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 Giulia Cortoni, Una decisione (di inammissibilità) della Corte Costituzionale per sollecitare la soluzione dell’emergenza carceri. Primi passi e prospettive future.

Sulla cronica attualità dell'emergenza carceri

Premessa

Il 9 ottobre scorso, a poche ore dal messaggio alle Camere con cui il Presidente Napolitano ha denunciato la situazione emergenziale che affligge il nostro sistema carcerario, la Corte Costituzionale [i] ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 147 c.p. (rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena) sollevate dai Tribunali di Sorveglianza di Venezia [ii] e Milano [iii].
La Consulta, pur non rigettando nel merito la soluzione al sovraffollamento degli istituti penitenziari prospettata dai suddetti Tribunali – e di cui si dirà poi – ritiene di non potersi sostituire al legislatore, cui indirizza, tuttavia, un non trascurabile monito. In caso di prolungata inerzia degli organi legislativi, infatti, la Corte si riserva la possibilità di assumere le decisioni più idonee a far cessare l’esecuzione di quelle pene che, in base agli standard imposti a livello europeo, risultano contrarie al senso di umanità.
In effetti, un reale e serio impegno volto ad arginare il costante – e preoccupante – aumento della popolazione carceraria non è più differibile, a fronte delle numerose condanne emesse nei confronti dell’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le decisioni della Corte Europea sul sovraffollamento in Italia
Il problema ha assunto rilevanza già con la vicenda Sulejmanovic c. Italia [iv],riguardante il ricorso di un detenuto che, nel carcere di Rebibbia, aveva a disposizione soltanto 2,7 m2 di spazio nella propria cella. La Corte Europea, evocando i principi di cui all’art. 3 CEDU e richiamando i propri precedenti giurisprudenziali – per cui ciascun detenuto deve disporre di una superficie di almeno 3 m2 purché non sussistano cattive condizioni detentive in termini di luce, igiene, etc. – [v], ritiene che la flagrante mancanza di spazio basti, di per sé, ad integrare un trattamento inumano o degradante [vi].
Con la sentenza Sulejmanovic, tuttavia, la Corte accorda al richiedente soltanto una somma a titolo di equo indennizzo. Solo successivamente, l’elevato numero di ricorsi analoghi pendenti, basati su presunte violazioni dell’art. 3 CEDU per motivi di sovraffollamento carcerario, ha spinto la Corte ad adottare una c.d. sentenza pilota [vii] in cui, riuniti gli analoghi procedimenti di otto ricorrenti detenuti nei carceri di Busto Arsizio e Piacenza, si mette in luce l’esistenza di un problema sistemico e strutturale e si impone all’Italia di adottare rimedi effettivi, idonei e facilmente accessibili.
In effetti, il problema del sovraffollamento dei penitenziari ha assunto – dati alla mano [viii] – proporzioni non più tollerabili. I 205 istituti presenti sul territorio nazionale potrebbero ospitare, in base alla capienza regolamentare, fino a 47.688 soggetti, a fronte dei 64.323 detenuti effettivamente presenti. Di questi, solo 38.712 stanno scontando la pena in base ad una sentenza divenuta definitiva e, dunque, i detenuti in attesa di giudizio rappresentano circa il 40% della popolazione carceraria [ix].
In particolare, nella sentenza Torreggiani e altri c. Italia [x] i giudici di Strasburgo concedono al nostro Paese un anno – che decorre dal passaggio in giudicato della decisione e scadrà dunque il 28 maggio 2014 – per predisporre misure interne preventive e compensative, suggerendo di ampliare la concessione di sanzioni alternative alla detenzione e di limitare il ricorso alla custodia cautelare in carcere.
Il decreto ‘svuotacarceri’: un primo rimedio al sovraffollamento
Sulla linea di intervento consigliata dalla Corte Europea si colloca il d.l. 78/2013, convertito con legge 9 agosto 2013 n. 94, di cui si riportano le innovazioni più rilevanti.
L’intervento del legislatore – certamente il primo destinatario dell’esortazione della Corte – segue essenzialmente due linee direttrici: da un lato, si vogliono ridurre a monte gli ingressi nelle strutture detentive, dall’altro, si intende incentivare l’accesso ai benefici e agli istituti premiali.
