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 Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 19 maggio 2006 (dep. 23 giugno 2006), n.22049/2006 (906/2006)

Legge Pecorella: chi ha chiesto termine per motivi nuovi ex art. 10 V comma ha allungato di trenta giorni il termine di prescrizione

                         REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                       SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO Ernesto - Presidente
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. LOMBRARDI Alfredo Maria - Consigliere
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da D.B.R., nato a... il ..., avverso la sentenza del 10/05/2005 della Corte d'Appello di Venezia
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dr. Angelo Di Popolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
La Corte osserva:
  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. D.B.R., nato a... il ..., era tratto a giudizio per rispondere:
a) del delitto p. e p. dall'art. 519 I comma c.p. per avere, in ..., nell'aprile del 1990, costretto con violenza e minaccia B.S. a congiungersi carnalmente con lui (l'imputato, richiesto dagli occupanti di un appartamento soprastante il bar presso cui lavorava di recapitare delle consumazioni, aveva chiesto alla B. di accompagnarlo per aiutarlo a svolgere la commissione e al ritorno, dopo aver fermato ad un piano intermedio l'ascensore sul quale entrambi si trovavano, con uno strattone costringeva la giovane ad uscire e quindi, premendola contro la parete del pianerottolo, riusciva ad abbassarle i pantaloni e gli slip e quindi la penetrava pur parzialmente con il membro; azione da cui desisteva per la reazione che la ragazza, dopo i primi attimi di smarrimento, si opponeva, anche mettendosi a piangere);
b) del delitto p.e p. dall'art. 527 c.p. per aver compiuto su B.S. nelle cricostanze e con le modalità di cui al capo che precede, gli atti osceni ivi descritti (parziale denudamento della ragazza e congiunzione carnale).
2. Con sentenza in data 11.04.1997 il Tribunale di Belluno dichiarava D.B.R. colpevole di entrambi i delitti a lui ascritti e, ritenuto il vincolo della continuazione tra tali reati, lo condannava alla pena principale di anni 3 e mesi 2 di reclusione ed a quella accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni 5. Il predetto imputato era altresì condannato al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, danni che venivano liquidati direttamente in lire 30.000.000, oltre alle spese di lite.
In ordine alla ritenuta responsabilità, il primo Collegio la fondava in principalità sulle deposizioni della parte lesa e della sua amica A.S., sulla valutazione critica delle dichiarazioni dell'imputato, nonchè su una serie di convalidanti considerazioni logiche.
In particolare attendibili e precisi - almeno sui punti centrali della vicenda - erano ritenuti dal Tribunale sia la parte lesa B. sia la sua amica e compagna di scuola A.S.. In particolare quest'ultima aveva confermato che il D.B.R. nel bar aveva chiesto alla B.S. di andare via con lui; che questa aveva accetato ed era stata fuori un certo tempo; che al ritorno la ragazza era sconvolta e le aveva chiesto di essere accompagnata al bagno: che in tale locale la B. le aveva confidato che il D.B.R. aveva abusato di lei, mostrandole gli slip sporchi di sangue.
Trovavano così, secondo i primi giudici, sostanziale riscontro le dichiarazioni accusatorie della parte lesa che aveva ricostruito la violenza subita e risposto ad una serie di considerazioni critiche avanzate dalla difesa.
Prendendo poi in esame le dichiarazioni dell'imputato, il Tribunale rilevava come costui, pur negando l'addebito anche con toni non privi di arroganza e supponenza, avesse ammesso di essersi fatto accompagnare dalla B. (circostanza che, peraltro, aveva negato in sede di indagini) adducendo l'intenzione di avere un semplice colloquio.
I primi giudici ritenevano poi che la tesi difensiva di una denuncia costruita per ritorsione, dopo l'interruzione di un rapporto sentimentale, era smentita dal riferito stato di assoggettamento (che da solo dava ragione del ritardo nella denuncia) e comunque non era provata anche per la rinuncia ad escutere quei testi che, secondo l'originaria impostazione difensiva, avrebbero dovuto deporre in tal senso.
3. Avverso tale sentenza proponeva rituale impugnazione in appello l'imputato.
La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza del 10 marzo 2005 - 11 aprile 2005, in parziale riforma della sentenza 11.04.97 del Tribunale di Belluno, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'appellante in ordine al reato di cui all'art. 527 c.p. perchè estinto per prescrizione; ritenuto poi il fatto contestato al capo a) come rientrante nella previsione dell'art. 609bis, ultimo comma, c.p., rideterminava la pena nei confronti del predetto imputato in anni 2 di reclusione; condannava poi il D.B.R. a rifondere alla costituita parte civile le spese del grado.
4. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con tre motivi.
  MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Con il primo motivo il ricorrente si duole dell'irrituale inserimento di un giudice onorario nel collegio del tribunale senza che risultasse l'impedimento o la mancanza di un giudice togato.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l'inadeguata valutazione delle risultanze probatorie. In particolare con si sarebbe tenuto conto che la parte offesa indossava pantaloni tipo jeans, che secondo comune esperienza non è possibile sfilare senza la fattiva collaborazione di chi li indossa.
