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 Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 14 febbraio 2006 (dep. 09 maggio 2006), n.15903/2006 (309/2006)

Restituzione in termini: non spetta se si è eletto domicilio

                            REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                       SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSENTINO Giuseppe M. - Presidente
Dott. ESPOSITO Antonio - Consigliere
Dott. PODO Carla - Consigliere
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere
Dott. MONASTERO Francesco - est. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da A.A. avverso l'ordinanza con la quale la Corte di Appello di Genova in data 17 giugno 2005, rigettava l'istanza di restituzione in termini proposta nell'interesse dell'imputato;
visti gli atti, l'ordinanza impugnata ed il ricorso;
udita, in camera di consiglio, la relazione del Consigliere, Dott. Francesco Monastero;
lette le requisitorie del Sostituto Procuratore Generale che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi.
              
                 OSSERVA
Con ordinanza in data 17 giugno 2005, la Corte di Appello di Genova rigettava un'istanza di restituzione in termini proposta nell'interesse dell'imputato A.A. che, dopo aver subito, nel corso del 1999, un periodo di custodia cautelare, prima in carcere e, successivamente, agli arresti domiciliari, aveva affermato che, "soltanto di recente", era venuto a conoscenza che era stata emessa nei suoi confronti sentenza di condanna da parte della Corte di Appello di Genova, in data 20 novembre 2002, divenuta irrevocabile, senza che alcun atto fosse mai stato notificato presso la sua abitazione o presso il difensore di fiducia.
Aggiungeva l'imputato di essere venuto a conoscenza della sentenza; solo in data 19 febbraio 2004, allorche' era stato  tratto in arresto in esecuzione dell'ordine di carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica.
Il Tribunale  rilevava, preliminarmente, che l'istante in udienza di convalida aveva eletto domicilio presso il difensore, l'Avv. C. e che, successivamente, pur nominando altro difensore nella persona
dell'Avv. M., non aveva modificato il domicilio eletto, rimasto invariato: che, quindi, tutti gli atti, compresa la notifica
dell'estratto contumaciale della sentenza della Corte di Appello, erano stati correttamente notificati presso il domicilio eletto.
Alla luce di tale premessa fattuale, il Tribunale esaminava quindi il novum, costituito dalla L. 22 aprile 2005, n. 60 (applicabile alla fattispecie, non ancora esaurita), che stabilisce che l'imputato, se lo richiede, e' restituito nel termine per proporre impugnazione avverso sentenza contumaciale, "salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento o del procedimento" e che l'autorita' giudiziaria compie, a tal fine, ogni opportuna verifica: e riteneva che, non potendosi certo interpretare la nuova normativa nel senso di una sorta di abrogazione tacita del piu' generale
istituto della contumacia, doveva concludersi che, in presenza di una situazione processuale del tutto rituale come quella teste' esaminata, era onere dell'imputato addurre i fatti specifici e le circostanze che gli avevano impedito  l'effettiva conoscenza del provvedimento.
Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo con unico motivo, la carenza e l'illogicita' del provvedimento, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lettere b) ed e).
In particolare il ricorrente rileva che l'imputato non aveva avuto "piena conoscenza" della sentenza, "con notifica personale e rituale", che la notifica presso il difensore doveva ritenersi nulla in quanto non eseguita per conto dell'imputato e che, di conseguenza, il provvedimento censurato si fondava su una motivazione del tutto illogica e  contraddittoria avendo la Corte ritenuto regolare la notifica dell'estratto contumaciale sol perche' eseguita "attraverso
il meccanismo di una sostanzialmente iniqua fictio iuris".
Il ricorso e' infondato e va rigettato.
La nuova formulazione dell'art. 175 c.p.p., applicabile al caso in esame (trattandosi di fattispecie non ancora esaurita),  prevede la possibilita' per l'imputato condannato in contumacia di essere restituito nel termine per impugnare, "salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione".
Com'e' noto, la novella e' frutto della riconosciuta necessita' da parte del legislatore nazionale, di adeguare la normativa interna alla Convenzione europea, necessita' divenuta attuale e pressante dopo che la Corte Europea di Strasburgo aveva ritenuto che alcune disposizioni del codice di procedura penale violassero l'art. 6 della Convenzione europea per i Diritti dell'Uomo.
Sia nel caso Somogvi (sentenza 18 maggio 2004), che nel caso Sejdovic (sentenza 10 novembre 2004), infatti, la Corte, condannando lo Stato italiano, aveva rilevato che l'art.175 c.p.p. non conferisce all'imputato che non sia stato informato in modo effettivo del procedimento a suo carico, il diritto incondizionato di ottenere la restituzione nel termine per proporre impugnazione.
La Corte, peraltro, nella piu' recente delle due decisioni, aveva perentoriamente ingiunto allo Stato italiano di abrogare  questa disposizione di legge, e introdurre un meccanismo atto a garantire effettivamente e concretamente il diritto delle persone condannate in contumacia a ottenere un nuovo processo, in tutti i casi in cui l'imputato non era stato effettivamente informato del procedimento a suo carico (cfr. Relazione al D.L. n. 17 del 2005).
