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 Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 19 giugno 2006 (dep. 6 luglio 2006), n. 23555/2006 (1355/2006)

Niente estradizione verso la Bielorussia

                         REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SANSONE Luigi - Presidente
Dott. ROMANO Francesco - Consigliere
Dott. AMBROSINI Giangiulio - Consigliere
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere
Dott. IPPOLITO Francesco - Consigliere
ha pronunciato la seguente
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da P.A., nato il ..., avverso la sentenza del 09.06.2005 della Corte d'Appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza, ed il procedimento;
Udita in camera di consiglio la relazione fatta dal Consigliere  Dr. Ambrosini Giangiulio;
Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Gianfranco Viglietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, Avv. G.A., che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
                      SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'appello di Roma, con sentenza 9.6.2005, dichiarava sussistere le condizioni per l'estradizione nella Repubblica della Bielorussia di P.A., colpito da mandato di cattura 5.12.2003 del Tribunale di Minsk per il reato di truffa aggravata.
Ricorre la difesa del P. per violazione degli artt. 698, 704 e 705 c.p.p. in quanto il Paese richiedente - non aderente alla
Convenzione Europea di Estradizione - non offre sufficienti garanzie in ordine al rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Ricorre inoltre per manifesta illogicità della motivazione in relazione alle medesime problematiche.
                       MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L'art. 209 c.p. bielorusso, la cui traduzione in lingua italiana è allegata agli atti del processo, prevede al comma 2 il reato di "frode commessa ripetutamente oppure da un gruppo di persone" e la pena dei lavori forzati per un tempo fino a due anni oppure una limitazione di libertà per un tempo fino a quattro anni oppure della reclusione per lo stesso termine.
Lo stesso art. 209 prevede, al comma 3, il reato di "frode dell'entità grande" e la pena della reclusione per un tempo da due a sette anni.
Infine il comma 4 prevede il reato di "frode commessa da un gruppo organizzato oppure quella dell'entità particolarmente grande" e la pena della reclusione per un tempo da tre a dieci anni.
2. Il mandato di cattura internazionale per cui è stata richiesta l'estradizione dal P. fa riferimento al reato di cui al comma 3, ma indica come pena quella prevista dal comma 4, ossia la reclusione fino a dieci anni di reclusione.
Vi è, all'evidenza, una incertezza obiettiva circa l'esatta qualificazione della frode (ossia della truffa, secondo l'ordinamento italiano).
Infatti, il riferimento espresso al comma 3 fa intendere che si tratti di "frode dell'entita' grande"; d'altra parte il riferimento alla pena massima per un tempo di dieci anni lascia intendere che si tratti di "frode commessa da un gruppo  organizzato" oppure "di entità particolarmente grande".
Quel che è certo è che il P. è colpito da un mandato di cattura del Tribunale di Minsk che ha ad oggetto un reato di frode salva ulteriore qualificazione, nel corso del procedimento, da parte dell'autorità bielorussa procedente della natura della frode (o delle sue aggravanti): se commessa da un gruppo di persone, da un gruppo organizzato delle stesse, di entità grande o di entità particolarmente grande.
3. Fra le pene previste per il reato di "frode", per l'ipotesi meno grave di cui al comma 2 dell'art. 209 del codice penale bielorusso, vi è quella dei lavori forzati.
Nella incertezza sulla qualificazione giuridica del reato, non può aprioristicamente escludersi che l'originarla imputazione (comma 3 o comma 4, certamente più grave) possa essere qualificata come quella meno grave di cui al comma 2, con la condanna alla pena dei lavori forzati.
4. Il comma 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848, prevede che "nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio".
La previsione del codice penale bielorusso si pone in netto contrasto con la norma convenzionale europea e tanto basterebbe per ritenere insussistenti le condizioni per l'estradizione ai sensi dell'art. 698 c.p.p., comma 2, laddove si stabilisce che non può essere concessa l'estradizione quando vi è ragione di ritenere che il condannato verrà sottoposto a pene "che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona". E i lavori forzati appartengono appunto a questa categoria.
5. Si deve aggiungere che l'ampia documentazione acquisita agli atti consente di affermare che la Bielorussia è uno Stato nel quale il rispetto dei diritti umani è di fatto violato (anche nell'ambito carcerario), e ciò non soltanto alla luce dei rapporti di Amnesty International - che, pur nella loro serietà e autorevolezza, sono sempre atti non riferibili ad autorità statali o internazionali - ma in base a risoluzioni ufficiali del Parlamento europeo (10 marzo 2005) secondo cui la Bielorussia è il solo Paese europeo a non avere rapporti contrattuali con l'Unione Europea a causa delle massicce
violazioni dei diritti umani.
D'altro lato la Bielorussia non ha aderito alla Convenzione Europea di estradizione sottoscritta a Parigi il 13 dicembre 1957.
In presenza della situazione obiettiva di violazione dei diritti umani, in mancanza dell'adesione alla Convenzione Europea di estradizione e non sussistendo una speciale Convenzione fra l'Italia e la Bielorussia in materia di estradizione, la norma applicabile è quella di cui all'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c), che non consente l'estradizione.
6. Un'ultima considerazione, sebbene il punto non sia esplicitamente affrontato dal ricorso, ma in relazione al quale questa Corte può d'ufficio interloquire anche come giudice di seconda istanza del merito dell'estradizione, riguarda i gravi indizi di colpevolezza.
Di essi non è fatta alcuna menzione, così che, in assenza di Convenzioni, viene in considerazione l'art. 705 c.p.p., comma 1, che pone un ulteriore limite alla concedibilità dell'estradizione.
7. Le considerazioni che precedono impongono la totale riforma della sentenza impugnata e la dichiarazione di  insussistenza delle condizioni per la concessione dell'estradizione.  
Consegue la scarcerazione del P. se non detenuto per altra causa.
                               P.Q.M.
In totale riforma della sentenza impugnata dichiara non sussistere le condizioni per l'estradizione;
Ordina l'immediata liberazione di P.A. se non detenuto per altra causa;
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p. e art. 203 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2006.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2006
 
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