Con il terzo motivo il ricorrente fa valere la (ritenuta) estinzione del reato per prescrizione.
2. Il primo motivo è infondato.
Questa Corte (Cass. sez. I, 02 aprile 2004, Sepede) ha già affermato, quanto alla capacità del giudice, che la partecipazione al collegio di un giudice onorario non è causa di nullità.
Ed invero - ha precisato la citata pronuncia - nessuna specifica disposizione di legge impedisce che un giudice onorario venga chiamato a far parte del tribunale; nè ciò può desumersi dall'art.43bis ord. giud., che si limita ad introdurrre, come si evince dalla sua formulazione letterale, un mero criterio organizzativo dell'assegnazione del lavoro tra i giudici ordinari e quelli onorari (cfr anche Cass. sez. IV, 19 febbraio 2004, n.20187, Suriel; Cass. sez. VI, 21 marzo 2003, n.20517, Ragosa).
Analogalmente Cass. sez. VI, 19 febbraio 2004, n.20187, Suriel, ha ribadito che la trattazione in dibattimento da parte del giudice onorario di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall'art. 43bis, comma terzo, lett. b), ord. giud., ossia in relazione a reati non previsti dall'art. 550, comma primo, c.p.p., non è causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo dell'assegnazione del lavoro tra i giudici ordinari e quelli onorari.
3. Inammissibile è poi il secondo motivo del ricorso.
Rispetto alla pronuncia invocata dal ricorrente (Cass. 06 novembre 1998, Cristiano) con cui questa Corte aveva annullato con rinvio, per carenza di motivazione, la sentenza di secondo grado che aveva affermato la colpevolezza dell'imputato di violenza carnale senza tenere conto del presunto dato di comune esperienza secondo il quale "è quasi impossibile sfilare in parte i jeans ad una persona senza la sua fattiva collaborazione, perchè trattasi di un'operazione che è già difficoltosa per chi li indossa", la successiva giurisprudenza di questa Terza Sezione (Cass. Sez. III, 06 noembre 2001, Kamal) ha precisato che l'attendibilità della vittima della violenza sessuale non può essere inficiata dal fatto che la stessa indossasse i jeans al momento dello stupro, posto che la paura di ulteriori conseguenze potrebbe aver determinato la possibilità di sfilare i jeans più facilmente.
La stessa pronuncia ha poi aggiunto che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza (cfr anche Cass. S.U. 24 novembre 1999, Spina).
Nella specie invece l'impugnata pronuncia della Corte d'Appello di Venezia è assistita da motivazione sufficiente e immune da contradditorietà.
In particolare la Corte d'Appello ha ricordato come B.S. ha puntualmente e senza contraddizioni riferito l'episodio della violenza subita.
Quanto poi alle difficoltà ricostruttive che avrebbe espresso la teste A., la Corte d'Appello ha posto in evidenza come la teste sia stata ferma e chiara, nei punti essenziali ("ribadisco, lei mi aveva detto che l'aveva violentata, praticamente..."), bene descrivendo lo svolgersi dell'eposidio di violenza.
In merito poi alla prospettazione secondo cui le tracce di sangue, segno della violenza, sarebbero riferibili invece al flusso mestruale, la Corte d'Appello si è fatta carico anche di questa deduzione in fatto rilevando che c'è differenza sostanziale, se non altro quantitativamente, tra l'una e l'altra cosa.
C'era poi l'evidente stato di sconvolgimento della parte lesa, conseguente alla violenza subita.
Insomma la censura del ricorrente attinge null'altro che alla valutazione dei fatti da parte dei giudici di merito senza per ciò evidenziare alcuna illogicità manifesta della motivazione della sentenza impugnata, che invece - si ribadisce - è sufficientemente e non contradditoriamente argomentata.
4. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
Il reato, di cui l'imputato è stato ritenuto colpevole, non è prescritto.
Infatti la condotta delittuosa è stata posta in essere il 30 aprile 1990, talchè la prescrizione sarebbe decorsa (dopo quindici anni, stante l'interruzione del termine di prescrizione) il 30 aprile 2005.
Ma occorre considerare il rinvio del dibattimento a richesta della difesa dal 4 febbraio 1994 al 15 aprile 1994 e dal 20 gennaio 1995 al 3 novembre 1995,  per la durata complessiva di 11 mesi e 24 giorni, periodo questo che si aggiunge all'ordinario termine prescrizionale.
Questa Corte (Cass. S.U., 28 novembre 2001, Cremonese) ha infatti affermato che la sospensione del procedimento e il rinvio o la sospensione dle dibattimento comportano la sospensione dei relativi termini ogni qualvolta siano disposti per impedimento dell'imputato o del suo difensore, ovvero su loro richiesta e sempre che l'una o l'altro non siano determinati da esigenze di acquisizione della prova e dal riconoscimento di un termine a difesa. Successivamente, in senso conforme v. Cass. S.U., 24 settembre 2003, Torcasio.
Successivamente, fissata l'udienza del 09 marzo 2006, prima del compimento del termine prescrizionale, quest'ultimo è stato ulteriormente sospeso (per trenta giorni) per consentire alla difesa di presentare motivi aggiunti ai sensi dell'art. 10 comma 5, legge 20 febbraio 2006 n.46; sicchè il termine finale di prescrizione del reato deve fissarsi nel 22 maggio 2006, non decorso alla data dell'odierna pronuncia.
5. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
   P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 19 maggio 2006.
Depositata in cancelleria il 23 giugno 2006.
 
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