Premessa
Negli ultimi mesi è stata appassionatamente riproposta l’annosa questione circa l’opportunità di introdurre nel nostro ordinamento il reato di negazionismo.
La morte dell’ex comandante delle SS Erich Priebke – condannato per la strage delle Fosse Ardeatine e convinto negazionista – e la concomitante ricorrenza del 70° anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma hanno avuto un’eco tale da predisporre terreno fertile per la proposta di un disegno di legge che, come emendato dalla Commissione Giustizia del Senato, modificherebbe il nostro codice penale introducendo una vera e propria fattispecie di negazionismo.
Il d.d.l. S. 54-A i interviene direttamente sull’art. 414 c.p. (istigazione a delinquere), e prevede la possibilità di punire – con la reclusione da uno a cinque anni – neghi l’esistenza di crimini di genocidio, contro l’umanità o di guerra. Inoltre, si introduce un’aggravante per i reati di istigazione e apologia che, fuori dei casi previsti dall’art. 302 c.p., riguardano delitti di terrorismo, crimini di genocidio, crimini contro l'umanità o crimini di guerra ii.
Il fenomeno negazionista si sostanzia in «atti e comportamenti tesi a negare l’esistenza del genocidio e di crimini contro l’umanità percepiti come fatti di massima ingiustizia» iii, al di fuori di qualsivoglia regola o metodo storiografico iv. Tali condotte sono certamente da ripudiare, in quanto attentano a valori quali la memoria storica, la verità e la dignità delle vittime dei crimini e, con particolare riferimento al negazionismo dell’Olocausto, giungono addirittura a minare gli stessi principi e ideali che hanno contribuito alla fondazione delle moderne democrazie costituzionali v.
Tuttavia, è necessario interrogarsi sull’opportunità di portare avanti il contrasto al negazionismo sul terreno del diritto penale. L’introduzione di una fattispecie ad hoc desta qualche perplessità sia dal punto di vista giuridico che da quello politico, tanto più che le condotte maggiormente – ed effettivamente – lesive potrebbero ben essere perseguite grazie alle disposizioni già vigenti nel nostro ordinamento.
Profili penalistici del negazionismo
Ogni reato di opinione deve essere considerato alla luce del diritto alla libera manifestazione del pensiero, riconosciuto da ogni ordinamento democratico e dalle principali convenzioni internazionali in tema di diritti dell’uomo. Tale principio, espresso dall’art. 21 della nostra Costituzione, riconosce – come è noto – la libertà di esprimere le proprie idee e di divulgarle ad un numero indeterminato di destinatari. Tuttavia, non si tratta di un diritto assoluto, in quanto può ben essere limitato dal legislatore per motivi inerenti il buon costume o per esigenze di tutela di altri beni costituzionalmente conosciuti. I reati di opinione presenti nel nostro sistema penale sono sempre stati ritenuti legittimi dalla Corte Costituzionale proprio in forza del balancing test. In particolare sono state ritenute legittime, da un lato, le fattispecie volte a punire le manifestazioni del pensiero idonee a mettere in pericolo il c.d. ordine pubblico materiale (ad es. istigazione e apologia); dall’altro, quelle poste a difesa dell’onore, della reputazione e della riservatezza.
Ebbene, la fattispecie che punisce il negazionismo appare carente proprio sotto i profili dell’offensività e della materialità. Occorre, infatti, chiedersi quale sia il bene giuridico e se questo possa dirsi aggredito o messo in pericolo dalle condotte che si vogliono sanzionare penalmente.
Il bene giuridico
Le legislazioni che prevedono un reato di negazionismo vi fanno spesso riferimento alla tutela della pace e dell’ordine pubblico. A ben vedere però, i valori che si vogliono tutelare, attraverso questa (peculiare) limitazione della libertà di opinione non possono dirsi contenutisticamente neutri: fanno piuttosto riferimento all’ordine pubblico ‘ideale’, in cui rileva la dimensione concettuale ed ideologica dei valori protetti.
L’intangibilità della storia, strettamente connessa ad un presunto ‘diritto alla verità storica’ delle vittime dei gravissimi crimini qui in rilievo, non può però «vantare un plausibile inquadramento tra i valori fondamentali dell’ordinamento costituzionale capace di giustificare il massimo contrappeso punitivo» vii.
La tutela anticipata
L’affermazione della «sacralità delle idee» viii porta all’ulteriore inconveniente di una tutela eccessivamente anticipata. L’esasperata astrattezza del bene giuridico tutelato non permette infatti di definire distintamente i confini tra manifestazioni di pensiero lecite o meno, in quanto non è chiara l’offesa o la messa in pericolo del valore tutelato.
