Sull'istanza ex art. 175 c.p.p. si decide de plano
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da D.P.R., nato a ... il ... avverso l'ordinanza della Corte di Appello di Lecce in data 16 febbraio 2005;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Grassi;
vista la requisitoria del S. Procuratore Generale Dott. M. Fraticelli il quale ha concluso per il rigetto del ricorso in quanto infondato;
OSSERVA
Con sentenza del Tribunale, in composizione monocratica, di Lecce - Sez. Dist. di Campi Salentina - datata 21/1/04, R.D.P. veniva, in sua assenza, dichiarato colpevole del delitto di cui all’art.636 co. 3 c.p. e condannato alla pena di € 300,00 di multa.
Tale decisione veniva dichiarata irrevocabile per mancata impugnazione nei termini di legge, ma il D.P. con successiva istanza del 5/1/05 chiedeva alla Corte d’Appello di Lecce di essere restituito nel termine per proporvi appello, adducendo di non averlo presentato tempestivamente senza propria colpa in quanto:
- il suo difensore di fiducia aveva fatto pervenire, al Giudice di primo grado, istanza di rinvio del dibattimento, per concomitante impegno professionale;
- su tale istanza nessun provvedimento era stato emesso ed il Giudice aveva deciso dopo avergli nominato un difensore di ufficio il quale non aveva informato quello di fiducia né dell’esito della detta istanza, né dell’avvenuta pronuncia della sentenza;
- dell’emissione della decisione di primo grado egli era venuto a conoscenza solo il 30/12/04, in occasione della notifica del decreto di sospensione dell’ordine di carcerazione per l’eventuale presentazione di domanda di ammissione a misura alternativa;
- dunque, egli non aveva appellato la sentenza di sua condanna per avere ignorato, senza propria colpa, l’avvenuta definizione del processo.
La Corte d’Appello adita rigettava l’istanza, con ordinanza “de plano” del 16/02/05, rilevando e ritenendo:
- che non ricorreva alcuna delle condizioni legittimanti, ai sensi dell’art. 175 c.p.p., la chiesta rimessione in termine in quanto il D.P. ed il di lui difensore di fiducia, non avrebbero dovuto disinteressarsi del giudizio e se avessero chiesto in Cancelleria, come avrebbero potuto e dovuto fare, l’esito dell’istanza di rinvio del dibattimento, avrebbero avuto notizia della decisione e della data in cui era stata pronunciata;
- che l’omesso provvedimento sull’istanza di rinvio di che trattasi, che peraltro era facile prevedere sarebbe stata rigettata essendo infondata, non aveva determinato alcun insormontabile ostacolo alla conoscenza dell’esito del giudizio ed alla proposizione in termine dell’eventuale impugnazione.
Avverso tale ordinanza il D.P. ha proposto ricorso per cassazione e ne chiede l’annullamento, per violazione di legge, deducendo in particolare:
I. la nullità di essa, perché emessa “de plano” e non a seguito di procedimento camerale, a norma dell’art. 127 c.p.p.;
II. la violazione dell’art. 175 co. 1 c.p.p., per non essere stato ritenuto che la mancata, tempestiva impugnazione, da parte sua, della sentenza di primo grado, fosse da imputare a forza maggiore o a caso fortuito, sebbene detta decisione sia da considerare affetta da nullità per violazione dei suoi diritti di difesa, sia perché il giudizio era stato celebrato in assenza del suo difensore di fiducia, legittimamente impedito, il quale aveva chiesto il rinvio del dibattimento con apposita istanza sulla quale si era omesso di provvedere, sia perché il difensore d’ufficio, nominatogli, non aveva informato quello di fiducia dell’avvenuta emissione della sentenza di condanna.
