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 Francesca Di Muzio, a testimonianza della vittima "vulnerabile" nel sistema delle garanzie processuali

  

 

Sommario: Premessa-1.La nozione di vittima vulnerabile-2.La posizione della vittima nel processo penale- 3.La testimonianza “vulnerabile”: l’incidente probatorio e l’audizione in dibattimento- Conclusioni.

 

PREMESSA

Questa indagine è volta ad approfondire la tematica delle dichiarazioni della  vittima vulnerabile partendo dalla considerazione che nei confronti di questa vi è sempre stata una certa  “diffidenza ancestrale”, nell’altalena costante tra  il rafforzamento dei diritti dell’imputato  e quelli della persona offesa.

Il lavoro è volto ad  esaminare   la nozione di vulnerabilità la quale si è arricchita  nel tempo di connotati  e significati nuovi alla luce degli  interventi del legislatore europeo e nazionale ed  in particolare con il decreto legislativo n.24 del 4 marzo 2014, il quale novellando alcuni articoli del codice di procedura penale ha posto le basi per un vero e proprio statuto  della prova “dichiarativa” del soggetto vulnerabile codificandolo nell’art.398 comma 5 ter c.p.p.

 

1.La definizione di vittima “vulnerabile”.

Sino alla metà del secolo scorso, l’interesse scientifico per la figura della vittima [1] del reato era del tutto trascurabile, privilegiandosi un approccio al fenomeno criminologico unilateralmente rivolto  all’autore [2] quale soggetto che, mediante  una condotta  omissiva o commissiva trasgredente un precetto, lede un bene ritenuto meritevole di protezione penale ed in tal modo  determina un certo pregiudizio nei confronti di chi ne subisce le conseguenze.

 Storicamente, la collocazione del soggetto passivo in un ambito  marginale  era considerato  necessario corollario  dell’ attribuzione  in via esclusiva allo Stato del potere di intervenire di fronte alla commissione dei reati.

 Tale concezione, in specie, era funzionale ad evitare la diffusione di un sistema basato sulla vendetta privata, a livello individuale o di gruppo.

La vittima, veniva, così espropriata delle facoltà di reagire contro il suo aggressore per garantire il contenimento di pulsioni che se esplose sarebbero state insuscettibili di controllo[3].

A  partire dagli anni 40, [4] si è sviluppato, a livello internazionale, e successivamente anche in Italia, una diffusa corrente di pensiero che, nel dedicare attenzione alle tematiche concernenti la persona offesa dal reato [5]  ha determinato la nascita di una vera e propria scienza, la vittimologia [6]

 L’esigenza di rivalutare la posizione della vittima discende dalla riconosciuta inadeguatezza dell’impostazione tradizionale a soddisfare le aspettative di chi, avendo patito la lesione del bene di cui è titolare, non riesce ( perché il colpevole non è stato identificato, perché all’iter processuale  non è conseguita la condanna, per l’insufficienza patrimoniale del reo, ovvero per la materiale impossibilità di addivenire ad un effettivo ed integrale ristoro) a trarre dall’intervento pubblico il dovuto appagamento [7].

Il modello penale incentrato in termini di maggior attenzione accordata  al reo quale soggetto da individuare, condannare e poi rieducare, rivela in ciò la sua intrinseca debolezza nella assenza di “ascolto” alle richieste della persona offesa, che finiscono così col subire esperienze di “vittimizzazione” o  “ seconda vittimizzazione” [8].

Al rinnovato impegno dogmatico è seguita la riconsiderazione della nozione di vittima, ricostruita non più in chiave meramente passiva, ma alla stregua di soggetto che esprime esigenze di protezione, nonché di protagonista della realtà sociale e di ineludibile punto di riferimento  nello studio dei meccanismi e delle dinamiche criminali.

La definizione di “vittima vulnerabile[9] ovverosia di chi, come è noto, per le caratteristiche legate al soggetto( minore o infermo di mente) o al tipo di violenza  ha subito un trauma in conseguenza del reato e rischia di essere indotta alla c.d. “vittimizzazione secondaria”, ovvero al patimento di un nuovo trauma indotto dal processo e connesso alla riedizione del ricordo, trova il proprio  riferimento giuridico  nella Decisione quadro  del 15 marzo 2011 relativa alla posizione della vittima nel processo penale[10] e in numerosi atti internazionali.