Sotto il primo profilo, è stata estesa l’operatività della sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, co. 5, c.p.p., prevedendo che possano essere sospese le condanne fino ai 4 anni (e non più solo quelle fino a 3 anni) nei confronti dei soggetti di cui all’art. 47-ter, co. 1 [xi]. Con lo stesso obiettivo sono poi state abrogate alcune delle preclusioni alla sospensione previste nel co. 9 dell’art. 656 c.p.p. (in particolare quelle relative ai recidivi reiterati e alla commissione dei rati di cui agli artt. 624 e 625 c.p.
In ogni caso, la modifica più rilevante riguarda sicuramente le misure cautelari. In primo luogo, è stato modificato l’art. 280, co. 2, c.p.p., innalzando da 4 a 5 anni di reclusione il limite di pena per l’applicabilità della custodia cautelare in carcere; in secondo luogo, è stato modificato l’art. 274 c.p.p. così che, limitatamente all’esigenza del ‘pericolo di commissione di delitti della stessa specie per cui si procede’, possa essere disposta la custodia cautelare solo per i delitti puniti nel massimo con una pena non inferiore a 5 anni (anziché 4). La riforma degli artt. 280 e 274 c.p.p. appare particolarmente significativa poiché «in un ordinamento dove più del 40% dei detenuti è costituito da soggetti in attesa di giudizio, una seria politica di riduzione della popolazione carceraria non può prescindere da interventi funzionali a ridurre l'area di operatività della custodia cautelare in carcere» [xii].
Sotto il secondo profilo, inerente all’eliminazione degli automatismi che finivano per impedire l’accesso ai benefici penitenziari sulla base di presunzioni assolute di pericolosità, si segnala la soppressione dei divieti, dipendenti dalla recidiva reiterata, previsti ai commi 1 e 1bis della l. ord. pen. (divieto di concessione della detenzione domiciliare tra i 3 e i 4 anni di pena e infra-biennale). È stata inoltre abrogata la revoca della detenzione domiciliare nel caso di denuncia per evasione. Ai sensi dell’art. 47ter, co. 9., soltanto la condanna per evasione potrà portare alla revoca della detenzione domiciliare, e previa valutazione giudiziale circa la ‘non lieve entità’ del fatto.
Tale riforma, per quanto sicuramente lodevole, non riesce comunque a soddisfare tutte le richieste avanzate da Strasburgo. È ancora necessario, infatti, predisporre un sistema di ricorsi interni che accordino ai detenuti che abbiano sofferto una violazione dei loro diritti un adeguato ristoro ma, soprattutto è fondamentale offrire strumenti che permettano di far cessare le violazioni e risolvano, una volta per tutte, il problema strutturale. Ciò che è certo è che l’amnistia, cui spesso si ricorre nei casi di ‘emergenza carceri’, non è in grado di fronteggiare adeguatamente e definitivamente il problema, in quanto un siffatto intervento determinerebbe una diminuzione della popolazione carceraria solo momentanea.
Rimedi di tipo compensativo
Per quanto riguarda i rimedi compensativi, posto che non è dubbio che al detenuto debba riconoscersi un’equa riparazione del danno subito, ci si è chiesti quale organo fosse deputato a decidere in merito alla liquidazione.
Interessante, in questo senso, il caso del Magistrato di sorveglianza di Lecce che – adito con reclamo ai sensi degli artt. 35 e 69 l. ord. pen. per accertare la lesione dei diritti previsti dalla CEDU e dalla l. ord. pen. – ha ritenuto, sulla scorta della giurisprudenza della Corte Costituzionale che riconosce alla magistratura di sorveglianza il ruolo di guardiano dei diritti fondamentali dei detenuti [xiii], di avere giurisdizione esclusiva su tutte le controversie relative ai diritti dei detenuti e si è perciò avocato la competenza di decidere in tema di risarcimento.
Tuttavia, tale soluzione è stata ritenuta illegittima dalla Corte di Cassazione [xiv]. Questa afferma che la competenza risarcitoria spetti al giudice ordinario civile – giudice naturale dei diritti in materia risarcitoria e indennitaria – salvo le eventuali eccezioni previste dalla legge. Il reclamo di cui agli artt. 35 e 69, infatti, non solo non è derogatorio rispetto alla competenza del giudice civile, ma rappresenta uno strumento in cui manca il carattere giurisdizionale, il contraddittorio e non è prevista una disciplina esaustiva per l’ammissione della prova, l’esecuzione coattiva e le impugnazioni.
Rimedi di tipo preventivo. Il vaglio della Corte Costituzionale.
