Sorveglianza ed ex-Cirielli: illegittimità costituzionale dei commi 1 e 7-bis dell’art. 58-quater della legge 26 luglio 1975 n. 375, introdotti dall’art. 7, commi 6 e 7, della legge 5 dicembre 2005 n. 251, nella parte in cui non prevedono che i benefici in essi indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della citata legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, commi 6 e 7, e 10 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso con ordinanza del 6 febbraio 2006 dal Tribunale di sorveglianza di Catania, iscritta al n. 183 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto 1. − Con ordinanza del 6 febbraio 2006, il Tribunale di sorveglianza di Catania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, commi 6 e 7, e 10 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui dette disposizioni, modificando l’art. 58-quater, commi 1 e 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), prevedono che le nuove preclusioni stabilite per l’accesso alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale si applichino anche ai condannati per condotte punibili ai sensi dell’art. 385 del codice penale, o recidivi reiterati, per delitti commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, «indipendentemente dal comportamento tenuto successivamente alla condanna e alla casuale data di irrevocabilità delle sentenze da eseguire».
In punto di rilevanza, il giudice rimettente riferisce di essere chiamato a provvedere sull’istanza, proposta in data 2 maggio 2005, di applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale con riguardo all’esecuzione della pena di mesi nove di reclusione. Tale pena è stata inflitta al richiedente per il reato di evasione, con sentenza del Tribunale di Catania in data 12 dicembre 2001, che ha ritenuto sussistente la recidiva reiterata. Il rimettente precisa, inoltre, che l’istante ha già fruito di un precedente affidamento in prova al servizio sociale, disposto con ordinanza in data 24 marzo 2004 e concluso, con esito positivo, in data 13 settembre 2004.
La rilevanza della questione sarebbe evidente in quanto, per effetto del mutamento di quadro normativo seguito all’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, l’istanza, per quanto ammissibile all’atto della proposizione, non lo è più al momento della decisione, risultando ostativi sia il titolo del reato per il quale è stata inflitta la condanna da eseguire, sia la precedente ammissione alla misura alternativa, di cui l’istante, recidivo reiterato, ha fruito relativamente ad altra pena.
Il rimettente ritiene, in particolare, che sia applicabile al procedimento in corso la più rigorosa disciplina introdotta dalla legge n. 251 del 2005, osservando come l’art. 10 di tale legge preveda una particolare disciplina transitoria soltanto per le disposizioni contenute nell’art. 6, relative ai termini di prescrizione, limitandosi, per tutte le altre, a richiamare l’art. 2 cod. pen., norma generale in materia di successione delle leggi penali nel tempo, la quale sancisce, al terzo comma (oggi, quarto), la prevalenza della legge più favorevole al reo, salvo il limite derivante dal giudicato.
Secondo il giudice a quo tale ultima disposizione, riguardando le norme penali sostanziali, non troverebbe applicazione nella fase esecutiva della pena. Né sarebbe utilmente invocabile il principio di irretroattività della legge meno favorevole, posto che l’orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale circoscriverebbe alle sole norme penali incriminatici l’ambito di operatività dell’art. 25, secondo comma, Cost.
Il rimettente richiama nondimeno la giurisprudenza della Corte costituzionale circa i limiti che il legislatore incontra nell’adottare norme dotate di efficacia retroattiva, le quali devono trovare «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza» e non possono porsi in contrasto «con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti».
Tali limiti, a parere del giudice a quo, risulterebbero travalicati dalle disposizioni censurate, con le quali il legislatore, modificando con efficacia retroattiva l’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975, ha introdotto nuove presunzioni di pericolosità, fondate l’una sul titolo del reato e l’altra sull’avvenuta applicazione della recidiva reiterata, senza considerare né il dato temporale dell’epoca del commesso reato, né quello della condotta successiva del condannato. Di qui la non manifesta infondatezza della questione concernente le disposizioni censurate, sotto il profilo della irragionevolezza e della violazione del necessario finalismo rieducativo della pena. La preclusione dell’accesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, in danno dei soggetti che, al momento dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, abbiano già intrapreso un percorso riabilitativo, si tradurrebbe infatti in un ingiustificato arresto di tale percorso.
