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Nota a commento di Corte di Cassazione, Sezione I Penale, sentenza 27 settembre 2011 (dep. 12 ottobre 2011), n. 36779
“ Il carattere sincronico o a-sincronico del contenuto della comunicazione, elemento distintivo secondo una tesi più restrittiva dal quale si dovrebbe ricavare il criterio per espungere dalla previsione dell’art. 660 c.p., per l’appunto, la comunicazione asincrona, non è affatto dirimente. Invero entrambe le comunicazioni sono sempre segnalate da un avvertimento acustico che ne indica l’arrivo, e che può, specie nel caso di spamming, costituito dall’affollamento indesiderato del servizio di posta elettronica con petulanti e-mail, recare quella molestia e quel disturbo alla persona che di questa lede con pari intensità la libertà di comunicazione costituzionalmente garantita. In tal caso è palese l’invasività dell’avvertimento al quale il destinatario non può sottrarsi se non dismettendo l’uso del telefono, con conseguente lesione, per la forzata privazione, della propria tranquillità e privacy, da un lato, con la compromissione della propria libertà di comunicazione, dall’altro.”1
Con la sentenza n. 36779, depositata lo scorso 12 ottobre 2011, la I Sezione penale della Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata 2 circa la configurabilità della contravvenzione di molestie telefoniche 3 perpetrata attraverso l’invio ripetuto non richiesto e molesto di e-mail, dovendo perciò, prendere in considerazione la rilevanza penale del c.d. fenomeno dello Spamming. In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione ha ad oggetto l’invio, copiosamente ripetuto, di messaggi di posta elettronica da parte di due ragazzi del Grossetano, rivolti a due donne, loro malgrado oggetto delle attenzioni dei due spammers. E’ evidente come l’invio ripetuto di messaggi di posta elettronica, indipendentemente dal loro contenuto, e dalla modalità sincrona o asincrona con la quale vengano inviati sia idoneo a cagionare un elevato grado di disagio emotivo e di disturbo in capo ai destinatari, non foss’altro poiché l’elevato numero di messaggi che vengono ricevuti comporta, il più delle volte, un intasamento della posta elettronica, con la necessità di cancellare le e-mail “spazzatura” e la conseguente perdita di tempo e di denaro. Dunque, si capisce come lo Spamming Internet sia fonte di una sensibile compromissione della libertà di comunicazione (garantita ai sensi dell’art. 25, comma 1 della Costituzione) e anche di un disturbo evidente alla tranquillità delle persone.
Considerazioni sul fenomeno dello Spamming Internet
Il fenomeno dello Spamming Internet trae origine dall’avvento globale e generalizzato di Internet e dell’utilizzo della posta elettronica. Il termine Spam (acronimo di Send phenomenal amaunts of mails), è una parola ottenuta dalla contrazione delle parole ‘Spiced’ e ‘Ham’ ed è il nome di un noto cibo in scatola, nella specie si trattava di carne in gelatina, prodotta da una ditta alimentare americana e dispensata, loro malgrado, ai sodati dell’esercito statunitense 4. Data la scarsa appetibilità e qualità del prodotto in sé, tale termine, col tempo, divenne il significante di un genere di scarsa qualità, se non proprio nocivo, comunque mal tollerato e accettato dal consumatore. E tale accezione non è mutata allorché il termine spam è stato mutuato dalla terminologia dell’informatica per descrivere il fenomeno, sfortunatamente sempre più diffuso, dell’invio ripetuto e non sollecitato di messaggi di posta elettronica a contenuto promozionale e pubblicitario 5. Nel caso di specie, tuttavia, sebbene la modalità della condotta degli imputati coincida con la definizione comunemente accettata del fenomeno dello Spamming (invio ripetuto e non richiesto di e-mail) va osservato che la finalità dei mittenti dei messaggi sembrerebbe avulsa dall’intento di pubblicizzare e promuovere un prodotto sul libero mercato. Ciò premesso, il presente contributo è volto a comprendere se, secondo il giudizio della Corte di Cassazione, il fenomeno dello Spamming Internet sia astrattamente compatibile con la fattispecie contravvenzionale dell’art. 660 c.p..
La contravvenzione di molestie o disturbo alle persone ex art. 660 c.p.
