Non è irricevibile né inammissibile la richiesta di rinvio per legittimo impedimento, dell’imputato o del difensore, inviata a mezzo telefax in cancelleria; peraltro, l’utilizzo di tale irregolare modalità di trasmissione comporta l’onere per la parte, che intenda dolersi in sede di impugnazione dell’omesso esame della sua richiesta, di accertarsi del regolare arrivo del fax e del suo tempestivo inoltro al giudice competente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENTILE Domenico - Presidente -
Dott. PRESTIPINO Antonio - Consigliere -
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere -
Dott. IASILLO Adriano - Consigliere -
Dott. BELTRANI Sergio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.R.C. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4066/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del 06/12/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI. Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FODARONI Maria Giuseppina che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente all'omessa concessione del beneficio della non menzione, con rigetto nel resto;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale della stessa città in data 17 febbraio 2009 aveva dichiarato l'odierno ricorrente colpevole di appropriazione indebita aggravata (fatto commesso in (OMISSIS)), condannandolo - ritenute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti - alla pena ritenuta di giustizia, con le statuizioni accessorie in favore delle costituite parti civili.
2. Avverso tale provvedimento, l'imputato (personalmente) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
1 - violazione degli artt. 192, 530 e 546 c.p.p., con vizio di motivazione (lamenta la mancata considerazione delle prove a suo favore: illegittimamente la Corte di appello avrebbe addossato all'imputato l'onere di dimostrare la sua innocenza, addivenendo ad una inammissibile inversione dell'onere della prova, che al contrario incombe sul P.M.);
2 - violazione degli artt. 60, 61, 178, 419 e 420-quater c.p.p. e art. 24 Cost. (lamenta di aver chiesto il rinvio dell'udienza di appello 6 dicembre 2012 adducendo il proprio legittimo impedimento a comparire per ragioni di salute asseritamente documentate, con istanza trasmessa a mezzo fax il 5 dicembre 2012 ore 9.31, ed in originale a mezzo raccomandata postale ricevuta il 12 dicembre 2012:
detta istanza non risulta valutata, ed anzi l'imputato fu dichiarato contumace);
3 - violazione dell'art. 97 c.p.p. e art. 28 disp. att. c.p.p., con vizio di motivazione (lamenta che, a seguito della rinunzia al mandato del difensore di fiducia, comunicata a mezzo fax in data 20 novembre 2012, e poi in originale con raccomandata A/R ricevuta il 26 novembre 2012 non gli sia stato nominato immediatamente un difensore di ufficio, nominato all'udienza successiva tra i difensori presenti in aula, senza contattare il call center);
4 - violazione dell'art. 646 c.p., art. 61 c.p., nn. 7 e 11 (lamenta la mancanza dei relativi elementi costitutivi, contestando ancora una volta l'affermazione di responsabilità);
5 - violazione degli artt. 85 ed 89 c.p., con vizio di motivazione (lamenta che non sì sia tenuto conto ai fini di cui alle indicate disposizioni del proprio accertato stato depressivo);
6 - violazione della L. n. 241 del 2006 con vizio di motivazione (lamentando la mancata applicazione del condono);
7 - violazione degli artt. 133, 133 bis e 62 bis c.p. (lamenta l'eccessività della pena, tenuto conto dei profili oggettivi della vicenda e delle proprie vicissitudini personali, sottolineando di vivere con l'anziana madre, nonchè la mancata valutazione delle attenuanti generiche nella massima estensione e con prevalenza sulle concorrenti aggravanti; aggiunge di essere disoccupato e vivere di stenti);
8 - violazione dell'art. 130 c.p.p. in relazione agli artt. 163 e 175 c.p. (lamenta che non gli sia stato concesso il beneficio della non menzione, pur avendo ottenuto la sospensione condizionale della pena, e chiede la correzione dell'errore materiale del dispositivo della sentenza di primo grado, che non da conto dell'intervenuta sospensione condizionale della pena, pur se detto beneficio era stato chiaramente riconosciuto in motivazione);
9 - violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e lett. e) (lamentando che la sentenza di primo grado non sia stata rivisitata alla luce dei motivi di appello presentati).
Ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata, con ogni opportuno e/o necessario provvedimento consequenziale e vittoria di spese.
3. All'odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza.
Motivi della decisione
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente alla mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, che va disposta; nel resto il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA' SULLA MOTIVAZIONE. 1. E' necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento.
