Penale.it  
 Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 13 dicembre 2005 (dep. 11 gennaio 2006), n. 579/2006 (2301/2006)

Ex-Cirielli: inapplicabile ai giudizi in corso anche la normativa in tema di sospensione della prescrizione e rinvio per impedimento del difensore

                           REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITALONE Claudio - Presidente
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. SARNO Giulio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
                         SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.G., nato il ... avverso la sentenza del 28/04/2005 della Corte d'Appello di Napoli;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere  Dott. Sarno Giulio;
udito il P.M. nella persona del Dott. Favalli Mario che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso.
Udito il difensore avv. P.F.
                               OSSERVA
P.G., condannato dal Giudice Monocratico presso il Tribunale di Nola per i reati di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 81 c.p., art. 20, lett. c); L. n. 1086 del 1971, artt. 2, 13, 4, 14 - accertati in ... il 13/03/2001 - alla pena di mesi sei di arresto e di Euro 18.000,00 di ammenda, con sospensione della pena condizionata alla demolizione del manufatto, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa il 28/04/2005 dalla Corte di Appello di Napoli con la quale, in parziale riforma della decisione di primo grado, veniva concessa la non menzione della condanna nel casellario giudiziale, per i seguenti motivi:
1) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione alla mancata motivazione sulla richiesta di sospensione del processo a seguito della presentazione dell'istanza in sanatoria, ai sensi e per gli effetti della L. n. 326 del 2003, art. 32;
2) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione agli artt. 519 e 520 c.p.p. non essendo stato dato avviso all'imputato, a seguito della modifica in udienza dell'imputazione da quella dell'art. 20, lett. b) in quella di cui all'art. 20,  lett. c), della possibilita' di richiedere nuovamente l'applicazione del rito alternativo previsto dall'art. 444 c.p.p., benche' rimesso in termini con la nuova contestazione, cosi' come sancito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 265/1994.
In caso di mancato accoglimento della doglianza innanzi dedotta il ricorrente eccepisce la violazione delle disposizioni vigenti con gli artt. 3, 24 e 111 Cost..
3) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione all'art. 520 c.p.p. in relazione al mancato accoglimento del motivo relativo alla censura mossa circa il prosieguo dell'attivita' istruttoria con la emissione di due ordinanze, una che revocava il teste N.G. e l'altra che, in modo anomalo, disponeva fuori tempo processuale la richiesta ai sensi dell'art. 507 c.p.p., del teste C..
4) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione alla L. 47 del 1985, art. 81 cpv., in relazione alla omessa motivazione circa il rilievo relativo che l'aumento di pena per l'applicazione dell'art. 81 c.p. non poteva essere superiore alla pena irrogata per il reato autonomo.
5) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione all'art. 420 ter c.p.p. in quanto, nell'udienza del 7 dicembre 2004, i Giudici dell'Appello, nel rinviare il procedimento per l'impedimento del difensore, all'udienza del 10 marzo 2005, non  avevano disposto la notifica al difensore, cosi' come previsto dall'art. 420 ter c.p.p., comma 5, della fissazione della nuova udienza.
6) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione agli artt. 163 e 164 c.p. non potendosi ritenere le argomentazioni a sostegno del diniego di applicazione della condanna condizionale senza la subordinazione all'abbattimento del manufatto, conformi alla normativa di cui agli artt. 163 e 164 c.p. ed apparendo, anzi, le motivazioni addotte in  stridente contrasto con la valutazione favorevole operata dalla Corte di merito nel concedere la non menzione.
In data 22/11/2005 veniva depositato il seguente motivo aggiunto:
7) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b in relazione agli artt. 163, 164 e 165 c.p. (come modificato dalla L. 11 giugno  2004, n. 145), con il quale il ricorrente chiede trasmettersi gli atti alla Corte di merito per valutare la possibilita' di subordinare la sospensione della pena alla prestazione di attivita' retribuita a favore della collettivita' introdotta a  seguito della modifica dell'art. 165 c.p..
Nel corso dell'udienza il difensore ha, infine, eccepito la prescrizione dei reati.
                       MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso e' infondato e va, pertanto, rigettato.
Preliminare ad ogni altra questione e' l'esame dell'eccezione relativa alla prescrizione.
Osserva  il ricorrente che i reati si sarebbero prescritti nonostante il rinvio subito dal processo dal 07/12/2004 al 28/04/2005 per impedimento del difensore.