Il reato di molestie, previsto dal libro III del c.p. quale contravvenzione, è finalizzato alla prevenzione e alla repressione, in ultima analisi, del turbamento della tranquillità pubblica in riferimento a possibili ripercussioni sull’ordine pubblico che potrebbero originarsi a seguito di reazioni innescate dal turbamento della quiete e della tranquillità del privato cittadino da parte di terzi. La condotta del reato può consistere in qualsiasi contegno idoneo ad arrecare molestia o disturbo a terze persone, di modo che si verifichi una vera e propria ingerenza nella vita privata e di relazione della persona oggetto della condotta di reato. Elemento necessario ai fini del reato è, inoltre, il fatto che la condotta abbia luogo in luogo pubblico o in luogo aperto al pubblico o, diversamente, per mezzo del telefono. Sulla nozione e interpretazione del termine “telefono” si tornerà più avanti quando si analizzerà come la Corte di Cassazione ha mano a mano applicato il principio di tassatività e tipicità della legge penale (incriminatrice) nelle sue pronunce. In riferimento all’elemento soggettivo richiesto dalla norma dell’art. 660 c.p. ai fini dell’integrazione della relativa fattispecie contravvenzionale, l’agente deve agire con dolo specifico, ovvero “per petulanza o per altro biasimevole motivo”. In altre parole, con il termine petulanza, è richiesto che il reo finalizzi la propria condotta al precipuo scopo di interferire in maniera inopportuna nell’altrui sfera di libertà 6, manifestando, in tal modo, la volontà di infastidire una persona. Per biasimevole motivo, invece, si intende, per usare le parole della Corte di Cassazione, “ ogni motivo diverso dalla petulanza, che sia del pari riprovevole in sé stesso o in relazione alla qualità della persona molestata e che abbia su quest’ultima gli stessi effetti della petulanza” 7.
La tipicità e la tassatività quali corollari del principio di stretta legalità della legge penale (incriminatrice) e la Sent. n. 24510 del 17-30 giugno 2010 della Corte di Cassazione, Sez. I penale
Gli artt. 25, comma 2 Cost., 1 c.p. e 199 c.p.(con riferimento quest’ultimo alle misure di sicurezza), stabiliscono che nel nostro ordinamento penale non è possibile che un soggetto venga sottoposto a pena per un reato e con una pena che non siano stati previamente ed espressamente previsti con legge. Come noto, il principio di legalità è principio cardine del sistema del diritto penale (sostanziale) nel nostro Paese. Tale principio, peraltro, rischierebbe di assolvere una funzione prettamente formale, alla stregua di una qualsiasi formula di stile, se il legislatore non avesse ritenuto di prevedere alcuni corollari a garanzia della sua efficacia sostanziale, oltre che formale. Ci si riferisce ai principi di irretroattività della legge penale, della riserva di legge, di tipicità e tassatività della legge penale. Di questi, il principio di tipicità merita, in tal sede merita, una breve analisi, dato che la I Sezione penale della Corte di Cassazione vi ha basato il proprio giudizio tanto ne 2010 quanto con la sua ultima pronuncia dello scorso ottobre. Detto principio stabilisce che tanto i reati, quanto le pene, debbano essere tipizzati nella norma penale incriminatrice. Non ogni fatto moralmente e socialmente riprovevole, dunque, potrà essere considerato reato e, dunque, represso con la pena ma solamente quelli che corrispondano al fatto tipico, cioè al fatto descritto dalla norma penale. Peraltro, detta descrizione del fatto tipico deve necessariamente soggiacere al principio di tassatività, nel senso che il legislatore deve compiutamente e dettagliatamente definire e delineare il fatto che si intende prevenire e reprimere con l’adozione di una norma penale incriminatrice. Inoltre, a garanzia del rispetto di princiipi di legalità, tipicità e tassatività della legge penale, l’art. 14 delle preleggi dispone il divieto di applicazione analogica della legge penale (incriminatrice).
Segue- La Sent. n. 24510 del 17-30 giugno 2010 della Corte di Cassazione, Sez. I penale.
