Una articolata questioni di legittimità costituzionale in materia di appello pendente della parte civile (tratta da www.movimentoperlagiustizia.it).
Corte d’assise d’appello di Venezia
Sez. II
ordinanza 8 maggio 2006
Prea. Lanza
Est. Citterio
Imp. Coci + 3
N. 4/06 RG
CORTE D’ASSISE D’ APPELLO di VENEZIA
SECONDA SEZIONE
La Corte,
composta dai Magistrati:
Luigi LANZA Presidente
Carlo CITTERIO Consigliere estensore
Giuseppe Ivo VETTORI Giudice popolare
Cornelio PONSO “
Renato PONTAROLLO “
Gabriella MORO “
Fortunato LONGATO “
Antonio FRASSETTO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel procedimento a carico di COCI KASTRIOT, COCAJ SAJMIR, TOSKU SOKOL, LAZE
ALKET, CARLETTI IGNAZIO FABIO;
1. rilevato che:
- con sentenza del 31.5.2005 la Corte d’Assise di Treviso ha assolto gli
imputati dai delitti di concorso in omicidio volontario in danno di ERROUSSAFI
EL BACHIR, nonché detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola,
condannandoli invece per delitti di concorso in favoreggiamento e sfruttamento
della prostituzione, con condotte variamente articolate;
- avverso tale sentenza hanno proposto appello tutti gli imputati in relazione
ai capi per i quali vi è stata condanna, nonché la parte civile (tale si era
costituito il fratello della vittima) avverso gli imputati COCI, COCAJ, TOSKU e
LAZE, contestando il loro proscioglimento per il delitto di omicidio e chiedendo
l’affermazione della loro responsabilità con condanna all’integrale risarcimento
dei danni morali subiti;
- con legge 20.2.2006 n 46, in vigore dal 9.3.2006, il legislatore ha modificato
la disciplina del sistema delle impugnazioni, in particolare per le sentenze di
proscioglimento, e che in esito a tale modifica si pone la pregiudiziale
questione della permanenza dell’efficacia dell’appello pur tempestivamente e
ritualmente proposto dalla parte civile;
2. ritenuto che:
- l’attuale testo del primo comma dell’art. 576 c.p.p. ha sganciato la parte
civile dal pubblico ministero, prevedendo ora che essa possa proporre
impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione
civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di
proscioglimento pronunciata nel giudizio;
- nessuna modifica è stata però contestualmente introdotta nell’art 593 c.p.p.
che, disciplinando i casi di appello, tuttora prevede la possibilità di
appellare per i soli imputato e pubblico ministero (e in misura diversa e più
contenuta rispetto a prima);
- nessuna modifica è stata altresì introdotta al primo comma dell’art. 568
c.p.p., che tuttora afferma il cosiddetto principio della tassatività dei mezzi
di impugnazione, disponendo che ;
- conseguentemente allo stato non vi è una norma di legge che attribuisca
positivamente alla parte civile il mezzo di impugnazione costituito
dall’appello, in particolare (solo caso che qui rileva) avverso le sentenze di
proscioglimento emesse a seguito di giudizio dibattimentale e pertanto si deve
concludere che oggi la parte civile ha come unico strumento di impugnazione,
avverso le sentenze dibattimentali di primo grado, tanto di condanna che di
assoluzione, il ricorso per cassazione (combinato disposto degli artt. 576 nuovo
testo, 568.1, 568.2 c.p.p. e 111 penultimo comma Cost.);
- non sono condivisibili le interpretazioni che vorrebbero confermato il
precedente potere di appello della parte civile, richiamando gli artt. 600.1,
605.2, 601.1 e 622:
. l’art 600.1 ha per oggetto esclusivamente il peculiare caso dell’omessa
pronuncia o del rigetto relativamente alla richiesta di provvisoria esecuzione
proposta ai sensi dell’art 540.1, e dà vita ad un autonomo procedimento
incidentale, del tutto autonomo rispetto al procedimento principale, che si
conclude con la pronuncia di un’ordinanza; esso presuppone poi necessariamente
che vi sia stata una sentenza di condanna penale ed al risarcimento del danno, e