Ricordiamo l’art 2 del Protocollo  delle Nazioni unite alla convenzione di Palermo contro il crimine organizzato e transazionale del 2000 , nel cui testo si richiama il termine  di “abuso di posizione di vulnerabilità”.

Non da ultimo la sentenza Pupino[11] della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che apre la strada all’audizione protetta delle vittime vulnerabili sottolineando la necessità di predisporre una modalità di audizione  della vittima adeguata  alla sua condizione,  nel rispetto del diritto dell’accusato al contradditorio ( del minore testimone di omicidio).

 Ma il nucleo semantico dell’espressione oltre a trovare conforto nella legislazione internazionale ed europea è desumibile da alcuni passi della sentenza della Corte Costituzionale n.63/2005[12]che apre al concetto di vulnerabilità legandolo alla condizione di infermità mentale.

La Corte fa riferimento nel proprio provvedimento all’infermità mentale come condizione di vulnerabilità della vittima  che esige un tutela rafforzata per quel che concerne l’audizione.

Quest’ultima facendo leva sul principio della tutela  del valore fondamentale  dell’integrità della persona art.3 Cost  e sull’esigenza  di evitare la cd vittimizzazione secondaria ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.398 comma 5 bis c.p.p “nella parte in cui non prevede che il giudice possa provvedere  nei modi  ivi previsti all’assunzione della prova ove fra  le persone interessate  ad esse vi sia  un maggiorenne infermo di mente, quando le esigenze  di questi lo rendono necessario ed opportuno”[13].

La Consulta ha aperto cosi la strada alla possibile individuazione di ulteriori ambiti soggettivi della nozione di  vulnerabilità evitando cosi di confinare la categoria  ad un numerus clausus di individui.

Siamo di fronte, dunque,  ad una estrema variabilità della nozione  che nel tempo si è arricchita di significato includendo non solo il minore, il soggetto affetto da infermità mentale,  ma anche le vittime di reati sessuali,  di maltrattamenti, di  violenza domestica, di mutilazioni genitali,di tratta e riduzione in schiavitù, di mafia e di terrorismo e di crimini efferati proprio sulla scia dell’ultimo intervento del legislatore con la cd. decreto femminicidio.

La nozione di vulnerabilità oscilla quindi tra la valorizzazione  della tipologia del reato subito dal soggetto e l’attenzione per le caratteristiche personali dell’individuo che ha patito il pregiudizio del reato.

Difatti, se da una parte prevale  l’aspetto oggettivo  ossia la vulnerabilità risulta connessa al tipo di  crimine tout court ( modalità dell’azione criminosa,  caratteristiche del bene tutelato particolarmente sensibile come la libertà sessuale ecc) dall’altro  prevale una  considerazione  soggettivistica ovverosia  la vittima è vulnerabile a prescindere dal tipo do fatto delittuoso  che abbia leso i suoi diritti.

Pertanto, una riflessione appare importante in ordine al concetto di venerabilità ed allo spazio che riveste all’interno del procedimento penale, difatti le condizioni di vulnerabilità  possono diventare nel processo elemento utile  agli indagati/ imputati al fine di minare la credibilità della testimonianza della vittima stessa agli occhi del giudice, se non addirittura strumentalizzabile come sovente accade oggi nei processi penali in cui la vittima è la donna o il minore.

2.La posizione della vittima  nel processo penale

Il panorama normativo e giurisprudenziale, in un quadro di produzione nazionale e sovranazionale, registra una sempre più marcata attenzione verso i diritti e gli interessi processuali propri di coloro che subiscono un patimento derivante da un fatto di reato.

Innanzitutto  va sottolineato che in seno  all’attività della Comunità europea esiste  un consolidato corpus di interventi a tutela delle vittime tra i quali spiccano i lavori del Consiglio di Tampere del 15 e 16 Ottobre 1999 (che chiedeva l’istituzione di programmi nazionali per favorire l’accesso alla giustizia delle vittime ed un sostegno per quanto riguarda le spese legali) preceduto qualche mese prima dall’approvazione di una specifica Comunicazione della Commissione al Consiglio “Vittime di reati nell’Unione Europea “Riflessioni sul quadro normativo e sulle misure da prendere”,e seguito dall’ l’adozione in data 15 Marzo 2001 di un’apposita “Decisione Quadro” sulla posizione della vittima nel procedimento penale [14].

