Interferenze illecite nella vita privata. NOn rileva la finalità della ripresa (pur destinata a far valere un diritto in sede giudiziale). Il balcone va considerato luogo esposto al pubblico, ma parte della privata dimora.
Tribunale di Tolmezzo, Sezione Penale Sentenza 30 marzo 2006 Giudice dott.ssa Mariarosa Persico
Svolgimento del processo Nei confronti di A e B, imputati del reato p.e p. dagli artt. 110 c.p., 615 bis c.p. perché, tra loro in correità, il primo materialmente e la seconda in concorso morale come istigatrice, mediante l’uso di macchina fotografica, si procuravano indebitamente immagini attinenti alla vita privata di C nonna materna del primo e madre della seconda, scattando alcune foto della stessa dal giardino antistante l’abitazione della p.o., mentre questa era affacciata al balcone con un’amica.
Conclusione delle parti Il P.M.: chiede l’assoluzione degli imputati, ai sensi dell’art. 530 2° co. c.p.p., per non aver commesso il fatto. Il Difensore della parte civile: chiede la condanna di entrambi gli imputati, deposita conclusioni scritte e nota spese. Il difensore degli imputati: chiede l’assoluzione di entrambi gli imputati perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato ovvero, quanto alla B, non averlo commesso.
Fatto e diritto All’esito delle indagini preliminari avviate su denuncia querela presentata dalla persona offesa C che lamentava che le erano state scattate dalla figlia e dal nipote alcune fotografie, senza il suo consenso, che la ritraevano affacciata al balcone della sua abitazione di Sauris, mentre si trovata con un’amica, veniva emesso decreto penale di condanna nei confronti di B e A per il reato di illecite interferenze nella vita privata altrui previsto e punito dall’art. 614 bis c.p., commesso con il concorso materiale del primo e con l’istigazione morale della seconda, alla pena di euro 4.647,00 di multa, in conversione di mesi quattro di reclusione. Avverso tale decreto di data 6 agosto 2004, gli imputati presentavano rituale e tempestiva opposizione con la quale chiedevano il giudizio immediato. Emesso il decreto di citazione a giudizio per rispondere del reato indicato in epigrafe, al dibattimento, svoltosi in contumacia degli imputati, revocato il decreto penale di condanna, veniva ammessa la costituzione di parte civile della parte offesa C e si svolgeva l’istruttoria consistita nell’assunzione delle testimonianze di C e di D conoscente della prima e presente nella sua abitazione il giorno dei fatti. Esaurita l’istruttoria, all’esito della discussione, udite le conclusioni prese dal P.M., dalla parte civile e dalla difesa riportate in epigrafe, veniva emesso il dispositivo di condanna di A e di assoluzione di B per estraneità ai fatti, come di seguito riportato. La materialità dell’avvenuto scatto delle fotografie che ritraevano le due donne sul balcone, con modalità indebita in quanto effettuate a loro insaputa e nel presupposto certo di una volontà contraria, è provata con certezze dalle deposizioni rese dalla parte offesa e dalla testimone. Deve pure ritenersi certa l’integrazione del reato contestato, con riguardo alla natura delle immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi di privata dimora di cui all’art. 614 bis c.p. procuratasi da A per le ragioni che si andranno ad esporre. Parimenti provato è il dolo generico, sufficiente per la configurabilità dell’elemento psicologico del reato (cfr. Cass. Pen. Sez. V, 19 Marzo 2003, n. 20233), in capo all’autore materiale delle foto, consistente nella consapevolezza di compiere la condotta illecita, in quanto, per le modalità con cui le stesse sono state scattate, e per l’uso successivo che ne è stato fatto, in un procedimento di esecuzione immobiliare in corso, paralizzato dall’eccepita intrasportabilità dall’immobile della persona anziana ritratta nella foto, non vi è dubbio che l’azione sia stata compiuta nella piena coscienza e volontà dell’autore di procurarsi indebitamente l’immagine privata, dimostrativa della capacità di deambulare, inerente la personale condizione di salute dell’anziana C. Non è emersa invece prova alcuna della partecipazione morale o dell’istigazione all’azione da parte dell’imputata B, nel cui interesse, per via del procedimento in corso, le fotografie sarebbero state scattate, poiché le prove emerse sono del tutto compatibili con un’autonoma iniziativa intrapresa dal solo autore materiale dello scatto delle foto, che si trovava in occasione della festa del prosciutto di Sauris, nei pressi della casa della nonna. La parte offesa ha infatti riferito che mentre si trovava nella sua casa di Sauris e la signora D l’aveva portata sul poggiolo per prendere un po’ di sole, in quanto in quel periodo lei era allettata, il nipote A, figlio della propria figlia, B con la quale vi erano cattivi rapporti, aveva scattato loro delle fotografie dal giardino sottostante, senza che lei se ne accorgesse e senza chiederle alcun permesso. La stessa ha riferito di essere venuta a conoscenza del fatto successivamente, nel marzo 2004, dal figlio E, che l’aveva appreso dalla signora D; ha anche spiegato che con la figlia B vi erano pessimi rapporti, dovuti