No alla lista testi depositata via PEC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico - Presidente -
Dott. GRILLO Renato - Consigliere -
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere -
Dott. RICCARDI Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/02/2016 del Tribunale di Trani;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DI NARDO Marilia, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il sig. M.F. ricorre per l'annullamento della sentenza del 29/02/2016 del Tribunale di Trani che lo ha dichiarato colpevole del reato p. e p. dalla L. n. 157 del 1992, art. 21, comma 1, lett. c), e art. 30, comma 1, lett. h), (esercizio della caccia mediante richiami acustici a funzionamento elettromagnetico), commesso in (OMISSIS), e lo ha condannato alla pena di 1.000,00 euro di ammenda.
1.1. Con il primo motivo, lamentando la mancata ammissione dei testimoni indicati nella propria lista tempestivamente depositata a mezzo pec, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d), la violazione dell'art. 495 c.p.p., comma 2.
Deduce, al riguardo, che il Tribunale non aveva ammesso la lista perchè mancava la prova del relativo deposito e, tuttavia, all'udienza del 08/02/2016, aveva contraddittoriamente proceduto all'audizione dell'unico testimone a discarico presente in aula (indicato nella lista), con esclusione di quello assente (anch'egli indicato in lista).
La mancata ammissione del secondo testimone - prosegue - ha gravemente leso il diritto di difesa ed è stata decisiva ai fini della condanna, fondata esclusivamente sulla documentazione acquisita in copia fotostatica recante aggiunte a mano non riconducibili con certezza agli apparenti sottoscrittori, definiti in sentenza "soggetti estranei agli interessi portati nel processo".
1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la contraddittorietà della motivazione relativamente ai beni oggetto di confisca e ordine di distruzione ed, in particolare, il contrasto tra la motivazione (in cui si fa riferimento esclusivamente al richiamo e alle batterie) e il dispositivo (nel quale si fa riferimento a "quanto in sequestro" e dunque anche all'arma, al fodero e alle cartucce).
Motivi della decisione
2. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
3. Il primo motivo è generico e manifestamente infondato.
3.1. Il ricorrente eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d), la violazione dell'art. 495 c.p.p., comma 2, dall'altro lamenta la mancata ammissione della lista dei testimoni depositata a mezzo PEC e la affermazione della sua responsabilità fondata (a suo dire) esclusivamente su una prova documentale non genuina.
3.2. Si tratta di aspetti non facilmente conciliabili tra loro, certamente non riconducibili all'unico "contenitore" intitolato alla violazione dell'art. 495, comma 2, codice di rito.
3.3. Il vizio formalmente eccepito, infatti, riguarda la violazione del diritto alla (contro)prova "decisiva" di cui all'art. 495 c.p.p., comma 2, e non ha nulla a che vedere con la ammissione della prova ai sensi dell'art. 495, comma 1, sicchè la questione relativa al deposito della lista testimoniale di cui all'art. 468 c.p.p., comma 1, ha scarsa rilevanza poichè l'imputato non deduce nemmeno di aver comunque sollecita l'assunzione dei propri testimoni a discarico sui fatti oggetto delle prove a carico, nè allega alcunchè in ordine alla natura decisiva della controprova.
3.4. Vero è che, secondo un indirizzo minoritario, la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici non compresi nella propria lista non potrebbe essere esercitata dalla parte che non abbia depositato la propria lista nel termine indicato, a pena di inammissibilità, dall'art. 468, comma primo, cod. proc. pen. (così, Sez. 6, n. 17222 del 22/01/2010, Martelli, Rv. 246998; Sez. 4, n. 8033 del 10/04/1995, Vincenti, Rv. 202023); tuttavia, tale indirizzo è ormai superato dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte ormai attestata sull'opposto principio che il termine perentorio per il deposito della lista testimoniale è stabilito, a pena di inammissibilità, soltanto per la prova diretta e non anche per la prova contraria, sicchè la parte che abbia omesso di depositare la lista dei testimoni nel termine di legge ha la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria dei testimoni, periti e consulenti tecnici poichè l'opposta soluzione vanificherebbe il diritto alla controprova, il quale costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa (Sez. 6, n. 26048 del 17/05/2016, Gandini, Rv. 266976; Sez. 5, n. 2815 del 12/11/2013, Cambi, Rv. 258878; Sez. 5, n. 9606 del 03/11/2011, Cazzador, Rv. 252158; Sez. 5, n. 1607 del 13/01/1995, D'Alessandro, Rv. 200658).