1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cd. "travisamento della prova" (consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica), purchè siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) intenda far valere il vizio di "travisamento della prova" deve, a pena di inammissibilità (Cass. pen., Sez. 1, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n. 234115; Sez. 4, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n. 249035):
(a) identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza;
(b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè dell'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
1.1.2. In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio della cd.
"autosufficienza del ricorso", inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell'art. 360 c.p.p., comma 1, n. 5 (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione:
"(...) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio"; la disposizione stabilisce attualmente, all'esito delle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione" (...) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti"), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006) dell'art. 366 c.p.p., comma 1, n. 6, (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità: "(...) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda"), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. 2, sentenza 2 dicembre 2005, n. 26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n. 14561, CED Cass. n. 623618).
Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che "la teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve ritenersi precluso a questa Corte l'esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso" (Sez. 1, sentenza n. 16706 del 18 marzo - 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123; Sez. 1, sentenza n. 6112 del 22 gennaio - 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225; Sez. 5, sentenza n. 11910 del 22 gennaio - 26 marzo 2010, CED Cass. n. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; Sez. 6, sentenza n. 29263 dell'8-26 luglio 2010, CED Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso; Sez. 2, sentenza n. 25315 del 20 marzo - 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l'atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione).
In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:
"In tema di ricorso per cassazione, va recepita e applicata anche in sede penale la teoria della autosufficienza del ricorso, elaborata in sede civile; ne consegue che, quando i motivi riguardino specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante l'allegazione o la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la Corte Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede penale è precluso al giudice di legittimità l'esame diretto degli atti del processo".
1.2. La mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un., sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074).
Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di "un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonchè i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi" (Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 14624 del 20 marzo 2006, CED Cass. n. 233621; Sez. 2, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789), e di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 6, sentenza n. 27429 del 4 luglio 2006, CED Cass. n. 234559;
Sez. 6, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).
1.3. Il giudice di legittimità ha, pertanto, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il compito di accertare (Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 35964 del 28 settembre 2006, CED Cass. n. 234622; Sez. 3, sentenza n. 39729 del 18 giugno 2009, CED Cass. n. 244623; Sez. 5, sentenza n. 39048 del 25 settembre 2007, CED Cass. n. 238215; Sez. 2, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere tale da disarticolare l'intero ragionamento del giudicante o da determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l'esistenza di una radicale incompatibilità con l'iter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto;
(d) la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del cd.
"travisamento del fatto", ma solo qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu oculi ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio).
1.4. Va, infine, evidenziato che non è denunciabile il vizio di motivazione con riferimento a questioni di diritto.
1.4.1. Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (Sez. 2, sentenze n. 3706 del 21. - 27 gennaio 2009, CED Cass. n. 242634, e n. 19696 del 20 - 25 maggio 2010, CED Cass. n. 247123), anche sotto la vigenza dell'abrogato codice di rito (Sez. 4, sentenza n. 6243 del 7 marzo - 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442), il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacchè ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.
E, d'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere solo dall'errata soluzione di una questione giuridica, non dall'eventuale erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. 4, sentenza n. 4173 del 22 febbraio - 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).
Va, pertanto, ribadito il seguente principio di diritto: "nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la soluzione di esse sia giuridicamente corretta.
D'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere soltanto dall'errata soluzione delle suddette questioni, non dall'indicazione di ragioni errate a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente corretta).
LA NECESSARIA SPECIFICITA' DEL RICORSO PER CASSAZIONE. 2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, condivisibilmente, orientata nel senso dell'inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa (Sez. 6, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037: nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la "mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione" in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di un'ordinanza applicativa di misura cautelare personale; Sez. 6, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 - 12 gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass. n. 251528).
Invero, l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) stabilisce che i provvedimenti sono ricorribili per "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".
La disposizione, se letta in combinazione con l'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) (a norma del quale è onere del ricorrente "enunciare i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta") evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata.
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a parere della quale "E' inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame" (Sez. 2, sentenza n. 31811 dell'8 maggio 2012, CED Cass. n. 254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile.
2.1. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con l'aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
2.1.1. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che "La funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta).
2.1.2. Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una "duplice specificità": "Deve essere sì anch'esso conforme all'art. 581 c.p.p., lett. C (e quindi contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione); ma quando "attacca" le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente" (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).
