Il sistema di cui all’art. 175 c.p.p.1, relativo alla restituzione nel termine per impugnare, per quanto riformulato sulla scorta delle indicazioni di provenienza europea, non appare comunque - a sommesso avviso dello scrivente - conforme ai principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 comma 2 Cost.), del giusto processo (art. 111 Cost). Altresì, viola palesemente i dettami della CEDU sulla partecipazione dell’imputato al processo e sulle decisioni in absentia.
I giudici di Strasburgo, infatti, avevano ritenuto che la modulazione normativa del processo contumaciale in Italia vanificasse del tutto le garanzie “partecipative” offerte dall’art. 6, § 3, C.E.D.U. necessarie alla realizzazione del c.d. “ fair trial” 2.
Il legislatore, è vero, conformandosi al principio stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha novellato (D.L. n. 17 del 2005, convertito in L. 60 del 2005) l’art. 175 c.p.p., sostanzialmente fornendo una garanzia “più forte”, maggiormente effettiva all’imputato che non abbia partecipato al procedimento. Costui ha, infatti, diritto ad essere rimesso nel termine per impugnare in tutti i casi in cui non abbia avuto cognizione del procedimento o del provvedimento di esso conclusivo, emesso nei suoi confronti in contumacia, ove non vi sia prova che abbia rinunciato volontariamente a comparire o ad impugnare. Ad oggi, non è onere dell’imputato fornire la prova negativa della mancata conoscenza e il diritto alla restituzione nel termine è escluso solo nel caso in cui il Giudice reperisca la prova positiva della reale consapevolezza.
La novella legislativa di adeguamento alla normativa e giurisprudenza comunitaria pare una soluzione “di transito”, in attesa di essere coordinata, limata, dotata di garanzie ad opera della giurisprudenza nazionale e degli interventi della Consulta, prima di cadere di nuovo, eventualmente, sotto la mannaia degli organi comunitari.
Ed infatti, a ben vedere, i diritti dei contumaci che involontariamente non hanno avuto conoscenza del procedimento o del provvedimento sono ancora oggi assai limitati, non soltanto perché costoro – pur restituiti nel termine – possono soltanto impugnare (e dunque si vedono sottratti un grado di giudizio) ma soprattutto perché essi non hanno più la possibilità di accedere a riti alternativi al dibattimento, nonché (con le precisazioni di cui infra) di assistere alla formazione della prova in contraddittorio.
Da quest’ultimo punto di vista, è di recente intervenuta la Suprema Corte 3, ampliando le maglie delle possibilità che si schiudono in Corte d’Appello. Si è, infatti, evidenziato che “ il condannato in contumacia, restituito nel termine per l’impugnazione per non avere avuto conoscenza del procedimento, può ottenere la rinnovazione dell’istruzione in appello senza che l’avvenuta dichiarazione di latitanza sia di per sé elemento che porti ad escludere la mancata incolpevole conoscenza della citazione a giudizio”. La S.C. riteneva, in questo caso, non condivisibile la conclusione della Corte territoriale che derivava, in modo automatico, dalla corretta declaratoria di latitanza, l’inibizione ad esercitare in appello le facoltà probatorie che l’imputato avrebbe potuto esplicare in primo grado.
Per tal via, è possibile desumere che, in casi del genere, la facoltà di richiedere ed ottenere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale non sottostia alle rigorose condizioni di cui all’art. 603 c.p.p.; norma evidentemente non coordinata con la novella dell’art. 175 c.p.p. e con la disciplina CEDU.
Ciononostante, la nota dolente resta un’altra.
Invero, de jure condito, l’imputato rimesso in termini può soltanto impugnare la sentenza di primo o di secondo grado. Pur non volendo ritenere il dettato normativo sempre e comunque contrastante col principio costituzionale del doppio grado di giudizio (assicurato restando – nei casi di proposizione dell’appello – il grado di legittimità), resta il fatto che l’imputato perde il grado di giudizio più importante, ovvero quello in cui può scegliere riti alternativi, proporre eccezioni ed assistere e partecipare alla formazione della prova.