a controversie sulla proprietà della casa di Sauris, in quanto la stessa l’avrebbe cacciata di casa, circostanza per la quale non intendeva rimettere la querela. La testimone D ha riferito che in occasione della festa del prosciutto che si svolgeva in luglio a Sauris, aveva notato alcune persone distese sul prato di proprietà della casa di C, sua vicina di casa che si recava quotidianamente ad accudire, e quindi si era portata presso la sua abitazione. Si era pertanto affacciata insieme all’anziana signora sul balcone per circa una decina di minuti ed a quel punto il nipote di C si era avvicinato ed aveva chiesto alla nonna come stesse. L’anziana donna aveva capito che si trattava del nipote, ma poiché non sentiva, né vedeva bene, non gli aveva risposto. La testimone ha riferito di essersi accorta che A aveva una macchina fotografica, nel mentre si era trattenuta a parlare qualche minuto con lui, ma di non avere visto scattare foto. All’indomani parlando con il figlio di C, E gli aveva riferito del fatto. Ha anche chiarito, a fronte della contestazione mossa dal P.M. sul perché avesse riferito in precedenza ai Carabinieri che avrebbe invece visto scattare le foto, che invero aveva sì visto il giovane con la macchina in mano, ma da lontano non era stata in grado di distinguere bene il gesto e pertanto le era rimasto il dubbio che avesse scattato le foto. Ad escludere comunque ogni incertezza circa l’effettiva venuta ad esistenza di queste foto, la testimone ha subito riferito che all’indomani del colloquio con E aveva visto le foto che la ritraevano con C nella casa della stessa. Le foto erano state ivi portate dagli avvocati di B che erano presenti in occasione dell’accesso dell’Ufficiale Giudiziario, unitamente al medico, ai Carabinieri ed all’avv X (avvocato della esecutata C) Dette foto non erano state mostrate a C che si trovata a letto, per non crearle un dispiacere, visto che non aveva dato alcun consenso allo scatto delle stesse. Le deposizioni rese dalle due testimoni hanno fornito una ricostruzione dell’episodio del tutto verosimile e priva di contraddizioni. È oggettivamente possibile che lo scatto delle foto, con l’uso dei moderni strumenti digitali di agevole e rapida maneggevolezza, sia avvenuto in maniera impercettibile da una certa distanza, avvantaggiandosi di obiettivi, tipo reflex, che non necessitano nemmeno di avvicinare la macchina all’occhio del fotografo, per effettuare l’inquadratura. Entrambe le testimoni devono ritenersi pertanto attendibili, in particolare modo l’anziana parte offesa (classe 1915), costituita parte civile, che è apparsa lucida e serena, per nulla ispirata da animosità nei confronti della figlia e soprattutto del nipote, (rispetto al quale ha ricordato come fosse ogni anno suo ospite nella casa di Sauris), si da potersi considerare testimone, ancorché interessata ad ottenere il risarcimento conseguente al reato, completamente credibile. Parimenti provata, oltre alla materialità della condotta, è l’elemento psicologico consistente nel dolo generico di procurarsi indebitamente immagini inerenti l’altrui vita privata, non rilevando peraltro il fine propostosi dall’agente. Sulla natura indebita della modalità di procurarsi le immagini richiesta dalla norma di cui all’art. 614 bis c.p., stante l’ampiezza del significato dell’avverbio utilizzato, è sufficiente che l’azione sia avvenuta con l’inganno, ovvero conto la volontà espressa o tacita di chi ha diritto di escludere l’illecita interferenza. La dizione indebitamente va interpretata alla luce della disposizione di cui all’art. 614 c.p. richiamata, dove oltre alle introduzioni avvenute “clandestinamente” nel domicilio, riconducibili all’uso di strumenti di ripresa a distanza, si fa riferimento a quelle realizzate con inganno, ovvero contro la volontà espressa o tacita di chi ha diritto di impedirle (cfr. Pretura di Roma 5 luglio 1999; Cass Pen. 2000, 2794). Nella fattispecie, oltre allo stratagemma ingannevole dell’avvicinarsi per chiedere alla nonna come stesse, con una macchina fotografica in mano, che poteva però presumersi occasionalmente in uso per ritrarre la festa paesana in atto, sussiste pure il comportamento contro la volontà contraria, tacita e comunque presunta della persona ritratta, poichè A era certamente a conoscenza dei gravi motivi di contrasto familiare, che facevano leva anche sulla contestata ragione della intrasportabilità della nonna, asseritamene non in grado di deambulare, per la gravità della malattia che l’avrebbe costretta a stare a letto. Accertata la condotta, l’elemento psicologico e la natura indebita del modo di procurarsi le immagini, deve ritenersi integrato anche il presupposto del luogo di privata dimora, in violazione del quale è avvenuta l’illecita interferenza, con riferimento al balcone della privata abitazione. Infatti non può condividersi la testi difensiva per la quale l’art. 614 bis c.p. tutelerebbe unicamente quelle manifestazioni della vita privata svolgentesi nelle appartenenze dei luoghi di privata dimora, per le quali esiste un effettivo interesse a mantenerle riservate, con esclusione della tutela ogni qualvolta il luogo sia