Ancora, nel 2001 rileva l’approvazione  in sede europea di un “Libro Verde” sul “Risarcimento delle vittime dei reati” [15], seguita da prese di posizione del Comitato Economico  Sociale e del  Parlamento Europeo per la fissazione  in particolare, di norme minime per il risarcimento delle vittime dell’Unione e per un miglior accesso a tale risarcimento nelle situazioni transfontaliere [16].

Vanno ricordate altresì le varie Raccomandazioni approvate dal  Comitato dei ministri del Consiglio D’Europa come la “Risoluzione del 28 settembre 1977 n° (77) 27 sul risarcimento delle vittime del reato” [17], “La Convenzione Europea  del 24 novembre 1983, sul risarcimento delle vittime dei reati violenti”[18], “La Raccomandazione del 28 giugno 1985, n° R(85) 11 sulla posizione della vittima nell’ambito del diritto e della procedura penale” [19] ed infine  “la Raccomandazione del 17 settembre 1987  n°  R (87) 21 , sull’assistenza alle vittime e la prevenzione della vittimizzazione”, [20] nonché la “Declaration of Basic Principle of Abuse of Power” delle Nazioni Unite[21].

In questa direzione, si è mosso  il Trattato di Lisbona nell’ottica di  voler uniformare le legislazioni degli Stati membri con l’introduzione di norme minime comuni a tutela dei diritti delle vittime.

E da ultimo la Convenzione di Istanbul, Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica[22] ove all’art.49  e seguenti vengono richiamati i criteri da seguire nella fase delle indagini affinché la vittima venga assistita adeguatamente nel  processo   alla luce degli standard europei, soffermandosi in particolare sulle misure di protezione da adottare prima , durante  e dopo il procedimento penale.

Nonostante gli inviti del legislatore europeo il codice di rito italiano non risulta pienamente conforme ai livelli  di protezione richiesti dalle fonti sovranazionali; ciò è dovuto al difficile contemperamento e  bilanciamento tra la posizione dell’imputato e quella della vittima che  esige una forte  riflessione alla luce delle norme processulpenalistiche.

 E’ pressoché pacifico che il nostro codice  è improntato alla tutela dell’imputato, basti  pensare  all’art.111. della Cost. e  all’ art.6 Cedu, tralasciando la posizione della vittima che per lungo tempo è stata considerata la “grande dimentica della giustizia[23]”.

 Ma  se da un lato la disciplina nazionale appare  lacunosa e disorganica, allo stesso tempo segna una significativa evoluzione rispetto al passato, accanto al microsistema  delle misure cautelari,  una particolare attenzione viene data  alla testimonianza della vittima vulnerabile nell’incidente  probatorio speciale fino al dibattimento,  proprio in relazione alle  modalità di audizione “ protetta” alla luce anche degli ultimi interventi riformatori del legislatore che hanno modificato alcune norme del codice di procedura penale.

 Il nostro codice del 1988 già prevedeva nel proprio corpus dei   poteri attributi alla persona offesa rappresentati da atti di sollecitazione  probatoria, di impulso processuale, partecipativi,  come ad  esempio in relazione all’incidente probatorio oppure  in tema di archiviazione; nonché relativamente alla proroga  del termine di durata delle indagine, alle attività connesse al controllo dell’azione penale  e ai “ poteri partecipativi” come ad esempio  la possibilità  di presenziare agli accertamenti tecnici  non ripetibili previsti dal 360 c.p.[24]

Tra i poteri partecipativi spicca  anche il potere di richiedere  al p.m. di promuovere l’incidente probatorio, per assumere quella prova che appare non rinviabile in dibattimento.

Ed ancora alla persona offesa è riconosciuta la  possibilità prevista di presentare memorie ex art.90 c.p.p. e di indicare elementi di prova, ma come è stato  acutamente rilevato, all’offeso  viene riconosciuto uno jus postulandi  incompleto, di gran lunga inferiore al diritto alla prava attributo alle parti.

