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 Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 17 novembre 2005 (dep. 14 dicembre 2005), n.45345/2005 (2210/2005)

Il tatuaggio su minore richiede il placet genitoriale

  REPUBBLICA ITALIANA
  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
  LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
  SEZIONE QUINTA PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CALABRESE Renato Luigi - Presidente
Dott. PIZZUTI Giuseppe - Consigliere
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere
Dott. SANDRELLI Giangiacomo - Consigliere
Dott. DUBOLINO Pietro - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
  SENTENZA

sul ricorso proposto da *XX* nato il ...
avverso la sentenza del 01/10/2003 della Corte d'Appello di Torino;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Dubolino Pietro;
sentito il P.G. Dr. Gialanella, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso, e sentito, per la ricorrente, l'Avv. C., il quale ha
chiesto ha insistito per l'accoglimento.
  RILEVATO IN FATTO
- che con l'impugnata sentenza, in conferma, per quanto qui interessa, di quella di primo grado pronunciata dal Tribunale di Torino il 16 luglio 2002, la Corte d'Appello di Torino ritenne *XX* responsabile del delitto di lesioni  volontarie semplici in danno della minore *YY* per avere, in assenza di valido consenso da parte degli esercenti la potesta' genitoriale, eseguito sul corpo della medesima un tatuaggio permanente della lunghezza di circa quattro centimetri;
- che, a sostegno di tale decisione, ritenne la Corte d'Appello, in sintesi, che:
a) non vi fosse ragione di dubitare, alla stregua di quanto riferito dalla persona offesa e dai testi *AA* e *BB* ne' del fatto che il tatuaggio fosse stato eseguito dall'imputata, nonostante la negativa di quest'ultima, ne' che la stessa fosse stata messa al corrente della mancanza di un preventivo consenso da parte degli esercenti la potesta' genitoriale sulla minore;
b) nel fatto appariva riscontrabile il contestato reato di lesioni, atteso l'esito dell'espletata perizia medico - legale, secondo cui il tatuaggio aveva prodotto un'alterazione della funzione sensoriale e della funzione protettiva della cute,  comportante, per la sua eliminazione, la necessita' di un intervento terapeutico, sia pure di modesta consistenza;
- che avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, con atto a propria firma, l'imputata, denunciando:
1) erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta qualificabilita' del tatuaggio come lesione produttrice  di malattia in senso tecnico - giuridico, sull'assunto, nell'essenziale, che la riscontrata alterazione funzionale della cute non avrebbe raggiunto la necessaria connotazione dell'"apprezzabilita'", quale richiesta dai piu' recenti orientamenti della giurisprudenza e della dottrina, dovendosi al riguardo respingere il concetto secondo cui detta connotazione coinciderebbe con quella della mera percettibilita';
2) mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilita', nonostante le pur riscontrate incongruenze e contraddizioni, di quanto dichiarato dalla persona offesa e dai testi
*AA* e *BB* essendosi per converso indebitamente svalutate le deposizioni dei testi a difesa *C* e *D* dalle quali  emergeva che, all'epoca del fatto, l'esercizio commerciale dell'imputata, in cui questa avrebbe eseguito il tatuaggio, era chiuso per ferie;
 
