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 Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 8 febbraio 2007 (dep. 30 luglio 2007) n. 30948

Ritardi nell'iscrizione del nominativo dell'indagato: gli atti restano utilizzabili, anche in fase cautelare.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli. Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giovanni De Roberto - Presidente
1.Dott. Saverio Felice Mannino - Consigliere
2. "  Ilario Salvator Martella - Consigliere 
3. "  Nicola Milo - Consigliere relatore
4. "  Giacomo Paoloni - Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da B.U. avverso l'ordinanza 30/6/2006 del Tribunale di Visti gli atti, l'ordinanza denunziata e il ricorso;
Udita in camera dì consiglio la relazione fatta dal Consigliere dr. Nicola Mila;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. G.Febbraro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. V.Dresda, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. 


Fatto e diritto

Il Gip del Tribunale di Potenza, in data 15/6/2006, adottava la misura cautelare della custodia in carcere a carico di B.U., indagato in ordine a due distinte ipotesi di associazione a delinquere (capi A-S), a reati di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (capi B-E-Ebis) e al reato di favoreggiamento della prostituzione (capo Z), dichiarava, però, la propria incompetenza per territorio, essendo competente il Tribunale di Como, in relazione al capo S (associazione finalizzata allo sfruttamento e al favoreggiamento della prostituzione), giustificando però la misura -anche in relazione a quest'ultimo capo- ex art. 291/2° c.p.p..
Sulla richiesta di riesame dell'indagato ex art. 309 c.p.p., il Tribunale di Potenza, con ordinanza 30/6/2006, dichiarava l'incompetenza territoriale anche in relazione alle imputazioni di corruzione (capi B, E, Ebis) e di favoreggiamento della prostituzione (capo Z), annullava il provvedimento cautelare quanto ai capi S e Z, lo confermava quanto ai capi A-B-E-Ebis, disponendo la trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Roma, con riferimento ai capi B ed E, e al P.M. presso il Tribunale di Como, con riferimento al capo Ebis.
Il giudice del riesame rilevava, in rito, che il termine di durata massima delle indagini preliminari doveva farsi decorrere dalla data in cui il nome dell'indagato era stato effettivamente iscritto nel registro di cui all'art. 335 c.p. e non da quella in cui sarebbe dovuto essere iscritto; che l'eccepita inutilizzabilità degli esiti delle indagini espletate oltre il termine di legge era priva di fondamento, anche perché il P.M. aveva avanzato la richiesta di proroga prima della scadenza del termine, a nulla rilevando che sulla stessa il giudice non aveva ancora provveduto, dal momento che la proroga avrebbe avuto comunque effetto retroattivo e sanante. Riteneva, quanto al merito, che i contenuti delle conversazioni intercettate e gli esiti del servizio di o.p.c. della polizia avevano evidenziato sia la sussistenza del vincolo associativo tra gli indagati, sia una serie di gravi indizi a conforto degli altri reati contestati. Aggiungeva, quanto alle imputazioni sub S e Z, che non sussisteva la necessità della urgente salvaguardia delle esigenze cautelari, necessità che, invece, sussisteva per i reati di cui ai capi B, E, Ebis, in relazione al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, reso concreto dalla natura permanente del reato associativo sub A e dai rapporti che avevano legato l'indagato al sodalizio criminoso.
Nelle more, il B. ha ottenuto gli arresti domiciliari.
Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l'indagato, deducendo l'inosservanza della legge processuale stabilita a pena di inutilizzabilità: la sua iscrizione nel registro ex art. 335 c.p. era avvenuta tardivamente (9/3/2005), nonostante erano emersi a suo carico indizi sin dall'autunno del 2004, tanto da essere stata autorizzata -in data 10/11/2004- l'intercettazione della sua utenza telefonica; il giudice a quo avrebbe dovuto rideterminare il termine iniziale delle indagini in riferimento al momento in cui si sarebbe dovuta iscrivere la notizia di reato, con l'effetto che le indagini compiute dopo la scadenza del termine, così ricalcolato (10 maggio 2005), non potevano essere utilizzate. Sul punto, v'era contrasto di giurisprudenza ed era, pertanto, opportuno rimettere la soluzione della questione alle S.U..
La difesa dell'indagato ha depositato, in data 2/2/2007, memoria con la quale ha riproposto e più diffusamente illustrato la questione sulla sindacabilità della tardiva iscrizione nel registro previsto dall'art. 335 c.p.p..
Il ricorso non è fondato.
L'unica censura articolata in ricorso, con la quale si mira alla declaratoria d'inutilizzabilità degli atti d'indagine compiuti dopo la scadenza del relativo termine, da calcolarsi con riferimento al momento in cui il P.M. avrebbe dovuto e non a quello in cui aveva effettivamente provveduto alla iscrizione nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., è in contrasto col prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che questo Collegio condivide.
Ed invero, il termine di durata massima delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il P.M. iscrive nell'apposito registro la notizia di reato e non dalla data dalla quale avrebbe dovuto iscriverla. L'omessa annotazione della notitia criminis sul detto registro, con l'indicazione del nome della persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta a indagini "contestualmente ovvero dal momento in cui esso risulta", non determina l'inutilizzabilità degli atti d'indagine sino al momento dell'effettiva iscrizione nel registro, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall'art. 407 c.p.p., al cui scadere consegue l'inutilizzabilità degli atti d'indagine successivi, decorre per l'indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie di reato e non dalla presunta data nella quale il P.M. avrebbe dovuto iscriverla.
Tale principio è stato già affermato dal più alto Consesso di questa Suprema Corte (cfr. sentenza S.U. 21/6/2000 n. 16), sicché la sollecitazione, contenuta in ricorso, di rimettere la decisione sulla questione sollevata alle Sezioni Unite non può trovare spazio, non sussistendo serie ragioni che impongano una rimeditazione del problema.
E' vero che l'art. 335/1° c.p.p. prevede che l'iscrizione deve essere effettuata dal P.M. "immediatamente", ma è anche vero che non indica alcun termine entro il quale deve procedersi a detta iscrizione né alcuna specifica sanzione, con l'effetto che la tempestività o meno dell'iniziativa del P.M. non può essere sindacata sul piano processuale, salvo gli eventuali riflessi su quello disciplinare o, al limite, su quello penale.
Non va, tra l'altro, sottaciuto che, nel caso specifico, per quello che emerge allo stato degli atti, non può ravvisarsi una sorta di automatismo tra le disposte intercettazioni sulla utenza telefonica del I B. e la posizione sostanziale di costui come indagato. Presupposto legittimante l'attività captativa di conversazioni, infatti, sono i gravi indizi di reato e non di reità, vale a dire l'esistenza di un illecito penale e non la colpevolezza di un determinato soggetto, sicché ben può essere accaduto che elementi concreti indicativi di un diretto coinvolgimento del I B. nella presente vicenda siano emersi soltanto in seguito alle intercettazioni disposte sulla sua utenza, il che giustificherebbe i tempi d'iscrizione del predetto nel registro delle notizie di reato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma l'8/2/2007
Depositata in data 30/07/2007

 
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