Penale.it  
 Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 23 settembre 2005 (dep. 26 settembre 2005), n. 34355 (n. 1516/2005)

Mandato di arresto europeo: che cosa deve intendersi per "gravi indizi di colpevolezza" e per "motivazione" del provvedimento (cfr Cass. Sezione VI Penale, Sentenza 13 ottobre 2005 - dep. 14 ottobre 2005, n. 37649 in questo sito)

  REPUBBLICA ITALIANA
  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
  LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
  SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente
Dott. MILO Nicola - Consigliere
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere
Dott. IPPOLITO Francesco - Consigliere
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
  SENTENZA
sul ricorso proposto da I.P. nato a ... il ..., avverso la sentenza in data 31 agosto 2005 della Corte di Appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giovanni Conti;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto  Procuratore Generale Dott. MONETTI Vito, che ha concluso per il rinvio alla Corte di Giustizia della C.E. sollevando la questione pregiudiziale circa l'interpretazione che deve essere data alla legge n. 69 del 2005 nella parte in cui richiede controlli sulla motivazione dell'autorita' giudiziaria richiedente in relazione alla decisione quadro n. 2002/584 del Consiglio.
  FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Roma disponeva la consegna all'autorita' giudiziaria del Regno del Belgio di I.P., cittadino rumeno, colpito da mandato di arresto europeo emesso in data 16 giugno 2005 dal Giudice istruttore del Tribunale di Prima Istanza di Nivelles (Belgio), arrestato in data 25 luglio 2005 dalla Squadra Mobile della Questura di Roma, in quanto accusato dei reati di rapina aggravata, sequestro di persona e detenzione di armi da sparo.
L'arresto veniva convalidato con ordinanza in data 27 luglio 2005 dal Consigliere delegato della Corte di appello.
2. Seconda la descrizione dei fatti allegata al mandato, l'8 aprile 2005, poco dopo le 22, nella abitazione dei signori L.
sita in ... (Belgio), avevano fatto irruzione tre individui armati e incappucciati che, sotto la minaccia delle armi, avevano: ottenuto le chiavi dell'autorimessa di ... amministrata dal sig. L.; condotto il predetto nel piano-cantina, ove il medesimo veniva legato e torturato con un ferro da stiro affinche' indicasse dove si trovava la cassaforte; picchiato, parzialmente spogliato, legato e imbavagliato la  moglie; ottenuto carte bancarie, con relativi numeri segreti; prelevato denaro attraverso tali carte; ottenuto le chiavi dell'autovettura Volkswagen Lupo; ottenuto due cellulari, gioielli, denaro e un mantello di pelliccia.
I predetti individui si davano alla fuga verso l'una del mattino. Il veicolo rubato veniva ritrovato il giorno 19 aprile 2005 a ....
La sig.ra D... riferiva agli investigatori che in un locale notturno da lei frequentato aveva fatto conoscenza di un rumeno, del quale comunicava il numero telefonico.
Sulla base di indagini telefoniche venivano individuati tre numeri di telefono sospetti. Il primo (xxx) veniva attribuito a  T.I., la cui moglie veniva trovata con indosso un braccialetto d'oro che faceva parte del compendio sottratto alla sig.ra  D. Il secondo (yyy) veniva attribuito a P.C., anch'esso arrestato, il quale confessava di avere commesso i fatti sopra
descritti insieme a due complici, sotto la direzione di I.P., utente del terzo numero individuato dagli inquirenti (zzz).
3. Nella richiesta di mandato di arresto, l'autorita' giudiziaria belga precisava che per i reati suddetti il codice penale prevede la pena da 20 a 30 anni di reclusione.
4. La Corte di Appello riteneva che ricorressero i presupposti per l'accoglimento della richiesta, e che sussistessero gravi indizi di colpevolezza a carico di I.P. sulla base della attendibile e circostanziata chiamata di correo di P.C., reo confesso, che, oltre all'I., aveva indicato come altro correo T.I., la cui moglie veniva trovata in possesso di un braccialetto proveniente dalla rapina. Inoltre, la identificazione dell'I. risultava anche dalle indagini espletate e in particolare dalle intercettazioni telefoniche, che permettevano di individuare l'arrestando attraverso la sua utenza.