E cio' in base alla nuova disciplina introdotta dalla L. n.25 gennaio 2005, art. 6, comma 3.
La norma citata stabilisce, infatti, che in caso di sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore, l'udienza non puo' essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo, in caso contrario, (per la sospensione  del corso della prescrizione) al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni.
Trattandosi di legge piu' favorevole per l'imputato, essa, secondo il ricorrente, dovrebbe trovare immediata applicazione nella specie.
Di conseguenza, risultando i fatti accertati il 13/03/2001, la prescrizione si sarebbe verificata alla data del 13/11/2005.
Tale prospettazione non puo' essere condivisa.
La  L. 251 del 2005, art. 10, comma 3, stabilisce, infatti, che le nuove disposizioni non si applicano ai processi gia' pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonche' ai processi gia' pendenti in grado di appello o, come nella specie, avanti alla Corte di Cassazione.
Non facendo la norma citata distinzione tra le disposizioni della legge, se ne deve dedurre che la previsione dell'art. 10 operi anche con riferimento all'art. 6 citato.
Ne' in relazione alla questione che qui interessa sono ravvisabili controindicazioni sotto il profilo costituzionale.
Mutuando i concetti gia' espressi dalla Corte Costituzionale in precedenti decisioni (n. 277/1990), occorre al riguardo  anzitutto evidenziare l'inscindibile unita' finalistica della disposizione contenuta nel citato art. 6, comma 3.
La  previsione secondo cui la sospensione della prescrizione non puo' comunque eccedere il tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni, si integra con l'altra, pure contenuta nel comma citato, secondo cui l'impedimento dell'imputato o del difensore non puo' mai giustificare un rinvio del processo per un tempo eccedente la reale necessita'.
Nel suo complesso, dunque, la disposizione contenuta nel citato art. 6, comma 3, appare chiaramente finalizzata ad una piu' rapida definizione del processo impedendo che il dibattimento possa soffrire stasi per periodi non necessari.
E proprio in ragione della predetta inscindibile unita' finalistica della disposizione citata non sembra possibile, richiamando ancora le motivazioni espresse dalla Corte Costituzionale anche nella sentenza n.277/1990 citata, una doppia considerazione della nuova disciplina che, se esaminata sotto il profilo del sistema processuale, costituisce  mezzo per giungere alla rapida definizione dei processi mentre, esaminata dal lato dell'imputato, rappresenta un vero e
proprio diritto per lo stesso a vedersi riconoscere un piu' breve termine di prescrizione.
Prevale, dunque, la natura processuale della disposizione citata con la conseguenza che appare coerente la scelta
operata attraverso la L. citata art. 10 di non renderla operativa per le udienze gia' celebrate.
Peraltro, la circostanza che la disposizione del citato art. 6 possa rivelarsi - in alcuni casi - piu' favorevole rispetto alle
precedenti, non appare di per se stessa decisiva, sotto il profilo dell'accertamento della conformita' ai principi costituzionali citati nell'art.10, comma 3, che sancisce, come detto, l'irretroattivita' delle nuove disposizioni.
Ed, invero, come piu' volte puntualizzato dalla Corte Costituzionale, dalla lettura dell'art.25 Cost., comma 2, emerge che solo il principio della irretroattivita' della legge penale incriminatrice ha acquistato valenza costituzionale, ma non quello della retroattivita' della legge piu' favorevole al reo.
Ne consegue che, come deve essere ritenuto conforme al disposto costituzionale il principio della retroattivita' della  disposizione piu' favorevole, alla stessa conclusione dovra' pervenirsi in ordine alla legge che preveda la irretroattivita'  di norme favorevoli (sent. n. 80 del 1995) e, soprattutto che il principio della retroattivita' della norma sopravvenuta piu' favorevole al reo, puo' subire deroghe, per via di legislazione ordinaria, quando ne ricorra una sufficiente ragione
giustificativa (ord. n. 419 del 1990; ord. n. 330 del  1995). 
Ed al riguardo va osservato che poiche' lo scopo della disposizione dell'art.6, comma 3 sembra essere quello di consentire una piu' rapida definizione del giudizio, incidendo sui tempi di rinvio delle udienze dibattimentali, appare del tutto razionale che, per i procedimenti in corso, tale istituto sia stato reso applicabile soltanto quando il suo scopo possa essere utilmente perseguito, e cioe' soltanto quando non vi sia stata ancora apertura del dibattimento.