per sua natura esposto al pubblico, come il balcone. Invero, il senso ed il dettato della norma incriminatrice che si riferisce ad immagini procurate indebitamente attinenti alla vita privata svolgenetesi nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p. è dato dalla lettura congiunta del luogo e dell’azione. In tale ottica è senza dubbio da ricomprendere tra le situazioni tutelate, anche l’azione di un’anziana persona ammalata che si espone per pochi minuti all’esterno del proprio balcone per prendere una boccata d’aria. Non è di per sé il luogo dove si svolge l’attività, per sua natura esposto al pubblico, a rendere legittima la ripresa, ma è la natura dell’immagine che ritrae la vita privata di una persona, in quel momento espostasi in quel luogo di privata dimora, che rende illegittima l’interferenza. Così, se può riconoscersi che il gesto quotidiano di annaffiare i fiori sul balcone, con abbia alcuna valenza privata, impossibile è invece sostenere che una persona anziana in grave stato di salute, uscita dal balcone per pochi minuti, per fini terapeutici, con l’aiuto della propria badante, non rappresenti un’immagine, riguardante lo stato di salute ed il decoro della persona, attinente alla sua vita privata, protetta dalla tutela penale prevista dalla norma. Lo stesso principio dell’effettività dell’interesse a mantenere la riservatezza dell’immagine, richiamato dalla sentenza del Tribunale di Trieste 5 marzo 1984, invocata quale precedente giurisprudenziale a favore della difesa, induce invero, dopo attenta riflessione, ad interpretare la nozione di luogo di privata dimora e di appartenenza esposta al pubblico, in funzione della natura dell’attività della vita privata che in essa si va a svolgere, che è oggetto della riproduzione fotografica posta in essere dall’agente. Tutte le volte cioè che le immagini delle persone ritratte sul balcone, riguardano attività che per la loro natura, per le condizioni personali dei raffigurati, per compagnia, o per consuetudine, possono definirsi chiaramente attinenti alla loro vita privata, costituendo una mera propagazione di attività che normalmente verrebbero svolte all’interno dell’abitazione, non può dubitarsi che si estenda la tutela dettata dall’art. 614 bis c.p. anche ad immagini tratte da luoghi privati aperti al pubblico. Per tale ragione, la fotografia scattata da A all’anziana nonna allettata, alzatasi con la badante per prendere aria sul balcone, integra un’illecita interferenza nella vita privata altrui oggetto del reato contestato. Accertata la penale responsabilità di A va invece escluso ogni coinvolgimento della madre B, cui è stata ascritta la condotta di concorrente morale ed istigatrice. Invero non è emerso alcun elemento che dimostri la partecipazione della stessa nella ideazione e programmazione del fatto, ben potendo l’iniziativa essere stata presa in maniera autonoma da A, che si trovava quel giorno a Sauris e, vista la nonna sul balcone, ha avuto l’idea di procurarsi delle fotografie da mostrare poi alla madre, o agli avvocati della stessa, anche a sua insaputa, che potevano divenire utili al procedimento esecutivo in corso. All’imputato, possono essere concesse le attenuante generiche in ragione dell’incensuratezza e considerati i criteri tutti di cui all’art. 133 c.p., applicata la pena di mesi quattro di reclusione, partendo da una pena base, pari al minimo edittale, di mesi sei di reclusione, ridotta di 1/3 per la concessione delle attenuanti generiche. L’incensuratezza dell’imputato consente di esprimere una valutazione positiva sulla futura non commissione di reati ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Quanto alla domanda di risarcimento avanzata dalla parte civile, devono ritenersi integrati il nesso causale, nonché gli estremi oggettivo e soggettivo dell’illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. commesso con il reato cui all’art. 614 bis c.p. che obbliga il responsabile al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 185 c.p.. Non è possibile procedere in questa sede, alla luce delle scarne risultanze istruttorie, all’esatta quantificazione del danno biologico (turbamento psicologico), del danno materiale (tentativo di strumentalizzazione delle immagini) e morale, riportato da C, che viene rimesso al giudizio civile. All’accoglimento della domanda di risarcimento consegue la condanna alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile che si liquidano come indicato in dispositivo.
P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara A colpevole del reato ascritto e concesse le attenuanti generiche lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; Letti gli artt. 538, 539, 541 c.p.p., condanna A al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento delle spese sostenute da parte civile che liquida in euro 1.500,00, oltre al rimborso delle spese forfetarie, Iva e Cna, come per legge. Lett l’art. 530 c.p.p., assolve B dal reato a lei ascritto per non avere commesso il fatto. Differisce a giorni 90 il deposito dei motivi.
Per gentile concessione dell'Ordine degli Avvocati di Udine
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