Quanto all'alibi fornito dall'I. (l'essere egli al momento dei fatti ricoverato nella clinica "..." di ... nello Stato di Panama, ne era stata accertata la non corrispondenza al vero a seguito degli accertamenti operati tramite Interpol.
5. Ricorre per cassazione I.p., a mezzo del difensore, Avv. A.R.G., il quale deduce l'inosservanza e la erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e relativa mancanza e  illogicita' di motivazione.
Il fatto che il chiamante in correita' abbia potuto dire il vero con riferimento al concorrente T.I. non comportava l'automatica estensione della credibilita' delle sue accuse con riguardo al ricorrente, a carico del quale non era stato raccolto alcun riscontro "individualizzante".
I particolari forniti sul conto di I.P. dal P. (gli alias da lui usati; l'autovettura utilizzata) non avevano infatti alcun
collegamento con il fatto contestato.
Quanto all'attivita' investigativa espletata dalla polizia belga, essa aveva condotto a individuare due degli autori della rapina (il P. e il T.) ma nulla era stato accertato circa l'individuazione del terzo.
Infine, gli accertamenti eseguiti presso la clinica di Panama non potevano dirsi risolutivi, non potendosi escludere che l'I. si fosse ivi ricoverato con altre generalita'.
 
  MOTIVI DELLA DECISIONE
6. Il ricorrente contesta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sotto il profilo della erronea applicazione della  legge penale e del vizio di motivazione.
7. Rileva, anzitutto, questa Corte che non possa aderirsi alla richiesta del Procuratore Generale di sollevare la questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia comunitaria, richiesta avanzata sulla base del dedotto contrasto tra la "decisione  quadro" del Consiglio dell'Unione Europea del 13 giugno 2002 n. 2002/584/GAI e la legge 22 aprile 2005, n. 69, nella parte in cui questa richiede controlli sulla motivazione dell'autorita' giudiziaria di emissione del  mandato di arresto, in particolare sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza.
8. In base all'art. 17 comma 4 della legge 22 aprile 2005, n. 69, attuativa della citata decisione quadro n. 2002/584, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli stati membri, l'autorita' giudiziaria dello stato richiesto ("autorita' giudiziaria dell'esecuzione") dispone la consegna della persona ricercata, a carico della quale e' in corso procedimento penale nello stato richiedente, se sussistono "gravi indizi di colpevolezza".
Il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza corrisponde letteralmente a quanto previsto, in materia di estradizione  passiva, dall'art. 705 comma 1 c.p.p. per i casi in cui "non esiste convenzione o questa non dispone diversamente".
Esso non e' invece contemplato dalla Convenzione europea di estradizione siglata a Parigi il 13 dicembre 1957 (ratificata dall'Italia con legge 30 gennaio 1963, n. 300), tanto che tra gli stati aderenti ad essa (appartenenti tutti al Consiglio d'Europa) la estradizione viene accordata, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, sulla sola  base dei documenti allegati alla domanda (v., ex plurimis, Cass., sez. 6^, c.c. 3 marzo 2000, Odigie Obeide; Cass., sez. 6^, c.c. 16 dicembre 1997, Chatzis).
Cio' pero' non implica che la Convenzione europea consideri legittima una domanda di estradizione non basata su "gravi indizi di colpevolezza". La custodia cautelare rappresenta una extrema ratio in tutti gli ordinamenti civili. Quello che la Convenzione non richiede, basandosi evidentemente su una valutazione della sussistenza di un comune substrato di  civilta' giuridica degli stati membri del Consiglio d'Europa, e' un positivo accertamento di tale presupposto da parte della autorita' giudiziaria dello stato richiesto.