A tale quadro si aggiunge, da ultimo, come anzidetto  l’intervento del legislatore con il cosiddetto decreto  “femminicidio” decreto legislativo 4/2014 che ha sollevato non poche perplessità se non fosse altro per il valore di emergenzialità che viene dato al fenomeno della violenza che avrebbe dovuto invece essere oggetto di un intervento organico e di sistema, ma che certamente ha ampliato e rafforzato la posizione delle vittime in particolare delle vittime  di violenza di genere[25].

Si pensi alle modifiche intervenute all’art.408 c.p.p. con l’introduzione del comma 3 bis prevedendo che per il delitto di maltrattamenti, l’avviso della richiesta di archiviazione sia notificato in ogni caso alla persona offesa e dunque anche  senza che questa abbia formulato  espressa richiesta di ricevere l’avviso ex 408 comma 2 cp.p.[26]

Emblematico è l’intervento  che ha novellato l’ art 415 bis c.p.p. che ora prevede  che l’avviso di conclusione delle indagini preliminari per i reati di maltrattamenti venga notificato anche al difensore della persona offesa o in mancanza di questa alla persona offesa, tale previsione sembra aderire perfettamente ai principi generali di informazione della vittima che evoca quello contenuto dell’art.56 della Convenzione di Istanbul.

3.la testimonianza della vittima “vulnerabile”: l’incidente probatorio  e l’audizione in  dibattimento.

La testimonianza  resa dalla persona offesa dal reato per lungo tempo è stata trattata da un certo indirizzo giurisprudenziale con molta cautela, ciò legato al fatto che non veniva attribuita a quest’ultima piena  forza probante all’interno del processo penale.

Attualmente,  invece, si afferma che la testimonianza della vittima  può essere sufficiente anche da sola a formare il libero convincimento del giudice su un fatto di reato specialmente per quel che concerne i  reati con  vittime vulnerabili.

L’importanza e la necessità di preservare la genuinità della prova dichiarativa nel procedimento penale quando questa abbia come fonte la vittima vulnerabile è stata avvertita in sede internazionale  e recepita da ultimo con la legge comunitaria del 2009  che prevedeva espressamente l’obbligo per il governo di “introdurre  nel codice di procedura penale una o più disposizioni che riconoscano alla persona offesa dal reato, che sia da considerare per ragioni  di età, condizione psichica o fisica, particolarmente vulnerabile la possibilità di rendere al propria testimonianza secondo modalità idonee a proteggere la sua personalità e a preservarla dalle conseguenze della sua deposizione in udienza”. Rendere testimonianza nel procedimento penale su fatti e circostanze legati all’intimità della persona e connesse alle  violenze subite è sempre esperienza difficile e psicologicamente pesante e traumatica, specie se poi chi è chiamato a deporre è persona particolarmente vulnerabile e più di altre esposta ad influenze e condizionamenti esterni.

In questi casi l’adozione di speciali modalità “protette” di assunzione della prova quanto a luogo, ambiente, tempo nonché alle modalità concrete di procedere all’esame, non solo non contrasta con le esigenze proprie del processo, ma, al contrario, concorre altresì ad assicurare la genuinità della prova medesima suscettibile, al contrario di essere pregiudicata ove si dovesse procedere ad assumere la testimonianza con le modalità ordinarie.

Il nostro codice recependo la legge comunitaria ha previsto che  nel corso delle indagini preliminari e nella fase dell’udienza preliminare, ove si proceda per il reato di maltrattamenti, per i delitti più gravi in materia di libertà sessuale, di sfruttamento della prostituzione minorile, di stalking, di riduzione in schiavitù e tratta di persone la testimonianza del minore o di persona maggiorenne  può essere assunta mediante incidente probatorio anche al di fuori delle ipotesi di non rinviabilità dell’atto: il c.d. incidente probatorio “liberalizzato”( art. 392 comma 1 bis.cp.p.)[27]

Sull’onda di tale riconoscimento il decreto fenminicidio  ha novellato l’at.  art.398 del codice di procedura modificando  il comma   5 bis e inserendo un nuovo comma il 5 ter.

Il comma 5 bis  estende anche al  reato di maltrattanti le peculiari  modalità di audizione protetta previste per  sia per il soggetto minorenne sia per il maggiorenne, [28]mentre il comma 5 ter stabilisce che le disposizione del comma 5 bis vengano applicate anche al soggetto maggiorenne qualora questi si trovi in condizione di particolare vulnerabilità.

