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 Corte Costituzionale, Sentenza 9 maggio 2002 (dep. 16 maggio 2002), n. 195

Illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall'art. 22 l. 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), nella parte in cui, in mancanza del consenso dell'imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento di responsabilità.

  SENTENZA N. 195
  ANNO 2002
 
  REPUBBLICA ITALIANA
  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
  LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Massimo VARI Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
 
 ha pronunciato la seguente
  SENTENZA
 
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall'art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze dei Giudici dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo in data 24 aprile 2001, di Salerno in data 23 aprile 2001, di Palermo in data 25 maggio 2001, di Reggio Calabria in data 6 giugno 2001, rispettivamente iscritte ai nn. 556, 565, 756 e 787 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 32, 39 e 40, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 marzo 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
 
  Ritenuto in fatto
 
1. - Con ordinanza del 24 aprile 2001 (r.o. n. 556 del 2001) il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 104 e 111, quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall'art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), "nella parte in cui non prevede che in caso di contumacia o irreperibilità dell'imputato il giudice possa, nell'interesse preminente dello stesso, comunque emettere sentenza di proscioglimento ex art. 425 cod. proc. pen. ovvero sentenza di proscioglimento per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto".
Il giudice a quo premette: che procede nei confronti di un imputato, minorenne all’epoca dei fatti, per il reato di furto aggravato ai sensi dell'art. 61, numero 2, cod. pen.; che il reato, commesso nel 1997, è divenuto procedibile a querela per effetto dell'art. 12 della legge 25 giugno 1999, n. 205; che non risulta proposta querela e che pertanto dovrebbe emettersi sentenza di improcedibilità ex art. 425 cod. proc. pen., ma tale pronuncia è impedita dalla contumacia dell'imputato.
Per effetto delle modifiche recate dall'art. 22 della legge n. 63 del 2001, l'art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988 prevede infatti, al comma 1, che nell'udienza preliminare, prima dell'inizio della discussione, il giudice debba chiedere all'imputato se consente alla definizione del processo in quella stessa fase - salvo che il consenso sia stato validamente prestato in precedenza - e, quindi, possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei casi previsti dall'art. 425 cod. proc. pen., o per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto, solo se il consenso risulti prestato.
Con la conseguenza che, allorché l'imputato sia contumace - come nel giudizio a quo – ovvero sia legittimamente assente o irreperibile e non presti perciò il consenso alla definizione del processo, il giudice dell'udienza preliminare non può in alcun caso prosciogliere il minore.
Ad avviso del rimettente, l'impossibilità di pronunciare sentenza di non luogo a procedere nel preminente ed obiettivo interesse del minore, in assenza del suo consenso, violerebbe l'art. 10 Cost., ponendosi in contrasto con l'art. 3 della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, secondo cui in tutte le decisioni relative ai fanciulli deve essere ritenuto preminente l'interesse del minore. Non si può infatti dubitare - prosegue il giudice a quo - che sia interesse preminente del minore evitare la sottoposizione a un dibattimento affatto inutile, tanto più che le esigenze difensive dell'imputato minorenne sono comunque garantite dalla ampia possibilità riconosciutagli, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 1993, di proporre opposizione alle sentenze di proscioglimento che presuppongono un accertamento di responsabilità.
La norma censurata violerebbe inoltre: l'art. 104 Cost., esautorando "di fatto l'autonomia della funzione giurisdizionale del giudice minorile"; l'art. 3 Cost., per l'illogica disparità di trattamento degli imputati minorenni rispetto ai maggiorenni, per i quali il giudice dell'udienza preliminare ben può emettere sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen. senza necessità di alcun consenso; l'art. 111, quarto comma, Cost., dal momento che, in relazione ai casi in cui l'imputato eserciti il suo diritto di rimanere contumace o sia irreperibile, non prevede "le ipotesi di "impossibilità di natura oggettiva o di provata condotta illecita" che rendono possibile la formazione della prova in assenza di contraddittorio".
2. - Analoghe questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988, come modificato dall'art. 22 della legge n. 63 del 2001, sono state sollevate: con ordinanza del 23 aprile 2001 (r.o. n. 565 del 2001) dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Salerno; con ordinanza del 25 maggio 2001 (r.o. n. 756 del 2001) da altro Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo; con ordinanza del 6 giugno 2001 (r.o. n. 787 del 2001) dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria.
Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Salerno, che procede nei confronti di un minorenne straniero, irreperibile, per il reato di tentato furto monoaggravato, divenuto improcedibile per difetto di querela, ritiene che la disciplina secondo cui il proscioglimento del minorenne è subordinato al suo consenso violi l'art. 3 Cost., per irragionevolezza e disparità di trattamento rispetto agli imputati adulti, sulla base di censure del tutto simili a quelle svolte, anche con riferimento agli altri parametri, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo.
Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo, nell'ordinanza iscritta al n. 756 del r.o. del 2001 dubita della legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988:
- nella parte in cui prevede che il giudice dell'udienza preliminare possa "emettere sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. solo dopo avere acquisito il consenso dell'imputato alla definizione del procedimento dell'udienza preliminare", in riferimento agli artt. 3, 10, 101 Cost.;
- nella parte in cui non prevede che il giudice dell'udienza preliminare possa "emettere sentenza di proscioglimento per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto quando risulta preminente l'interesse del minore anche senza l'acquisizione del consenso dell'imputato alla definizione del procedimento all'udienza preliminare", in riferimento agli artt. 10 e 101 Cost.;
- e "nella parte in cui non prevede che il giudice possa emettere sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p., ovvero per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto, nei confronti dell'imputato contumace, ovvero irreperibile per l'"impossibilita' di natura oggettiva" ad acquisire il consenso alla definizione del procedimento all'udienza preliminare", in riferimento all'art. 111 Cost.
In fatto, e quanto alla rilevanza, il rimettente premette che i reati per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio sono tutti procedibili a querela e che, pur essendo state acquisite in udienza preliminare la remissione della querela a suo tempo presentata e l'accettazione della remissione ad opera dell'imputato, non può pronunciare sentenza di proscioglimento per essere il reato estinto per remissione di querela, a causa della contumacia dell'imputato e della conseguente mancata prestazione del consenso.
Nel merito, il rimettente svolge censure analoghe a quelle prospettate nella ordinanza n. 556 del 2001, riferendo tuttavia alla violazione dell'art. 101 Cost. gli argomenti spesi nella precedente ordinanza in relazione all'art. 104 Cost. ed estendendo le censure concernenti l'irragionevolezza della disciplina censurata al raffronto con la perdurante possibilità di emettere, anche senza il consenso dell'imputato, sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto nel corso delle indagini preliminari, ex art. 27, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 448 del 1988.
Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ritiene che l'art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988, "nella parte in cui prevede che il consenso dell'imputato costituisce un presupposto indefettibile per la definizione del processo a carico di minorenni nella fase dell'udienza preliminare", violi gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 31, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.
Ad avviso del rimettente la questione, prospettata dal difensore dell'imputata che, a conclusione della discussione in udienza preliminare, aveva chiesto il proscioglimento della sua assistita nel merito o, in subordine, per irrilevanza del fatto, è rilevante in quanto l'imputata, contumace, non ha, neppure in precedenza, prestato il consenso per la definizione del processo nella fase dell'udienza preliminare: in tale situazione la disposizione censurata precluderebbe ogni possibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento con una delle formule indicate dal difensore nel procedimento a quo.
Nel merito, il rimettente rileva che la rigida disciplina introdotta dalla legge n. 63 del 2001 nell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988 comporta che, ove l'imputato non presti il suo consenso (perché contumace o assente), il giudice dell’udienza preliminare non può emettere sentenza di proscioglimento e deve disporre il rinvio a giudizio del minore anche quando ricorrano gli estremi per una pronuncia liberatoria nel merito o per motivi di rito. La scelta di garantire comunque il pieno contraddittorio si risolve quindi nel "paradosso [...] di provocare la dialettica dibattimentale anche nelle ipotesi in cui l'imputato potrebbe ottenere - come nel caso in argomento - una formula (sicuramente più favorevole) di proscioglimento".
La disciplina censurata sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, 31 e 111, secondo comma, Cost., in quanto:
- si pone, irragionevolmente, "a detrimento delle finalità deflative" dell'udienza preliminare, nonché, "più in generale, di quelle educative (vedasi l'art. 1 del d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448) perseguite dal processo penale minorile", privilegiando "la tutela delle mere strategie tecnico-difensive individuali (che potrebbero appieno esplicarsi nella successiva fase processuale) a discapito della possibilità di un'immediata fuoriuscita dal circuito penale";
- prevede, per le ipotesi di proscioglimento di cui al comma 1 dell'art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988, la necessità di un consenso che con assoluta incongruenza non è invece richiesto nel caso di condanna alla pena pecuniaria o a una sanzione sostitutiva, disciplinato dal comma 2 del medesimo articolo che, in apparenza, pare richiedere la sola richiesta del pubblico ministero;
- determina una disparità di trattamento legata all'età, ingiustificata e irragionevole rispetto agli adulti, che possono essere prosciolti ex art. 425 cod. proc. pen. a prescindere dal fatto che abbiano prestato il loro consenso;
- rende inapplicabile al processo minorile l'art. 129 cod. proc. pen., che consentirebbe di eludere il rigoroso limite previsto dall'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988 quando venga riconosciuta la sussistenza di determinate cause di non punibilità;
- è in contrasto con l'art. 27, comma 4, del medesimo d.P.R., che parrebbe invece attribuire al giudice, nel corso dell'udienza preliminare, il potere di pronunciare anche d'ufficio, e quindi senza il preventivo consenso dell'imputato, sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto;
- è in palese contrasto con il principio della ragionevole durata del processo, che nelle ipotesi prospettate di mancata acquisizione del consenso avrebbe uno sviluppo dibattimentale affatto superfluo.
3. - Nei giudizi relativi alle questioni sollevate con le ordinanze iscritte ai numeri 556, 756 e 787 del r.o. del 2001 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
 