La previsione per cui, in regime convenzionale, l'estradizione deve essere accordata sulla base delle allegazioni dell'autorita' richiedente, non significa dunque affrancare la domanda estradizionale dal presupposto dei "gravi indizi di colpevolezza", ma semplicemente esonerare la parte richiesta da un dovere di valutarlo autonomamente, rielaborando criticamente il materiale trasmesso. In cio' sta la differenza tra il regime estradizionale convenzionale e quello  extraconvenzionale di cui all'art. 705 c.p.p.: nel primo i "gravi indizi di colpevolezza" sono presunti, salvo che i fatti allegati non siano inconciliabili con tale presunzione; nel secondo l'autorita' giudiziaria italiana deve autonomamente individuarli sulla base del materiale allegato alla domanda e rappresentarli logicamente.
9. Poiche' neppure la decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo prevede questo presupposto, occorre risolvere il problema di come vada interpretato il riferimento ad esso fatto dall'art. 17 comma 4 della legge n. 69 del 2005, che pure ha la sua "causa" nella attuazione, nell'ordinamento italiano, delle disposizioni della decisione quadro, "nei limiti" - si precisa forse pleonasticamente - "in cui tali disposizioni non sono incompatibili con i principi supremi  dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonche' in tema di diritti di liberta' e del giusto processo" (v. art. 1 comma 1 della legge). Come si e' detto a proposito del regime della Convenzione europea di estradizione, non sembra discutibile, e qui a maggior ragione, che un provvedimento cautelare di natura custodiale, quale e' il mandato di arresto emesso a carico di un soggetto non raggiunto da una condanna definitiva, debba essere fondato, considerati i principi di comune civilta' propri dello spazio giuridico europeo, su "gravi indizi di colpevolezza", e cioe' su elementi evocativi di un fatto di rilevanza penale attribuibile a un soggetto che rendano probabile l'affermazione della sua responsabilita' penale a seguito di un regolare processo, e che soli legittimano la privazione della liberta' personale di una persona che si presume innocente finche' la sua responsabilita' penale non sia stata legalmente accertata  (v. art. 6 comma 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali adottata a Roma il 4 novembre 1950, riprodotto nell'art. 48 comma 1 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  Europea, espressamente richiamata dalla citata decisone quadro nel Considerando n. 12).
Quello che deve essere chiarito, stante la regola di cui al citato art. 17 comma 4, e' se e attraverso quali meccanismi  valutativi l'autorita' giudiziaria italiana destinataria della richiesta di consegna debba considerare tali indizi.
Per risolvere tale quesito occorre introdurre preliminarmente un postulato: la nuova legge, proprio perche' dichiaratamente attuativa della citata decisione quadro, non puo' essere interpretata nel senso che abbia inteso  prescrivere un controllo da parte dell'autorita' richiesta piu' penetrante rispetto a quello previsto dalla Convenzione  europea di estradizione (in questo senso, Cass., sez. fer., c.c. 13 settembre 2005, Hussain Osman), se non nei ristretti
limiti eventualmente ricavabili da espresse previsioni della decisione quadro (v. in particolare il Considerando n.12, seconda parte, nonche' gli artt. 3 e 4). Tutto cio', del resto, conformemente al principio piu' volte enunciato dalla Corte costituzionale, nel senso che sul piano ermeneutico vige la presunzione di conformita' della legge interna alla normativa europea, sicche' fra le possibili soluzioni interpretative va prescelta quella conforme al dettato di tale normativa (cfr., ex plurimis, sentenza n. 170 del 1984).
10. Una delle espresse finalita' della decisione quadro e' infatti quella di dare attuazione alle conclusioni del Consiglio di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 (punto 35) nel senso di "accelerare le procedure di estradizione per quanto riguarda le persone sospettate di aver commesso un reato" (Considerando n. 1), ed anzi realizzare nell'ambito dell'U.E. "la soppressione dell'estradizione tra stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorita' giudiziarie" (Considerando n. 5), costituente "la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria" (Considerando n. 6), sulla base dell' "elevato livello di fiducia tra gli stati membri" (Considerando n. 10), salva la sottoposizione a "un controllo sufficiente" del mandato di arresto da parte dell'autorita' giudiziaria dello stato dell'esecuzione (Considerando n. 8).
