Lesioni colpose procurate in luogo aperto al pubblico da un cane legato ad una catena troppo lunga: il cartello di segnalazione della sua presenza va posto all'ingresso, non nelle immediate vicinanze dell'animale
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. COCO Giovanni Silvio - Presidente Dott. MARINI Lionello - Consigliere Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere Dott. LICARI Carlo - Consigliere Dott. COLOMBO Gherardo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da *XX* n. il ... *YY* n. il ... avverso sentenza del 19/02/2003 Corte d'Appello di Trento; Visti gli atti, la sentenza ed il procedimento; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. LICARI Carlo; Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Vito D'Antonio, che ha concluso per il rigetto del ricorso; Udito, per la parte civile, l'Avv. M.P., il quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi con vittoria di spese; Udito il difensore Avv. S.T., il quale ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi.
OSSERVA
Con sentenza del 3/7/02, il giudice monocratico del Tribuanle di Trento, Sez. Distaccata di Cles, a seguito di giudizio abbreviato, ha assolto, con la formula perchè il fatto non costituisce reato, i coniugi *XX* e *YY* dall'imputazione di lesioni colpose gravi in pregiudizio della minore *ZZ* loro ascritta, per avere, in qualità di gestori della malga ..., omettendo di dotare il loro cane pastore bergamasco di museruola e di catena di lunghezza tale da non consentirgli di aggredire i visitatori in area non protetta, concorso a cagionare alla suddetta bambina di anni 9 lesioni al volto di durata superiore ai 40 giorni e con sfregio permanente al viso, alla medesima procurate dai morsi del loro cane.
In sentenza il primo giudice ha ritenuto di supportare la pronuncia assolutoria, considerando che la collocazione del cane legato alla catena in zona appartata rispetto all'area normalmente frequentata dai visitatori e l'apposizione in loco di un cartello recante la scritta "attenti al cane", fossero cautele astrattamente sufficienti ad impedire eventi del tipo di quello verificatosi, nell'ambito di un profilo di colpa che, pur riconducibile agli obblighi di custodia di animali di cui all'art. 672 c.p., sarebbe sempre ricostruibile in termini di colpa generica.
Decidendo sull'appello proposto dal P.G. e dalle parti civili, la Corte d'Appello di Trento, con sentenza del 19/2/2003, ha ritenuto di riformare la decisione appellata, dichiarando entrambi gli imputati colpevoli del reato loro ascritto e condannandoli, in concorso di attenuanti generiche, ciascuno alla pena della multa di euro 200,00 e, altresì, in solido al pagamento delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio, oltre al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in favore delle costituite parti civili, ritenuto il concorso di colpa di chi esercitava, al momento del fatto, la vigilanza sulla bambina nella misura di 40%.
Avverso tale ultima sentenza hanno, per mezzo del difensore, proposto congiuntamente ricorso per cassazione entrambi gli imputati, deducendo la violazione di legge per la ragione che i giudici del gravame avrebbero malamente interpretato le risultanze processuali, fino al punto di pervenire alla condanna ricorrendo a criteri di addebito della responsabilità, non consentiti, di natura oggettiva. Secondo i ricorrenti, l'affermazione contenuta in sentenza che la presenza e la visibilità del cartello "attenti al cane" sarebbero irrilevanti, in quanto collocato nel luogo stesso in cui il cane era legato, sarebbe contrario al dato processuale che invece indicherebbe il cartello a distanza di 4 metri dal palo al quale era legato l'animale; del pari, non ancorata alla realtà processuale sarebbe la tesi accusatoria secondo cui la catena sarebbe stata di lunghezza tale da consentire al cane di intercettare comunque il turista che facesse visita alla malga, risultando, secondo i ricorrenti, evidente dagli atti che la zona della stalla, in prossiità del quale il cane pastore era legato, sarebbe invece appartata e non agevolmente accessibile.
Il ricorso è destinato alla declaratoria di inammissibilità. Invero, le critiche mosse in tema di attribuzione della responsabilità penale in capo agli imputati sconfinano dai limiti previsti dalla legge per la ammissibilità del ricorso per cassazione, essendo esse dirette, attraverso la pretestuosa deduzione di asserite violazioni di legge e travisamenti del fatto, allo scopo ulteriore di ottenere una rivalutazione delle prove sulla responsabilità; il che si risolverebbe in un sostanziale nuovo giudizio sul fatto, sottratto, per costante giurisprudenza di questa Corte, come tutte le valutazioni di merito, al sindacato di legittimità di questa Corte. In proposito si sottolinea che la Corte di merito ha affrontato i temi riproposti in questa sede, confrontandosi con le argomentazioni difensive proposte allora dai resistenti, in questa sede odierni ricorrenti, e superandole con motivazione esaustiva e rispettosa delle regole della logica e dell'interpretazione giuridica applicabili nella fattispecie concreta. Circa il punto relativo al cartello di segnalazione della presenza del cane, è stato persuasivamente spiegato nella sentenza impugnata che non poteva ad esso attribuirsi la rilevanza decisiva voluta dalla difesa, perchè il cartello era collocato sul paletto stesso al quale l'animale era assicurato con catena, di talchè l'avvertimento giungeva a conoscenza degli avventori, ivi compresi i genitori di bambini, non già all'ingresso del locale aperto al pubblico, ma quando si approssimavano alla zona della stalla, luogo di attrazione specie per i più teneri di età.
Alla stregua del razionale iter logico seguito dai giudici di appello ed esplicitato in forma chiara ed esausitva in sentenza, appare anche corretta la considerazione, ora avversata dai ricorrenti, sull'insufficienza, addebitabile anch'essa a colpa sia generica che specifica degli imputati, della cautela di legare il cane con una catena, coprendo la lunghezza di quest'ultima una distanza dal palo comunque idonea ad intercettare il visitatore che si trovasse a passare nel suo raggio di azione.
In conclusione, i mezzi di impugnazione proposti dai ricorrenti appaiono finalizzati allo scopo di ottenere ora una rivalutazione del materiale probatorio: essi sono, pertanto, riconducibili nel novero di quelli non consentiti in sede di legittimità. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e di ciascuno di essi, inoltre, al versamento a favore della Cassa delle ammende della sanzione pecuniaria che, tenuto conto del profilo e dell'entità della colpa riconoscibili nella rispettva condotta processuale, il Collegio determina nella somma indicata in dispositivo. I ricorrenti, inoltre, vanno condannati in solido al rimborso delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalle parti civili che si liquidano nella complessiva somma di euro 2000,00, oltre Iva e Cap.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi, inoltre, al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di 1000,00 Euro. Condanna i ricorrenti, altresì, in solido al rimborso delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili che liquida nella complessiva somma di euro 2000,00, oltre Iva e Cap.
Cosi' deciso in Roma, all'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2005.
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