Tornando alla decisione della Consulta da cui si è partiti, vale la pena prendere in considerazione il rimedio prospettato da taluni Tribunali di sorveglianza per porre fine alle violazioni dei diritti fondamentali dei detenuti che si trovano a scontare la pena in strutture poco capienti rispetto al numero di reclusi.
Il Tribunale di sorveglianza di Venezia e quello di Milano hanno infatti sollevato una questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 147 c.p., nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre il rinvio (facoltativo) dell’esecuzione della pena da scontare in situazioni di sovraffollamento carcerario.
In realtà, già prima dell’intervenuta decisione della Corte Costituzionale – di cui si attende la motivazione – alcuni autori avevano mosso critiche all’utilizzo del differimento facoltativo dell’esecuzione [xv]. Si obietta, difatti, che l’istituto del differimento facoltativo lasci troppo nelle mani del giudice, che dovrebbe decidere in termini di ‘pericolo concreto di commissione di delitti’. In questo modo, nel bilanciamento tra le garanzie dei detenuti ed esigenze di sicurezza e difesa sociale, anche in casi di straordinario sovraffollamento, prevarrebbero sempre queste ultime. È stato perciò suggerito di ricorrere al rinvio obbligatorio ex art. 146 c.p., temperando tale strumento attraverso una valutazione della ‘emergenza umanitaria’ del singolo carcere e la possibilità di disporre in ogni momento i provvedimenti ex art. 684 c.p.p.
Tuttavia, il ricorso agli artt. 146 o 147 c.p. porta con sé ineliminabili ricadute che, verosimilmente, potrebbero aver contribuito alla dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte Costituzionale.
In primo luogo, il rimedio sarebbe accessibile ai soli condannati – con evidente trattamento di sfavore nei confronti dei detenuti imputati – risultando, di fatto, non risolutivo in una rilevante porzione di casi.
In secondo luogo, non convince un modello basato sulla richiesta dell’interessato in quanto, a differenza di quanto avviene per gli altri casi previsti dai suddetti articoli, non ci si trova di fronte ad un’esigenza nascente dalle condizioni strettamente personali del condannato ma ad un problema logistico-organizzativo di cui dovrebbero occuparsi gli organi dell’esecuzione.
Tali inconvenienti non sono evidentemente superabili con una mera sentenza ‘additiva di principio’. Tuttavia, il monito diretto al legislatore dai giudici del Palazzo della Consulta fa sperare – in caso di prolungata inerzia a livello legislativo – in un epilogo simile a quello raggiunto con la sentenza costituzionale 113/2011 [xvi], con cui la Corte ha finalmente censurato (per contrasto con l’art. 117 Cost.) l’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un caso di revisione che consenta la riapertura dei processi giudicati ‘non equi’ dalla Corte EDU. Il ricorso alle c.d. sentenze additive di principio, infatti, è motivato proprio dall’esigenza di rimediare alle violazioni dei diritti fondamentali non sanabili in via interpretativa.
Con le questioni sollevate da Venezia e Milano si è dunque imboccata la strada giusta ma, per essere accolti, è necessario che i futuri ricorsi siano diversamente formulati e suggeriscano uno strumento più facilmente adattabile alla peculiare emergenza che ci troviamo a dover fronteggiare.
In ogni caso, è auspicabile che sia il legislatore ad intervenire, introducendo un rimedio ad hoc che permetta di superare le lacune degli istituti di rinvio e sospensione dell’esecuzione presenti nel nostro ordinamento.
Ad esempio, potrebbe crearsi un modello di rinvio – magari valevole anche con riguardo alle misure cautelari – che permetta di selezionare i soggetti cui applicare il beneficio sulla base di criteri certi e conformi al principio di uguaglianza e che, anziché dipendere da richieste individuali, sia rimesso all’iniziativa del pubblico ministero [xvii]. Inoltre, in sede di decisione e di emissione dei provvedimenti conseguenti, si potrebbe imporre al Tribunale di sorveglianza di operare un bilanciamento in cui assumono pari dignità il vaglio dell’effettiva situazione umanitaria del singolo carcere e la valutazione circa la pericolosità del detenuto.
Per concludere, non resta che augurarsi che la Corte Costituzionale, nelle motivazioni della pronuncia, suggerisca al legislatore la strada percorribile per fornire finalmente alla magistratura uno strumento normativo che permetta di porre fine alle violazioni dei diritti umani perpetrate nel nostro Paese.
 
