Penale.it  
 Tribunale di Perugia, in composizione monocratica, Ordinanza 20 aprile 2006

Legge Pecorella: questione di legittimitą costituzionale per il regime transitorio nei reati di competenza del giudice di pace

TRIBUNALE DI PERUGIA
SEZIONE PENALE

IL GIUDICE

Letti gli atti del processo n. ... R.G. Dib. a carico di A.G., nato a ... il ..., originato dall’appello proposto sia dal P.M. presso questo Tribunale sia dalla parte civile A.H.O. avverso la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Perugia in data 13-7-2004, con la quale l’imputato A. è stato assolto dal reato di diffamazione in danno dell’A.H., perché il fatto non sussiste secondo la regola di giudizio di cui all’art. 530 cpv. cpp, sub specie di insufficienza e contraddittorietà della prova;
atteso che l’appello del P.M. fa leva sull’inadeguata valutazione delle prove testimoniali raccolte in primo grado;
considerato che l’appello della parte civile, presentato pure agli effetti dell’art. 577 cpp, fa leva anche sulla necessità di rinnovare l’escussione dei testi uditi in primo grado;
rilevato che con autonoma memoria, non tempestiva agli effetti dell’art. 585/4° co. cpp, la parte civile ha chiesto altresì l’audizione di testi, in specie F.M. e L.G., non escussi in primo grado;
considerato che con ordinanza del 3-10-2005 questo Giudice, in parte qua accogliendo le richieste della parte civile, ha ritenuto necessario procedere al nuovo esame di due dei testi escussi in primo grado, cioè B.L. e N.R., mentre ha rilevato la tardività dell’indicazione di nuove prove, agli effetti dell’art. 603/1° co. cpp;
rilevato che all’udienza del 25-1-2006 si è proceduto all’audizione delle testi summenzionate e all’esito è stata disposta, su richiesta della parte civile, cui ha aderito il P.M., l’acquisizione del verbale di assemblea condominiale del 2-11-2001 e la citazione della teste F.M., indicata dalla N.R. come propria collaboratrice e come persona presumibilmente presente all’assemblea condominiale, nel corso della quale sarebbero avvenuti i fatti di causa;
atteso che in data 9-3-2006 è entrata in vigore la L 20 febbraio 2006 n. 46;
rilevato che ai sensi dell’art. 1 di tale legge è stato modificato l’art. 593 cpp, nel senso che è oggi precluso l’appello del P.M. e dell’imputato avverso le sentenze di proscioglimento, fatto salvo il caso, contemplato dal riformulato secondo comma dell’art. 593 cpp, in cui agli effetti dell’art. 603/2° co. cpp venga dedotta una prova nuova, che sia altresì decisiva;
considerato che ai sensi dell’art. 9 L 46/2006 è stato soppresso nell’art. 36 D.l.vo 274/2000 il riferimento alla possibilità per il pubblico ministero di proporre appello avverso sentenze di proscioglimento emesse dal Giudice di Pace per reati puniti con pena alternativa;
atteso che alla stregua di quanto previsto dall’art. 10 L 46/2006 la nuova legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima e che ai sensi del secondo comma di tale articolo l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall’imputato o dal pubblico ministero prima di tale entrata in vigore viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile, decorrendo poi dalla notifica dell’ordinanza il termine di giorni 45 per la proposizione di un ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado;
ritenuto di dover sollevare, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10/2° co. L 46/2006 per contrasto con gli artt. 3 e 111 cpv. Cost., nella parte in cui irragionevolmente prevede sic et simpliciter l’inammissibilità dell’appello presentato dal pubblico ministero prima dell’entrata in vigore della legge 46 cit., avverso una sentenza di proscioglimento, anche emessa dal Giudice di Pace, pur nel caso in cui per effetto della rinnovazione del dibattimento già disposta prima di tale entrata in vigore una prova nuova e decisiva sia stata raccolta o comunque individuata, così da poter essere raccolta,
  RITENUTO
L’interpretazione letterale degli artt. 1 e 10 della L 46/2006 conduce alla conclusione che, proposto dal P.M., prima dell’entrata in vigore di tale legge, appello avverso sentenza di proscioglimento, questo deve essere dichiarato inammissibile, con la sola possibilità della presentazione di un ricorso per cassazione entro quarantacinque giorni dalla notifica della relativa ordinanza.
Va però rilevato come il principio cardine della norma transitoria sia quello dettato dal primo comma dell’art. 10, secondo cui la nuova legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima.
Ciò significa che, se per caso non sia stato ancora proposto appello, quest’ultimo è ormai precluso, salvo che ricorra l’ipotesi di cui al secondo comma del riformulato art. 593 cpp, incentrato sulla deduzione di prova nuova e decisiva.