Proprio in applicazione del principio di tipicità della legge penale incriminatrice e del divieto di interpretazione analogica della legge penale, la Corte di Cassazione, Sez. I penale, con la Sent. n. 24510 del 17-30 giugno 2010 aveva stabilito che, con riferimento alla contravvenzione di molestia perpetrata col mezzo del telefono (c.d. molestia telefonica), non rientrasse nella cornice edittale dell’art. 660 c.p. il caso in cui il disturbo alla persona fosse stato cagionato attraverso l’invio ripetuto di e-mail. Ciò in quanto la molestia, all’infuori del caso in cui avvenga in un luogo pubblico, deve avvenire esclusivamente attraverso l’utilizzo del telefono. Ebbene, da tale pronuncia si evince una definizione del termine “telefono” (ai fini dell’applicazione della norma dell’art. 660 c.p.), che presuppone tre elementi essenziali: 1) deve trattarsi di un apparecchio telefonico, ciòè di uno strumento che permetta la trasmissione di suoni e di voci (ovvero, come nel caso del citofono, di altro strumento che permetta di comunicare attraverso le medesime modalità); 2) la modalità di funzionamento dell’apparecchio deve avvenire mediante la rete telefonica o cellulare; 3) vi deve essere una segnalazione della comunicazione in modalità sincrona, nel senso che l’avviso deve avvenire contestualmente alla comunicazione mediante segnalazione acustica. Orbene, da un punto di vista strettamente formale, la sentenza in commento risulta ineccepibile. E infatti, la ratio che fonda il giudizio della Suprema Corte poggia sul ragionamento in base a quale, evidentemente, il legislatore, nell’inserire nella norma dell’art. 660 c.p. il riferimento al solo utilizzo del telefono (all’infuori del requisito topografico inerente il luogo pubblico), ha sì previsto una formula aperta, ma non ha inteso consentire un estensione applicativa della norma tale da farvi rientrare anche condotte concernenti l’utilizzo di apparecchi di comunicazione che, per il diverso tipo funzionamento rispetto a quello dell’apparecchio telefonico e, dunque, per la minore invasività dovuta al fatto che non consentono un interazione diretta tra le persone, non sono idonei ad arrecare un’immediata molestia o comunque un disturbo.
A ben vedere, però, il giudizio della I Sezione penale della Corte di Cassazione non sembra tener conto del contesto sociale e tecnologico peculiari dell’epoca contemporanea. Ci si riferisce al fatto che oramai le enormi potenzialità di Internet pervadono in maniera preponderante il vissuto delle persone e che la comunicazione mediante l’utilizzo della posta elettronica è divenuta, in un mondo sempre più globalizzato e dai confini più ampi, da strumento di comunicazione di nicchia a principale mezzo per comunicare. Se poi si considera che già oggi esistono telefoni cellulari in grado di scaricare attraverso la rete cellulare la posta elettronica e di segnalarla con avvisi acustici (al pari di ciò che avviene con gli sms), ci si rende conto di come l’esclusione dello Spamming Internet dalle possibili condotte astrattamente idonee a configurare il reato di molestia telefonica sia un’ipotesi non più attuale e che può continuare a valere, in ossequio al principio di tipicità, solo in riferimento a determinate circostanze. Infatti, se è vero che, complice il progresso tecnologico, è attualmente possibile la trasmissione di messaggi ti posta elettronica con avvisi acustici in modalità sincrona direttamente sul telefono cellulare e per mezzo della linea cellulare, si può affermare che lo Spamming Internet rientri a pieno titolo, in ipotesi consimili, tra le condotte tipiche di cui all’art. 660 c.p. Di tale situazione, peraltro, sembra essersi pienamente resa conto la I Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sent. n. 36779, 12 ottobre 2011.
Le molestie telefoniche perpetrate attraverso lo Spamming
Con la sentenza n. 36779, 12 ottobre 2011, la I Sezione penale della Corte di Cassazione ha assolto due Spammers del Grossetano che avevano inviato numerosi messaggi di posta elettronica a due donne. Ora, nella parte motiva della sentenza, la Corte di Cassazione, dopo aver ripercorso il ragionamento sotteso al suo precedente arresto del 2010, (qui analizzato nel paragrafo che precede), ha precisato (e questo è l’elemento di assoluta novità,) che non è lo Spamming ad essere escluso sic et simpliciter dalle modalità di condotta astrattamente idonee a configurare il reato di molestie telefoniche, bensì, caso per caso, la specifica modalità con la quale avviene la comunicazione. In particolare dovrà escludersi che lo Spamming possa configurare una condotta rilevante in riferimento all’applicazione dell’art. 660 c.p. allorchè la comunicazione dei messaggi di posta elettronica non avvenga attraverso l’uso del telefono (o di apparecchio di comunicazione con funzionamento analogo e mediante la rete telefonica o cellulare) né con segnalazione acustica sincrona. Ad esempio, nel caso analizzato dalla Suprema Corte, lo Spamming è stato posto in essere mediante l’invio di e-mail che venivano registrate sull’account dell’operatore professionale e che, analogamente a quanto accade con le missive cartacee, il destinatario, successivamente, aveva scelto di scaricare allo stesso modo in cui si sceglie di aprire le lettere cartacee. Nel caso di specie, perciò gli Spammers non hanno arrecato un disturbo immediato e perpetrato attraverso un segnale acustico in maniera sincrona direttamente sull’apparecchio telefonico, a cui è impossibile sottrarsi se non a pena della disattivazione dell’apparecchio stesso. Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione ha osservato, che “nella specie (…) il carattere invasivo, senza possibilità di sottrarsi al suono molesto, dell’avvertimento dell’arrivo della posta elettronica non può dirsi realizzato perché gli imputati comunicavano con le persone offese tramite computer ed in tanto la posta elettronica con questo mezzo inviata poteva essere letta in quanto i destinatari di essa, per nulla avvertiti dell’arrivo, avessero deciso di “aprire” la posta elettronica pervenuta”. Tuttavia, con riferimento alla configurabilità del reato di molestie telefoniche attraverso lo Spamming, nell’ipotesi in cui le e-mail vengano scaricate automaticamente su un telefono cellulare, nel passaggio motivo più significativo della sentenza, la Corte di Cassazione, ha affermato che l’arrivo di dette e-mail “può, specie nel caso di spamming, costituito dall’affollamento indesiderato del servizio di posta elettronica con petulanti e-mail, recare quella molestia e quel disturbo alla persona che di questa lede con pari intensità la libertà di comunicazione costituzionalmente garantita. In tal caso è palese l’invasività dell’avvertimento al quale il destinatario non può sottrarsi se non dismettendo l’uso del telefono, con conseguente lesione, per la forzata privazione, della propria tranquillità e privacj, da un lato, con la compromissione della propria libertà di comunicazione, dall’altro”.
lo Spamming quale auspicabile ipotesi autonoma di reato
Il fenomeno dello Spamming, per la sua attitudine a ledere in maniera sempre più incisiva diversi diritti e libertà tutelati dal nostro ordinamento, è sempre più oggetto di attenzione da parte degli operatori del diritto. Si è visto come oggi lo Spamming, qualora ne ricorrano i presupposti, sia astrattamente idoneo a configurare la il reato di molestie telefoniche, ai sensi dell’art. 660 c.p. E, d’altronde, anche altre norme penali incriminatrici, in determinate ipotesi, già reprimono lo Spamming. Si pensi, ad esempio, al delitto di trattamento illecito dei dati (art. 167 dlgs. n. 196/03 in combinato disposto con l’art. 130, comma 2, stesso corpus normativo 8) o, ancora, al delitto di atti persecutori (Stalking) perpetrato attraverso l’invio di messaggi di posta elettronica 9. Tuttavia, l’esito della pronuncia oggetto d’analisi rivela come, ancora oggi, un fenomeno come lo Spamming, potenzialmente lesivo di numerosi diritti e libertà (alcuni dei quali godono perfino della garanzia costituzionale), troppo spesso sfugga alle maglie della giustizia penale. E non potrebbe essere diversamente posto che, anche un collegio illuminato e sensibile alle moderne esigenze di tutela (coma si è dimostrata la I Sezione penale della Corte di Cassazione con la pronuncia analizzata in questa sede) rimane impotente di fronte a ipotesi di Spamming palesemente lesive le quali, però, per non essere state contemplate quali condotte penalmente rilevanti dal Legislatore, sfuggono al controllo della giustizia, in ossequio al principio di tipicità quale corollario del principio di stretta legalità.
De iure condendo si auspica una maggiore attenzione del legislatore alle esigenze di tutela e di repressione del fenomeno dello Spamming in sé, confidando nella sua capacità di trovare una soluzione decisa al problema, magari e se necessario, con l’introduzione di una figura di reato ad hoc.
Stefano Logroscino, Avvocato, Cultore della materia di Diritto dell’Informatica – novembre 2011
(riproduzione riservata)
3 Art. 660 c.p.: Molestia o disturbo alle persone. Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516;
4 Cfr. MONICA ALESSIA SENOR, www.ordineavvocatitorino.it/UserFiles/File/convegni/atti/RelazioneSenor;
6 Cfr. Corte di Cassazione, Sez. I, n. 19071/04;
7 Cfr. Corte di Cassazione, Sez. I, n. 12251/86;
8Art. 167. Trattamento illecito di dati
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell'articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi;
Art. 130. Comunicazioni indesiderate
1. L'uso di sistemi automatizzati di chiamata senza l'intervento di un operatore per l'invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale è consentito con il consenso dell'interessato.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle comunicazioni elettroniche, effettuate per le finalità ivi indicate, mediante posta elettronica, telefax, messaggi del tipo Mms (Multimedia Messaging Service) o Sms (Short Message Service) o di altro tipo (omissis);
9 Art. 612 bis. Atti persecutori. Stalking.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterata, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita (omissis).
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