La modifica dell'art.175 c.p.p., originariamente introdotta dal decreto-legge, prevedeva la restituzione dell'imputato  nel termine per proporre impugnazione solo nell'ipotesi in cui risultasse dagli atti che non aveva avuto effettiva conoscenza del procedimento: tale formula, del tutto ambigua e, ovviamente, elusiva del dictum della Corte europea,  e' stata "rovesciata" in sede di conversione, nel senso che, con la formulazione definitiva si prevede che la restituzione nel termine non sia piu' condizionata dalla prova negativa della mancata effettiva conoscenza, ma sia sempre dovuta,  a meno che non emerga la prova positiva della "effettività" della conoscenza (e salva, ovviamente, l'ipotesi della volontaria rinuncia a comparire o a impugnare) del procedimento o del provvedimento.
La problematica si sposta, pertanto, sul concetto di effettivita' della conoscenza: che, verosimilmente, alla luce della modifica anche sul punto specifico operata in sede di conversione, deve riferirsi non solo al provvedimento (sentenza o  decreto) ma anche al "procedimento", potendosi ragionevolmente sostenere che anche la sola conoscenza del  procedimento, precluda all'imputato di avvalersi dell'istituto della restituzione in termini, ancorche' la sentenza o il  decreto sia stato poi notificato con gli usuali meccanismi della mera conoscenza "legale".
Cio' posto e osservato, sia pure obiter, che l'imputato era pienamente a conoscenza del "procedimento" instaurato nei  suoi confronti, essendo stato tratto in arresto ed avendo subito, per un periodo di tempo apprezzabile, custodia cautelare, prima in carcere e poi agli arresti domiciliari, va rilevato che, nel caso di specie, l'istante, in sede di udienza di convalida, aveva eletto  domicilio presso il difensore di fiducia, Avv. C. e successivamente, aveva nominato altro difensore (l'Avv. M.), senza modificare l'elezione di domicilio dove venivano effettuate tutte le notifiche, compresa quella dell'estratto contumaciale della sentenza.
Si tratta, pertanto, solo di valutare se, nel caso concreto, la conoscenza del provvedimento da parte del domiciliatario,  possa ritenersi equivalente alla "effettiva conoscenza" in capo all'imputato.
Orbene, sul punto specifico, questa Corte ha gia' affermato che "nel nostro ordinamento l'elezione di domicilio (a differenza della dichiarazione di domicilio) e' atto di natura negoziale, che presuppone il consenso del domiciliatario e che lo investe dello specifico ruolo di alter ego dell'effettivo destinatario dell'atto.
Essa rappresentando la manifestazione di un potere di autonomia dell'imputato di stabilire un luogo (diverso da quello  della residenza, della dimora o del domicilio) e la persona (o l'ufficio) presso i quali intende che siano eseguite le notificazioni, ha carattere negoziale costitutivo (Cass. Sez. 3^, Sent. n.22844 del 26/03-23/05/2003).
Si tratta di un atto di disposizione effettuato per libera scelta dell'imputato, sicche' la notifica a mani del domiciliatario adempie a quelle esigenze di effettivita' che la norma impone. 
La correttezza di tale interpretazione e' corroborata dalla constatazione che il legislatore contemporaneamente alla modifica dell'art.175 c.p.p. ha provveduto all'integrazione  dell'art.157 c.p.p. con l'aggiunta del comma 8 bis, il quale  dispone che le notificazioni successive alla prima (evidentemente andata a buon fine - come nel caso in esame - tanto da assicurare l'effettivita' della conoscenza del procedimento da parte dell'imputato), in caso di nomina di difensore di fiducia, siano eseguite mediante consegna al difensore.
Questo collegio non ritiene di discostarsi da tali principi: pur rilevando che il concetto di "effettiva conoscenza" del provvedimento deve intendersi nel senso di "sicura consapevolezza della sua esistenza" e precisa cognizione dei suoi  estremi che consenta, peraltro, di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si e' verificata, le perplessita' sollevate in ordine all'idoneita' di tale notifica ad assicurare l'effettivita' della conoscenza da parte dell'imputato, non possono trovare ingresso nella situazione in esame, perche' alla nomina fiduciaria del difensore si
e' aggiunta l'elezione di domicilio presso di lui (cfr. verbale in data 26 marzo 1999): elezione, peraltro, non modificata neppure dopo la  nomina di "altro" difensore di fiducia (Avv. M.), cosi' significativamente confermando lo stretto rapporto fiduciario tra il difensore (che ha proposto anche l'atto di impugnazione) e l'imputato medesimo.
La Corte territoriale ha, inoltre, congruamente motivato anche sul punto dell'assenza di possibili "rotture" di tale legame rilevando, peraltro, che nel periodo di tempo trascorso dall'inizio del procedimento alla sentenza della Corte di Appello, non risultava, ne' era stato dedotto, un eventuale allontanamento dell'imputato dal territorio nazionale.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
                               P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi' deciso in Roma, il 14 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2006
 
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