che l’imputato abbia proposto appello (altrimenti essendo già in giudicato la
statuizione civilistica);
. l’art 605.2 mantiene anch’esso permanente efficacia nei casi di condanna al
risarcimento in primo grado che non sia stata accompagnata dalla dichiarazione
di provvisoria esecuzione: questa consegue ex lege dalla sentenza di appello
(che chiuda il secondo grado di merito attivato dall’imputato condannato);
. l’art. 601.1, laddove prevede l’obbligo di citazione dell’imputato non
appellante , è comunque
compatibile tuttora con i casi dell’appello del coimputato ovvero del
responsabile civile (art.587.1 e 4);
. l’art. 622 è anch’esso compatibile con i soli casi dell’impugnazione
dell’imputato condannato e del ricorso per cassazione della parte civile avverso
la sentenza di primo grado, né l’individuazione del giudice di rinvio nella
corte d’appello ha alcun rilievo qui pertinente, posto che espressamente tale
individuazione è prevista anche per il caso della sentenza inappellabile, sicchè
in buona sostanza tale norma altro non fa che individuare il giudice di appello
quale giudice del rinvio per il caso di annullamento dei capi civilistici della
sentenza;
.. in definitiva, nessuna di queste norme presuppone necessariamente ed
indefettibilmente la permanenza del potere di appello della parte civile, in
particolare avverso le sentenze dibattimentali di proscioglimento, ciascuna di
esse conservando piena efficacia e senso sistematici anche con la sopravvenuta
abolizione di un tale potere, sicchè nessuna di esse, da sola o insieme
considerate, è in grado di costituire fonte normativa autonomamente attributiva
del potere di appello alla parte civile soccombente;
ritenuto che:
- il richiamo ai lavori parlamentari ed a quella che in realtà sarebbe stata la
diversa intenzione del legislatore, in particolare a fronte del rinvio del testo
originario della legge che poi ha assunto il n. 46/2006 da parte del Capo dello
Stato, è irrilevante: dopo aver incidentalmente osservato che anche in quella
fase del dibattito parlamentare si parla solo di autonomo potere di impugnazione
e mai espressamente del potere di appello della parte civile, non può che
richiamarsi la granitica giurisprudenza e dottrina sull’inidoneità dei motivi
della legge a introdurre una norma positiva che non sia stata formalmente
creata;
- altrettanto non pertinenti appaiono i rilievi che sono stati da alcuni
proposti in ordine all’incoerenza del sistema così complessivamente
determinatosi, specialmente per le implicazioni sull’ambito di applicazione
dell’art 580 c.p.p. ovvero sull’astratta possibilità che avverso la stessa
statuizione più parti, e addirittura la stessa parte, debbano proporre diversi
mezzi di impugnazione:
. da un lato deve infatti osservarsi che nessuna insuperabile incoerenza può
ravvisarsi nel fatto che la parte civile debba proporre appello avverso il
diniego della provvisoria esecuzione (appunto art. 600.1) e ricorso per
cassazione avverso la reiezione parziale delle proprie domande, atteso che come
già evidenziato quello ex art 600.1 è procedimento incidentale del tutto
autonomo rispetto al procedimento principale;
. dall’altro si deve prendere atto che è l’incoerenza complessiva della riforma
che ha determinato situazioni asistematiche quale sbocco fisiologico
dell’applicazione delle nuove norme, sicchè è ora fisiologico ad esempio che il
pubblico ministero - nel caso in cui vi siano stati due capi di imputazione a
carico del medesimo imputato, definiti in primo grado con una condanna ed un
proscioglimento - debba proporre appello se contesta il trattamento
sanzionatorio della condanna e ricorso per cassazione per il proscioglimento, ed
è fisiologico che la sorte procedimentale del coimputato prosciolto e colpito
dall’impugnazione per cassazione del pubblico ministero sia legata alle