3.5. Sennonchè non pare che la questione abbia concreta rilevanza perchè dal testo della sentenza impugnata risulta (e di tanto dà atto lo stesso imputato) che l'omesso deposito della lista testimoniale non ha impedito l'assunzione del testimone a discarico, il che rende oltremodo contraddittorio e generico il ricorso sul punto. Secondo l'imputato, infatti, l'altro testimone non sarebbe stato ascoltato sol perchè assente all'udienza. Sennonchè, a norma dell'art. 468 c.p.p., comma 4, il testimone addotto a prova contraria può essere alternativamente citato, previa autorizzazione del giudice, ovvero presentato direttamente al dibattimento. Se l'imputato, come nel caso in esame, presenta direttamente al dibattimento un solo testimone a prova contraria, non può dolersi della mancata assunzione dell'altro testimone assente. Nè, infine, allega alcunchè sulla natura decisiva della testimonianza esclusa e sulla sua incidenza sulla tenuta della motivazione. Il ricorrente, infatti, non indica nemmeno le circostanze sulle quali il residuo testimone avrebbe dovuto essere ascoltato. Il che sottrae a questa Corte elementi decisivi di giudizio non potendosi valutare se la controprova fosse manifestamente superflua, se tendesse cioè ad un risultato conoscitivo che palesemente risultasse già acquisito (Sez. 3, n. 1798 del 09/11/1998, Storni, Rv. 212518; cfr., nello stesso senso, Sez. 4, n. 8189 del 04/07/1997, Pinotti, Rv. 208559; Sez. 1, n. 13543 del 18/11/1998, Caruso, Rv. 212057; Sez. 6, n. 20099 del 08/01/2003, Ruzz, Rv. 224967, secondo cui il vizio della sentenza consistente nella mancata assunzione di una prova decisiva, di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), si sostanzia in un "error in procedendo", che rileva solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni in motivazione addotte a sostegno della decisione, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una diversa statuizione. La valutazione in ordine alla decisività della prova va quindi compiuta in concreto, apprezzando se i fatti dalla parte indicati siano tali da potere inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice; Sez. 2, n. 2689 del 17/11/1999, Rapisarda, Rv. 215714 - seguita, sul punto, da Sez. 1, n. 4495 del 08/01/2002, Ginoli, Rv. 220705; Sez. 2, n. 11424 del 09/03/2001, Amoroso, Rv. 223622 - si esprime in termini ancora più netti, affermando che la "decisività" della controprova non acquisita si traduce nella sua potenzialità di sovvertire il valore degli altri elementi probatori utilizzati o ancora utilizzabili, nel senso che, ove l'assunzione sia richiesta dall'imputato, la stessa abbia l'attitudine ad infirmare i dati favorevoli all'accusa).
3.6. In ogni caso deve essere escluso che il "deposito" della lista testimoniale di cui all'art. 468 c.p.p., comma 1, possa essere effettuato con modalità diverse da quelle previste a pena di inammissibilità. In assenza di norme derogatorie o che comunque lo consentano espressamente, il "deposito" della lista testimoniale non può perciò essere effettuato con modalità telematiche (espressamente previste, invece, per il processo civile nel quale il "deposito telematico" è addirittura imposto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 179).
3.7. La trasmissione della lista a mezzo posta elettronica certificata onera la cancelleria che la riceve della attività di stampa e materiale deposito dell'atto con modalità nemmeno temporalmente scandite, con conseguente possibilità di ulteriore abbreviazione del termine previsto dall'art. 468 c.p.p., comma 1. La lista testimoniale non è indirizzata solo al giudice, ma anche alle parti che possono chiedere di essere ammessi a prova contraria e devono essere messe in condizione di farlo. L'inesistenza, nel processo penale, di un fascicolo informatico impedisce alle altri parti di accedervi in tempo reale e consultare immediatamente gli atti depositati con modalità telematiche.