  CONSIDERATO IN DIRITTO
- che va anzitutto confutato l'assunto secondo cui la piu' recente giurisprudenza di questa Corte, nel qualificare come "malattia", ai fini della configurabilita' del reato di lesioni, una "apprezzabile riduzione di funzionalita'" della parte del corpo interessata dal fatto lesivo (in tal senso, in particolare, come ricordato anche nel ricorso, Cass. 4^, 14 novembre - 9 dicembre 1996 n.10643, p.c. in proc. Francolini, RV 207339, e Cass. 5^, 15 ottobre 1998 - 19 gennaio 1999 n.714, Rocca, RV 212156), abbia inteso escludere dall'ambito della rilevanza penale, in contrasto con quanto piu' volte affermato in precedenza (ved., ad es.: Cass. 1^, 3 marzo - 8 ottobre 1976 n. 9480, Marchetti, RV 134481; Cass. 5^, 14 novembre 1979 - 22 febbraio 1980 n. 2650, Miscia, RV 144460; Cass. 5^, 3 novembre 1992 - 1 febbraio 1993, n. 839, Lucacci, RV 193488), tutti i fatti lesivi di modesta  entita', quali le ecchimosi, i graffi, le scalfitture, le abrasioni etc;  assunto, questo, che non appare, in realta', desumibile  dalle richiamate sentenze *...* e *...*,  atteso che la prima si e' limitata ad escludere, sulla base dell'enunciato principio, che costituisce lesione una riscontata "asimmetricita' delle mammelle e dei capezzoli" di un soggetto di sesso femminile, conseguita ad un intervento chirurgico al seno, osservando che il danno lamentato consisteva in un "indebolimento permanente della funzione estetica di una parte della cute", per cui non poteva assumere rilevanza penale, poiche' "l'unico inestetismo cutaneo permanente di rilevanza penale e' la lesione gravissima che riguarda il viso"; la seconda ha addirittura escluso che alla riduzione apprezzabile di funzionalita' debba necessariamente accompagnarsi una qualsivoglia lesione anatomica, per giungere, quindi, ad affermare che costituivano lesioni delle semplici "difficolta' respiratorie, durate alcuni minuti, a seguito di stretta al collo e scuotimento della vittima";
- cio' premesso, avendo nella specie ritenuto, il giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa  sede in quanto basato sulle non contestate risultanze della espletata perizia medico legale, che il tatuaggio cui era stata sottoposta la *YY* aveva prodotto una alterazione delle funzioni sensoriali e protettive della cute, non vi e' spazio, in questa sede, per la prospettata distinzione fra apprezzabilita' e semplice percettibilita' della lesione, nulla rilevando che, come sottolineato nel ricorso, lo stesso perito aveva definito come "assai tenue e localizzata" la suddetta alterazione;
- che, d'altra parte, non risulta in alcun modo prospettata l'ipotesi che l'alterazione costituisse conseguenza non prevista e non voluta della condotta addebitata all'imputata, per cui deve ritenersi preclusa a questa Corte qualsiasi valutazione a tale riguardo;
- che, pertanto, il primo motivo di ricorso non appare meritevole di accoglimento;
- che, quanto al secondo motivo, la stesso appare addirittura inammissibile, siccome chiaramente volto, nella sostanza, a sollecitare una rivalutazione, da parte di questa Corte, delle risultanze processuali gia' vagliate, con adeguato e non
manifestamente illogico esame critico, da parte della corte territoriale la quale non ha mancato, in particolare, di prendere in considerazione, fornendone plausibile spiegazione, le divergenze riscontrate nelle dichiarazioni della persona offesa e dei testi d'accusa, come pure di valutare quelle dei testi a difesa, spiegando, tra l'altro, a proposito di queste ultime, come tali testi, anche a prescindere da ogni ipotesi di mendacio, ben avrebbero potuto mal ricordare,  trattandosi di circostanza risalente a circa tre anni prima, quale fosse stato l'esatto periodo di chiusura per ferie dell'esercizio commerciale dell'imputata e come nessuna decisiva rilevanza potesse attribuirsi al fatto che la prima  fattura emessa dall'imputata dopo la fine del periodo feriale recasse la data del 15 settembre 1999; nulla escludendo che l'esercizio fosse stato riaperto, senza che si desse luogo ad emissione di fatture, in epoca precedente; il che non significa, come sostenuto invece nel  ricorso, aver dato indebito rilievo a mere congetture, non potendosi certo qualificare come "mera congettura" la riscontrata inidoneita' di una determinata risultanza a porsi come elemento  insuperabilmente ostativo alla credibilita' della tesi d'accusa, quando questa sia sostenuta da altre e credibili risultanze (si veda, in proposito, quanto gia' affermato da questa Corte con sentenza della sez. 1^, 2-24 marzo 1992 n. 3424, Di Palma, RV 189683, secondo cui: "Il ricorso, da parte del giudice, a ipotesi o illazioni, ai fini della formazione e della  motivazione del proprio convincimento, e' da considerare certamente vietato quando, mediante dette ipotesi o illazioni, si voglia costruire una prova positiva di colpevolezza; non puo' invece, ritenersi vietato quando, in presenza di elementi di per se' idonei a dimostrare la colpevolezza, ne vengano dalla difesa prospettati altri di cui si assuma l'idoneita' a neutralizzare la valenza dei primi.
In tal caso, infatti, il giudice (analogamente a quanto si verifica, in termini rovesciati, allorche' egli deve valutare  gli  indizi a carico), e' non solo facoltizzato, ma addirittura tenuto a prospettarsi quelle che possono apparire ragionevoli e  plausibili ipotesi alternative atte ad escludere la detta idoneita'.
Solo la irragionevolezza e la conseguente implausibilita' di tali ipotesi, quindi, e non il semplice fatto della loro prospettazione a sostegno dell'"iter motivazionale" seguito dal giudice, puo' dare luogo a censura in sede di legittimita'");
-  che, conclusivamente, il ricorso non puo', quindi, che essere rigettato, con le conseguenze di legge in ordine alle spese;
 
  P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Cosi' deciso in Roma, il 17 novembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2005
 
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