RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza dell' 11 ottobre 2010 ha parzialmente confermato, rimodulando soltanto la pena mediante la concessione delle attenuanti generiche, la sentenza del Tribunale di Brindisi, Sezione Distaccata di Mesagne dell'11 giugno 2009 con la quale S. W. era stato condannato per il delitto di cui all'articolo 474 cod.pen., commercio di prodotti con segni falsi (capi d'abbigliamento ed accessori con l'immagine contraffatta di personaggi di cartoni animati).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:
a) una violazione di legge in merito alla ritenuta sussistenza del reato, pur in presenza di un c.d. falso grossolano;
b) una violazione di legge a cagione della non ritenuta sussistenza della meno grave fattispecie di cui all'articolo 517 cod.pen. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso merita accoglimento per quanto di ragione, con il consequenziale annullamento dell'impugnata decisione con rinvio ad altra Sezione della Corte territoriale.
2. Si osserva, infatti, come questa Corte avesse costantemente affermato che le norme di cui agli articoli 473 e 474 cod.pen. tutelassero, in via principale e diretta, la pubblica fede e, cioè, l'affidamento presso i cittadini dei marchi e dei segni distintivi che individuassero le opere di ingegno o i prodotti industriali.
Quello previsto dalle indicate norme era e comunque rimane, quindi, un reato di pericolo, per la cui sussistenza è necessaria soltanto l'attitudine della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell'acquisto dei beni, bensì alla loro successiva utilizzazione (v. Cass. Sez. V 1 luglio 2009 n. 40170.)
Non aveva rilievo, poi, secondo la suddetta giurisprudenza, se i marchi notori presenti sui beni in possesso dell'imputato risultassero o meno registrati, perchè comunque, anche in sede di Unione europea, era illecito l'uso senza giusto motivo di un marchio identico o simile ad altro notorio anteriore, usato per prodotti o servizi sia omogenei o identici che diversi, allorché al primo derivasse un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del secondo e integrasse il rischio di confusione quando il consumatore di riferimento, attratto proprio dalla identità o somiglianza tra i segni, fosse indotto erroneamente a ritenere che i prodotti o servizi contrassegnati da entrambi i marchi avessero la medesima origine commerciale.
Più di recente, però, si è avuto un ripensamento della suddetta giurisprudenza di legittimità, conformemente anche alla dottrina che aveva commentato l'innovazione apportata alla materia dalla legge 23 luglio 2009 n. 99, che ha inciso, innanzitutto, nel nuovo testo dell'articolo 473 cod.pen. le parole "potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale" e lasciando fondatamente pensare che, con la detta riforma, si fosse inteso ratificare la giurisprudenza che richiedeva, per la tutela penale, l'avvenuta registrazione del marchio o del segno, non bastando la semplice domanda: si può conoscere, infatti, solo un titolo già rilasciato mentre la semplice richiesta dello stesso non dà luogo di per sé alla garanzia dell'esito positivo della avviata procedura amministrativa (v. Cass. Sez. V 12 aprile 2012 n. 25273).
Non risulta, d'altra parte, dall'andamento dei lavori preparatori, che il legislatore avesse manifestato in modo chiaro una volontà diversa da quella risultante dalla lettera della legge così come promulgata.
Né può ritenersi che il citato inciso, formulato testualmente con riferimento alla posizione del contraffattore materiale del marchio, non estendesse la propria efficacia, limitatrice dell'operatività del precetto, alla posizione, menzionata nello stesso comma della norma e rilevante per il caso di specie, dell'utilizzatore del marchio contraffatto.
Lo stesso ragionamento può essere riprodotto, però, anche per la fattispecie di cui all'articolo 474 cod.pen. in cui la citata novella della legge 99/2009 ha inciso il terzo comma, secondo il quale "i delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale".
Appare anche in tal caso necessario, per assicurare la prevista tutela penale dei marchi o degli altri segni distintivi, "il rispetto" della normativa, interna o internazionale, in tema di proprietà intellettuale o industriale, che altro non vuol dire che l’ avvenuta registrazione del marchio o del segno distintivo.
La Corte, annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Lecce per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 13/7/2012.