11. Date queste premesse, non puo' seriamente sostenersi che il legislatore italiano, nel dare attuazione alla decisione quadro, abbia inteso subordinare la consegna della persona ricercata alla verifica e alla rappresentazione  argomentativa da parte dell'autorita' giudiziaria della sussistenza dei "gravi indizi di colpevolezza", imponendo cioe' un regime valutativo e motivazionale assimilabile a quello che e' imposto dall'art. 705 c.p.p. per i casi in cui e' presentata domanda di estradizione da uno stato con il quale l'Italia non e' legata da specifici accordi.
I "gravi indizi di colpevolezza" sono certamente la indefettibile "ragione" per la quale l'autorita' giudiziaria di altro paese dell'U.E. ha emesso il mandato di arresto a carico di un soggetto sottoposto a procedimento penale. Essi devono essere "riconoscibili" dall'autorita' giudiziaria italiana. Ma questa si deve limitare a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa o processuale, fondato su un compendio  indiziario che l'autorita' giudiziaria emittente ha ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna.
E' questo dunque, e solo questo, il "controllo sufficiente" che in base alla decisione quadro (Considerando n. 8) spetta all'autorita' giudiziaria dell'esecuzione.
Va ancora precisato che il presupposto della "motivazione" del mandato di arresto cui e' subordinato l'accoglimento della domanda di consegna (artt. 1 comma 3 e 18 comma 1, lett. t, della legge n. 69 del 2005), non puo' essere strettamente parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana (esposizione logico- argomentativa  del significato e delle implicazioni del materiale probatorio). Quello che importa e' che l'autorita' giudiziaria di emissione dia "ragione" del mandato di arresto, il che puo' realizzarsi anche attraverso la puntuale allegazione delle  evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna.
Non si ravvisa dunque nella legge n. 69 del 2005, almeno nei termini qui rilevanti, alcun "arretramento" rispetto al regime stabilito dalla Convenzione europea di estradizione.
12. Venendo al merito del ricorso, gli elementi rassegnati dall'autorita' giudiziaria belga sono rappresentativi di gravi fatti-reato (configurabili nel nostro ordinamento come rapina aggravata, sequestro di persona, lesioni personali, detenzione e porto di armi) ascrivibili a I.P..
La pretesa del ricorrente di impegnare questa Corte nell'esame della problematica della sussistenza dei c.d. "riscontri individualizzanti" rispetto alla chiamata di correo di P.C. appare, per quello che si e' detto a proposito dell'ambito valutativo in cui deve muoversi l'autorita' dell'esecuzione, chiaramente inammissibile.
Non essendo state proposte ulteriori doglianze circa la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di consegna di I.P. proposta dall'autorita' giudiziaria belga, il ricorso, al limite dell'ammissibilita', va rigettato.
13. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo grado, posto che la previsione secondo cui le spese sostenute nel territorio nazionale per l'esecuzione di un mandato di arresto europeo sono a carico dello Stato italiano  (art. 37 della l. n. 69 del 2005) non riguarda il regime delle impugnazioni, retto, per cio' che concerne il ricorso per cassazione, dall'art. 616 c.p.p..
La Cancelleria provvederà alla comunicazione di cui all'art. 22 comma 5 della legge n. 69 del 2005.
 
 P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone che copia del provvedimento sia trasmessa a cura della Cancelleria anche a mezzo telefax al Ministro della Giustizia.
Visto l'art. 22 comma 4 della legge n. 69 del 2005, riserva il deposito della motivazione.
Cosi' deciso in Roma, il 23 settembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2005
 
© Copyright Penale.it - SLM 1999-2012. Tutti i diritti riservati salva diversa licenza. Note legali  Privacy policy