2.1.3. Risulta, pertanto, evidente che, "se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d'appello, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente attaccato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d'appello) potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da parte del giudice d'appello in ordine a quanto devolutogli nell'atto di impugnazione. Infatti, quand'anche effettivamente il giudice d'appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del motivo d'appello condanna il motivo di ricorso all'inammissibilità. E ciò per almeno due ragioni. E' censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per l'ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d'appello) non è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza grafica, pretende la dimostrazione della sua mera apparenza rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto, è pure onerata dell'obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso".
2.1.4. Può, pertanto, concludersi che "la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale dell'adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi consolidati in materia di motivazione per relazione nei provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima sentenza con i motivi d'appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione" (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D'APPELLO. 3. Anche il giudice d'appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacchè le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 - 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).
3.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilità, va, peraltro, ritenuta l'ammissibilità della motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. 2, sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993 - 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. 3, sentenza n. 13926 del 1 dicembre 2011 - 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).
L'AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA' "OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO".
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio", presente nel testo novellato dell'art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all'affermazione di responsabilità dell'imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell'icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacchè, in precedenza, il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell'art. 530, c.p.p., comma 2, sicchè non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema - per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10 luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato dell'art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell'imputato (Cass. pen., Sez. 2, sentenza n. 19575 del 21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. 2, sentenza n. 16357 del 2 aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato (Sez. 2, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 - 13 febbraio 2013, CED Cass. n. 254025) che "La previsione normativa della regola di giudizio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell'imputato".
IL RICORSO. 5. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l'odierno ricorso.
6. Il primo, il quarto, il quinto ed il nono motivo possono essere esaminati congiuntamente: si tratta di motivi generici e manifestamente infondati.
6.1. Quanto all'affermazione di responsabilità, il ricorrente ha reiterato più o meno pedissequamente doglianze già costituenti oggetto di appello e già disattese dalla Corte di appello, senza adeguatamente confrontarsi con il percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata, che, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, richiamando anche la sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, ha compiutamente indicato (f. 1 s.) le ragioni poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità, valorizzando essenzialmente le acquisite dichiarazioni testimoniali (motivatamente ritenute attendibili), dalle quali è emerso che l'imputato aveva ricevuto dalla p.o. L. A. una somma di denaro destinata all'acquisto, per conto della donna, di una autovettura, in realtà mai versata alla concessionaria; tardiva e palesemente inaffidabile è apparsa la giustificazione solo in un secondo momento fornita di aver affidato la somma ad un terzo intermediario che se ne sarebbe appropriato, smentita dai dipendenti della concessionaria, non documentata ed all'evidenza inconsistente, tenuto conto che l'imputato non ha mai fatto il nome di tale soggetto nè indicato le modalità della presunta consegna del denaro ricevuto dalla L..
A tali rilievi il ricorrente non ha opposto alcunchè di decisivo, se non generiche ed improponibili doglianze fondate su una personale rivisitazione dei fatti di causa, senza documentare, nei modi che si è visto essere di rito (p.1.1. ss. di queste Considerazioni in diritto) eventuali travisamenti.
6.2. La Corte di appello ha specificamente indicato le ragioni per le quali riteneva la sussistenza delle circostanze aggravanti contestate (effettivamente configurabili in relazione ai rapporti negoziali intercorrenti tra l'imputato e la p.o. mandante, ed all'entità della somma oggetto di appropriazione), aggiungendo che non "emergono elementi di alcun genere per ritenere che al momento del fatto lo S. fosse non imputabile per difetto di capacità di intendere e di volere, sempre lucido essendo ovviamente apparso a mandanti e impiegati della venditrice, nè rilevano gesti autolesivi commessi dopo l'incasso della somma le cui ragioni non risultano provate in alcun modo e considerata l'ampia disamina sul punto del giudice di primo grado".
6.2.1. Peraltro, la doglianza inerente alla violazione dell'art. 89 c.p. è anche inammissibile ex art. 606 c.p.p., comma 3, essendo stata formulata per la prima volta in sede di legittimità, e non anche come motivo di appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di appello riportato nella sentenza impugnata, che l'odierno ricorrente avrebbe avuto il dovere processuale di contestare specificamente nell'odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto.
6.3. Del tutto generico appare, infine, il nono motivo, poichè il ricorrente, come ordinariamente imposto dall'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. C), non avrebbe dovuto limitarsi a lamentare l'omessa motivazione sul contenuto di propri motivi di appello, ma avrebbe dovuto indicare, con la necessaria specificità, in qual modo l'omessa considerazione delle argomentazioni svolte in gravame avrebbe inficiato la complessiva tenuta dell'iter argomentativo seguito dal provvedimento impugnato.