In merito appare utile ricordare l’ordinanza della Corte d’Appello di Trento 4 che, restituendo l’istante nel termine per impugnare, evidenziava come non vi sia contrasto tra l’art. 175 c.p.p. ed i dettami costituzionali, laddove la norma predetta venga correttamente interpretata, nel senso che “ con l’impugnazione siano garantite all’imputato tutte le facoltà difensive, ivi comprese quelle di eccepire nullità inerenti alle precedenti fasi del giudizio”. A seguito di tale ordinanza, con sentenza del novembre 2011 5, la Corte d’Appello di Trento ammetteva l’imputato al cd. patteggiamento, sul presupposto che il medesimo, qualora tempestivamente informato sul procedimento, avrebbe richiesto l’accesso al rito alternativo, al pari dei suoi coimputati.
Del tutto innovativa ed, altresì, “unica” la decisione citata.
Allo stato del diritto, infatti – a sommesso avviso di chi scrive – essa potrebbe fondarsi soltanto sulla disapplicazione della normativa italiana in favore di quella comunitaria; non su una norma italiana già in vigore.
Assolutamente garantisti i giudici della Corte d’Appello di Trento, probabilmente precursori di ulteriori modifiche legislative o quantomeno giurisprudenziali.
Non può, invero, omettersi di sottolineare come (ad oggi), nel momento in cui si accerti – o appaia quantomeno molto probabile – che l’imputato non abbia avuto conoscenza effettiva del provvedimento e del procedimento, al medesimo venga solo concessa la possibilità di proporre impugnazione avverso la sentenza di condanna.
Tuttavia, come si è sopra evidenziato, in quel procedimento all’imputato viene negato il potere di esercitare effettivamente il suo diritto di difesa, posto che a suo carico si è svolto un dibattimento che si celebra senza che egli ne sia stato a conoscenza e, conseguentemente, senza che egli abbia potuto presentare propri mezzi di prova.
In sostanza, all’imputato viene negato il principale diritto alla formazione della prova in contraddittorio tra le parti, ove si pensi che a questa fase egli non ha potuto partecipare, né scegliere di non partecipare.
Dunque, il soggetto che non ha cognizione della circostanza che a suo carico si sia celebrato un processo, allorché benefici di un provvedimento ex art. 175 comma 2 c.p.p., si trova di fronte ad una istruttoria dibattimentale già espletata, sulla quale non può influire in alcun modo. Il che appare tanto più anticostituzionale nella misura in cui, in primo grado, sia entrato a far parte del fascicolo del giudice materiale di indagini (magari con il consenso delle parti), sicché in sede di appello non sarebbe giuridicamente possibile chiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per carenza del requisito della necessità ai fini del decidere (la pronuncia sull’art. 603 c.p.p. resta ad oggi pressoché isolata).
Orbene, la stessa previsione del legittimo impedimento dell’imputato quale causa di rinvio della trattazione del procedimento – come del resto tutte le altre norme ispirate a tale principio – dimostra come la presenza del soggetto sottoposto a processo all’udienza dibattimentale costituisca un prius del diritto di difesa.
Ancora, se il codice consente solo a determinate condizioni che il Giudice possa decidere sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero e se tale possibilità, da un lato, deve derivare da una scelta personale dell’imputato e, dall’altro, comporta una riduzione della pena nella misura di un terzo, quid nel caso in cui costui non abbia incolpevolmente partecipato alla prova su cui si forma il convincimento del Giudice?
Alla negazione di tale possibilità, dovuta all’attuale impostazione codicistica - secondo la quale, in caso di mancata conoscenza del provvedimento o del procedimento, all’imputato è concesso solo nuovo termine per proporre impugnazione – dovrebbe conseguire una riduzione della pena, quantomeno laddove l’imputato dimostri che, se avesse avuto contezza del procedimento, avrebbe optato per la scelta di un rito alternativo al dibattimento. Questa, in buona sostanza, la soluzione adottata a Trento.
Opinare diversamente significherebbe, peraltro, ammettere un evidente disparità di trattamento tra l’imputato rimesso in termini per impugnare ed eventuali correi che, di contro, hanno avuto la possibilità di difendersi e, dunque, anche di optare per un rito alternativo al dibattimento.