Ora, sebbene il tenore letterale dell’art. 10 cpv. L 46 cit militi nel senso della declaratoria di inammissibilità in tutti i casi, non si vede perché mai debba dichiararsi inammissibile un appello, già proposto, nel quale per avventura venga dedotta una prova nuova e decisiva.
Fra l’altro dall’inammissibilità potrebbe, se del caso, discendere la sola possibilità di ricorso per cassazione e non anche quella di un nuovo appello conforme alla normativa sopravvenuta, il che vale a rendere palesemente irrazionale il sistema ricostruito sulla base della mera interpretazione letterale, implicante per l’appellante, in via transitoria, un trattamento deteriore rispetto a quello assicurato “a regime”.
Si impone dunque un’interpretazione adeguatrice, del resto già avanzata da parte della dottrina e affacciatasi anche nella giurisprudenza di merito, in forza della quale possa farsi salvo quell’appello che sia già conforme alla nuova normativa, secondo quanto è ragionevole desumere proprio dall’art. 10/1° co. L 46/2006 e senza necessità di una sua riproposizione o, peggio, della proposizione del solo ricorso per cassazione.
Ma se è così, non si vede perché mai dovrebbe essere trattato diversamente il caso in cui nella fase del giudizio di appello regolarmente svoltasi prima dell’entrata in vigore della nuova legge, a seguito di rinnovazione del dibattimento, sia stata già raccolta o comunque già individuata, così da poter essere raccolta, una prova nuova che sia altresì decisiva.
Si badi, il caso non può essere risolto sul piano interpretativo, in quanto il parametro non è costituito in questo caso dal profilo strutturale dell’appello in precedenza proposto, profilo strutturale che, come si è visto, non potrebbe giustificare un trattamento diverso e deteriore.
Peraltro la situazione che viene a determinarsi è sul piano sostanziale la stessa riveniente da un appello nel quale direttamente si deduca la prova nuova e decisiva.
Anche alla stregua del principio di ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111 cpv. Cost., è dunque irragionevole che l’appello in quella particolare situazione non debba continuare ad avere il suo corso, ciò tanto più se si considera che al P.M., stando al tenore dell’art. 10 L 46 cit., sarebbe addirittura preclusa la proposizione di un nuovo appello nel quale possa dedursi la sopravvenienza conosciuta o acquisita -con palese deprivazione di facoltà riconosciute invece “a regime”-, ma sarebbe residualmente concesso il solo ricorso per cassazione.
Ma più in generale, ed anche a prescindere dal dato formale del confronto con la previsione “a regime” di cui al riformulato art. 593 cpv. cpp, è d’uopo osservare che in caso di rinnovazione del dibattimento, seguita dalla concreta assunzione di prove o comunque dalla verifica dell’esistenza di nuove prove da raccogliere, che possano svolgere un ruolo decisivo ai fini del giudizio, l’impossibilità di valorizzare una situazione di fatto ormai consolidatasi prima dell’entrata in vigore della nuova legge e basata quanto meno sull’individuazione di nuove prove da assumere costituisce di per sé esito del tutto irragionevole, non ravvisandosi al riguardo una plausibile causa giustificativa.
Basta in proposito considerare che in tal modo finirebbe per disperdersi un materiale probatorio legittimamente assunto o acquisibile, sulla base di un atto di appello legittimamente proposto, senza che siano ravvisabili ragioni di “oblio sociale del disvalore del fatto”, come nel caso della prescrizione, e senza che d’altro canto possa parlarsi di attività processuale “tamquam non esset”, come accade allorché si verta in materia di nullità o inutilizzabilità o più in generale quando sia introdotta ex novo una causa di esclusione, direttamente afferente ai criteri di assunzione o di utilizzazione di elementi di prova.
Anche a voler ammettere che in certi casi siffatto materiale probatorio possa essere valorizzato in sede di ricorso per cassazione, tanto più alla luce delle modifiche apportate dall’art. 8 L 46/2006 alle lettere d) ed e) dell’art. 606 comma 1 cpp, ciò non toglie che si determinerebbe un irrazionale allungamento dei tempi del processo, in contrasto con il canone della durata ragionevole, contrasto riveniente da scelte non necessitate ed in concreto costituzionalmente censurabili.
Nel caso di specie si verte in materia di appello presentato avverso sentenza del Giudice di Pace.
Va in proposito rilevato che la modifica dell’art. 36 D.l.vo 274/2000 disposta dall’art. 9 L 46/2006 ha determinato la soppressione della facoltà per il pubblico ministero di presentare appello avverso sentenze di proscioglimento per reati punti con pena alternativa.