Al contrario, nel caso di specie, il ricorrente si è limitato a lamentare l'omessa considerazione del contenuto di suoi motivi di gravame, senza indicarne, con la dovuta specificità, il contenuto e la asserita rilevanza, ovvero senza indicare le ragioni per le quali la lamentata omissione risultava decisiva, compromettendo la complessiva congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione impugnata.
7. Il secondo motivo è infondato.
7.1. E' noto al collegio che, in ordine all'ammissibilità o meno dell'invio a mezzo telefax di istanze di rinvio per legittimo impedimento (e, più in generale, tout court di istanze) la giurisprudenza di questa Corte Suprema è estremamente divisa, potendo nel suo ambito essere enucleati ben quattro orientamenti.
7.1.1. Un orientamento particolarmente rigoroso ritiene che l'istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa a mezzo telefax è sempre inammissibile, richiamando le previsioni di cui all'art. 121 c.p.p. (che prevede per gli atti di parte l'obbligo del deposito in cancelleria) e art. 150 c.p.p. (che riserva l'utilizzo del telefax ai soli funzionari di cancelleria) (così, tra le altre, Sez. 5, sentenza n. 38968 dell'11 ottobre 2005, CED Cass. n. 232555, in fattispecie nella quale il giudice di merito non aveva valutato l'istanza; Sez. 5, sentenza n. 46954 del 14 ottobre 2009, CED Cass. n. 245397, in fattispecie nella quale l'istanza di rinvio per concomitante impegno professionale del difensore era stata rigettata, e questa Corte Suprema aveva considerato inammissibili le successive doglianze difensive perchè l'istanza - a cagione della forma di presentazione prescelta - non avrebbe dovuto neanche essere esaminata; Sez. 5, sentenza n. 11787 del 19 novembre 2010, dep. 24 marzo 2011, CED Cass. n. 249829, in fattispecie nella quale l'istanza - nonostante la forma di presentazione prescelta - era pervenuta all'attenzione del giudice di merito in tempo utile, ma non era stata esaminata; Sez. 5, sentenza n. 602 del 18 novembre 2011, dep. 12 gennaio 2012, CED Cass. n. 252667, che ha ritenuto priva di efficacia la rinuncia al gravame in sede di legittimità, sottoscritta dal difensore all'uopo delegato dall'interessato, proposta via fax, non seguito dalla spedizione dell'originale via posta o mediante altro sistema idoneo a garantirne l'autenticità della provenienza, considerato che l'art. 121 c.p.p. statuisce l'obbligo per le parti di presentare le memorie e le richieste al giudice mediante deposito in cancelleria mentre il ricorso al telefax, quale forma particolare di notificazione, è riservato dall'art. 150 c.p.p. ai funzionari di cancelleria).
7.1.2. Un orientamento di segno diametralmente contrario ritiene sempre e comunque ammissibile la presentazione di istanze a mezzo telefax, valorizzando l'evoluzione tecnologica del sistema delle comunicazioni e delle notificazioni e, sotto il profilo più squisitamente normativo, la previsione di cui all'art. 420-ter c.p.p., comma 5, (a norma del quale, ai fini del rinvio, è sufficiente che l'impedimento della parte "risulti", ovvero sia "prontamente comunicato" in qualunque modo), ed inoltre ritenendo non ostativo il disposto dell'art. 121 c.p.p., poichè il prescritto deposito in cancelleria può avvenire con qualsiasi mezzo, e quindi ben può aver luogo a mezzo telefax (così, fra le altre, Sez. 3, sentenza n. 10637 del 20 gennaio 2010, CED Cass. n. 246338, che ha ritenuto affetta da nullità assoluta, insanabile e rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del processo, la sentenza emessa dal giudice d'appello che aveva omesso di pronunziarsi su una richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore, documentato e dedotto a mezzo fax trasmesso in data antecedente all'udienza; Sez. 5, sentenza n. 43514 del 16 novembre 2010, CED Cass. n. 249280, in fattispecie nella quale l'istanza di rinvio per legittimo impedimento a comparire - dovuto a ragioni di salute - dell'imputato risultava trasmessa a mezzo fax in cancelleria due giorni prima dell'udienza, portata all'attenzione del giudice di merito quando questi si era già ritirato in camera di consiglio per la decisione, e per tale ragione non esaminata: questa Corte Suprema ha annullato il provvedimento impugnato con rinvio, rilevando, in conseguenza dell'omessa valutazione dell'istanza, il verificarsi di una violazione dei diritti difensivi tutelati a pena di nullità d'ordine generale; Sez. 5, sentenza n. 21987 del 16 gennaio 2012, CED Cass. n. 252954, che ha annullato la sentenza impugnata perchè non si era pronunziata su una istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa a mezzo fax: nella specie, l'istanza recava l'annotazione di pervenuto il giorno dell'udienza alle ore 10.40, ed il verbale di udienza era stato "chiuso" alle ore 11.15; non risultava che il giudice ne fosse stato portato a conoscenza, ma la Corte Suprema ha ritenuto che, in considerazione degli indicati orari, sarebbe stato possibile tempestivamente esaminare l'istanza).