Ciò al fine di  evitare l’esperienza traumatica del  dibattimento  per cui  l’audizione può svolgersi anche in un contesto diverso dal Tribunale, avvalendosi di strutture e di personale  specializzato ed anche  nell’abitazione della vittima. E ciò all’evidente fine di proteggere la fonte dichiarativa debole dal trauma psicologico di una reiterata e usurante deposizione in sede dibattimentale.

Vero è che a seguito della  nota sentenza Pupino e della conseguente pronuncia della Corte di Lussemburgo  del 16 giugno 2015 si  era creato un orientamento accolto  con favore da  una parte dei giudici di merito volto ad estendere in via ermeneutica il precedente catalogo di cui all’art.398  comma 5 bis  ad alcuni delitti in danno di vittime vulnerabili che non vi erano compresi.

Tuttavia l’inserimento espresso nella norma summenzionata voluto dalla dlgs 24/2014 dell’art. 572 c .p.e nella norma summenzionata deve essere certamente accolto con apprezzamento, auspicando cosi  l’estinzione anche  ad altre  figure di reato.

L’art. 398 comma 5  ter c.p.p. segna  chiaramente  un decisivo passo in avanti particolatamente significato nel nostro ordinamento intorno alla costruzione  dello statuto della prova dichiarativa  del vittima  vulnerabile e pone le basi per la riscrittura della prova dichiarativa  in relazione alla “condizione del dichiarante”.

Invero,il nuovo comma 5 ter, introdotto con la dlgs n.24 del 2014 non solo corregge le asimmetrie processuali  tra la disciplina del 392 comma 1 bis cp.p. e il 398 c.p.p. consentendo l’ammissione  della testimonianza protetta degli offesi maggiorenni  con la predisposizione di modalità protette indicate dal 398 comma 5 bis c.p.p ma va ben oltre consentendo di  estendere oltre il perimetro  tracciato dall’elenco  dei reati indicati dal comma 5 bis c.p.p.

Per quel che concerne il dibattimento l’esigenza di preservare la fonte dichiarativa trova oggi di tutela adeguata con la novella dell’art. 498  comma  4 ter e con l’inserimento del comma 4 quater.[29]

Il comma   4 ter  dell’art. 498 prevede l’uso del vetro specchiato e dell’impianto citofonico per l’audizione del minore o del maggiorenne   infermo di mente , anche per i reati di  stalking e di maltrattamenti in famiglia  per i reati sessuali e per la tratta.

Mentre con l’inserimento dell’art. 4  quater, se la persona è maggiorenne il giudice assicura  che l’esame venga condotto in modalità protetta  tenendo conto della particolare vulnerabilità della vittima.

La norma di nuovo conio viene introdotta proprio  sulla scia dell’ampliamento di quella nozione di vittima vulnerabile estendendo cosi per i reati di stalking, maltrattamenti, tratta e riduzione in schiavitù le garanzie di audizione protetta previste per il minore e per l’infermo di mente al maggiorenne con l’unica condizione  che la richiesta deve essere avanzata  al giudice del difensore e della vittima.

Vero è che l’audizione  della vittima vulnerabile dovrebbe trovare la sua sede naturale  nell’incidente probatorio, ma sovente accade che l’audizione anticipata e protetta in una grande quantità di casi viene ripetuta in sede dibattimentale.

Il che di fatto vanifica la funzione  dell’incidente probatorio speciale e rischia di produrre  il paradossale effetto di  moltiplicare l’audizione dei vulnerabili  piuttosto che ridurle.

Ciò a motivo dell’assoluta inadeguatezza della norma di cui all’art.190 comma 1 bis c.p.p., norma che svolge la funzione di argine normativo alla ripetizione della testimonianza, difatti la stessa  prevede  di non ripetere  l’esame solo  nei casi in cui il dichiarante  vulnerabile sia anche offeso di alcuni reati  ed anche minore di anni sedici.[30]

Difatti l’elenco dei reati di cui al comma 1 bis cp.p. non coincide affatto con quello previsto dall’ art.392 1 bis cp.p. che include anche il reato di stalking e di maltrattamenti.

Pertanto sarebbe sicuramente apparsa quantomeno  necessaria una modifica del comma 1 bis dell’art 190 c.p.p. onde evitare le discrasie del sistema che appaiono certamente evidenti.