iniziative del coimputato condannato (in grado di determinare o meno
l’operatività dell’art 580 nei confronti del prosciolto e quindi il suo giudizio
davanti alla corte di cassazione ovvero al giudice di appello);
.. pertanto né tali presunte incoerenze riguardano la sola parte civile, né per
rimediare ad esse può crearsi una norma che non c’è e che non sarebbe possibile
individuare, qui dovendosi eventualmente costruire un diverso sistema positivo;
ritenuto pertanto che deve allo stato giudicarsi non più ammesso l’appello della
parte civile avverso le sentenze dibattimentali di proscioglimento;
rilevato che:
- con eccezione rispetto al principio del tempus regit actum il legislatore
della 46/2006 ha dettato una disciplina transitoria che espressamente al primo
comma dell’art. 10 prevede l’applicazione della novella ai procedimenti in
corso;
- la disciplina transitoria si completa con le previsioni:
. delle modalità di dichiarazione dell’inammissibilità degli appelli avverso
sentenze di proscioglimento proposti dall’imputato o dal pubblico ministero
(comma 2);
. di un termine per la proposizione del ricorso per cassazione, che decorre
dalla notifica di tale ordinanza di inammissibilità (comma 3);
. dell’applicabilità della nuova disciplina anche nel caso di annullamento di
sentenze di condanna intervenute per la prima volta in grado di appello (comma
4);
. di un termine per l’integrazione dei ricorsi per cassazione già pendenti
(comma 5);
ritenuto che:
- una volta accolta l’interpretazione che questa Corte serenissima ha giudicato
corretta, si pone la questione della sorte degli appelli proposti dalla parte
civile, ritualmente presentati ma non ancora definiti con sentenza di secondo
grado;
- taluno ha sostenuto che la disciplina transitoria non si applicherebbe alla
parte civile (argomentando in sintesi che il primo comma detterebbe un mero
‘principio di favore per l’imputato’, mentre la concreta ed efficace disciplina
dovrebbe rinvenirsi solo nel secondo e terzo comma e, pertanto, condurrebbe a
ritenere la sopravvenuta inammissibilità degli appelli pendenti solo se proposti
da queste due parti principali del processo penale);
- tale interpretazione appare francamente non accoglibile, atteso che già la
sola lettera attesta in modo davvero inconfutabile che la regola
dell’applicazione immediata ai processi pendenti è autonomamente ed
esaustivamente contenuta nel primo comma dell’art. 10, mentre il secondo e terzo
comma si risolvono, sul piano sistematico, nella previsione delle modalità di
una sorta di restituzione nel termine per la proposizione del ricorso per
cassazione, proposizione che sarebbe stata inevitabilmente preclusa dalla ‘mera’
immediata applicazione della nuova legge;
- il fatto che tale ‘restituzione in termini’ sia prevista solo per l’imputato o
il pubblico ministero si spiega con quello che già si è evidenziato pare essere
stato un francamente clamoroso infortunio del legislatore (con l’intervento
sull’art 576 non accompagnato dal contemporaneo adeguamento dell’art 593), senza
che dal contenuto di tali due commi possa argomentarsi una positiva volontà di
esclusione della parte civile, idonea addirittura a modificare l’inequivoco
contenuto del primo comma dell’art 10;
ritenuto pertanto che oggi questa Corte d’Assise d’Appello lagunare dovrebbe
dichiarare l’inammissibilità sopravvenuta dell’appello proposto dalla parte
civile, ovvero trasmettere gli atti alla Corte di cassazione perché valuti sulla
riqualificabilità dell’impugnazione già proposta in termini di ricorso per
cassazione, eventualmente poi restituendo gli atti per la conversione in appello
(nei limiti dei ritenuti idonei ed ammissibili motivi di legittimità rinvenibili
in tale impugnazione) ove si ritenga l’art 580 c.p.p. nel suo pure nuovo testo
applicabile anche nel caso di ricorso della parte civile per capo diverso ma