Il rimettente evidenzia come nel caso di specie, per effetto delle disposizioni censurate, l’istante incorrerebbe in una «sopravvenuta inammissibilità» della nuova richiesta di affidamento, pur riguardando detta richiesta una pena irrogata per un fatto risalente nel tempo, coevo a quello in relazione al quale l’interessato ha già fruito, con esito positivo, di analoga misura alternativa.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di sorveglianza di Catania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, commi 6 e 7, e 10 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui, modificando l’art. 58-quater, commi 1 e 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), prevedono che le nuove preclusioni stabilite per l’accesso alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale si applichino anche ai condannati per condotte punibili ai sensi dell’art. 385 codice penale, o recidivi reiterati, per delitti commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, «indipendentemente dal comportamento tenuto successivamente alla condanna e alla casuale data di irrevocabilità delle sentenze da eseguire».
2. – La questione è fondata.
2.1. – Va ribadito che – secondo un orientamento giurisprudenziale costante ed univoco di questa Corte – la finalità rieducativa della pena, stabilita dall’art. 27, terzo comma, Cost., deve riflettersi in modo adeguato su tutta la legislazione penitenziaria. Quest’ultima deve prevedere modalità e percorsi idonei a realizzare l’emenda e la risocializzazione del condannato, secondo scelte del legislatore, le quali, pur nella loro varietà tipologica e nella loro modificabilità nel tempo, devono convergere nella valorizzazione di tutti gli sforzi compiuti dal singolo condannato e dalle istituzioni per conseguire il fine costituzionalmente sancito della rieducazione.
La massima valorizzazione dei percorsi rieducativi compiuti da chi deve espiare una pena mal si concilia con la vanificazione, in tutto o in parte, degli stessi, per effetto di una mera successione delle leggi nel tempo. Le diverse valutazioni di carattere generale e preventivo, operate dal legislatore in ordine alla previsione di misure alternative alla detenzione o di benefici penitenziari, non possono incidere negativamente sui risultati già utilmente raggiunti dal condannato. Nell’ipotesi di una sopravveniente normativa che escluda da un beneficio una data categoria di soggetti, l’applicazione della nuova restrizione a chi aveva già maturato, secondo la previgente disciplina, le condizioni per godere del beneficio stesso, rappresenta, rispetto all’iter rieducativo, «una brusca interruzione, senza che ad essa abbia in alcun modo corrisposto un comportamento colpevole del condannato» (sentenza n. 445 del 1997). Tale interruzione pone nel nulla le positive esperienze già registrate ed ostacola il raggiungimento della finalità rieducativa della pena prescritta dalla Costituzione (sentenza n. 137 del 1999). In tal modo «l’opzione repressiva finisce per relegare nell’ombra il profilo rieducativo […] al di fuori di qualsiasi concreta ponderazione dei valori coinvolti» (sentenza n. 257 del 2006).
2.2. – Le norme censurate – da intendersi circoscritte, secondo la motivazione dell’ordinanza di rimessione, alle previsioni contenute nell’art. 7, commi 6 e 7, della legge n. 251 del 2005 – incorrono nel medesimo vizio di legittimità costituzionale già riscontrato da questa Corte nelle norme che hanno formato oggetto delle pronunce sopra citate, in quanto escludono i condannati per il reato di evasione (art. 385 cod. pen.) dalla possibilità di ottenere i benefici di cui all’art. 47 dell’ordinamento penitenziario ed escludono, altresì, che l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà possano essere concessi più di una volta ai recidivi reiterati. Non è previsto infatti che i benefici in questione possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati i quali, prima dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto.
L’identità della ratio decidendi comporta che si debba dichiarare, come nelle pronunce di questa Corte sopra citate, l’illegittimità costituzionale delle norme censurate nella presente sede, per violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 7-bis dell’art. 58-quater della legge 26 luglio 1975 n. 375 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà), introdotti dall’art. 7, commi 6 e 7, della legge 5 dicembre 2005 n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975 n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui non prevedono che i benefici in essi indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della citata legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2007.
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