soggetto  agente,  i  connotati  di degradante  utilizzazione  della persona e di  successiva  pericolosa diffusione  del  materiale: condotte che  comunque  ne  offendono  la dignità  e  possono prevedibilmente comportare una ferita gravissima per  un  suo  equilibrato sviluppo personale e per  un  suo  positivo inserimento  sociale. Ciò significa che anche il  singolo  episodio, ove  possieda le caratteristiche previste dall'art. 600 -  ter  c.p., può integrare una delle fattispecie previste da ciascuno dei diversi commi di cui l'articolo si compone.
14. Rispetto a queste esigenza di tutela, che è stata sopra definita "rafforzata e anticipata", non vi è alcuna ragione per ritenere  che le  condotte punite dall'art. 600 - ter c.p., non possano avere  come autore  una  persona minore di età. Non solo perché  la  norma  non introduce  alcuna  limitazione in tal  senso,  ma  anche  perché  il paragone  con la disposizione contenuta nell'art. 609 - quater  c.p., comma 3, non regge ad un esame critico.
In primo luogo è il caso di considerare che la mancata previsione da parte  dell'art. 600  -  ter c.p., di una clausola  di  salvaguardia simile costituisce elemento contrario alla tesi della difesa: dove il legislatore  ha  voluto  dare rilievo all'età  dell'agente  ed  alla relazione con l'età della persona offesa, lo ha fatto.
In  secondo  luogo  deve considerarsi che tale differenza  di  regime risponde  ad una logica convincente. Mentre per i rapporti  sessuali, che  rappresentano  in  sé  una  fisiologica  espressione  della personalità, il legislatore ha inteso evitare l'intervento penale in caso  di  rapporti tra due minori che presentano condizioni personali simili,  del  tutto diversa è la situazione in caso di condotte  che presuppongono  sia una offesa alla dignità del minore  coinvolto  in realizzazioni  pornografiche  sia  una  evidente  situazione  di sproporzione nella posizione di forza dei soggetti coinvolti.
A  tale  proposito va rilevato che nel corso dei lavori  parlamentari che  portarono all'approvazione della L. n. 38 del 2006, erano  state presentate  proposte  volte  ad  introdurre  alcune  cause  di  non punibilità. Una proposta mirava a rendere non punibile la formazione di  materiale pornografico posta in essere da due minorenni tra  loro consenzienti  purché  il  materiale  restasse  nella  esclusiva disponibilità  dei soli protagonisti, essendo pacifico  che  avrebbe conservato  piena  rilevanza penale la eventuale diffusione  di  tale materiale  da parte del partner della persona minorenne "utilizzata".
La circostanza che queste proposte non siano state recepite nel testo finale  della  legge  appare  alla  Corte  come  una  conferma  delle conclusioni fin qui raggiunte.
15. Passando così all'esame del caso di specie, non c'è dubbio che A.G. non si limitò a riprendere il rapporto  sessuale per  farne  un  utilizzo  privato, ma dette ad  esso  una  diffusione destinata  ad ampliarsi, essendo evidente, o chiaramente prevedibile, che  un  "materiale" di quella natura sarebbe stato  dai  destinatari iniziali  ulteriormente diffuso, con conseguente perdita di controllo del  meccanismo di pubblicità avviato. Trasmettere una  videoripresa di  contenuto  pornografico  a più persone  attraverso  il  telefono cellulare  potenzia  il  carattere  diffusivo  della  trasmissione, facilmente  moltiplicabile  da  ciascuno  dei  destinatari. La circostanza,  sottolineata  dalla  difesa,  che  alcuni  dei  giovani coinvolti  avrebbero  utilizzato con i loro amici  l'esistenza  della videoripresa  quale "prova" della effettività dei rapporti  sessuali non  elimina affatto il disvalore oggettivo della ripresa e della sua utilizzazione.
Ritiene la Corte, piuttosto, che debba essere evidenziata la gravità oggettiva  delle  conseguenze che la diffusione e la pubblicizzazione della  ripresa hanno avuto sulla vita familiare e di relazione  della persona offesa e sul probabile sviluppo della sua personalità. Tali conseguenze  appaiono  la dimostrazione più  evidente  dei  pericoli insiti in questo tipo di condotte e della esigenza che il legislatore ha  avvertito  di  procedere mediante forme di  tutela  rafforzata  e anticipata.
16. Alla  luce  dei  principi  sin  qui  affermati,  la  motivazione dell'ordinanza  impugnata  risulta  carente  e  meritevole  di annullamento. Le diverse caratteristiche delle fattispecie  criminose previste  dall'art. 600  -  ter  c.p.,  richiedono  che  il  giudice individui  con  chiarezza quale di esse ritiene applicabile  al  caso concreto  sulla  base dei fatti per cui esistono indizi  o  prove  di commissione  da parte dell'indagato, e che di questa valutazione  sia dato  specifico  conto in motivazione. Si tratta,  per  di  più,  di decisione che assume particolare rilievo con riferimento ai requisiti di  emissione delle misure cautelari, attese le rilevanti  differenze nell'entità delle sanzioni previste per ciascuna ipotesi di reato.
17.  All'annullamento consegue, ai sensi dell'art. 623 c.p.p.,  comma 1,  lett. a), la trasmissione degli atti al giudice che ha emanato il provvedimento.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per i Minorenni di Ancona.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2007
 
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