7.1.3. Un orientamento che sembra meglio specificare il principio affermato dall'orientamento più "permissivo" sostiene che la richiesta di rinvio per legittimo impedimento a comparire dell'imputato può essere inoltrata a mezzo fax, e non risulta per tale ragione irricevibile, purchè l'impedimento addotto sia improvviso (ovvero dipenda da "circostanze improvvise ed assolutamente imprevedibili"): in questi casi, sarebbe, peraltro, onere dell'instante dimostrare la sussistenza delle ragioni che legittimino il ricorso al fax (così Sez. 6, sentenza n. 13524 del 29 gennaio 2009, CED Cass. n. 243413).
7.1.4. Un orientamento intermedio ritiene che chi trasmette un'istanza di rinvio per legittimo impedimento a mezzo fax assume l'alea della mancata trasmissione di essa al giudice in tempo utile per essere valutata, ed ha l'onere di verificare che l'istanza sia effettivamente pervenuta in cancelleria, e sia stata recapitata al giudice per tempo; tuttavia, se l'istanza in tal modo inviata pervenga ugualmente all'attenzione del giudice prima della conclusione dell'udienza cui si riferisce, egli dovrà valutarla (Così, fra le altre, Sez. 5, sentenza n. 14575 del 16 marzo 2005, CED Cass. n. 231102, per la quale la segnalazione di un impedimento del difensore di fiducia con contestuale richiesta di rinvio, spedita via fax ai sensi dell'art. 150 c.p.p., pervenuta alla cancelleria prima dell'inizio dell'udienza ma trasmessa al giudice dopo la celebrazione del dibattimento, non costituisce motivo di nullità della sentenza in quanto la scelta di un mezzo tecnico non previsto specificatamente dalla legge per il deposito delle istanze, ai sensi dell'art. 121 c.p.p., espone il richiedente al rischio dell'intempestività con cui l'atto può pervenire alla conoscenza del giudice; Sez. 2, sentenza n. 37535 dell'8 luglio 2009, CED Cass. n. 244888, in fattispecie nella quale la richiesta di rinvio per legittimo impedimento spedita a mezzo fax era comunque pervenuta a conoscenza del giudice prima dell'udienza cui essa si riferiva, e si è pertanto ritenuto che egli avesse il dovere processuale di valutarla; Sez. 4, sentenza n. 38160 del 23 giugno 2009, CED Cass. n. 245315; Sez. 3, sentenza n. 9162 del 29 ottobre 2009 - dep. 8 marzo 2010, CED Cass. n. 246207, in fattispecie nella quale l'istanza trasmessa a mezzo fax risultava pervenuta alla cancelleria "competente" a dibattimento ormai concluso, e si è ritenuto che l'omessa delibazione di una richiesta di rinvio per legittimo impedimento a comparire, inoltrata dal difensore istante a mezzo fax, non comporta alcuna violazione del diritto di difesa, in quanto la scelta di un mezzo tecnico non autorizzato per il deposito espone il difensore al rischio dell'intempestività con cui l'atto stesso può pervenire a conoscenza del destinatario; Sez. fer., sentenza n. 32941 del 25 agosto 2011, CED Cass. 251089, per la quale la richiesta di rinvio dell'udienza per impedimento difensivo può essere inoltrata anche a mezzo telefax al giudice che, però, ha l'obbligo di esaminarla solo se ne abbia avuto conoscenza in tempo utile; sez. 4, sentenza n. 10886 del 9 febbraio 2012, CED Cass. n. 251992, in fattispecie nella quale il ricorrente aveva proposto ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p. asserendo che la 3^ Sezione di questa Corte Suprema non aveva valutato una istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore, asseritamente inviata a mezzo fax, ma della quale non vi era traccia in atti: la 4^ Sezione ha ritenuto che la parte, avendo optato per la trasmissione dell'istanza a mezzo fax, aveva assunto su di sè il rischio di un esito non positivo della trasmissione).