La seconda sezione penale di questa Corte Suprema, alla quale il ricorso era stata assegnato “ratione materiae”, rilevata l’esistenza di un radicato contrasto, nella giurisprudenza di legittimità, in ordine alla questione se il procedimento per la decisione di istanza di restituzione nel termine debba essere celebrato nelle forme di cui all’art. 127 c.p.p., o se la relativa ordinanza possa essere emessa “de plano”, con provvedimento del 18/11/05 ne ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite penali ed il Primo Presidente della Corte ha fissato l’odierna udienza camerale per la conseguente deliberazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è destituito di fondamento e, come tale, deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente -a mente dell’art. 616 c.p.p.- al pagamento delle spese processuali.
L’art. 175 c.p.p., come modificato dalla L. 22/04/05, n. 60, nel primo comma prevede che il P.M., le parti private ed i difensori possono essere restituiti in un termine stabilito a pena di decadenza, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore, mentre nel secondo comma stabilisce che, se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato può essere restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione ovvero opposizione, a meno che abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento ed abbia volontariamente rinunciato a comparire, aggiungendo che, a tal fine, l’Autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica.
Il quarto comma della stessa disposizione di legge, nel regolare il procedimento da applicare per delibare qualsiasi istanza di restituzione nel termine, statuisce che su di essa “decide con ordinanza il Giudice che procede al tempo della presentazione della stessa”.
La questione controversa, sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi, è “se la decisione sulla richiesta di restituzione nel termine possa essere adottata con provvedimento de plano”.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità registra tre diversi indirizzi:
- il primo, fa discendere il rito applicabile, de plano o camerale, dalla natura del termine nel quale si chiede di essere restituiti e dalla fase processuale nella quale si apre il procedimento incidentale, con la conseguenza che il procedimento de plano potrebbe essere utilizzato solo in caso di sentenza contumaciale - in quanto il 4° comma dell’art. 175 c.p.p., che disciplina tale procedimento, non fa alcun richiamo all’art. 127 dello stesso codice -, mentre quello camerale partecipato dovrebbe essere usato se la richiesta viene presentata in sede di incidente di esecuzione, visto che a mente dell’art. 666 co. 3 c.p.p. il Giudice dell’esecuzione procede sempre con tale rito (v. Cass. pen., sez. V, 21/V/’96, n. 1332; sez. I, 26/02/’04, n. 8752);
- il secondo, ritiene necessario il procedimento camerale partecipato in ogni caso, dopo la modifica legislativa che ha imposto al Giudice di effettuare un controllo sulla salvaguardia effettiva delle garanzie difensive e di “compiere ogni necessaria verifica” (v. Cass. pen., sez. II, 2/XII/’05, n. 46207);
- il terzo, sostiene essere sempre applicabile la procedura de plano in quanto il 4° comma dell’art. 175 del codice di rito, che riguarda la procedura da adottare relativamente ad ogni richiesta di restituzione nel termine, non fa alcun richiamo allo art. 127 c. p. p. (v. Cass. pen., sez. II, 7/III/’05, n. 8773).
Questa Corte ha già statuito a Sezioni Unite, con sentenza n. 26156 del 29/V/’03 (ric. Di Filippo):
a) che il codice di rito ha predisposto un modello generale di procedimento in camera di consiglio, descritto nell’art. 127 c.p.p., la cui disciplina di base, diretta ad esaltare i profili di garanzia del contraddittorio orale mediante la partecipazione, eventuale, delle parti, sembra, in linea di principio, applicabile in ogni ipotesi di specie, ove non sia diversamente previsto;
b) che tale modello generale deve, dunque, applicarsi anche nei casi in cui il legislatore, nel prescrivere che il procedimento si svolga “in camera di consiglio”, senza regolamentarne particolari diversità di struttura, ometta di fare espresso riferimento alle forme dell’art. 127 del codice di rito;
c) che, quindi, quando in una disposizione di legge sia previsto che la decisione del Giudice debba essere emessa “in camera di consiglio” e non sia diversamente stabilito, trovano applicazione “per relationem” la procedura e le forme di base stabilite dallo art. 127 c.p.p.;
d) che laddove, invece, difetti l’indicazione normativa che la decisione deve essere adottata all’esito di procedimento “in camera di consiglio”, oppure la disposizione di specie stabilisca che il Giudice delibera “senza formalità”, o faccia uso di altre, analoghe espressioni, debbono ritenersi radicalmente escluse le forme del rito camerale di cui all’art. 127 c.p.p..