Ci si trova di fronte ad una fattispecie lontana dall’istigazione e dall’apologia, in cui per punire non si richiede alcun ‘principio di azione’. Ad essere perseguito è il negazionismo puro, la mera esternazione di un pensiero – sicuramente odioso – per il solo fatto che il suo contenuto contrasti con la conclamata verità storica.
Giudizio storico e giudizio penale
Inoltre, la fattualità storica non può essere strappata ai naturali processi di sedimentazione mnemonica per essere consegnata all’ordinaria giustizia penale. Il processo storico e quello penale hanno caratteristiche, metodi e finalità completamente differenti, e non possono essere sovrapposti senza correre il rischio di snaturare entrambi.
Il giudice conosce solo i fatti storici contestati, in maniera incidentale e strumentale alla primaria finalità del processo penale: accertare la responsabilità dell’imputato. Affidare al giudice il ruolo di arbitro della storia equivale a dar vita ad una verità statale e ufficiale di un passato storico. Il giudizio penale ha, per sua natura, effetto tranchante; caratteristica della ricerca storica è invece la possibilità di reinterpretare e rimettere in discussione fatti storici, senza alcun passaggio in giudicato ix.
Conclusioni
L’introduzione del reato di negazionismo oltre a risultare inopportuna sotto più profili, si rivela anche priva di necessità.
La Decisione quadro x, cui si intende adempiere con il d.d.l., obbliga gli Stati a punire quelle condotte di negazione, giustificazione e minimizzazione grossolana che abbiano una componente istigatoria, prevedendo che la fattispecie sia costruita in termini di pericolo. Il vincolo europeo, peraltro, non è stringente: agli Stati è permesso di limitare ulteriormente l’area della punibilità, potendosi perseguire soltanto i comportamenti atti a «turbare l’ordine pubblico o che siano minacciosi, offensivi o ingiuriosi».
A ben vedere, le ipotesi che si vogliono sanzionare a livello europeo sono già punibili in forza del vigente art. 414 c.p. e del reato di apologia di genocidio xi e, soprattutto, le condotte più temili potrebbero essere considerate casi di propaganda o istigazione alla discriminazione o all’odio razziale, come tali sanzionate dalla l. 654/1975.
Sembra allora necessario che lo Stato, anziché reprimere alimentando la deriva simbolica del diritto penale, promuova «la battaglia culturale, la pratica educativa, la tensione morale» xii necessarie a contrastare ed estirpare le idee negazioniste.
dott.ssa Giulia Cortoni, gennaio 2014
(riproduzione riservata)
i Il d.d.l. originario (S. 54) prevedeva la modifica dell’art. 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654 (legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale, stipulata nel 1966 a new York, sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale). In base a tale testo, sarebbe stato punito «chiunque pone in essere attività di apologia, negazione, minimizzazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale [...] o propaganda idee, distribuisce, divulga o pubblicizza materiale o informazioni, con qualsiasi mezzo, anche telematico, fondati sulla superiorità o sull'odio razziale, etnico o religioso, ovvero, con particolare riferimento alla violenza e al terrorismo, se non punibili come più gravi reati, fa apologia o incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche mediante l'impiego diretto od interconnesso di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili».
ii Il testo del disegno di legge, gli emendamenti e il costante aggiornamento circa l’ iter parlamentare sono disponibili su www.senato.it.
iii C.M. Cascione, Negazionismo e libertà di espressione: rilievi comparatistici, in Dir. info., 2011, 2, pp. 303 ss.
iv In questo senso, il negazionismo si differenzia dal c.d. revisionismo. Con quest’ultimo termine, infatti, si indicano quei processi ‘fisiologici’ che caratterizzano ogni ricerca storica e che portano, attraverso una rigorosa analisi scientifica, alla reinterpretazione e alla ricostruzione di determinati accadimenti storici. Si veda H. Rousso, La syndrome de Vichy, Parigi, 1987, pp. 150 ss.
v Così E. Fronza, Il reato di negazionismo e la protezione penale della storia, in Ragion pratica, 2008, 30, p. 53.
vi Il negazionismo è espressamente punito in Germania, Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Austria e Svizzera.
vii V. Manes, Attualità e prospettive del principio di ragionevolezza in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 2-3, p. 782.
viii A. Spena, Libertà di espressione e reati d’opinione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 2-3, p. 718.
ix Cfr. E. Fronza, Il reato di negazionismo, cit., pp. 47 ss.
x Decisione quadro 2008/913/GAI.
xi Art. 8, l. 9 ottobre 1967, n. 962.
xii S. Rodotà, Libertà di parola, in Repubblica, 26 gennaio 2007.
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