7.2. A pare del collegio, il contrasto può essere superato aderendo all'orientamento intermedio, già accolto da questa Sezione (sentenza n. 37535 dell'8 luglio 2009, CED Cass. n. 244888), temperato da quello accolto da una isolata decisione della 6^ Sezione (sentenza n. 13524 del 29 gennaio 2009, CED Cass. n. 243413).
7.2.1. Deve premettersi che il deposito cui allude l'art. 121 c.p.p. è senz'altro soltanto quello operato "tradizionalmente" di persona in cancelleria: l'utilizzo di mezzi tecnologici è, infatti, disciplinato specificamente (dall'art. 150 c.p.p.) soltanto come mezzo di notificazione, non come possibile sostituto del deposito in cancelleria.
7.2.2. Non può peraltro ritenersi che l'impiego del telefax sia sempre e comunque inidoneo a dare certezza circa l'intervenuta trasmissione, con esito positivo, dell'atto "faxato".
In tal senso va necessariamente richiamato l'orientamento per il quale la notificazione di un atto all'imputato o ad altra parte privata, in ogni caso in cui possa o debba effettuarsi mediante consegna al difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma dell'art. 148 c.p.p., comma 2-bis, poichè il telefax è "uno strumento tecnico che da assicurazioni in ordine alla ricezione dell'atto da parte del destinatario, attestata dallo stesso apparecchio di trasmissione mediante il cosiddetto "OK" o altro simbolo equivalente" (Sez. un., sentenza n. 28451 del 28 aprile 2011, CED Cass. n. 250121; Sez. 2, sentenza n. 24798 del 3 giugno 2010, CED Cass. n. 247727).
Se il telefax fosse sempre e comunque uno strumento di trasmissione dall'esito incerto, il predetto orientamento sarebbe all'evidenza inaccoglibile, poichè incerto sarebbe di necessità anche l'esito della trasmissione dell'atto da notificare.
Nè - in ossequio al principio di ragionevolezza sancito dall'art. 3 Cost. come canone interpretativo privilegiato - può ritenersi che il telefax dia certezza dell'esito della trasmissione solo quando sia adoperato dai funzionari addetti all'effettuazione delle notificazioni, e non anche quando sia adoperato dalle parti private per la trasmissione di istanze.
7.2.3. Nè può attribuirsi decisivo rilievo alla presunta impossibilità della verifica dell'autenticità degli atti "faxati", poichè il problema appare senz'altro superabile ove il difensore (anche di ufficio) necessariamente presente in udienza faccia propria l'istanza (come è prassi in concreto generalizzata), e comunque attraverso gli ordinari controlli di rito, sempre esperibili dal giudice senza formalità.
7.2.4. E' ineludibile il rilievo che il deposito di istanze a mezzo fax non è in generale consentito dall'art. 121 c.p.p..
Peraltro, è altrettanto ineludibile l'ulteriore rilievo che nessuna sanzione (di irricevibilità, più che di inammissibilità) è prevista dal vigente ordinamento processuale per il caso in cui la parte abbia irritualmente optato per una tal forma di trasmissione.
D'altro canto, può ritenersi senz'altro pacifico che il giudice abbia l'onere di valutare tutte le istanze di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato o del difensore che vengano tempestivamente presentate (cfr. Sez. 6, sentenza n. 42110 del 14 ottobre 2009, CED Cass. n. 245127, per la quale l'omessa valutazione dell'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento a comparire del difensore determina il difetto di assistenza dell'imputato, con la conseguente nullità assoluta di cui all'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 179 c.p.p., comma 1; nei medesimi termini, quanto alle istanze di rinvio per legittimo impedimento a comparire dell'imputato, persino quando redatte in lingua straniera, Sez. 5, sentenza n. 38774 del 24 ottobre 2002, CED Cass. n. 223362).
Può, peraltro, accadere che la parte, in presenza di un impedimento improvviso, si trovi nell'impossibilità di depositare o far depositare tempestivamente in cancelleria l'istanza di rinvio per legittimo impedimento con la relativa documentazione (è il caso che può verificarsi in presenza delle tanto frequenti - ma non per questo necessariamente strumentali - malattie che si manifestano in prossimità delle udienze).