probatoriamente connesso a quelli di condanna penale per cui è intervenuta
invece condanna;
3. ritenuto che:
- la situazione procedimentale come ricostruita (appello ritualmente proposto,
divenuto inammissibile per mutamento legislativo, con impossibilità anche di
usufruire eventualmente della restituzione in termini per proporre un idoneo
nuovo ricorso per cassazione) pone tre questioni di possibile lesione dei
diritti costituzionali, in logico subordine tra loro:
a) se sia costituzionalmente legittima l’intervenuta abolizione dell’appello
della parte civile avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate in
giudizio;
b) se sia costituzionalmente legittima la vanificazione dell’avvenuto esercizio
di un diritto processuale sussistente nel momento in cui è stato legittimamente
esercitato, senza che la parte abbia più la possibilità di esercitare lo stesso
o analogo diritto di azione anche in altra sede giurisdizionale;
c) se sia costituzionalmente legittima l’omessa attribuzione alla parte civile
della facoltà riconosciuta all’imputato e al pubblico ministero dai commi 2 e 3
dell’art. 10 della legge 46/2006;
3.1a) ritenuto che:
- l’impossibilità per la parte civile di proporre appello avverso le sentenze di
proscioglimento a seguito di giudizio, che pur hanno respinto la sua domanda
risarcitoria, all’odierno stato della normativa non pare presentare i profili di
una non manifestamente infondata questione di costituzionalità;
- i parametri costituzionali astrattamente rilevanti parrebbero essere quelli
degli artt. 3 e 111.2, e 24 Cost.;
- tuttavia il fatto che il danneggiato conservi sempre il pieno potere di
esercitare la sua azione risarcitoria nella naturale sede civile, in alternativa
alla scelta di esercitare quell’azione nel processo penale, attraverso la
costituzione di parte civile, ridimensiona o caratterizza in modo peculiare il
pregiudizio: il danneggiato, infatti, deve oggi scegliere tra utilizzare la
facilitazione probatoria che il processo penale gli offre, correndo però il
rischio di non poter ottenere un secondo giudizio di merito nel caso in cui la
sua domanda risarcitoria sia respinta, ovvero adire la naturale sede del giudice
civile, sopportando maggiori difficoltà quanto all’adempimento dell’onere della
prova (e tuttavia non sempre, si pensi al caso dei danni da colpe professionali
in rapporti contrattuali) ma tuttavia conservando la possibilità di ottenere in
quella sede un (non costituzionalizzato) secondo grado di merito;
- la storia recente dell’evoluzione dei poteri di appello per quanto riguarda la
parte civile (art. 195 e 23 c.p.p. 1930, 576 c.p.p. 1989) manifesta la
fisiologia di una disciplina dei poteri d’impugnazione differente, tra le parti
private, e, specialmente, segnala un precedente specifico della Giurisprudenza
costituzionale: con la sentenza n.1/1970 il Giudice delle Leggi ha già
espressamente insegnato che <… per quanto riguarda in generale il diritto di
difesa (con riferimento all’art. 24 Cost) la parte civile ha modo di esercitarlo
pienamente nel primo grado del giudizio; sì che, sotto questo aspetto, l’art. 24
della Costituzione non può ritenersi violato. Altrettanto si dica dell’art. 3 se
alla parte civile è negato, in certi casi, il diritto di appellare, ciò si
giustifica con la singolare posizione che essa, come parte lesa, ha nel processo
penale; per cui non sembra irragionevole che, nel silenzio del pubblico
ministero e dell’imputato, le manchi il potere di provocarne il riesame sul
fatto>; si tratta di un insegnamento che, se da un lato risale al 1970 ed al
codice previgente e se pur pare idoneo ad indicare possibili aspetti di
irragionevolezza del caso di una preclusione dell’impugnazione quando altre
parti, esse legittimate, abbiano impugnato la medesima sentenza così
determinando l’intervento del giudice del secondo grado di merito nel processo,