Non sembra, al riguardo, privo di significato quanto la Relazione al Progetto preliminare del c.p.p. (p. 136) afferma a proposito di un’esplicita ipotesi derogatoria prevista dall’art. 624 co.3 c.p.p. in materia di annullamento parziale nel giudizio di legittimità, quando precisa “... si e’ ritenuto necessario prevedere che la Corte, nel caso di specie, non sia tenuta all’osservanza delle particolari forme previste dall’art. 127, forme che altrimenti avrebbero dovuto trovare applicazione, essendo stabilite in via generale per tutti i procedimenti in camera di consiglio ...”.
E' innegabile che all'interno del sistema -il quale spesso denuncia una tecnica legislativa frammentaria ed eterogenea- si atteggiano variamente, oltre al modello camerale tipico delineato dall’art. 127 c.p.p., schemi procedimentali atipici, a seconda del differente grado di garanzia del contraddittorio che in essi é assicurato.
Basti considerare:
- le norme nelle quali il riferimento al procedimento “in camera di consiglio” é rafforzato dall’espresso richiamo alle “forme dell’art. 127” (artt. 32.1, 41.3, 48.1, 30.2, 263.2 e 5, 269.2, 309.8, 310.2, 311.5, 324.6, 406.5, 409.2, 428.2, 435.3, 599.1, 625-bis co. 4, 646.1, 734.1, 743.2), ovvero, pur non essendo seguito da analogo rinvio (artt. 600.1, 704.1, 718.1, 724.3), neppure é connotato da formule derogatorie del contraddittorio eventuale, che autorizzano il Giudice a deliberare senza la osservanza di alcuna formalità;
- le norme che, pur facendo riferimento al procedimento “in camera di consiglio”, prevedono, viceversa, la specifica deroga all’osservanza delle “forme di cui all'art. 127 c.p.p.” (art. 624.3);
- le norme che non prescrivono la procedura in camera di consiglio, né le forme dell’art. 127 e neppure il generico obbligo di sentire le parti (cfr., in tema di applicazione e di estinzione delle misure cautelari personali, gli artt. 292.1, 299.3 e 306.1: “il giudice provvede [dispone] con ordinanza”), così da ritenersi tacitamente autorizzata la deliberazione “de plano”, ovvero prevedono espressamente la esclusione del contraddittorio e l’adozione del provvedimento “de plano” mediante le perifrasi “senza formalità di procedura”, “senza ritardo”, “anche d'ufficio” (artt. 36.3, 41.1, 127.9, 591.2, 625-bis comma 4 c.p.p.);
- le norme, infine, che semplificano il contraddittorio camerale secondo forme più deboli, anche se non necessariamente cartolari, rispetto a quelle previste dall’art. 127 c.p.p. (artt. 304.3, 305.2, 406.4 e, precipuamente, art. 611.1 per il procedimento camerale davanti la Corte di Cassazione), ovvero lo rafforzano mediante la prescritta partecipazione necessaria delle parti (artt. 391.1, 401.1, 420, 469, 666.4).
Il Legislatore è sovrano nel dettare le regole di diritto che intende siano applicate ai diversi procedimenti ed un’attenta analisi del sistema induce a ritenere, come detto, che quando vuole che si proceda nel contraddittorio delle parti, lo dice prevedendo espressamente il “procedimento in camera di consiglio”.
Orbene, per la delibazione delle richieste di restituzione in termini l’art. 175 co. 4 c.p.p. non prevede che si proceda in camera di consiglio, né fa espresso riferimento alle forme di cui all’art. 127 c.p.p., sicché è legittimo che su di esse si provveda “de plano”, a meno che il relativo procedimento incidentale si inserisca in un procedimento principale in corso di svolgimento con rito camerale, a contraddittorio orale o cartolare, come avviene quando l’istanza é presentata in sede di incidente di esecuzione, nel qual caso mutua le forme del procedimento principale..