Va di contro evidenziata l'irrazionalita' di un sistema che consentirebbe all'imputato stesso di giovarsi di una  situazione in cui il giudice, assolutamente ignaro della necessita' di contenere il termine, ha deciso un piu' lungo rinvio proprio per venire incontro alle esigenze dell'imputato o del suo difensore.
Nella specie occorre peraltro evidenziare che, in ogni caso, nel periodo ricompreso tra il 07/12/2004 e il 28/04/2005, il processo ha in realta' subito due distinti rinvii - il 07/12/2004, appunto, e, consecutivamente, il 10/03/2005 - in relazione ai quali e' stata di volta in volta espressamente disposta la sospensione del termine di prescrizione.
E tali rinvii non possono comunque essere unitariamente considerati nemmeno alla luce dell'art.6, comma 3 citato, in   quanto, quest'ultima disposizione, nel determinare il termine massimo di sospensione della prescrizione, fa evidentemente riferimento a singoli rinvii.
Ne consegue che la sospensione del termine di prescrizione, anche alla luce della nuova disciplina, non puo' ritenersi  comunque maturato.
Venendo ora all'esame delle successive doglianze rileva il Collegio quanto segue.
Per quanto concerne il primo motivo di ricorso, appare certamente corretta la motivazione della corte di merito che ha  rigettato l'istanza di sospensione del processo a seguito della presentazione dell'istanza di sanatoria ai sensi della L. 326 del 2003, art. 32.
Il giudice di merito ha correttamente motivato, infatti, il rigetto dell'istanza di sospensione sul rilievo che le opere  abusive sono state eseguite in zona vincolata e concernono un manufatto non destinato ad uso abitativo.
Cosi' facendo, infatti, la Corte d'Appello si e'  uniformata all'indirizzo di questa Corte, secondo cui la sospensione dei
procedimenti penali relativi ad illeciti edilizi fino alla scadenza dei termini per la definizione delle procedure di sanatoria, quale prevista dalla L. 28 febbraio 1985 n. 47, art. 44  (facente parte delle disposizioni richiamate dal D.L. 30 settembre 2003 n. 269, art. 32, comma 25, conv. con modif. in L. 24 novembre 2003 n. 326), richiede la previa verifica, da parte del giudice, della sussistenza dei requisiti astrattamente previsti dalla legge per l'applicabilita'
del  condono edilizio. (Sez. 3^, Sentenza n. 35084 del 25/03/2004 Rv. 229652).
Anche il secondo motivo di ricorso appare infondato.
Partendo dalla premessa che la Corte Costituzionale, con la sentenza n.265/1994, ha dichiarato l'illegittimita'  costituzionale degli artt.516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 c.p.p., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni, sostiene il ricorrente che debba essere necessariamente dato avviso all'imputato della possibilita' di richiedere il rito alternativo all'esito della nuova contestazione e che tale  omissione comporti la nullita' della sentenza.
Senonche', appaiono sul punto pienamente condivisibili le affermazioni della Corte di merito che ha rigettato l'eccezione
evidenziando che:
a) negli artt. 519 e 520 c.p.p. non e' contenuto alcun riferimento a tale garanzia; 
b) che neanche la Corte Costituzionale, pur dichiarando l'illegittimita' delle disposizioni citate, ha fatto in alcun modo cenno all'obbligo di inserire tale avvertimento nella copia del verbale notificato;
c) che l'assistenza del difensore rende superfluo qualsiasi ulteriore avvertimento.
Si puo' solo aggiungere al riguardo che per l'omissione dell'avviso, ancorche' quest'ultimo sia previsto da piu' disposizioni del codice (artt.552 e 460 c.p.p. e art. 551 c.p.p. n. 5), non e' mai espressamente prevista la nullita' dell'atto di riferimento, fatto salvo il caso del decreto di citazione a giudizio nel procedimento dinanzi al giudice monocratico (art. 552 c.p.p., comma 2).