 Considerato in diritto
 
1. - Con quattro ordinanze sostanzialmente analoghe, sia pure in riferimento a parametri costituzionali non sempre coincidenti, i giudici rimettenti dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall'art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), nella parte in cui non prevede che il giudice dell'udienza preliminare, in caso di contumacia o irreperibilità dell'imputato, possa emettere sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 del codice di procedura penale, ovvero per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto, anche in assenza del consenso dell'imputato alla definizione del processo nell'udienza preliminare.
Le questioni sono sollevate nell'ambito di procedimenti nei confronti di imputati per i quali ad avviso dei rimettenti sussistono gli estremi di una sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., in particolare, di sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela (r.o. n. 556 del 2001 e n. 565 del 2001), per essere il reato estinto per remissione di querela (r.o. n. 756 del 2001), o, nel merito, con formula pienamente liberatoria (r.o. n. 787 del 2001).
Risultano pertanto prive di rilevanza le censure circa la non adottabilità di sentenze di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto, in quanto prospettate in via ipotetica (r.o. nn. 556, 565 e 756 del 2001) o meramente subordinata (r.o. n. 787 del 2001).
Sotto un primo aspetto, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto: con l'art. 3 Cost. a cagione della ingiustificata disparità di trattamento degli imputati minorenni rispetto a quelli maggiorenni, per i quali non è richiesto analogo consenso ai fini della definizione del processo nell'udienza preliminare, e dell'intrinseca irragionevolezza di una disposizione che preclude la rapida fuoruscita dal processo del minore sol perché è contumace o irreperibile; con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto irragionevolmente impone il rinvio a giudizio dell'imputato minorenne contumace o irreperibile che potrebbe invece essere prosciolto nel merito, mentre il consenso non è richiesto, a norma del comma 2 del medesimo art. 32, ai fini della pronuncia di sentenza di condanna a pena pecuniaria o sanzione sostitutiva.
Sotto un diverso profilo, la disciplina censurata violerebbe l'art. 10 Cost., perché irragionevolmente preclude di dare applicazione al principio di cui all'art. 3 della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, secondo cui in tutte le decisioni relative ai fanciulli deve essere ritenuto preminente l'interesse del minore, nel caso di specie quello di evitare di essere sottoposto ad un dibattimento del tutto inutile, nonché l'art. 31 Cost., in quanto vanifica le esigenze deflative dell'udienza preliminare minorile e le finalità educative del processo nei confronti dei minorenni, privilegiando "strategie tecnico-difensive individuali [...] a discapito della possibilità di una rapida fuoruscita dal circuito penale".
Vengono evocati anche gli artt. 101 e 104 Cost., in quanto l'imposizione del consenso quale condizione per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere violerebbe i principi dell'esclusiva soggezione del giudice alla legge, ovvero dell'autonomia delle funzioni giurisdizionali.
Infine, viene richiamato l'art. 111 Cost., sotto il duplice profilo del contrasto con il principio della ragionevole durata del processo (secondo comma), in quanto la mancata acquisizione del consenso comporterebbe uno sviluppo dibattimentale assolutamente superfluo, e della omessa previsione, tra le ipotesi di deroga alla formazione della prova in contraddittorio per "impossibilità di natura oggettiva" (quarto comma), del caso in cui l'imputato eserciti il diritto di rimanere contumace ovvero sia irreperibile.
Poiché tutte le ordinanze hanno per oggetto la medesima questione, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi.
2. - La questione, nei limiti precisati, è fondata.
3. - Anche prima delle modifiche introdotte dall'art. 22 della legge n. 63 del 2001, l'art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988 era stato oggetto di reiterati interventi legislativi e di questa Corte, direttamente collegati ai peculiari connotati dell'udienza preliminare nel processo minorile, caratterizzata dai più incisivi poteri riconosciuti al giudice ai fini della definizione del processo in tale fase. In particolare, a differenza che nel processo ordinario, nell’udienza preliminare minorile il giudice ha la possibilità di emettere sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto, di disporre la sospensione del processo con messa alla prova e di dichiarare, in esito al periodo di prova, l'estinzione del reato, di pronunciare ex art. 32, comma 3, su richiesta del pubblico ministero, sentenza di condanna quando ritiene applicabile una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, avverso la quale l'imputato o il difensore munito di procura speciale può proporre opposizione, chiedendo il giudizio dinanzi al tribunale.