tuttavia sembra collocare decisamente la questione dei poteri d’impugnazione
riconosciuti al danneggiato nel processo penale nell’ambito della
discrezionalità del legislatore ordinario piuttosto che in quello dei principi
costituzionali;
- se infine è vero che anche dopo la legge 46/2006 il responsabile civile
mantiene la possibilità di appellare ai soli fini civili (art. 575.1), tuttavia
la sua impugnazione giova anche all’imputato, se accolta, e tanto potrebbe
attribuire ragionevolezza all’attribuzione di diversi poteri d’impugnazione al
responsabile civile ed alla parte civile;
- pertanto questa prima questione di costituzionalità pare a questa Corte
distrettuale manifestamente infondata; non può tuttavia non osservarsi che in
ogni caso ben potrà eventualmente la Corte delle leggi, che si va ad adire per
le successive altre due questioni, intervenire comunque, nell’esercizio dei
poteri riconosciutile dall’art. 27 seconda parte legge 11.3.1953 n. 87;
3.1b) ritenuto che:
- la retroattività dell’inammissibilità dell’appello già tempestivamente e
ritualmente proposto appare invece palesemente contrastante con il diritto di
difesa riconosciuto alla parte danneggiata dall’art. 24 Cost.;
- mentre l’abolizione dell’appello per i nuovi processi lascia alla parte
danneggiata il pieno potere di valutare responsabilmente il rapporto tra
vantaggi e svantaggi dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale
piuttosto che nella sede propria civile, la disciplina contenuta nel primo comma
dell’art. 10 della legge 46/2006 confisca di fatto il diritto di azione già
esercitato, vanificandolo senza rimedi e senza alcuna ragionevolezza;
- se infatti può riconoscersi ragionevolezza (una volta che si consideri
costituzionalmente corretta l’abolizione dell’appello del pubblico ministero)
alla vanificazione degli appelli della parte pubblica in atto, afferendo essi
alla sfera della libertà personale e del settore penale, dove l’unico
pregiudizio per l’imputato può appunto venire dalla parte pubblica, nessuna
ragionevolezza pare davvero potersi riconoscersi alla paralisi imposta alla
pretesa civilistica del danneggiato, che se proposta nella sede civile avrebbe
tranquillamente potuto essere coltivata ulteriormente, afferendo la sfera e
l’ambito del patrimonio del preteso responsabile;
- il primo comma dell’art. 10 appare pertanto contrastare con gli artt. 3, 111 e
24 Cost., nella parte in cui non consente la pronuncia della sentenza di merito
nel secondo grado, per gli appelli proposti dalla parte civile ritualmente prima
dell’entrata in vigore della nuova disciplina;
3.1c) ritenuto che:
- ove la precedente questione di costituzionalità venisse giudicata
inammissibile o infondata, in via subordinata appare a questa Corte lagunare non
manifestamente infondata la terza questione in esame;
- se infatti fosse giudicata legittima l’applicazione della nuova disciplina
anche agli appelli pendenti della parte civile avverso le sentenze di
proscioglimento, devono rinnovarsi le argomentazioni già efficacemente svolte da
altra Sezione ordinaria di questa Corte d’Appello di Venezia (Corte d’Appello
Venezia, prima Sezione, Ord.15.3.2006, Pres. est. Dodero):
Tale interpretazione della legge di riforma, ha insegnato la Suprema Corte,
espone la stessa a più che fondati dubbi di legittimità costituzionale. E’ vero
infatti che il doppio grado del giudizio di merito non è un principio
costituzionalmente garantito, ma è anche vero che, se il secondo giudizio di
merito era stato richiesto nel momento in cui esso era previsto dalla legge, le
conseguenze della sua soppressione non possono retroagire senza che ciò si
traduca in una sostanziale espropriazione del diritto di difesa dell’appellante,
sul quale ricadrebbero le conseguenze negative della forzata conversione del
mezzo di impugnazione.