Pertanto la novella operata dalla decreto femminicidio per quanto illuminata rischia di non essere efficace  se non si procede alla revisione sistematica della disciplina  della testimonianza vulnerabile.

CONCLUSIONI.

L’intervento sulla disciplina dell’incidente probatorio e del dibattimento del dichiarante  vulnerabile segna  un passo in avanti verso la ristrutturazione del sistema processuale   di raccolta della prova dichiarativa informato alla valorizzazione  delle condizioni personali della vittima.

Ciò pone le basi per la riscrittura dello statuto della prova dichiarativa  valorizzando in particolar modo la funzione tutelante  dell’anticipazione del contradditorio nella sua dimensione “attenuata”   ogni qual  volta venga  accertata la condizione di vulnerabilità.

Alla luce di questo intervento novellatore chiaro è che il diritto di difesa   può certamente subire un affievolimento per garantire  un’efficace tutela dei diritti del dichiarante vulnerabile, sulla scia delle indicazioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo  e della lettura orientata dell’art.111 Cost.

Francesca Di Muzio, Avvocato penalista- Cultrice delle materia in Procedura penale Università degli Studi di Teramo- Presidente Centro Antiviolenza Donn.è - febbraio 2015

(riproduzione riservata)


[1] Il concetto di vittima è assai antico e si ritrova in numerose culture, strettamente legato al sacrificio religioso con un preciso valore simbolico, così, A. Balloni, “Cause ed effetti del ritardato sviluppo della vittimologia”, in “La vittima del reato questa dimenticata”, Convegno dell’Accademia dei Lincei, Roma5 dicembre 2001,p.14.

Per la versione inglese v. “ Causes ed effects of the Late Development of Victimology in Italy”, in XIth International Symposium on Victimology 13- 18 July 2003, Stellenbosch, South Africa.

 

[2] In particolare,cfr. M.del Re, “Il Terzo convegno mondiale di Vittimologia: prima la vittima”, in Indice penale 1988 p. 646.  Sul punto, cfr, C. Roxin, “ La posizione della vittima nel sistema penale” in Indice penale, 1989, p.5 ss.

 

[3] Sul punto, v. D, Cappuccio” La vittima del reato”  (Parte Prima) ,in Diritto e Formazione, 2003 n3 p.925.

 

[4] Negli anni 40 sono apparsi i primi studi sistematici sulle vittime dei reati, in particolare , nel 1948 è  stato edito il libro “The criminal and his victims” di Von Heting da tutti considerato  come il fondamento della vittimologia come scienza empirica. Cfr. Von Heting, “The Criminal and his Victims”. Studies Sociology of the Crime, New Haven, 1948.

 

[5] Sulla nozione di persona offesa, vedi, infra,Parte prima, Capitolo II  Par.1.

[6] Sul punto,v. Tullio Bandini, voce, “Vittimologia”, in Enc. Dir. XLVI 1993p.1008 ss.

 

[7] In questi termini, v. D.Cappuccio “La vittima del reato”, ( Parte prima ), in” Diritto e formazione”, 2003 n 3 p.925.

 

[8] Il termine di vittimizzazione o seconda vittimizzazione è stato coniato proprio per descrivere le penose conseguenze per la persona offesa derivanti dal contatto insoddisfacente e frustrante con il sistema di giustizia penale.

 Per una più dettagliata analisi del concetto di  vittimizzazione, cfr. G. Gullotta –M.Vagaggini, in “Dalla parte della vittima”, Milano, 1990 p.49 ess.

Espressamente sul punto M. Correra- D. Riponti, “La vittima nel sistema italiano di giustizia penale”, 1990,p .62.

 Gli autori sottolineano che nel processo penale la vittima subisce un vero e proprio processo di “ seconda vittimizzazione” in quanto essa sovente viene trattata dagli investigatori , dalla polizia e dagli operatori del sistema processuale in modo duro e brutale…., subendo in tale modo un ulteriore trauma psicoemotivo talvolta aggravato dai danni addizionali legati alla pubblicità del fatto.

 

[9] “ Victims” means persons who, individually or collectively, have suffered harm, including physical  or mental injury, emotional suffering, economic loss or substantial impairment of their fundamental rights through acts or omission that are in violation of criminal laws operative within members states, including those laws proscribing criminal abuse of power , cfr.  M.C.Bassiouni, “Declaration of  basic principles for victims and abuse of power”, in “The protection of collective victims, Paris,  1988.