Trattasi di lex specialis, che, come tale, non consente di recuperare automaticamente sul piano interpretativo la previsione di cui al secondo comma dell’art. 593 cpp, in forza del quale, come si è visto, è ammesso in via generale l’appello allorché venga dedotta una prova nuova e decisiva.
Ma se “a regime” può comprendersi la scelta del legislatore di modulare diversamente la facoltà di appello del pubblico ministero e dunque di estendere a tutte le sentenze di proscioglimento del Giudice di Pace il limite previsto in precedenza per le sole sentenze relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria, appare irragionevole che in via transitoria, dovendosi fare applicazione dell’art. 10/2° co. L 46/2006, a fronte di un appello originariamente ammissibile e legittimamente proposto, non possa in alcun modo valorizzarsi sotto il profilo probatorio quanto già acquisito prima dell’entrata in vigore della nuova normativa nell’ambito della disposta rinnovazione del dibattimento, per lo meno quando per tale via sia stata raccolta o individuata una prova nuova decisiva.
In tale prospettiva la norma transitoria risulta censurabile ex se e non solo nei limiti del suo confronto con quanto previsto “a regime” dall’art. 593 cpv. cpp, norma non applicabile alle sentenze di proscioglimento del Giudice di Pace.
D’altro canto il rilevato profilo di incostituzionalità, riguardando solo la norma transitoria -per violazione del canone di ragionevolezza nell’ottica della non dispersione di fonti di prova nuove e decisive- e presupponendo la pregressa presentazione di un appello all’epoca ammissibile, non vale ad ampliare surrettiziamente, rispetto al regime previgente, la sfera di operatività dell’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento del Giudice di Pace.
Va a questo punto aggiunto sotto il profilo della rilevanza che prima dell’entrata in vigore della L 46/2006, mediante la nuova escussione di due testi, si è appreso che all’assemblea condominiale, nel corso della quale sarebbe avvenuto il fatto addebitato all’imputato, era stata presumibilmente presente tale F. M., collaboratrice di una di dette testimoni, da ritenersi dunque a conoscenza dei fatti ed in grado di chiarire, quale soggetto equidistante ed attendibile, il thema decidendum, fin qui lumeggiato dalla sola moglie della persona offesa e tratteggiato con accenti diversi e non senza incertezze dagli altri testi.
In buona sostanza l’ulteriore testimone, già tardivamente indicata dalla parte civile prima dell’inizio del giudizio di appello, costituisce all’evidenza una fonte di prova nuova, in quanto la sua scoperta è sopravvenuta alla conclusione del giudizio di primo grado.
D’altro canto le dichiarazioni di tale teste assumono rilievo decisivo, in quanto idonee a smentire o confermare l’assunto secondo cui l’imputato avrebbe pronunciato le espressioni che gli si addebitano e dunque destinate ad influire in modo determinante sulla ricostruzione del quadro probatorio.
A tale stregua, dovendosi a rigore applicare l’art. 10/2° co. L 46/2006, che impone sic et simpliciter la declaratoria di inammissibilità dell’appello del P.M., la prospettata questione di legittimità costituzionale, oltre che non manifestamente infondata, risulta anche rilevante.
Va del resto aggiunto che l’art. 9/1° co. L 46/2006 ha abrogato l’art. 577 cpp, cioè la norma che consentiva alla parte civile di presentare appello anche agli effetti penali, di talché l’appello presentato nell’ambito del presente processo dalla parte civile non varrebbe comunque ad elidere la rilevanza della questione ai fini dell’irrogazione di una sanzione penale.

P.  Q.  M.

Visto l’art. 23 L 87/1953,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con gli artt. 3 e 111 secondo comma Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10/2° co. L 46/2006, nella parte in cui prevede che debba dichiararsi l’inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero, prima dell’entrata in vigore della L 46 cit., avverso sentenza di proscioglimento anche del Giudice di Pace, pur nel caso in cui, a seguito della rinnovazione del dibattimento disposta prima di tale entrata in vigore, sia stata già acquisita o comunque scoperta, così da poter essere acquisita, una prova nuova e decisiva;
sospende il processo e ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Dispone che l’ordinanza, di cui è data lettura in udienza alle parti, sia notificata all’imputato contumace e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica.
Perugia, 20-4-2006 
Il Giudice
Dr. Massimo Ricciarelli

 
© Copyright Penale.it - SLM 1999-2012. Tutti i diritti riservati salva diversa licenza. Note legali  Privacy policy