In effetti, tale discrasia non appare evidente solo a noi “frequentatori abituali” delle aule di giustizia, se – da un lato – si pensa alla normativa sul Giudice di Pace e, dall’altro, al DDL 1440/2009 6.
Infatti, l’art. 39, comma 2 del D. LGS. N. 274/2000, con riferimento alle sentenze emesse dal Giudice di Pace, prevede un’ipotesi di nuovo giudizio in favore dell’imputato assente, attraverso il meccanismo dell’annullamento della sentenza di primo grado. Detta norma, infatti, al comma 2, prevede che “Oltre che nei casi previsti dall’art. 604 del codice di procedura penale, il giudice d’appello dispone l’annullamento della sentenza impugnata, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di pace, anche quando l’imputato, contumace in primo grado, prova di non essere potuto comparire per caso fortuito o per forza maggiore o per non avere avuto conoscenza del provvedimento di citazione a giudizio, sempre che in tal caso il fatto non sia dovuto a sua colpa, ovvero, quando l’atto di citazione per il giudizio di primo grado è stato notificato mediante consegna al difensore nei casi previsti dagli articoli 159, 161, comma 4, e 169 del codice di procedura penale, non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti della conoscenza degli atti del procedimento”.
Una simile impostazione, in realtà, è quella prevista dal DDL 1440 cit., che addirittura contempla una sorta di vaglio preventivo sulla effettiva conoscenza del procedimento da parte dell’imputato.
La prima innovazione contemplata dal disegno di legge è costituita dalla necessità, in caso di notifica a mezzo ufficiale giudiziario non andata a buon fine nei luoghi di cui all’art. 157 c.p.p., di rinnovare le notifiche per il tramite della polizia giudiziaria, sempre nei medesimi luoghi.
Inoltre, si prevede una modifica per quanto riguarda i procedimenti dinanzi al giudice di pace e al giudice monocratico. A pena di nullità, infatti, il giudice – alla prima udienza dibattimentale, ove l’imputato sia assente - dovrebbe disporre che la citazione venga notificata all’imputato personalmente ovvero a mani di un familiare convivente. Nel caso in cui il procedimento di notifica così disposto non vada a buon fine, il giudice dovrebbe pronunciare ordinanza con la quale dispone la sospensione del procedimento. A tale previsione fa eccezione l’unica ipotesi in cui l’imputato, nel corso del procedimento, venga fermato, sottoposto a misura cautelare ovvero emerga la prova che egli abbia avuto contezza del procedimento e si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del medesimo (pur essendo egli sempre ammesso alla prova contraria).
Ulteriore previsione, attinente a tutti i procedimenti, è quella secondo cui avverso la sentenza pronunciata in absentia, il difensore d’ufficio possa proporre impugnazione solo se munito di uno specifico mandato.
Inoltre, si contempla il caso dell’imputato assente – senza sua colpa - in primo grado, che provi di non essere potuto comparire per caso fortuito, forza maggiore o per legittimo impedimento: orbene, egli avrebbe diritto ad ottenere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado di appello. Infine, ancor più importante è la prevista possibilità per il Governo, in sede di decreto legislativo, di prevedere la remissione in termini anche per formulare la richiesta di riti alternativi.
Ad ogni buon conto, la delega ancora non è stata attuata e il disegno di decreto legge resta, oggi, ancora tale.
Ciò, per quanto sin qui esposto, con palese violazione non soltanto dell’art. 24 Cost., bensì anche dei principi stabiliti negli artt. 3 e 111 della nostra Carta Costituzionale. Infine, atteso il contrasto con i dettami della CEDU, non pare ultima a rilevarsi, la violazione dell’art. 117 Cost.
Resta, naturalmente, affidata al Giudice la facoltà di adeguare l’attuale normativa ai superiori principi contenuti nelle norme appena richiamate, come non ha mancato di fare la Corte d’Appello di Trento nei provvedimenti menzionati.
Torino, lì 31 gennaio 2014
Avv. Antonio Genovese, Foro di Torino
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