Deve anche considerarsi che il riconoscimento della possibilità di inviare indiscriminatamente istanze di rinvio per legittimo impedimento (o di qualsiasi altra natura) a mezzo fax, ad un qualsiasi numero di fax dell'ufficio giudiziario procedente, si presterebbe ad evidenti "tattiche" processuali strumentali, senz'altro poco nobili, ma certamente non inverosimili, in particolare negli uffici di grandi dimensioni.
7.2.5. Per l'insieme di tali ragioni, e valorizzando il dettato di cui all'art. 121 c.p.p., deve ritenersi che l'impiego del fax per l'invio di istanze sia irregolare; peraltro, le istanze in tal modo inviate non sono irricevibili, nè inammissibili, ma espongono unicamente la parte instante al rischio della mancata tempestiva trasmissione dell'istanza al giudice competente a valutarla.
In tali casi, per essere legittimata a proporre doglianze inerenti all'eventuale omessa valutazione dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa a mezzo fax, la parte - che abbia di sua volontà scelto un mezzo irregolare di trasmissione dell'istanza, ovvero che a ciò sia stata costretta dal sopravvenire di un impedimento improvviso ed imprevedibile, e dall'impossibilità di darne altrimenti comunicazione al giudice procedente - ha l'onere di verificare che l'istanza trasmessa a mezzo fax sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente a valutarla, e sia stata tempestivamente portata all'attenzione di quest'ultimo.
7.2.6. Va, conclusivamente, affermato il seguente principio di diritto:
"L'utilizzazione del telefax per inviare al giudice procedente una richiesta di rinvio per legittimo impedimento (dell'imputato o del difensore), pur non inidonea a dare certezza dell'intervenuta ricezione dell'istanza da parte dell'ufficio giudiziario destinatario, è comunque irregolare, perchè l'art. 121 c.p.p. prevede per le parti l'obbligo di presentare le memorie e le richieste indirizzate al giudice mediante deposito in cancelleria;
tuttavia, le istanze in tal modo inviate non sono nè irricevibili, nè inammissibili, ed il giudice che ne sia portato tempestivamente a conoscenza deve valutarle.
In ragione della predetta irregolarità, incombe, peraltro, sulla parte instante il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell'istanza al giudice competente a valutarla; in tal caso, per essere legittimata a proporre doglianze inerenti all'omessa valutazione dell'istanza, la parte (che abbia di sua volontà scelto un mezzo irregolare di trasmissione dell'istanza, ovvero che a ciò sia stata costretta dal sopravvenire di un impedimento improvviso ed imprevedibile, e dall'impossibilità di darne altrimenti comunicazione al giudice procedente) ha l'onere di verificare che l'istanza trasmessa a mezzo fax sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente a valutarla, e sia stata tempestivamente portata all'attenzione di quest'ultimo".
7.2.7. Nel caso di specie, dall'esame del verbale di udienza dibattimentale d'appello 6 dicembre 2012 cui il collegio è legittimato ad accedere, dovendo valutare una questione di natura processuale, a seguito della denuncia di un error in procedendo ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), rispetto al quale la Corte Suprema di cassazione è "giudice anche del fatto" (Sez. un., sentenza n. 42792 del 31 ottobre 2001, CED Cass. n. 220092), risulta che non vi è menzione dell'istanza de qua, che deve, pertanto, ritenersi non portata tempestivamente a conoscenza del collegio.
L'imputato, optando per una forma irregolare di invio, ha necessariamente assunto su di sè l'alea della mancata tempestiva valutazione dell'istanza da parte del collegio competente a valutarla; egli non ha documentato il corretto assolvimento dell'onere di verificare che l'istanza trasmessa a mezzo fax fosse effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente a valutarla, e fosse stata tempestivamente portata all'attenzione di quest'ultimo, nè l'assoluta impossibilità di far pervenire nei modi previsti dall'art. 121 c.p.p. al Tribunale l'istanza e la documentazione ad essa allegata.
Il motivo è, pertanto, infondato.
8. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Invero, ai sensi dell'art. 108 c.p.p., comma 3, la rinunzia al mandato è efficace soltanto dal momento in cui il difensore rinunziante venga effettivamente sostituito da altro difensore (nominato di fiducia o di ufficio) e sia decorso il termine per la difesa eventualmente all'uopo accordato.