E cio' ha gia' indotto questa Corte ad affermare, in precedenti occasioni, che, ad esempio, la norma dell'art. 451 c.p.p., n. 5, che prescrive che l'imputato contro il quale si  procede con giudizio direttissimo debba essere avvertito della facolta' di richiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, e' priva di sanzione e l'inosservanza non determina alcuna nullita' processuale potendo solo eventualmente assumere rilevanza ai fini di una responsabilita' disciplinare  secondo quanto previsto dall'art. 124 c.p.p. (Sez. 6, Sentenza n. 2773 del 10/01/1995 Rv. 201351).
Le considerazioni che precedono vanno evidentemente nel senso anche della manifesta infondatezza della questione di  legittimita' costituzionale sollevata.
Privo di specificita' e, quindi, inammissibile, appare il terzo motivo di ricorso non venendo indicate al riguardo  le  ragioni di diritto che sorreggono la richiesta.
In relazione al quarto motivo, osserva il Collegio che la Corte di merito motiva espressamente sulla determinazione  della pena, in maniera logica e congruente, e le determinazioni assunte si sottraggono, quindi, a censure in sede di legittimita'.
Quanto all'ordine di demolizione esso consegue ex lege alla condanna per i reati in esame e non puo' essere oggetto, quindi, di alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice.
Per quanto concerne il quinto motivo di ricorso dall'esame del verbale di udienza, si evince che all'udienza del  07/12/2004, era presente  l'avv.to  A.C., nominato in sostituzione del difensore di fiducia ai sensi dell'art. 102 c.p.p.,  che produceva delega e chiedeva rinvio per impedimento del difensore di fiducia che lo aveva nominato in sostituzione e che, inoltre, veniva reso edotto della data di rinvio.
Appare, pertanto, evidente che nessun ulteriore avviso spettava al difensore di fiducia per la comunicazione della data cui l'udienza era stata rinviata.
Ed, invero, questa Corte ha piu' volte affermato che in caso di impedimento del difensore dell'imputato, e di designazione di un suo sostituto ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma 4, quest'ultimo esercita i diritti ed assume i doveri del difensore sostituito, di talche', quando il dibattimento sia rinviato in ragione dell'impedimento del titolare della difesa e su istanza di questa, l'avviso dell'udienza successiva e' validamente recepito dal difensore sostituto, e nessuna comunicazione e' dovuta al sostituito (ex plurimis, Sez. 6^, Sentenza n. 19677 del 31/03/2004 Rv. 228229).
Quanto al sesto motivo di ricorso e' oramai pacificamente ammessa la subordinazione della sospensione condizionale  della pena alla demolizione del manufatto (ex plurimis Sez. 3^, Sentenza n. 18304 del 17/01/2003 Rv. 224719).
Appare peraltro correttamente e congruamente motivata la decisione della corte di merito che, dopo essersi soffermata sulla gravita' dell'abuso e sulla sua assoluta insanabilita', ritiene che solo la demolizione dell'opera realizzata da parte  del ricorrente possa giustificare la prognosi favorevole necessaria per concedere la sospensione della pena.
Si appalesa, infine, inammissibile il motivo aggiunto.
Come  costantemente affermato da questa Corte in materia di termini per l'impugnazione, la facolta' del ricorrente di presentare motivi nuovi trova il limite del necessario riferimento ai motivi principali dei quali, i motivi aggiunti, devono rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate ma  sempre collegabili ai capi e ai punti gia' dedotti. 
Sono pertanto ammissibili motivi nuovi con i quali, a fondamento del "petitum" dei motivi principali, si alleghino  ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori (ex plurimis: Sez. 1^, Sentenza n. 46950 del 02/11/2004 rv. 230281).
Chiedendo di rimettere al giudice di merito gli atti per valutare la possibilita' di subordinare la sospensione condizionale della pena alla prestazione di attivita' retribuita in favore della collettivita', il ricorrente introduce, in realta', un nuovo tema da esaminare che esula evidentemente dalle originarie doglianze circoscritte specificamente   alla motivazione relativa alla subordinazione della sospensione condizionale alla demolizione del manufatto.
Peraltro, la nuova tematica, indipendentemente dai profili di merito, bene avrebbe potuto essere prospettata contestualmente ai motivi originari, considerando anche che alla data della loro presentazione era gia' in vigore la disciplina della L. n. 145 del 2004 che aveva riformato l'istituto della sospensione condizionale della pena.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
                               P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi' deciso in Roma, il 13 dicembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2006
 
© Copyright Penale.it - SLM 1999-2012. Tutti i diritti riservati salva diversa licenza. Note legali  Privacy policy