dott.ssa Giulia Cortoni, novembre 2013
(riproduzione riservata)
 
 
i[] In attesa delle motivazioni, il comunicato stampa è disponibile su www.cortecostituzionale.it.
 
ii[] Trib. Sorveglianza Venezia, ord. 13 febbraio 2013 n. 427, in Guida al diritto, 2013, 13, pp. 16 ss.
 
iii[] Trib. Sorv. Milano, ord. 12-18 febbraio 2013, in www.penalecontemporaneo.it, 28 marzo 2013.
 
iv[] CEDU, sez. II, sent. 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, in Cass. pen., 2009, 12, pp. 4927 ss.
 
v[] Si vedano, in particolare, CEDU, Aleksandr Makarov c. Russia, n. 15217/07, § 93; CEDU, Kalachnikov c. Russia, n. 47095/99.
 
vi[] Si segnalano le dissenting opinion dei giudici Zagrebelsky e Jo
iene, secondo cui non sussisterebbe nel caso di specie la gravità generalmente richiesta per ritenere esistente una violazione dell’art. 3 CEDU.
 
vii[] L’innovativo strumento dei pilot judgements oggi positivizzato nell’art. 61 del Regolamento della Corte EDU consente alla Corte di abbandonare la prospettiva del caso concreto per offrire un intervento meno specifico ma più incisivo. Una volta accertata la violazione e individuata la natura della disfunzione che ne è alla base, infatti, la Corte concede al Paese condannato un termine per adempiere, con la possibilità di ‘congelare’ i ricorsi connessi in modo da incoraggiare lo Stato incriminato a porre fine alla violazione. In caso di inadempienza, e laddove la trattazione del ricorso sia resa necessaria da esigenze di «buona amministrazione della giustizia», l’esame dei ricorsi sospesi potrà essere ripreso.
 
viii[] I dati che seguono sono aggiornati al 31 ottobre 2013 e sono reperibili su www.giustizia.it.
 
ix[] Non può trascurarsi che il 60% degli istituti penitenziari risale ai secoli XVII-XIX, con evidenti ricadute sui sistemi idrici e di ventilazione. Altro rilievo critico è che, sotto la spinta di istanze emozionali-populistiche, sono stati realizzati interventi emergenziali che hanno portato alla detenzione di 1.949 detenuti per i reati previsti dalla l. 94/2009 (immigrazione), 4.277 soggetti in arresto per contravvenzioni e addirittura 26.160 persone detenute in base al D.P.R. 309/1990, come modificato dalla l. 49/2006 (T.U. sugli stupefacenti). Dagli atti del convegno Dall’affaire Sulejmanovic all’affaire Torreggiani: dal diritto violato al diritto negato, Firenze, 26 febbraio 2013.
 
x[]CEDU, sez. II, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, in Giur. it., 2013, 5, pp. 1188 ss.
 
xi[]Rientrano nella suddetta categoria di soggetti: le donne incinte; il genitore, convivente, di minore di anni dieci; le persone in gravi condizioni di salute; gli ultrasessantenni se inabili anche parzialmente; i minori di anni ventuno.
 
xii[]A. Della Bella, Convertito in legge il ‘decreto carceri’ 78/2013: un primo timido passo per sconfiggere il sovraffollamento, in www.penalecontemporaneo.it, 15 ottobre 2013.
 
xiii[]C. Cost., sent. 8-11 febbraio 1999, n. 26, in Giur. cost., 1999, 1, pp. 175 ss.
 
xiv[]Cass. Pen., sez. I, sent. 15 gennaio 2013, n. 4772.
 
xv[]G. Dodaro, Il sovraffollamento delle carceri: un rimedio extra ordinem contro le violazioni dell’art. 3 CEDU, in Quad. cost., 2013, 2, pp. 428 ss.; R. Orlandi, Il sovraffollamento delle carceri al vaglio della Corte Costituzionale, in Quad. cost., 2013, 2, pp. 424 ss.
 
xvi[]C. Cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, in Giur. cost., 2011, 2, pp. 1523 ss.; Cass. pen., 2012, 3, pp. 933 ss.
 
xvii[]Quanto alla competenza del pubblico ministero in merito alla richiesta di rinvio si veda, più diffusamente, R. Orlandi, Il sovraffollamento delle carceri al vaglio della Corte Costituzionale, cit., pp. 427 s.
 
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