3.8. Il "deposito telematico", inoltre, necessita dell'indicazione di regole precise in ordine alle modalità e tempestività dell'adempimento che, previste per il processo civile (D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 7, cit.), sono del tutto assenti in quello penale.
3.9. In termini generali, del resto, questa Corte ha già affermato il principio che non è consentito alle parti, pubbliche e private, di effettuare comunicazioni o notificazioni a mezzo posta elettronica certificata, nè adempimenti previsti con modalità la cui osservanza è stabilita a pena di inammissibilità. Si è così sostenuto che nel processo penale alle parti private non è consentito proporre istanza di rimessione in termini a mezzo PEC dal difensore di fiducia dell'imputato (Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Livisianu, Rv. 263189; in termini generali, cfr. Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443, secondo cui alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni nel processo penale mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata); nè è consentito proporre ricorso per cassazione o appello a mezzo PEC perchè le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 c.p.p., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante l'uso della posta elettronica certificata (Sez. 4, n. 18823 del 30/03/2016, Mandato, Rv. 266931). Analogamente, è stata ritenuta inammissibile l'impugnazione cautelare proposta dal P.M. mediante l'uso della posta elettronica certificata, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 c.p.p., esplicitamente indicato dall'art. 309, comma 4, a sua volta richiamato dall'art. 310 c.p.p., comma 2, - e applicabili anche al pubblico ministero sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l'autenticità della provenienza e la ricezione dell'atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l'uso della PEC (Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015, Alamaru, Rv. 263900).
3.10. Il tema della possibile alterazione della prova documentale sulla quale si fonderebbe in modo esclusivo la affermazione della responsabilità del ricorrente è, come detto, del tutto eterogeneo rispetto al motivo di ricorso dedotto (la violazione dell'art. 495 c.p.p., comma 2) ed è inammissibile, non solo e non tanto per la sua evidente distonia rispetto al tema trattato, quanto e sopratutto per la sua natura esclusivamente fattuale, del tutto avulsa dal testo della motivazione della sentenza impugnata (nella quale si fa riferimento anche alle prove testimoniali degli addetti al servizio di vigilanza venatoria).
4. Il secondo motivo è fondato.
4.1. Si legge nella motivazione della sentenza impugnata che "il richiamo e le batterie vanno confiscati e distrutti"; il dispositivo, invece, reca l'ordine della "confisca e distruzione di quanto in sequestro", compresi dunque l'arma, il fodero e le cartucce.
4.2. Appare chiaro che la confisca e distruzione di tali beni obiettivamente non è supportata da motivazione alcuna ed anzi è in contrasto con quanto nella stessa affermato.
4.3. La questione può essere risolta direttamente da questa Corte che, in applicazione del principio per il quale, in materia di caccia, la confisca delle armi utilizzate per commettere reati venatori può essere disposta nel solo caso di condanna per le contravvenzioni richiamate dalla L. n. 157 del 1992, art. 28, comma 2, con esclusione di ogni altra ipotesi, ha ritenuto illegittima la confisca di un fucile a seguito di condanna per il reato di cui all'art. 30, lett. h), trattandosi di ipotesi non richiamata dal predetto art. 28 (Sez. 3, n. 34944 del 09/07/2015, Biemmi, Rv. 264453; Sez. 3, n. 7390 del 07/01/2015, Lattanzi, Rv. 262420).
4.4. A prescindere, dunque, dalla questione della prevalenza o meno del dispositivo sulla motivazione, non v'è dubbio che la confisca anche dell'arma, del fodero e delle cartucce, oltre ad essere immotivata è certamente "contra legem" e non avrebbe potuto essere disposta.
4.5. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, limitatamente alla statuizione relativa alla confisca e distruzione anche dell'arma, del fodero e delle cartucce, dei quali deve essere disposta la restituzione.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata limitatamente alla confisca e distruzione anche dell'arma, del fodero e delle cartucce, di cui dispone la restituzione. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017
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