8.1. Peraltro, il motivo appare anche dedotto in palese carenza di interesse, atteso che il ricorrente non ha indicato il pregiudizio in ipotesi subito, ovvero l'atto che sarebbe stato compiuto in assenza di un difensore.
8.2. Deve, infine, escludersi che la nomina di un difensore di ufficio immediatamente reperito in udienza, senza seguire le procedure di cui all'art. 97 c.p.p., comma 2, sia nulla, sia perchè tale procedura più rapida è specificamente prevista dall'art. 97 c.p.p., comma 4 sia perchè l'eventuale irregolarità non è in alcun modo sanzionata, nè incide di per sè sul concreto ed utile esercizio del diritto di difesa, a meno che non risulti prova del contrario (e, nella specie, il ricorrente non ha indicato il vulnus in ipotesi subito).
In proposito, si è, infatti, già osservato (Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 5496 del 2 dicembre 2008, dep. 9 febbraio 2009, CED Cass. n. 242475) che l'inosservanza della regola prevista dall'art. 97 c.p.p., comma 2, può configurare una nullità generale solo se la parte che la deduce dimostri che tale inosservanza abbia cagionato in concreto una lesione o menomazione del diritto di difesa.
9. Il sesto motivo e l'ottavo motivo vanno esaminati congiuntamente.
L'ottavo motivo è fondato limitatamente alla doglianza inerente al beneficio della sospensione condizionale della pena, apparentemente negato in dispositivo, ma inequivocabilmente ritenuto in motivazione e senz'altro concedibile, alla stregua degli stessi rilievi dei giudici di merito.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata limitatamente alla mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, che va disposta.
9.1. Ciò comporta la manifesta infondatezza del sesto motivo, peraltro generico (perchè non tiene adeguatamente conto delle argomentazioni della Corte di appello, che non confuta con la dovuta specificità).
Invero, a prescindere dal rilievo che la Corte di appello ha puntualmente indicato, nel merito, le ragioni per le quali riteneva l'imputato immeritevole del chiesto condono, in considerazione dell'accertato tempus commissi delicti, appare assorbente la considerazione che con la sentenza di condanna non può essere contestualmente applicato l'indulto e disposta la sospensione condizionale della pena, in quanto quest'ultimo beneficio - che si è visto essere implicitamente stato accordato, e comunque dover essere accordato all'imputato - prevale sul primo (Sez. un., sentenza n. 36837 del 15 luglio 2010, CED Cass. n. 247940).
9.2. Generica (perchè ancora una volta non tiene adeguatamente conto delle argomentazioni della Corte di appello, che non confuta con la dovuta specificità) e manifestamente infondata è anche l'ulteriore doglianza di cui all'ottavo motivo, inerente alla mancata concessione del beneficio della non menzione.
La concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all'art. 133 c.p., senza che sia necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione (Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 7608 del 17 novembre 2009, dep. 25 febbraio 2010, CED Cass. n. 246183).
La Corte di appello, correttamente conformandosi al predetto principio, ha legittimamente motivato il diniego del beneficio valorizzando "la necessità di un'emenda, conseguente all'osservazione della attuazione di una personale difesa posta in essere ribaltando su altri soggetti innocenti le proprie responsabilità (il diverso mandatario, l'imprenditore della società concessionaria)".
9.2.1. Nè il diniego del beneficio di cui all'art. 175 c.p. può apparire contraddittorio in relazione alla concessione della sospensione condizionale della pena.
Questa Corte Suprema (Sez. 6, sentenza n. 34489 del 14 giugno 2012, CED Cass. n. 253484) ha, in argomento, già chiarito che il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è diverso da quello della sospensione condizionale della pena perchè, mentre quest'ultima ha l'obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un'efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo persegue lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, sicchè non è contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione dell'altro.
10. Il settimo motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello correttamente osservato che "la pena appare adeguata al fatto, nè attese le modalità dell'azione e la durata dell'attività consistita nel raggiro delle vittime, si ritiene di dover attribuire maggior valore alle circostanze attenuanti generiche riconosciute come equivalenti".
Trattasi di rilievi in fatto esaurienti, logici, non contraddittori, come tali senz'altro incensurabili in sede di legittimità, a fronte dei quali privi di decisivo contrario rilievo appaiono le invocate disagiate condizioni di vita dell'imputato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, che dispone.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Udienza pubblica, il 5 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2014
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