Nel caso di specie il legislatore ha provveduto ad impedire tale conseguenza
soltanto per quanto riguarda il pubblico ministero e l’imputato, prevedendo in
loro favore una sostanziale restituzione in termini per proporre ricorso per
Cassazione secondo il meccanismo previsto dai commi 2 e 3 dell’art. 10, mentre
nulla è detto a proposito della parte civile.
Né sarebbe consentito, per il principio della tassatività dei mezzi di
impugnazione, interpretare estensivamente tale disciplina in modo da applicarla
anche alla parte civile.
Ciò comporta un’evidente disparità di trattamento tra P.M. ed imputato da un
lato e parte civile dall’altro, disparità che non trova alcuna ragionevole
giustificazione trattandosi in tutti e tre i casi di parti dello stesso
procedimento. Disparità che costituisce, perciò, palese violazione del principio
di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. (che impone eguale trattamento di
situazioni eguali) e del principio della parità delle parti sancito dall’art.
111 Cost>.
4. ritenuto che, poiché la deliberazione di inammissibilità dell’appello
costituisce certamente momento di esercizio della giurisdizione, deve prendersi
preliminarmente atto della rilevanza delle due questioni nel presente giudizio:
la loro decisione, infatti, è idonea e necessaria per individuare l’ambito della
cognizione attribuita a questo Giudice, in particolare imponendo la cessazione o
la prosecuzione dell’esame dell’appello proposto dalla parte civile in questo
specifico processo;
5. ritenuto che, essendo stato arrestato l’imputato LAZE ALKET, latitante
all’epoca della pronuncia della sentenza di primo grado, si rende opportuno
procedere alla separazione delle posizioni processuali relative ai capi di
imputazione diversi dall’omicidio, ed in particolare afferenti i capi C, D ed E;
6. ritenuto pertanto che vanno adottati i provvedimenti ordinatori di cui al
dispositivo;
P.Q.M.
Visto l’art. 23 della legge n. 87 dell’11.3.1953,
dichiara rilevanti nel presente giudizio e non manifestamente infondate le
questioni di legittimità costituzionale:
1) in principalità,
del primo comma dell’art. 10 della legge 20.2.2006 n 46 in relazione agli artt.
3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui prevede l’applicazione della nuova
disciplina anche all’appello proposto dalla parte civile avverso la sentenza di
proscioglimento pronunciato nel giudizio, già pendentE all’atto della sua
entrata in vigore;
2) in subordine,
del secondo e terzo comma dell’art 10 della legge 20.2.2006 n. 46 in relazione
agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono la loro applicazione
anche all’appello proposto dalla parte civile contro una sentenza di
proscioglimento.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Sospende il presente processo, relativamente all’imputazione di omicidio (capo
A), e dispone la separazione degli atti relativi alle altre imputazioni, per la
cui trattazione rinvia all’udienza del 5 giugno ore 9.30 in quest’aula,
disponendo nuova traduzione del LAZE e dando comunicazione del rinvio ai
presenti.
Ordina che, a cura della Cancelleria, l’ordinanza sia notificata agli imputati
contumaci ed al Presidente del Consiglio dei ministri, e comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Letta in pubblica udienza, alla presenza del Procuratore generale, dei Difensori
degli imputati e degli imputati LAZE e COCI.
Venezia-Mestre, aula bunker, li 8. 5. 2006
Il Consigliere est. Il Presidente
dr. Carlo Citterio dr. Luigi Lanza
I Giudici popolari
(tratto da www.movimentoperlagiustizia.it)
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