Allorché si tratti di richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione non può dirsi che essa deve essere delibata “de plano” perché, ex art. 591 c.p.p., sull’ammissibilità della impugnazione il Giudice provvede con ordinanza “inaudita altera parte”.
In tal caso, invero, la valutazione della richiesta di restituzione in termine precede il procedimento di impugnazione e di esso costituisce un “prius”, sicché il provvedimento “de plano” è legittimato non dalla norma del codice di rito da ultimo richiamata, ma dalla mancata previsione generale del procedimento in camera di consiglio al quale deve farsi ricorso, come detto, soltanto nei casi in cui la richiesta si inserisca in un procedimento in corso di svolgimento con rito camerale.
Alla luce dell’enunciato principio di diritto deve ritenersi che, nella fattispecie in esame, la richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di condanna emessa in primo grado a carico del D.P. è stata valutata legittimamente con ordinanza “de plano”.
Il secondo motivo di ricorso è pure infondato.
La rimessione nel termine per proporre impugnazione è stata chiesta dal D.P. ai sensi dell’art. 175 co. 1 c.p.p., il quale ne individua le possibili cause nella forza maggiore o nel caso fortuito.
L’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, in relazione ai concetti di forza maggiore e caso fortuito, consente di ritenere ormai pacifico che costituisce causa di forza maggiore quel fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, perciò, è irresistibile, mentre si definisce caso fortuito ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo.
Ciò che caratterizza, dunque, il caso fortuito è la sua “imprevedibilità”, mentre nota distintiva della forza maggiore è l’elemento della “irresistibilità”.
Connotazione comune ad entrambi è la “inevitabilità” del fatto.
Nel caso in esame, il difensore d’ufficio - che rivestiva la qualifica di sostituto ai sensi dell’art. 102 c.p.p. e, quindi, esercitava gli stessi diritti e doveva assumere gli stessi doveri del difensore di fiducia - ha violato gli obblighi di diligenza che incombevano su di lui, in quanto era tenuto ad avvertire il difensore di fiducia che l’istanza di rinvio dallo stesso presentata era stata respinta, che era stata emessa una sentenza di condanna dell’imputato e che decorrevano i termini per impugnarla.
Gli effetti di tale comportamento omissivo sulla decisione di condanna non debbono essere valutati da questa Corte Suprema, potendo costituire motivo di impugnazione in caso di restituzione nel termine per proporla.
Ciò che in questa sede rileva, ai fini dell’accoglibilità o meno dell’istanza di rimessione in termini, è stabilire se la mancata conoscenza dell’esito del processo di primo grado, da parte del D.P. e del suo difensore di fiducia, sia stato determinato da caso fortuito o da forza maggiore.
Al quesito è stata data legittimamente, dalla Corte d’Appello, risposta negativa dal momento che non si verte in ipotesi di evento non evitabile con la normale diligenza, né di causa di forza maggiore, cioè di evento irresistibile, visto che, con un comportamento improntato a normale diligenza, quale costituito da un accesso nella Cancelleria del Giudice che doveva celebrare il dibattimento, il difensore di fiducia avrebbe potuto conoscere per tempo che era stata pronunciata una sentenza di condanna e presentare impugnazione.
Le omissioni ascrivibili al difensore d’ufficio non hanno dato luogo ad evento irresistibile, né imprevedibile e, dunque, inevitabile.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso proposto da R.D.P. avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Lecce in data 16/02/05 e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 11.04.06
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Nicola MARVULLI - Presidente
Dott. Francesco MORELLI - Componente
Dott. Giorgio LATTANZI - Componente
Dott. Bruno ROSSI - Componente
Dott. Aldo GRASSI - Componente relatore
Dott. Giovanni DE ROBERTO - Componente
Dott. Pietro Antonio SIRENA - Componente
Dott. Giuliana FERRUA - Componente
Dott. Francesco MARZANO - Componente
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