Su questo tessuto caratterizzato da un'ampia sfera di poteri decisori, che abilitano il giudice dell'udienza preliminare minorile a svolgere vere e proprie funzioni di giudizio (v. sentenze n. 290 del 1998 e n. 311 del 1997) altrimenti riservate al giudice del dibattimento, è intervenuta la sentenza n. 77 del 1993, con la quale questa Corte ha esteso l'opposizione, prevista dall'art. 32, comma 3, in caso di sentenza di condanna a pena pecuniaria o a sanzione sostitutiva, alle ipotesi in cui la responsabilità dell'imputato è necessariamente presupposta (concessione del perdono giudiziale), ovvero è <> (sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità).
Alla stregua di tale decisione, nei confronti delle sentenze di non luogo a procedere che presuppongono un accertamento di responsabilità pronunciate a norma dell'art. 32, comma 1, l'imputato può dunque proporre opposizione, con l'effetto che nel giudizio di opposizione il tribunale per i minorenni deve provvedere a revocare, a norma dell'art. 32-bis, comma 4, le predette sentenze.
La disciplina dell'udienza preliminare minorile è stata poi modificata dalla legge n. 63 del 2001, che ha introdotto nell'art. 32 la disposizione censurata, che rende necessario il consenso dell'imputato perché il processo possa essere definito in tale fase. Il consenso diviene così condizione per la pronuncia di tutte le sentenze di non luogo a procedere previste dall'art. 425 cod. proc. pen., ovvero per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto.
4. - Con la menzionata sentenza n. 77 del 1993 questa Corte aveva operato un bilanciamento tra l'esigenza di una rapida fuoruscita dell'imputato minorenne dal circuito processuale, espressa dalla vasta sfera dei poteri decisionali riconosciuti al giudice dell'udienza preliminare minorile ai fini di evitare la fase dibattimentale, e quella di garantire al minore le più complete opportunità difensive connesse alla formazione della prova nel contraddittorio tra le parti in dibattimento anche in caso di pronuncia di sentenza di non luogo a procedere che presuppone un accertamento di responsabilità.
Il delicato equilibrio tra queste opposte esigenze è stato alterato dalle modifiche introdotte nell'art. 32, comma 1, dalla legge n. 63 del 2001: il potere riconosciuto all'imputato minorenne di non consentire alla definizione anticipata del processo nell'udienza preliminare comporta che il giudice, ove il consenso venga negato, o non venga prestato perché l'imputato è contumace o irreperibile, debba emettere decreto che dispone il giudizio anche nel caso in cui avrebbe altrimenti pronunciato una sentenza di non luogo a procedere nel merito con formula ampiamente liberatoria o, comunque, tale da non postulare alcun accertamento di responsabilità dell'imputato (ad esempio, per difetto di una condizione di procedibilità o per remissione di querela).
Ne emerge una disciplina intrinsecamente priva di ragionevolezza, che vanifica le finalità deflative che ispirano l'impianto dell'udienza preliminare minorile, precludendo la possibilità di una immediata definizione del processo e imponendo uno sviluppo dibattimentale assolutamente superfluo, non funzionale all'esercizio del diritto di difesa, posto che, tra l’altro, l'imputato non potrebbe comunque ottenere in dibattimento una formula di proscioglimento più vantaggiosa.
I profili di contrasto con l'art. 3 Cost. debbono evidentemente essere apprezzati con riferimento all'art. 31, secondo comma, Cost. e agli indirizzi espressi dalla convenzione sui diritti del fanciullo, nei quali trova fondamento la tutela del preminente interesse del minore ad una rapida uscita dal processo (v., ex plurimis, sentenze n. 433 del 1997, n. 250 del 1991 e ordinanza n. 103 del 1997), sempre che, ovviamente, tale finalità non comporti il sacrificio delle garanzie defensionali.
5. - Va pertanto dichiarata, in riferimento agli artt. 3 e 31, secondo comma, Cost., l'illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, nella parte in cui, in mancanza di consenso dell'imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere che – come nei casi, oggetto dei giudizi a quibus, di difetto o di remissione della querela ovvero di sussistenza delle condizioni per una sentenza di proscioglimento ampiamente liberatoria - non presuppone un accertamento di responsabilità.
Rimangono così assorbite le censure riferite agli altri parametri costituzionali evocati dai rimettenti.
 
   PER QUESTI MOTIVI
 LA CORTE COSTITUZIONALE
 
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall'art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), nella parte in cui, in mancanza del consenso dell'imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento di responsabilità.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2002.
Massimo VARI, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2002.
 
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