 

 

[10] Cfr., il contenuto della “ Decisione  quadro del consiglio d’Europa sulla posizione  della vittima nel procedimento penale, Documenti ufficiali, www.europa.eu.it.

[11] Cfr, sentenza Grande Corte 15 giugno 2005.

 

[12] Vedi sentenza Corte Cost. n 63/2005 in http://archivio.rivistaaic.it/cronache/giurisprudenza_costituzionale/index.html

[13] Sul punto cfr. Giovanni Canzio, “La tutela della vittima  nel sistema delle garanzie processuali: le misure cautelari e la testimonianza vulnerabile”, p 985 ss.

[14] Cfr. il testo della  Decisione Quadro del 15 Marzo 2001 sulla posizione della vittima nel procedimento penale, in Dir. pen.e proc.2001, p.652 ss.

[15] Il testo integrale del libro verde sul “Risarcimento delle vittime dei reati” è disponibile per la consultazione sul sio web//hptt//www.europa.eu.int.

[16] Per tale nozione,v, F.Tesauro, Diritto Comunitario, Padova ,2001p .306ss.

 

[17] Cfr .M. V. Del Tufo,”La  tutela della vittima in una prospettiva europea” ,in Dir.pen.e proc. n°7/1999, p.889 ss.

 

[18] European Convention on the Compensation of victims of Violent Crime, European Treaty Series n.116” .

Per il testo in francese cfr. Riv.it.dir.e proc.pen,1984, p. 777.

[19] « Raccomandation n. R (85) 11 du Comité des Ministres aux Etats Membres sur la position de la victime dans la cadre du droit pénal et de la procédure pénale », adottata il 28 giugno 1985.

Per la traduzione italiana v. l’Indice Penale, 1985, p.712.

 

[20] « Raccomandation n R (87) 21 du Comité des Ministres aux Etats Membres sul l’assistence aux victimes et la pré vention de la victimisation », in M. Correra- D. Riponti, “  La vittima nel sistema italiano di giustizia penale”,1990, p. 159ss.

 

[21] In argomento, cfr. M.C. Bassiouni, “ Declaration of basic principles for victimis of crime and abuse of power”, in The protection of collective victimis, Paris, 1988.

 

[22]Per il testo  integrale della Convenzione di Istanbul in http://www.conventions.coe.int/Treaty/.


 

[23]In questi termini, cfr.” la Vittima del reato, questa dimenticata”, Atti del Convegno dell’Accademia dei Lincei, Roma 5 dicembre 2001.

[24] Sul punto  v. R.E. Kastoris, “La tutela della persona  offesa nel procedimento penale”, in  “Vittima del reato questa dimenticata”, Atti del convegno  Accademia dei lincei , Roma 2001.

In argomento v. A. Scalfati, “ La fisionomia  mutevole  della persona offesa dal reato nel procedimento penale” , in Dir. Pen. Proc. n.10, 2002.

[25] In argomento cfr. Antonella Merli, “Violenza di Genere e Femmincidio”, in http://www.penalecontemporaneo.it/ p. 1 e ss.

[26] Sul punto cfr.  Giuseppe Pavich, “Le novità del decreto legge sulla violenza di genere: cosa cambia per i reati con vittime vulnerabili “p.14 e ss , in http://www.penalecontemporaneo.it/

[27] Sul punto, cfr. Giovanni Canzio “La tutela della vittima nel sistema delle garanzie processuali: le misure cautelari e la testimonianza  vulnerabile”, in Dir.pen. e  proc. n.8 2010 p. 985 e ss.

[28] In particolare v. Elisabetta Rosi, “ Tutela delle vittime dei reati con particolare riferimento alle vittime vulnerabili” p. 10 e ss. Relazione  Ufficio del Massimario Corte di Cassazione.

[29] Cfr Codice di procedura penale art. 498 comma 4 quater  c.p.p. cosi come modificato dalla dlgs 24/2014.

[30] In argomento v.  Sandra Recchione, “A proposito del dlgs. 4 marzo 2014” , n.24 p 1 ss in rivista on line,  http://www.penalecontemporaneo.it/

 

 
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